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riferimento a persone
esistenti o fatti
realmente accaduti è puramente casuale.
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esterno a
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I
L’inizio
di un anno grandioso.
“Una
storia accaduta tanto tempo fa'
altrove
forse
non ci riguarda neanche...”
(Anonimo)
1
15
Settembre 2018.
Venezia,
Ponte degli Scalzi.
L’acqua
scura del Canal Grande riverberava la luce dei ristoranti lungo la sua
riva, i
palazzi si stagliavano scuri ai suoi lati, parzialmente inglobati
dall’oscurità
notturna.
A Simon,
appoggiato con i gomiti al parapetto del Ponte degli Scalzi, sembrava
di
guardare direttamente su una cartolina. Avrebbe dovuto essere abituato
ormai a
quegli scorci, ma ogni volta Venezia aveva il potere di mozzargli il
fiato.
L’aria era tiepida, ancora estiva nonostante fosse settembre
inoltrato, vista
l’ora tarda i turisti che attraversavano il ponte erano
davvero pochi e lui
poteva godersi quel momento di tranquillità in uno dei punti
più trafficati di
Venezia.
“Brutto…
Proprio in cima al ponte più ripido
dovevamo trovarci?!”
La
tranquillità fu spazzata via nella frazione di un secondo.
Un poco riluttante,
Simon distolse lo sguardo dalla curva sinuosa del canale e si
girò a
fronteggiare il suo migliore amico.
Leonardo
era piegato in avanti, una mano appoggiata sul fianco e il volto
chiazzato di
rosso, sudato come se avesse appena corso la maratona; invece aveva
solo
trascinato le due pesanti valigie e il borsone che gli pendeva da una
spalla su
per il ponte.
“Preferivi
il Calatrava?” domandò divertito. Si era
ripromesso di non sorridere, di
mostrarsi distaccato al suo ritorno, ma era impossibile mantenere una
promessa
del genere, erano mesi che non si vedevano.
A quella
domanda Leo sbiancò. “Preferivo nessun
ponte” bofonchiò.
“Richiesta
difficile da accontentare a Venezia” gli fece notare, si
appoggiò al parapetto
con la schiena “Com’è andato il
viaggio?”
“Bene,
bene, il solito” rispose distratto, anche il suo sguardo
venne calamitato dal
luccichio di Canal Grande.
Simon
approfittò di quel secondo per studiarlo e annotare tutti i
cambiamenti di quei
mesi di lontananza. I capelli mossi si erano fatti più
lunghi, ora gli
arrivavano alle spalle e avevano le punte bruciate dal sole;
così anche la sua
pelle era più scura, sembrava portare ancora i segni di una
brutta scottatura.
La maglia sportiva che indossava era sbiadita per i troppi lavaggi e
aveva
degli aloni scuri sotto le ascelle, gli stava leggermente tirata sul
petto, ma
nel complesso non sembrava essere affatto cresciuto. C’erano
dei particolari
differenti, ma non era cambiato poi molto, era sempre lo stesso Leo di
tre mesi
prima.
Leonardo
lo
beccò mentre era ancora assorto in quella minuziosa
osservazione, spostò
semplicemente gli occhi sul suo viso e Simon entrò in
panico, convinto che gli
si leggesse tutto dentro. Invece gli rivolse un semplice sorriso
giocherellone.
“Allora?”
“Allora
cosa?”
“Non
mi
dici qualcosa? Tipo, che so, che ti sono mancato, o bentornato
o…”
“Sembri
una
principessa Disney con quei capelli” lo interruppe soffocando
una risata. “Da
quanto non li tagli?”
Aggrottò
la
fronte. “Be’, da un po’. E comunque,
sarei una principessa più bella di te”.
“Non
lo
metto in dubbio” garantì scuotendo la testa, si
staccò dal parapetto in marmo e
si accucciò a prendere una delle due valigie.
“Dai, andiamo. Ti ho aspettato per
un’ora”.
“Esagerato,
era un ritardo di dieci minuti”.
“Venti”
precisò. “E tu ce ne hai messi altri venti a
uscire dalla stazione e fare
quattro metri”.
Leo
emise
un verso esasperato e alzò gli occhi al cielo, era tornato
da appena cinque
minuti e già aveva voglia di strangolarlo.
“Sei
senza
cuore” gli sbottò contro risentito. “Non
ci vediamo da mesi e le uniche cose
che fai è insultare i miei capelli e arrabbiarti per un
piccolo ritardo”.
“Adesso
non
fare il permaloso” sollevò una valigia.
“Che cosa ti aspettavi?”
Domanda
sbagliata, quasi fece cadere la valigia giù per i gradini.
Leonardo gli si era
gettato addosso come un cucciolo di grizzly in carenza di affetto,
stritolandolo in un abbraccio spaccaossa, il genere di contatto che
Simon meno
gradiva.
“Questo,
scemo, mi aspettavo questo”
precisò
quando lo lasciò andare, gli diede una pacca sulla spalla.
Prese l’altra
valigia e cominciò a scendere i gradini con un sorriso
soddisfatto.
“Ma
dimenticavo che sei uno sociopatico”.
Lo
fulminò
con lo sguardo. “Sono riservato” corresse.
“Sì,
sì, è
uguale. Allora, scendi o resti lì con la mia
valigia?”
Sospirò
rassegnato, ormai la pace delle vacanze estive era ufficialmente finita
e lo
aspettava un nuovo anno pieno di esasperazione, ansia, stress e istinti
omicidi
verso i suoi coinquilini.
Aveva
fatto
il conto alla rovescia in attesa di quel momento per tutta
l’estate.
Simon
Lunardi e Leonardo Triestini erano quelli che noi potremmo definire
senza
problemi amici d’infanzia, dal momento che il loro incontro
era avvenuto il
primo giorno di asilo e aveva coinvolto un pennarello colorato e la
disputa su
chi dovesse usarlo per primo. Nessuno dei due ricordava come fosse
finita,
certo era che da quel momento erano diventati inseparabili,
l’uno l’ombra
dell’altro manco fossero stati attaccati con la colla. In
comune accordo, senza
dire nemmeno una parola, avevano deciso di diventare migliori amici e
lo erano
stati fino al termine delle medie, quando la famiglia di Simon aveva
avuto la
brillante – leggesi con sarcasmo – idea di
trasferirsi a Padova. Da lì la vita
di Simon era stata molto solitaria: non era un tipo socievole;
nonostante il
suo bel faccino attirasse più di qualcuno deciso a legare
con lui, la sua
lingua era talmente tagliente da riuscire a tenere lontano qualunque
scocciatore e le sue occhiate torve gli aveva fatto guadagnare la nomea
di
snob. Così Leonardo era stato il suo primo e ultimo amico, e
i cinque anni del
liceo erano passati tra la noia più totale e
l’insofferenza familiare. Non era
divertente avere fratelli geniali, una futura promessa della medicina
mondiale
e un’avvocatessa in grado di scagionare anche il diavolo, con
i quali
confrontarsi, con i quali venire costantemente paragonato. Forse era
per quello
che, spinto da un desiderio di distinguersi, aveva delineato il suo
percorso
universitario nel campo umanistico-filosofico ed era andato a Venezia.
Più
chilometri stanno tra me e Padova più sono
contento.
Non
aveva
ancora ben chiara la seria di coincidenze che lo aveva portato a
ritrovarsi con
Leonardo. E non doveva avercela chiara nemmeno lui, considerato il modo
spaesato con cui girovagava per la sede centrale di Ca’
Foscari il giorno
dell’Open Day, come se non avesse la più pallida
idea di come ci fosse finito
lì. Si erano incontrati – più
propriamente scontrati
– e fissati in silenzio qualche secondo prima di riconoscersi
e abbracciarsi.
Cioè: Simon aveva formalmente alzato la mano per stringere
la sua, Leonardo
invece gli si era scaraventato addosso come un golden retriever
abbastanza
pesante ed esuberante.
Il loro
incontro aveva schiarito le idee a Leonardo sul proprio futuro, fino a
quel
momento rimasto indeciso tra lo frequentare fisica o filosofia.
Scoprendo che
quest’ultima era l’opzione ventilata da Simon gli
era stato fin troppo semplice
decidere di abbandonare ogni pretesa sulla fisica e gettarsi a
capofitto sulla
filosofia. Si erano scambiati i numeri e per il resto
dell’anno Leonardo lo
aveva importunato con continui messaggi per capire come funzionassero
le
iscrizioni online, per la casa da affittare o anche semplici
stupidaggini.
Entrambi erano felici ed esterrefatti di aver ritrovato
l’altro, quasi non lo
avessero mai ritenuto possibile.
Quel
fatto
non aveva fatto altro che triplicare l’entusiasmo di Simon di
iniziare
l’università, a maggior ragione non vedeva
l’ora di lasciare Padova.
A volte
si
chiedeva se l’Università gli sarebbe apparsa
comunque così piacevole, quasi
divertente, senza Leo; o se al contrario l’avrebbe odiata,
finendo per
chiudersi anche lì una grigia monotonia con il solo pensiero
degli esami.
Ma era
inutile pensarci, si erano ritrovati e contava solo questo.
Santa
Croce, San Giacomo dell’Orio.
Leonardo
parlò per tutta la strada fino al loro appartamento,
cianciando sull’estate
passata. Metà delle cose che gli stava dicendo gliele aveva
già raccontate per
messaggio, ma non si lamentò più concentrato,
piuttosto, a portare la valigia
attraverso i ponti. Nonostante l’ora tarda c’erano
ancora dei ristorantini
aperti con turisti a cenare; il caldo fuori stagione dava
l’idea che fosse
ancora estate. A Simon non andava molto a genio, tendeva a sudare
molto, e in
quel momento la fatica lo aveva reso fradicio sotto la maglietta.
Erano
fortunati di non dover fare troppa strada, visto che
l’appartamento che avevano
affittato si trovava a dieci minuti – e due ponti –
dalla stazione. Era in una
delle corti adiacenti al campo di San Giacomo dell’Orio, nel
sestiere di Santa
Croce, una grane piazza con ristorantini eleganti, panchine, alberi,
una coop e
la vecchia chiesa del nono secolo, una delle più antiche di
tutta Venezia. Di
giorno era abitata da bambini che giocavano a calcio e attentavano alla
vita
dei passanti con le loro pallonate, era un posto abbastanza vivace e
una bella
zona dalla quale era possibile raggiungere i punti più
importanti di Venezia in
poco tempo.
Era
stato
il padre di Leonardo a trovare l’annuncio in un sito
internet: una mansarda
doppia, con bagno privato annesso, a un prezzo abbordabile e spese
incluse. Leo
aveva girato subito la notizia a Simon, che senza perdere tempo aveva
contattato l’affittuaria. La donna, però, gli
aveva dato a sua volta il numero
di un’altra ragazza con la quale accordarsi. Era una delle
coinquiline di
quella casa, colei che si occupava della scelta dei nuovi coinquilini
al posto
della legittima padrona. Simon ricordava di aver parlato con il
ricevitore
staccato dall’orecchio senza il vivavoce, da quanto era
squillante la voce
della ragazza. Erano stati al telefono una mezzoretta, in cui gli aveva
chiesto
chi fosse lui e il suo amico, per quanto tempo avevano intenzione di
affittare,
che facoltà frequentassero e qualche altra nozione in
generale. Aveva poi dato
loro un appuntamento per un incontro di persona.
Quello
era
stato il suo primo approccio con Arianna.
Simon
ringraziava di essere stato lui a contattarla, perché con il
suo tono formale
ed educato le aveva fatto una buona impressione e
all’incontro era partita
molto favorevole nei loro confronti, nonostante di solito tendesse a
depennare
istantaneamente le matricole. La simpatia di Leo e il suo modo affabile
di
comportarsi avevano fatto il resto e alla fine
dell’appuntamento li aveva
portati a vedere la mansarda e il resto della casa. Era molto grande,
anche se
una parte non era accessibile agli affittuari. C’erano altre
due camere, una
doppia e una singola, entrambe occupate; una cucina comune provvista di
lavastoviglie, microonde e lavatrice; un bagno comune e un salotto con
una
grandissima libreria. Dalla cucina partivano delle scale ripidissime
che
portavano alla soffitta e alla mansarda, un ambiente spazioso, con le
pareti
azzurre e un paravento orientale che lo divideva dal bagno adiacente.
L’unico
problema: Simon aveva rischiato di sbattere la testa appena entrato
nella
tolette dall’alto del suo metro e ottanta. Leo, che invece
aveva giusto dieci
centimetri in meno, dalla sua bassezza lo aveva preso in giro ridendo a
crepapelle.
Problemi
di
altezza a parte, la stanza era funzionale, semplice e accogliente:
esattamente
quello che i due neo-studenti cercavano. Il prezzo era più
che equo e nemmeno
una settimana dopo avevano firmato entrambi il contratto e fatto la
conoscenza
con gli altri coinquilini. La mansarda era diventata il posto dove
tornare dopo
le lunghe lezioni, da chiamare ‘casa’ e per Simon
lo era molto di più di quella
a Padova, dove tornava solo quando costretto.
Anche se
all’inizio abituarsi agli altri coinquilini era stato
decisamente traumatico.
“Guardate
quale pecorella smarrita è tornata
all’ovile!”
Furono
le
prime parole che li accolsero quando aprirono la porta fradici di
sudore e
mezzi morti per le valige. Stando a quello che aveva detto Leo, dentro
c’erano
soprattutto cibi congelati che sua madre si era premurata di preparare
perché
l’amato figliolo non morisse di fame.
“Se
invece
di stare fermo lì e basta…” fu la
replica di Leo ancora a metà della scalinata
del pianerottolo.
Giovanni,
studente fuori corso dell’Accademia delle Belle Arti, con il
suo meraviglioso
grembiule sporco di pittura, alzò un sopracciglio e
sospirò melodrammatico.
“Oh,
per
due ponti tutta questa lagna. Simon, ti vedo un po’
sudato”.
Lo
incenerì
con lo sguardo asciugandosi la fronte con il dorso.
Leo
scavalcò Simon senza tante cerimonie per andare ad
abbracciare anche Giovanni,
ma si bloccò appena lo vide.
“I
tuoi
capelli sono… verdi?”
domandò. “O è
la luce?”
Si prese
una ciocca lunga e fece un sorriso compiaciuto. “No, sono
proprio verdi. Li ho
tinti questa estate.”
Leonardo
era inorridito. “Li hai anche rasati! Dove sono i tuoi
lunghissimi capelli da
Rapunzel?”
Giovanni
era un po’ eccentrico del modo di vestire e comportarsi,
l’anno prima i suoi
capelli erano di un castano chiaro naturale e lunghi fino alla vita,
sani e
forti come quelli di una modella, invidiati da qualsiasi ragazza.
Quando Simon
era tornato e lo aveva visto con metà cranio rasato e
l’altro metà verde aveva
quasi infartuato.
“A
un’associazione che fa parrucche per persone malate di
cancro” disse
fieramente. “Comunque, vedo che ora la principessa di casa
sei tu, Merida” lo prese
in giro per gli
arruffati capelli troppo lunghi.
“Eh,
devo
andare a sistemarli” borbottò corrucciato, Simon
lo superò con una smorfia di
fatica trascinando la valigia.
“Restiamo
in entrata per sempre o le portiamo su?” domandò
seccato.
“Arrivo,
arrivo!” assicurò.
Giovanni
li
guardò ridacchiando. “Fra un po’ tornano
anche Ary e Marghe, ceniamo insieme?”
Si era
dimenticato degli orari assurdi in cui cenavano, ma non aveva mangiato
niente a
causa del viaggio quindi annuì prima di seguire Simon verso
la cucina e poi su
per le ripide scale.
Finalmente a casa.
“Marghe…
Giovanni intendeva Margherita, quella nuova dal Giappone?”
domandò Leo mentre
svuotava la valigia.
Simon
annuì, lo guardava seduto sul suo letto a gambe incrociate.
“È
arrivata
una settimana fa”.
“Com’è?
Simpatica? Carina?” sciorinò come la peggior
pettegola al bar.
Alzò
gli
occhi al cielo. “È un po’ timida, ma
Giovanni è convinto sia una copertura.
Secondo lui fa finta per poterci mettere nel sacco e conquistare il
controllo
della casa”.
“E
questo
lo pensa perché…?”
“L’ha
vista
mentre leggeva un hentai”.
Leo si
bloccò. “Serio?”
“Così
dice”
fece spallucce.
Scoppiò
a
ridere di gusto mentre spingeva la valigia vuota sotto il letto per
nasconderla. “Che idiota. Ora sono curioso di
conoscerla”.
“Perché
legge gli hentai? Scemo” si unì piano alla risata.
“Vuoi una mano a sistemare
le tue cose?” gli chiese vedendolo in difficoltà
con i vestiti e le
cianfrusaglie che si era portato dietro.
“Eh,
magari. Quest’anno voglio essere ordinato e tenere le cose al
loro posto, senza
invadere la tua zona”.
Inarcò
un
sopracciglio davanti a quella frase irrealizzabile.
Nonostante
dividessero la stanza, la mansarda era
quasi del tutto occupata dal disordine di Leo. Lui ci provava a fare
ordine,
sul serio, ma aveva così tanti affetti personali che
inevitabilmente finiva per
occupare anche lo spazio di Simon. Non che all’amico
dispiacesse, lo aveva
lasciato fare anche se un poco infastidito, ma la verità era
che tanto quegli
spazi non gli servivano.
Se Leo era un accumulatore
seriale,
che faticava perfino di liberarsi delle borse di plastica della coop,
Simon ne
era il suo esatto opposto: meno teneva con sé,
più si sentiva soddisfatto. Era
come se il suo obiettivo fosse passare del tutto inosservato, sgravarsi
di ogni
peso e non lasciare tracce dietro di sé. Non teneva mai
niente per ricordo, si
sbarazzava dei libri appena li leggeva e vendeva gli appunti
universitari
appena l’esame terminava; usava pochi vestiti e solo per una
stagione, poi li
rivendeva nei siti internet per comprarne di nuovi.
Occupava così poco spazio che a volte si aveva
l’illusione che la
mansarda fosse abitata da un solo ragazzo .
Le uniche cose che aveva sempre tenuto con sé
erano il quaderno da
viaggio con gli appunti di sua madre, gli occhiali e la stilografica.
Quest’ultima, in realtà, era un arrivo recente,
dal momento che prima tendeva a
usare penne che perdeva in continuazione. Era stato Leo con gli altri
coinquilini a regalargliela, l’unico regalo che avrebbe
accettato, e da allora
non aveva più perso la penna.
Per questo motivo a Leo Simon era sempre sembrato una
figura solitaria
in una distesa di neve durante una nevicata: ogni suo passo veniva
all’istante
cancellato dai fiocchi e niente lasciava indovinare il suo passaggio.
“Questo
è
nuovo?”
Leo
tornò a
concentrarsi sul presente, Simon aveva preso la scimmietta che
aveva
comprato
da Tiger.
“Oh,
sì!”
allargò il sorriso e tese una mano per farsela passare
“Me l’ha regalata Teresa
l’ultimo giorno ad Atene. Si chiama Hilary Putnam2”
lo informò.
Lo
guardò
incolore. “Non ti chiederò perché ha il
nome di uno dei più grandi pragmatisti
del Novecento”.
“Guardala,
hanno la stessa faccia!” quasi gliela spiaccicò
sugli occhi.
Cercò
di
scostarsi e nascondere la smorfia divertita.
“Perché tu conosci di persona
Putnam, ovviamente”.
Leo
aveva
questa strana passione per i pupazzi e i peluche in generale, ma ancor
di più
sembrava divertirlo dar loro nomi di imminenti filosofi e scienziati.
Ma Leo
dava un nome a qualsiasi cosa, perfino il loro gabinetto aveva un nome,
era
quasi tenero il modo in cui si affezionava agli oggetti più
disperati. A Simon
piaceva immaginarlo come una fonte inesauribile di affetto e quando non
c’erano
più essere umano da caricare, allora si concentrava anche
sugli oggetti
inanimati.
Lo
aiutò a
disporre i suoi peluche e i libri sui comodini, i vestiti nei cassetti
e
nell’armadietto che avevano in comune, poi lo
aiutò con le lenzuola a fare il
letto. Nel giro di dieci minuti, la mansarda non fu più
vuota come lo era stata
in quella settimana di solitudine, ma finalmente sembrò
essere abitata da
qualche essere umano.
Per
ultimo,
appoggiò il leone Marco sul copriletto. Era il suo pupazzo
preferito e non si
vergognava ad ammettere di dormirci ancora la notte. Ho
bisogno di abbracciare qualcosa, era la sua spiegazione.
L’anno
prima era capitato lo dimenticasse a casa, aveva avuto una mezza crisi
e poi se
lo era fatto portare dalla sua ragazza.
Da sotto
venne un rumore di padelle e piatti seguito da qualche risata.
“Stanno
cucinando?” domandò
Leo.
“Direi
di
sì” aprì la porta e annusò
l’odore di cibo, anche lui doveva ancora cenare.
“Scendiamo?”
“Scendiamo”
confermò.
In
cucina
c’era Arianna, mestolo in mano e caschetto corto alle
orecchie, i capelli erano
ancora più chiari di quanto ricordasse, ormai rasentavano il
platino.
“Bentornato,
Leo!” salutò senza girarsi. “Va bene se
facciamo una semplice pastasciutta? Non
c’è granché in frigo” rise.
La
ignorò
per andare ad abbracciarla di spalle.
“Mi
sei
mancata” ammise. “Non c’era nessuno che
mi riprendeva per la mia dieta squilibrata”.
Arianna
si
girò stando attenta a non far gocciolare il mestolo e
ricambiò l’abbraccio
allacciandogli le braccia al collo.
“Ah,
puzzi”
considerò arricciando il naso. “Vai a farti una
doccia finché l’acqua bolle”
gli consigliò.
“No,
dopo,
dopo” ciarlò. “Prima voglio vedere
questa Margherita”.
“È
di là,
in sala, sta facendo la tavola” gli spiegò.
“C’è anche Gio’ con
lei”.
“No,
lui
l’ho già visto”affondò la
testa sulla sua spalla affranto. “I suoi capelli da
principessa non ci sono più”.
“Già,
una
grande perdita” gli diede una pacca sulla schiena.
“Ma si va avanti”.
Simon li
guardò in silenzio, poi aprì uno stipetto in
cerca del sugo.
“Ti
stanno
facendo fare tutto da sola?” domandò.
“Ti aiuto”.
“Ma
no,
lascia stare, faccio io”.
Non
l’ascoltò
e svuotò il sugo su una padella per scaldarlo. La cucina era
piccola, in tre
era scomodo starci, perciò Leonardo svincolò
subito andando in salotto per
incontrare questa fantomatica nuova coinquilina.
“Va?”
domandò Arianna appena fu andato.
“Ha
già
invaso tutta la stanza” sospirò rassegnato
.“Margherita, invece? Sei riuscita a
farla parlare?”
Sbuffò.
“Dio, se parla! All’inizio no, ma è
bastato fare le giuste domande perché
partisse come un razzo. Se Leo e Gio trovano un modo per sbloccarla
come ho fatto
io… be’, auguri” fece spallucce.
E
così il
numero di logorroici in quella casa si alzava a tre, Simon
valutò se potesse
affogare nel pentolino dell’acqua. A lui piaceva il silenzio,
lo spazio vuoto e
la solitudine. Già era stato difficile abituarsi a dormire
con un’altra persona
in camera, a sentire il suo respiro nel sonno, ma la parte peggiore era
stato
Giovanni che gli parlava alle nove di mattina tutto sveglio e pimpante.
All’inizio con lui era stata guerra aperta, aveva dovuto
passare del tempo perché
imparasse ad apprezzarlo e ad approcciarsi senza volerlo decapitare un
minuto
dopo.
“Se” marcò.
“A me piace così zitta e
silenziosa, non vedo perché cambiare la
situazione”.
Ricevette
uno sguardo intenerito e insieme esasperato. “Facciamola
sentire a casa sua, va
bene? Dobbiamo essere una famiglia”.
Bofonchiò
qualcosa e assaggiò la pasta per assicurarsi della cottura.
“Può
fare
quella silenziosa e timida”.
“Per
quella
parte abbiamo già te” gli ricordò
ridendo. “Non ci serve un altro musone”.
“Non…”
“Hai
ragione, adesso che è tornato Leo lo sei un po’
meno” e gli rivolse un’occhiata
eloquente.
Si finse
troppo concentrato a scolare la pasta per rispondere, gli occhiali che
portava
si appannarono per il calore e imprecò, aveva dimenticato di
non avere le lenti.
Era una talpa, gli mancavano ben sette diottrie e anche fare
l’azione più
semplice gli risultava impossibile senza gli occhiali; per questo
motivo
preferiva portare le lenti a contatto, erano più funzionali
e gli permettevano
una vista perfetta a trecentosessanta gradi.
Divisero
la
pasta sui piatti, poi Arianna chiamò a gran voce qualcuno
dal salotto perché
potesse arrivare ad aiutare. Giovanni fu lì in qualche
minuto, con uno sguardo
perplesso e i capelli raccolti in un codino. Uno degli zigomi affilati
era
sporco di giallo.
“Sto
assistendo alla nascita di una storia d’amore?”
domandò confuso indicando il
corridoio, da cui provenivano le voci di Leo e Margherita.
“Dovremmo avvertire
Teresa, che il suo ragazzo la sta tradendo?”
Simon
entrò
subito in ansia, senza dire niente prese due piatti e andò
veloce in salotto
per assicurarsi che Giovanni fosse esagerato come suo solito.
Trovò
Leo e
la nuova ragazza seduti vicini sulle sedie, ma stavano solo parlando e
Margherita sembrava anche un poco in soggezione davanti alla parlatina
inarrestabile dell’altro. Si sentì piuttosto
stupido per aver irrotto nella
stanza così bruscamente, con in mano i piatti di
pastasciutta fumanti.
“Uhm,
è
pronto” borbottò sotto i loro sguardi perplessi.
“Ah,
che
bello!” Leo prese il proprio con un sorriso enorme.
“Stavo morendo di fame”.
Mentre
passava il piatto a Margherita si accorse che aveva il volto un poco
paonazzo e
anche quando lo ringraziò bisbigliò pianissimo.
Continuava a lanciare piccole
occhiate di sfuggita a Leo, nonostante l’imbarazzo ne
sembrava affascinata.
Simon temette che Giovanni non avesse esagerato prima, del resto era
davvero
facile rimanere ammaliati dai modi di fare di Leo sempre
così spontanei e
amichevoli. L’anno prima molte ragazze si erano prese una
cotta per lui, ma Leo
le aveva sempre rifiutate gentilmente, del resto era già
impegnato con la
stessa ragazza da due anni.
“Stavo
chiedendo a Marghe se poteva tradurci le scan di Attack on Titan in
giapponese,
senza aspettare quelle in inglese” spiegò tutto
contento.
“Attack
on
Titan?” domandò Giovanni presentandosi anche lui
alla tavola. “Mah, sono
abbastanza certo che lei preferisca un
altro genere di manga.
Giusto?”
le sorrise compiaciuto come un gatto che ha mangiato un topo.
La
ragazza
distolse lo sguardo e mescolò la propria pastasciutta con la
forchetta senza
rispondere alla domanda. Giovanni sembrava voler insistere, ma Arianna
gli
pestò un piede prima che potesse aprire nuovamente quella
sua bocca larga.
“Buon
appetito” augurò ignorando lo sguardo risentito
del coinquilino, poi fece un
sorriso dolce. “Ora ci siamo tutti”
considerò fra sé.
Entrambe
le
finestre erano aperte, ma la brezza non era ancora sufficientemente
fredda da
far abbassare la temperatura nella stanza, anche quella notte Simon
decise di
dormire solo con i pantaloncini del pigiama. Era steso sul letto ad
ascoltare
la musica dal telefono, l’orologio segnava pochi minuti
all’una e mezza, aveva
un po’ di sonno ma voleva aspettare che Leo finisse di
lavarsi per andare a
letto. Non riusciva a dormire con la luce accesa e il più
piccolo rumore lo
faceva sempre sobbalzare.
Dopo la
cena Leonardo si era dileguato in soffitta per rispondere alla chiamata
della
sua ragazza, erano rimasti al telefono per un’ora. Simon
aveva fatto in tempo a
sparecchiare, litigare con Giovanni e sistemare la cartella per il
giorno dopo.
Era un poco infastidito da quella lunga chiamata, Leo aveva visto
Teresa prima
di partire, che mai era successo di nuovo da trattenerlo
così tanto a telefono?
Quando
poi
era tornato nella stanza aveva dovuto farsi una doccia ed era rimasto
nella
vasca per un tempo infinito. Gli seccava, perché aveva
sperato di guardare un
film insieme, ma ormai era troppo tardi.
“Ehi,
ci
guardiamo qualcosa?”
Simon
aprì
un occhio, aveva alzato il volume così tanto che non si era
nemmeno reso conto
che l’altro aveva finito ed era uscito dal bagno. Indossava
solo i boxer, aveva
un asciugamano sulle spalle e i capelli gocciolanti. L’ultimo
ricordo che aveva
di lui alle medie era di un ragazzo un poco rotondetto, un orribile
taglio di
capelli alla Justin Bieber e un volto puntellato dall’acne.
Quando lo aveva
rivisto dopo cinque anni tutto quello che aveva pensato era stato: beata pubertà. Ma forse più che
pubertà era stata la palestra
e il cambio di taglio, anche se aveva ancora un po’ di
brufoli sulle guance era
diventato decisamente molto più bello.
“Qualcosa
tipo un film?” domandò togliendosi le cuffie.
“È troppo tardi, potevi metterci
di meno”.
Leo fece
una smorfia e si sedette sul letto accanto alle sue gambe.
“Non
posso
andare a letto con i capelli bagnati, dopo mi viene il
torcicollo”.
“Asciugali
con il phon”.
“Con
questo
caldo? Tu sei fuori” agitò la mano vicino alla
testa. “Dai, tanto domani la
prima lezione è a mezzogiorno”.
“Non
è una
scusa per restare a letto fino alle undici. Anche perché
domani mattina volevo
lavarmi”.
Leo
sbuffò.
“Nemmeno se propongo La strada per
El
Dorado?”
Assottigliò
gli occhi, era il loro cartone preferito quando erano bambini, sapevano
ancora
tutte le battute a memoria e nonostante ciò continuavano ad
agitarsi davanti ai
colpi di scena.
“Ti
odio. E
usiamo il tuo computer”.
Un
sorriso
soddisfatto dipinse le labbra sottili dell’amico. Prese il
computer e andò a
stendersi sul letto accanto a lui, lo bagnò un poco per i
capelli ancora umidi
ma non si lamentò. Leo era l’unico essere umano
che poteva vantarsi di invadere
il suo spazio vitale e sopravvivere.
“Se
domani
non sei giù dal letto entro le nove e mezza ti getto un
secchio d’acqua
addosso” lo minacciò.
“Me
lo dici
ogni volta”, fece partire il film, “ma poi riesco
sempre a restare a letto fino
alle dieci”.
Rimasero
in
silenzio a guardare le scene, Leo teneva uno dei suoi peluche stretti
al petto
e si agitava per ogni piccola cosa.
“Sono
felice di essere qui” disse Simon a metà film.
Leo ne
fu
sorpreso, perché raramente si lasciava andare a confessioni
del genere, era
solito calibrare bene ogni propria parola piuttosto che dire tutto
quello che
gli passava per la testa. Quindi capì che
quell’ammissione era importante.
“Anche
io,
Sy” gli assicurò e spostò lo sguardo
fuori, sullo spicchio di cielo nero che si
vedeva oltre le finestre. “Sarà un anno
grandioso”.
Note:
1
– Frase anonima trovato sotto un
video youtube della canzone Venezia di Guccini, questo per intenderci.
So che
queste note avrei dovuto farle all’inizio del capitolo, ma
temevo che chi non
mi conoscesse scappasse via nello scontrarsi con i miei…
problemi di comunicazione(?).
Fin’ora ho
utilizzato EFP per pubblicare le mie frociate
su Naruto, è la prima
volta che
pubblico qui un’originale. È una storia che ci
tenevo a scrivere, perché
affronta un tema a cui sono molto vicina, ovvero:
l’accettazione della propria
sessualità. Sono bisessuale, ma mi ci sono voluti ben due
anni di dubbi e interrogativi
pieni di pregiudizi per giungere a questa conclusione. Può
sembrare ridicolo,
ora per me lo è decisamente perché è
una cosa così semplice e ovvia,
ma nel mentre è stato un dramma
che mi ha scombussolata non poco. Questa storia nasce quindi per me,
una sorta
di catarsi, e per chi magari ha dovuto affrontare un percorso simile.
Tutto questo
sproloquio solo per spiegare quanto questa storia sia importante per
me, ma
soprattutto per avvertirvi di tutta l’agitazione e
l’ansia da prestazione che
mi mette addosso, chi mi ha tra gli amici su facebook
ne
ha già avuto un assaggio (mi dispiace).
Passiamo ai fatti puramente casuali:
come dire,
quando scrivo pesco molto dal mio vissuto personale e nemmeno questa
storia si
salva. Giusto per fare un esempio: io vivo in una mansarda a San
Giacomo
dell’Orio – ma no, i personaggi principali non
prendono spunto dalle persone
che mi circondano, su questo posso rassicurarvi.
Ho altro da
dire? Sicuramente c’è altro, ma non mi viene in
mente, ops.
Quindi vi
lascio, ho anche parlato troppo. Spero che possiate apprezzare questa
storia,
ci sto mettendo decisamente troppo cuore
e troppa ansia. Le recensioni sono sempre gradite, sono le
migliori
pillole anti-stress che conosca <3
Hatta
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