Paura [o anche: confessioni di un colpevole]

di absenthium
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Non so cosa scrivere in questa pagina, di preciso.
Pensieri, foglie al vento. Frammenti di qualcosa.

No, non è una storia. È uno sfogo.
Stupido, lo so, ma non lo è anche accovacciata sul proprio materasso a piangere e tremare come un bambino? Sono indubbiamente un umano stupido.
Non sarà importante per nessuno, lo so, ma cosa conta? Non cerco pietà, solo la falsa tranquillità che qualche parola sparsa potrebbe portarmi.
Non ricordo come l'ho scoperto. Internet, un momento di noia, qualche notizia che non avevo intenzione di approfondire. Poi.
“Videogioco omofobo: lo scopo è quello di uccidere gay con pistole e fucili”.
Debole, lo so, ma sono scoppiata a piangere. Io, che verso lacrime il meno possibile, che resisto, che semplicemente non piango. Ho pianto, ho pianto e piango tutt'ora.

Ho paura.
Ho paura perché vivo in un mondo con persone del genere, persone che governeranno, lavoreranno, educheranno figli che magari saranno come loro, perché è così, no? I figli sono come i genitori, i figli sono specchi privi di idee proprie, e anche se ne avessero basta poco a renderli semplici manichini da imbastire di belle chiacchiere e di odio.
Ho paura perché so che potrei essere la prossima a essere insultata, picchiata, isolata e abbandonata da tutto e tutti. Perché vorrei baciare una ragazza. Perché vorrei tenerla per mano. Perché oserei amarla. Magari tra qualche anno ci sarà il mio nome su un articolo di cronaca, un numero in più alla stima dei gay assaliti in quell'anno. Ho paura perché sono consapevole.

Sono vicini. Sono tanti, e magari sono le stesse persone che ho tutti i giorni sotto gli occhi. I miei vicini di casa. I miei compagni di scuola. I miei professori. Quella zia che vedo una volta l'anno. Lo sconosciuto che incontro ogni giorno sull'autobus. So che potrebbero essere nella schiera delle persone pronte ad odiarmi.
Ho paura perché non mi sono mai vergognata, e a volte mi domando se non farei meglio a farlo. A nascondermi. A fingere.
Si, certo, sono etero”.
Alla fine, la paura blocca tutto. È come se avesse paralizzato i miei pensieri. Sono incazzata, da morire, ma allo stesso tempo, ho perso.
Ho perso la voglia di ribattere a tutti quei “Secondo me...” “Non sono omofobo ma...”, la capacità di pensare il meglio, di non sentirmi così fragile, così sbagliata.

Piano piano, smetterò. Smetterò di mettere quella spilla con su scritto “Go, be gay” che mi aveva tanto divertito quando l'avevo comprata. Di usare lo scotch con i colori dell'arcobaleno che ho comprato perché mi faceva sentire bene.
Smetterò di parlare in classe della ragazza carina che ho incontrato quell'estate.
Staccherò la bandiera dal muro, la chiuderò in un cassetto e nessuno la vedrà mai.
Ho paura perché non ho mai avuto paura, e questo mi terrorizza.

Voglio fare qualcosa. Voglio lottare, lottare finché non avremo raggiunto qualcosa, e al contempo non so cosa fare, perché sono egoista e sono spaventata.

Dovrei avere paura. Vergogna. Cautela.
Ma la verità è che non ho nulla di tutto ciò. È che non voglio nascondermi. Non voglio dire a mio padre “siediti, ti devo parlare”.
Voglio urlare. Voglio gridare al mondo che a me va bene così, e che non riguarda nessuno se non me.
Codarda.

 





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