I come on to you
Note: Il punto di vista di Mycroft sugli eventi di If
you come on to me. Credo sia abbastanza comprensibile anche
da sola, tuttavia si fa riferimento ai dialoghi dell’altra storia, che
qui non ho riportato integralmente, quindi…
Mycroft Holmes esce dall’appartamento dell’Ispettore Lestrade con aria
tranquilla e imperturbabile. Tra le tante varianti che aveva preso in
considerazione quella mattina riguardo la giornata che lo aspettava,
non aveva pensato a Gregory Lestrade.
Era concentrato sul suo lavoro, in Tribunale, sul mandato di arresto
internazionale che l’Interpol aveva emesso e che il Governo Inglese
(lui) intendeva contestare, rivendicando la competenza per l’arresto di
un soggetto che il suo ufficio teneva sotto controllo da svariati mesi,
non appena ottenuta l’estradizione dal Bangladesh. La presenza di
Mycroft in persona doveva convincere il giudice competente della
gravità della situazione e della necessità che questa venisse
affrontata celermente, così si era rassegnato ad abbandonare la sua
scrivania. Tremendo, a suo avviso.
Ma la fastidiosa incombenza si era tramutata in una fortunata
coincidenza quando aveva visto l’Ispettore Lestrade. Mycroft non aveva
occasione di incontrarlo da diverso tempo (quanto si era ridotta la
frequenza dei loro scambi, da quando Sherlock viveva a Baker Street con
il buon Dottor Watson) e si era reso conto in quel momento di che
peccato fosse.
Mentre Lestrade lo salutava, Mycroft lo aveva osservato, ricavando
tutte le informazioni sulla vita dell’Ispettore che gli erano sfuggite
negli ultimi mesi: il completo migliore che possedeva e che indossava
di solito per comparire in Tribunale stirato di corsa (non a capo delle
indagini, stavolta, meno responsabilità e senza l’onnipresente Sergente
Donovan alle costole), la cravatta già allentata, quindi libero per le
successive ore, l’aria tirata di chi dorme male da tempo, su un
materasso inusuale, un punto sotto la mandibola non sbarbato a dovere
(un bagno piccolo e buio, a cui non aveva ancora fatto l’abitudine), i
capelli da tagliare al massimo entro le prossime due settimane; un
migliaio di altri piccoli dettagli (cambio di alimentazione, meno tempo
all’aperto e più in ufficio, telefono nuovo, deodorante diverso, meno
tempo passato alla guida) e poi quello che spiccava su tutti: niente
più fede.
Lestrade aveva scoperto anche gli ultimi tradimenti (c’entrava
Sherlock?) e a quanto pareva questa volta il suo matrimonio era finito
per davvero.
L’invito di Lestrade a prendere un caffè lo aveva compiaciuto
parecchio: “Sarebbe un piacere, Ispettore, in cui avrei tutto
l’interesse ad indulgere, visto che ne abbiamo l’occasione.”
E perché no? Aveva sempre trovato Lestrade piacevole; quell’aria
speranzosa e disperata al tempo stesso di chi darebbe qualunque cosa
per non dover tornare in una casa vuota era pateticamente familiare,
per Mycroft (non che lui si permettesse di renderla percepibile a
chicchessia, ovvio. Il più delle volte non permetteva neanche a se
stesso di ammettere
di conoscerla) e lui non aveva impegni o preoccupazioni, visto che
Sherlock era bloccato su un volo di 11 ore per il Bangladesh, dove
avrebbe dovuto rintracciare il loro target.
Non c’era niente di male e prendere un caffè con Lestrade, a tirargli
un po’ su il morale flirtando come non Mycroft non si era mai concesso
di fare quando la fede dell’uomo era ancora al suo posto e le loro
chiacchierate strettamente cameratesche. Solo un caffè.
Solo che non era stato solo un caffè.
Mycroft aveva offerto un passaggio a casa all’Ispettore (Lestrade gli
aveva dato l’indirizzo; Mycroft aveva già dedotto il quartiere da solo;
la sua assistente aveva già sicuramente aggiornato il file
dell’Ispettore), e Lestrade doveva aver trovato i minuti che avevano
passato insieme particolarmente piacevoli, perché dopo aver brevemente (molto brevemente)
dibattuto con se stesso, aveva deciso che il loro pomeriggio insieme
non doveva necessariamente finire. Aveva raddrizzato la schiena e
sollevato il mento, e si era girato a fissare Mycroft con gli occhi
castani leggermente sgranati e lui aveva deciso che qualunque sarebbe
stata la proposta che Lestrade gli avrebbe presentato, al momento di
scendere dall’auto, la sua risposta sarebbe stata sì.
“Vuoi salire?” aveva chiesto Lestrade, la mano sulla maniglia della
portiera, nient’altro, e Mycroft era salito.
Dopo, mentre si rivestiva, Mycroft aveva ascoltato e percepito (con un
po’ di crudele divertimento, doveva ammettere) Lestrade che cercava di
sopravvivere all’imbarazzo per il proprio comportamento. Quando l’uomo
era stato vicino ad un attacco di panico all’idea che Sherlock
scoprisse quello che era successo tra loro, però, Mycroft lo aveva
rassicurato meglio che poteva: Sherlock era fuori città, e di quel
pomeriggio potevano anche non parlare mai più, se così Lestrade
preferiva.
“Non c’è niente di questo piccolo arrangiamento di oggi a cui lei debba
pensare, se non vuole.”
Non appena Mycroft lascia l’edificio, un’auto scura lo affianca sul
marciapiede e lui sale in fretta.
“Al Diogenes, signore?” domanda l’autista.
“No, in ufficio,” risponde lui, controllando l’ora.
Per quel giorno si è concesso sufficienti svaghi, sorride tra sé e sé,
e non è sua abitudine rendersi irreperibile per un intero pomeriggio.
La sua assistente non sarà soddisfatta.
Difatti, non appena Mycroft mette piede nell’ufficio a Thame House,
Anthea lo affianca.
“Credevo che i programmi di oggi prevedessero pranzo al Diogenes, dopo
l’appuntamento col giudice Turpin,” dice, gli occhi sull’agenda di
Mycroft sull’inseparabile black berry. “Ci sono stai problemi?”
“Nella maniera più assoluta. Come sono certo che tu sappia, in
Tribunale ho incontrato l’Ispettore Lestrade, e un incontro fortuito si
è tramutato in un’occasione sociale,” le risponde Mycroft.
Ovviamente la sua assistente sapeva dov’era: tutte le sue auto (e la
sua persona) sono costantemente rintracciabili e ogni variazione dal
programma di spostamenti della sua giornata viene comunicato
automaticamente ad Anthea, che ha il compito di valutare, a sua
discrezione, se si tratta di un evento privo di importanza o di una
situazione pericolosa.
“E poi ha accompagnato a casa l’Ispettore Lestrade?” chiede conferma
Anthea.
“Sì. Ho colto l’occasione per comunicargli che Sherlock e il Dottor
Watson sono fuori Londra.”
“Capisco. Si è anche fermato per pranzo, a casa dell’Ispettore
Lestrade?” domanda ancora Anthea.
Mycroft le regala uno sguardo penetrante, mentre aggira la sua
scrivania per sedersi. Aspetta che la sua assistente distolga gli occhi
dal black berry e noti il suo sopracciglio sollevato.
“Per sapere se devo farle portare qualcosa da mangiare, signore,”
continua lei innocentemente.
“Non è necessario, grazie” risponde Mycroft, freddo, accomodandosi.
“Ora, volgiamo metterci al lavoro? È possibile anticipare la
teleconferenza con Ginevra? Vorrei sfruttare questo momento di
tranquillità.”
“Certo, signore. Sono felice di sapere che l’incontro con l’Ispettore
Lestrade le ha trasmesso tranquillità.”
Stavolta Mycroft la fulmina con lo sguardo che ha messo in fuga
ministri e ufficiali dell’MI6 più di una volta.
“Sono tranquillo,” replica, “perché l’aereo di Sherlock non atterrerà
prima di 8 ore, quindi ho la certezza di dove si trovi il mio
problematico fratellino.” Scruta la sua assistente: “Sherlock è ancora
su quell’aereo, vero?”
“Non abbiamo ragione di dubitarne, signore,” risponde pronta Anthea,
“Mi creda, comprendo perfettamente la sensazione di tranquillità che si
prova a sapere che le persone sotto la propria responsabilità si
trovano dove dovrebbero essere,” aggiunge scoccandogli uno sguardo
appuntito.
Mycroft sostiene il suo cipiglio per qualche istante, poi alza gli
occhi al soffitto: “Va bene. Mi considero sgridato. Soddisfatta?”
“Mi metto subito all’opera per la teleconferenza con Ginevra,” risponde
Anthea, e dal suo tono, sì, si direbbe soddisfatta.
Mycroft non si concede di ripensare a mercoledì pomeriggio prima della
sera del giorno successivo, quando riesce sul serio a fare una pausa
dal lavoro e a tornare a casa per restarci più di qualche misera ora da
dedicare tassativamente al sonno.
A quanto pare ha fatto bene, a portarsi avanti col lavoro: dal momento
in cui il loro aereo è atterrato, Sherlock e il Dottor Watson hanno
richiesto la sua totale attenzione, e a così breve distanza dalla
débâcle di Irene Adler, Mycroft non intende mollare la sorveglianza su
suo fratello neanche per un istante (anche se, per una volta, ha
il coltello dalla parte del manico: “D’accordo, Sherlock. Se davvero
non intendi sottostare ai nostri accordi, dopo 11 noiose ore di volo su
un aereo con equipaggio minimo e voi due come soli passeggeri, allora
risalici pure e torna a Londra, affrontando altre 11 noiose ore di volo
su…” Sherlock gli aveva attaccato in faccia).
Una volta rivisti e archiviati tutti i pensieri sul lavoro e su
Sherlock, Mycroft indugia sui ricordi del suo incontro con Lestrade,
gustandoli come il vermouth amaro che sta bevendo.
L’espressione di Lestrade mentre lo invita a salire, il modo in cui lo
guarda da sopra la spalla mentre apre la porta, e poi lo bacia
camminando all’indietro verso la camera da letto, la fretta con cui si
disfa dei propri abiti per poi restare immobile ad osservare Mycroft
che si spoglia con attenzione, dimentico di sé o perfettamente a suo
agio col proprio corpo.
Mycroft deve ammettere di essere rimasto meravigliato da quella
nonchalance, dalla sicurezza con Lestrade ha guidato il loro amplesso.
Ma a una seconda lettura il suo atteggiamento appare perfettamente
logico ed è lampante quello che Lestrade ha visto nel loro incontro:
qualcosa di semplice, chiaro, trasparente. Lestrade voleva qualcosa
(voleva Mycroft. Mycroft formula il pensiero non senza una certa
meraviglia retroattiva) e per la prima volta da chissà quanto tempo,
quel mercoledì pomeriggio ha potuto agire in accordo coi suoi desideri
senza ulteriori considerazioni. Era attratto da Mycroft e Mycroft era
attratto da lui.
Non è difficile immaginare che valore abbia una conclusione del genere
per un uomo che ha da poco scoperto i tradimenti seriali della moglie e
che in preda allo shock sente di star perdendo il controllo sulla
propria vita.
Mycroft si è approfittato di un momento di debolezza, accettando
l’invito di Lestrade? Rivede di nuovo tutto quello che è successo nella
sua mente: crede di no.
L’appartamento è piccolo e Lestrade se ne vergogna un poco, a giudicare
dall’impegno con cui prende il volto di Mycroft tra le mani per tenerlo
premuto sulla sua bocca, ma a Mycroft basta una frazione di secondo per
analizzarlo: poco luminoso e scelto esclusivamente per la sua relativa
vicinanza a New Scotland Yard, ancora privo di qualunque tocco
personale (l’unica traccia dell’esistenza delle figlie dell’uomo sono
un paio di appunti su no squallido calendario che rimandano ad attività
sportive e visite odontoiatriche), ma in un ostato di disordine che
suggerisce già una certa familiarità con l’ambiente. Mycroft non sa di
preciso quando Lestrade ha scoperto (o accettato) che il suo matrimonio
era finito, ma è evidente che il suo trasferimento risale a due mesi
prima, e se non è certo un lasso di tempo sufficiente per superare la
fine di una relazione a lungo termine, secondo gli studi, almeno, è di
sicuro abbastanza per cominciare a muovere i primi passi verso…cosa?
Una guarigione? Un nuovo inizio? Mycroft non sa dirlo, la sua
esperienza di relazioni e rotture è a dir poco risibile.
Se il loro incontro ha dato una scossa a Lestrade, tuttavia, ne è ben
lieto, ed è ancora più lieto di essersi trovato nel posto giusto al
momento giusto per essere oggetto di quel breve istante di assertività
da parte dell’Ispettore, di aver avuto l’opportunità di provare quel
piccolo, immeritato piacere.
Si domanda se quello che è successo possa avere delle conseguenze, nel
suo rapporto con Lestrade. Ha già escluso esiti catastrofici prima di
accettare l’invito dell’uomo (è troppo prezioso nella sua vita e in
quella di Sherlock per rovinare tutto a causa di voglie meschine), e
ora valuta l’imbarazzo che Lestrade ha mostrato non appena ha
ricominciato a pensare a mente fredda. Può tramutarsi in un problema?
Forse no: in fin dei conti, lui e Lestrade non hanno troppe occasioni
di frequentarsi, ultimamente (di nuovo, Mycroft si ritrova a pensare
che è un vero peccato), e Lestrade ha un nuovo caso, il caso di Parsons
Green, a tenerlo occupato (non è strano che Mycroft ne sia al corrente,
fa in modo di essere sempre informato sui casi dell’Ispettore nel caso
possano interessare a Sherlock), quindi è probabile che la faccenda
sarà archiviata in fretta, uno di quegli insoliti avvenimenti a cui le
persone comuni ripensano chiedendosi: ‘ma è successo davvero?’
Mycroft sospira, fissando il suo bicchiere. Peccato che lui non sia una
persona comune.
“Signore, nell’ottica di mantenere buoni rapporti tra le agenzie di
pubblica sicurezza e forza pubblica, il colloquio con i vertici di New
Scotland Yard non può essere rimandato ulteriormente,” comincia Anthea
venerdì mattina durante il loro briefing preliminare della giornata.
Mycroft annuisce: dopo l’incontro con il giudice Turpin avendo già
messo in campo le proprie forze per prendere in custodia l’oggetto
della loro sorveglianza (non appena Sherlock e il Dottor Watson lo
riporteranno in Inghilterra), è opportuno che i vertici di Scotland
Yard siano messi al corrente del caso che è stato sottratto loro, anche
se non avevano praticamente idea della sua esistenza, oltre alle scarne
informazioni che Mycroft e i suoi hanno ritenuto di condividere.
Sarebbe stato in effetti opportuno informarli il giorno precedente, ma
Mycroft era rimasto bloccato a sistemare i disastrosi esiti di
un’incursione di Sherlock in un centro commerciale a Comilla.
“Normalmente un colloquio telefonico sarebbe preferibile, ma il
commissario Everett è in congedo per malattia per le prossime due
settimane, quindi pensavo ad una comunicazione scritta da far
consegnare in mattinata al vice-Commissario…” continua Anthea con un
leggero tono interrogativo.
Mycroft riflette. Una nota di accompagnamento ai documenti necessari
sarebbe più che sufficiente; con un piccolo eccesso di zelo potrebbe
chiedere ad Anthea di consegnare il tutto lei stessa: l’assistente
personale di Mycroft Holmes per fare ammenda del loro scortese ritardo.
Ma d’altro canto…
Mycroft mantiene rapporti relativamente stretti, per i suoi standard,
con New Scotland Yard, da quando Sherlock vive a Londra. Inizialmente
per assicurarsi che suo fratello non finisse in una cella a tempo
indeterminato, e successivamente, da quando Sherlock ha cominciato a
collaborare con Lestrade, per far sì che l’Ispettore non debba patire
conseguenze ingiuste per la sua gentilezza e la sua tolleranza
dell’unico (grazie al cielo) consulente investigativo della Gran
Bretagna; nei casi in cui i loro doveri verso la Corona si sono
incrociati, Mycroft si è sempre mosso di persona per comunicare a
Lestrade che avrebbe dovuto lascia re il campo ai suoi uomini, come
segno di rispetto e ringraziamento per il supporto e la discrezione di
Lestrade nei confronti di Sherlock.
La faccenda in questione non rientra in nessuna delle caselle
sopraelencate, e tuttavia Mycroft si convince che una sua visita di
persona a New Scotland Yard sia il giusto corso d’azione da seguire.
Non è arrivato a ricoprire il suo attuale ruolo mentendo a se stesso, e
le informazioni che affiorano spontanee e entusiaste nella sua mente
glielo renderebbero oltremodo difficile: il suo carico di lavoro della
giornata gli permette di allontanarsi per un’ora dall’ufficio; il caso
di Parsons Green alle cui indagini è a capo Lestrade, ha sollevato
parecchia attenzione da parte dei media, e una conferenza stampa è
prevista per le 11 di quel venerdì mattina; Lestrade sarà, senza
possibilità di errore, a New Scotland Yard per prepararsi a rispondere
alle domande dei giornalisti (con un po’ d’ansia e insofferenza, se
Mycroft non ha commesso errori nell’interpretare il suo linguaggio del
corpo nelle sua precedenti apparizioni televisive).
Con un minimo di concentrazione e pianificazione, Mycroft potrebbe
cogliere l’occasione per incontrare Lestrade, appena prima o dopo il
colloquio con il vice-Commissario. E sarebbe certamente una buona idea:
non pensa di essersi sbagliato, nella sua analisi del comportamento
dell’Ispettore e nella previsione che non ci saranno cambiamenti
spiacevoli nei loro rapporti, ma Mycroft sa anche perfettamente che le
persone non sono il suo forte.
Un’osservazione in prima persona della reazione di Lestrade nel
trovarselo davanti dovrebbe confermare in modo definitivo su quale
terreno si muovono, per così dire. Ha anche le potenzialità di essere
qualcosa di dolorosamente imbarazzante, ma è un rischio da correre.
Comunica ad Anthea la decisione di recarsi dal vice-Commissario di
persona, alle 10.30 precise, e si concentra esclusivamente sul lavoro.
Non è arrivato dov’è adesso mentendo a se stesso, ma padroneggia
l’abilità di richiudere i suoi pensieri in compartimenti stagni,
all’occorrenza, e così fa per tutta la prima parte della mattinata,
dedicata ad analizzare report e ad elaborare delicate strategie
diplomatiche.
Ma già salendo in auto per recarsi a Scotland Yard, la sua mente
rilascia un’altra serie di dati senza i quali sarebbe pericoloso
affrontare l’incontro che lo aspetta, e non si parla del
vice-Commissario.
Ora che Gregory Lestrade lo fissa frastornato dall’altro capo della
stanza, Mycroft è lieto di aver passato il tragitto ad analizzare,
catalogare e accettare i propri pensieri nei confronti dell’uomo in
questione, mentre si premura di tenerli ben lontani dal proprio viso.
Ha sempre avuto un debole per Lestrade, dalla prima volta che lo ha
visto attraverso l’obbiettivo di una telecamera che ascoltava le
presunte farneticazioni di Sherlock, le braccia incrociate e
l’espressione ferma che si apriva poco a poco alla curiosità. Se fosse
stato un uomo meno intelligente e razionale, Mycroft avrebbe gridato al
miracolo, quando Lestrade aveva in qualche modo convinto Sherlock a
continuare a esporre le sue deduzioni a un chiosco lì vicino, con del
tè caldo e zuccherato in corpo, se proprio non voleva mangiare.
Nel corso degli anni, Mycroft non ha mai negato a se stesso di trovare
Lestrade attraente, con quegli occhi castani caldi e gentili, la
mascella squadrata e le spalle larghe, e un’innegabile aria da ragazzo,
nonostante l’atteggiamento da uomo maturo.
E che ora Lestrade stia compiendo uno sforzo per fargli comprendere che
le cose tra loro sono a posto (“Posso aiutarti in qualche modo?”), che
sia gentile e acuto, nell’intuire la ragione per cui Mycroft ha fatto
visita al vice-Commissario, e allo stesso tempo discreto a riguardo, è
un sollievo per Mycroft, benché non abbia pensato seriamente che le sue
previsioni sarebbero risultate errate. Ma il ghigno di Lestrade mentre
scherza con lui, appena appena meno acceso che quel mercoledì
pomeriggio quando flirtava con Mycroft senza un pensiero al mondo, lo
rende ancora più felice di aver passato il viaggio verso Scotland Yard
a vagliare i propri pensieri e desideri.
Ha sempre avuto un debole per Lestrade e lo ha sempre trovato
attraente, e la possibilità di vederlo di nuovo come quel mercoledì
pomeriggio-senza pensieri, interessato, eccitato-vale la pena di essere
considerata. Vale la pena essere espressa. Se Mycroft fosse un uomo
appena meno cauto, coi propri desideri e nel dar voce ai propri
intenti, direbbe che varrebbe la pena lottare, per quella
possibilità.
Ma come affrontare il discorso? Non è neppure sicuro che il fatto possa
avere la minima attrattiva, per Lestrade.
Esita, insicuro, e fa quello che gli viene più naturale, quando deve
confrontarsi con le emozioni: offre a se stesso, e a Lestrade, una via
di fuga, ricordando all’Ispettore che la sua conferenza stampa incombe
e che se uno di loro ha un appuntamento coi giornalisti, l’altro li
deve certamente evitare. Così ogni occasione di discutere più o meno
apertamente di quello che è successo tra loro è rimandata a tempo
indeterminato.
Chi dice che non sia già troppo tardi, oltretutto. Ha sperato che la
sua presenza a Scotland Yard dicesse a Lestrade quello che lui non
riesce a esprimere: Lestrade lo conosce abbastanza da sapere chela sua
presenza non è mai casuale, ma un uomo qualunque che volesse mostrare
interesse nei confronti di un partner occasionale forse avrebbe
sollevato la questione prima, il giorno successivo all’incontro, forse
con un mezzo più diretto; una telefonata, un messaggio. Ma né lui né
Lestrade hanno fatto niente del genere, quindi…
E poi Lestrade offre un altro dei suoi sorrisi furfanteschi (“Oh, i
giornalisti diventano avvoltoi, quando vedono un dipendente del Ministero dei Trasporti!”)
e gli ordina di seguirlo, si offre di scortarlo fuori da un’uscita
sicura per evitare i giornalisti, e lui si ritrova a scendere scale
deserte accanto all’Ispettore, che parla spedito ed eccitato e finisce
per arrossire quando gli dice che lì non ci sono telecamere ad
osservarli.
E d’un tratto Mycroft è sicuro che Lestrade non rimpiange nulla e che
accetterebbe un invito analogo da parte di Mycroft, che non è troppo
tardi per niente, anzi, non c’è fretta.
Senza parole esplicite, perché è imbarazzato e insicuro della sua
reazione come Mycroft stesso poco prima, Lestrade gli ha detto
esattamente quello che sperava di sentire.
Mycroft risponde, in maniera criptica, perché è quello che fa sempre, e
non è sicuro che Lestrade capisca davvero cosa intende, ma realmente
ora non hanno più tempo: entrambi devono tornare al lavoro. Magari
Lestrade ripenserà alle sue parole con calma e capirà, ma Mycroft
decide che agirà solo quando le cose saranno tranquille, quando
Sherlock sarà di nuovo a Baker Street e il caso dell’Ispettore risolto,
quando entrambi saranno senza pensieri, come quel mercoledì.
Ci sono decine di posti in cui Mycroft preferirebbe trovarsi, alle 2.05
di sabato mattina, piuttosto che all’aeroporto di Heathrow, appoggiato
al suo ombrello mentre cerca di tenere lontano dal proprio viso
l’insofferenza, circondato di luci artificiali e passeggeri stremati,
ma i tentativi di Sherlock di infastidirlo sono da dare per scontati.
venti ore prima Sherlock gli ha comunicato che il loro target sarebbe
stato consegnato al Governo Inglese sabato mattina alle 9.00,
impacchettato con tutti gli onori su un volo Emirates.
“Visto che il viaggio d’andata è stato così insopportabile, Mycroft,
John e io abbiamo pensato che non ti sarebbe dispiaciuto essere
generoso con noi per il ritorno,” sono state le sue ultime parole.
Ha rifiutato ogni di fornire qualsiasi informazione riguardo la loro
permanenza in Bangladesh e sulla cattura del loro target, e ha eluso
ogni ulteriore tentativo di comunicazione. Mycroft sa che tre posti
sono effettivamente prenotati sul volo che Sherlock ha indicato, a nome
di uno degli alias di suo fratello, mala quasi trentennale faida tra
loro gli ha suggerito di documentarsi anche su strada alternative per
il ritorno in patria del Dinamico Duo di Baker Street.
Forse Mycroft avrebbe potuto lasciar correre, prendere in consegna il
loro uomo alle 9.00 del mattino (o inviare semplicemente i suoi) e
lasciar credere a Sherlock di averlo ingannato. Ma ogni tanto è bene
ricordare al suo fratellino chi è il più intelligente dei due, si dice,
sorridendo all’espressione furiosa di Sherlock quando lo scorge
all’arrivo.
“Buongiorno, fratello mio. Dottor Watson. Confido che il viaggio sia
stato piacevole?” chiede, osservando l’espressione esausta di John
Watson, la sua schiena rigida, le pieghe sul cappotto di Sherlock.
Sherlock sbuffa con insofferenza e lo supera, diretto alla macchina di
Mycroft che lo attende: “Te l’avevo detto, John, avremmo dovuto evitare
gli aeroporti!”
“Sherlock, te lo scordi che io rientri nel mio paese a nuoto!”
Una volta alla macchina Sherlock si avvolge nel suo cappotto e si getta
sul sedile semi-sdraiato, e con un broncio che Mycroft non vedeva forse
dai tempi in cui Mamma ha proibito esperimenti di chimica nel salotto
del cottage, si mette a scrutare fuori dal finestrino.
Tuttavia dopo pochi secondi si contorce per fissare Mycroft da capo a
piedi: “Hai l’aria estremamente compiaciuta, fratello. Ti è successo
qualcosa di bello? L’ala dei servizi segreti che mantieni a tale scopo
ha scoperto qualche sensazionale dolcificante ipocalorico?”
Mycroft lo fulmina con lo sguardo, poi si concentra sulla soddisfazione
di aver anticipato suo fratello s di poter ottenere le informazioni che
l’altro sperava di non consegnargli per il puro gusto di ostacolarlo;
così facendo nasconde tutte le altre ragioni di sentirsi compiaciuto e
di buon umore, cosa che Sherlock ha notato all’istante. Né ha colpito
così lontano dal vero, suggerendo una causa di tipo…sensoriale.
“Sono molto soddisfatto per questa partenza mattiniera della giornata.
Quando il nostro uomo atterrerà il lavoro sarà già in buona parte
concluso, grazie ai vostri sforzi,” risponde.
Sherlock ringhia quasi e torna a fissare il finestrino.
Mycroft si rivolge al Dottor Watson: “Il nostro amico non avrà creato
problemi, nel suo viaggio solitario?”
John Watson ridacchia: “Non credo proprio. Era fuori come un balcone.
Hostess e Steward hanno ricevuto cospicue mance per lasciarlo riposare
e smaltire la sbornia…” Si passa le mani sulla faccia. “Non posso dire
di non invidiare il bastardo…viaggerà sicuramente più comodo di noi,
eh, Sherlock?”
Sherlock grugnisce appena.
“E tutto per niente,” scuote la testa John Watson con un’occhiata a
Mycroft.
Lui si stringe nelle spalle e sorride: “Desolato. Il minimo che possa
fare è offrirvi un confortevole ritorno a casa…”
Non c’è pace, a quanto pare, nella vita di Mycroft Holmes, specialmente
se Sherlock decide di avere voce in capitolo.
Non che Mycroft non si aspettasse rappresaglie, dopo la sua inaspettata
apparizione all’aeroporto, ma aveva sperato in una tempistica più
favorevole e in un’ambientazione differente.
Il sabato era trascorso senza contatti con Baker Street e quando la
situazione non ha subito variazioni la domenica, Mycroft ha cominciato
a preoccuparsi che suo fratello stesse aspettando per mettere in campo
l’artiglieria pesante: una telefonata di Mamma il lunedì mattina
avrebbe il potere di rovinare la sua intera settimana, e potenzialmente
il successivo weekend, se i suoi genitori decidessero di far visita, su
invito di Sherlock (fingendo di ignorare che tutti gli inviti di suo
fratello sono solo tentativi di creare fastidi a Mycroft).
Ora quasi avrebbe preferito una telefonata materna, perché la direzione
in cui si dipana la vendetta di Sherlock lo turba in più di un modo. Il
grande
consulente investigativo ha deciso di provare il coinvolgimento del
loro target appena arrivato dal Bangladesh in una faccenda di alto
profilo di cui si è occupato il Detective Capo Hillerton pochi mesi
prima, ‘con la competenza di un veterinario di campagna alcolizzato’,
per usare le parole di Sherlock nel filmato delle CCTV. E ora questo
sciocco numero costringerà Scotland Yard a rivedere la decisione di
rimettere il caso alla competenza del suo ufficio, e Mycroft stesso ad
avere ancora a che fare con i vertici della polizia, cosa che avrebbe
francamente potuto evitare, perché la faccenda di alto profilo per
Hillerton è alquanto risibile nel grande piano che Mycroft sta seguendo.
Ma soprattutto, l’infantile e offensiva condotta di Sherlock gli sta
forzando una mano in un ambito ben più delicato: il momento opportuno
per cercare il successivo contatto con Lestrade.
Le intrusioni di Sherlock sulle scene del crimine o la sua
insopportabile abitudine di imporre le sue deduzioni sui casi
apparentemente risolti dagli uomini di Scotland Yard sono circostanze
per cui normalmente Mycroft si affida all’Ispettore Lestrade, in
qualità di babysitter semi-ufficiale di Sherlock quando si parla di
sconvolgimento di Legge e Ordine. Ma ora Mycroft teme che telefonare a
Lestrade dal nulla per chiedergli (ed entrambi gli uomini sanno che
benché formulate come richieste, queste comunicazioni sono in effetti
ordini) di occuparsi di Sherlock possa indispettire non poco
l’Ispettore. L’alternativa è presentarsi di persona a Scotland Yard, ed
è sicuramente quello che Sherlock spera, per lenire l’affranto e
collerico ego del Detective Capo Hillerton e tappare la bocca a suo
fratello, o quantomeno offrire un nuovo bersaglio per i dardi della sua
lingua.
Ma questo, be’, comporta incontrare Lestrade, anche, visto che
l’Ispettore sta tirando le fila del caso di Parsons Green, e apparigli
davanti come promemoria della precedente settimana, mettendolo nella
situazione di ripensare, forse, al loro incontro di venerdì. E Mycroft
sperava davvero che Lestrade ripensasse a loro in un altro momento,
senza la fatica di una settimana di indagini e burocrazia ad
adombrargli la mente, mentre Sherlock saltella in giro strillando,
insultando e deridendo i suoi superiori, i servizi segreti e Mycroft
stesso.
In definitiva, nessuna opzione, telefonare a Lestrade o presentarsi di
persona, sorride a Mycroft, ma neppure non agire sembra praticabile. È
molto probabile che qualcuno coinvolga comunque Lestrade, per via del
suo già menzionato ruolo di babysitter di consulenti investigativi, e
Mycroft non ha cuore di addossare anche questa faccenda a Lestrade, che
ha appena risolto un caso e dovrebbe godersi un meritato riposo;
sarebbe estremamente scortese defilarsi. E come già per quel venerdì
mattina la necessità di raccogliere dati di persona sul comportamento
umano, dato lo scarso talento di Mycroft in questi frangenti, lo spinge
a muoversi.
Quando arriva a New Scotland Yard scopre che Lestrade è già intervenuto
per strappare Hillerton dalla gola di Sherlock, o Sherlock dai laceri
brandelli di pazienza rimasto al Detective Capo.
Mycroft ignora il sorriso perfido e soddisfatto di suo fratello, che il
Dottor Watson trattiene per una manica mentre due agenti li tengono
d’occhio, e raggiunge subito Hillerton e Lestrade.
Il buon Ispettore parla sottovoce con tono ragionevole a fa in modo di
tenere Hillerton voltato in modo che Sherlock non rientri nel suo campo
visivo, quasi abbia paura che la vista dello svolazzante cappotto del
detective abbia lo stesso effetto di un drappo rosso agitato davanti
agli occhi di un toro nell’arena.
Lestrade non sembra cavarsela troppo male (Lestrade ha un dono, quando
si tratta di sedare gli animi; il che rende stranamente comico vedere lui perdere le
staffe), ma è visibilmente sollevato alla vista di Mycroft.
“Permette una parola, Detective Capo Hillerton?” chiede Mycroft, dopo
un cenno del capo a Lestrade.
Hillerton si volta come una furia, poi lo riconosce e serra le labbra.
Indica un ufficio con gesto rigido e ci scompare dentro.
“Penso io a quei due imbecilli,” dice Lestrade e Mycroft lo ringrazia,
prima di seguire Hillerton.
“Sherlock, nel mio ufficio! Adesso! John, se tu volessi renderti utile
in qualche modo non sarebbe fuori luogo!” abbaia Lestrade, alle sue
spalle.
Placare Hillerton non è così difficile, alla fine.
Forse non è il pallone gonfiato con il quoziente intellettivo di una
gallina d’allevamento che Sherlock lo ha accusato di essere. O forse
sentirsi dire da due fonti diverse che le sue conclusioni su quel
particolare caso sono scempiaggini indegne di essere ascoltate ha
inflitto un colpo tale alla sua autostima da fargli passare la voglia
di discutere. A Mycroft non interessa: meglio affrontare in fretta
Sherlock, sopportare le sue odiose sferzate, e rimuoverlo il prima
possibile da Scotland Yard, prima che Lestrade dichiari la misura colma
e lo arresti (rifiutando ogni ulteriore contatto con Mycroft).
“Si direbbe che l’intensità dei tuoi tentativi di minare i buoni
rapporti tra gli uomini di Scotland Yard e i miei nelle nostre azioni
congiunte sia indirettamente proporzionata al tuo desiderio di esservi
coinvolto,” dice a suo fratello, entrando nell’ufficio di Lestrade.
“Buonasera, Ispettore,” aggiunge.
“Invece il mio desiderio di ascoltarti è direttamente proporzionato al
desiderio di vederti,” replica Sherlock. “Sono entrambi pari a zero,
tuttavia,” spiega.
“D’accordo, vi lascio parlare,” esclama Lestrade alzandosi.
“Ti dispiacerebbe spiegarmi perché questa sciocca, prevedibile ripicca
da parte tua deve turbare l’operato dei difensori della Nazione?”
domanda Mycroft, entrambe le mani appoggiate all’impugnatura del suo
ombrello.
Sherlock sbuffa con disprezzo: “‘L’operato dei difensori della
Nazione’? Definire in tal modo l’indagine di Hillerton è come definire
‘opera di giardinaggio’ il distruttivo vagare di una capra affamata.”
“Di nuovo, vista la tua riluttanza ad essere coinvolto in primo luogo
nella missione di rimpatriare il nostro target, non capisco perché
improvvisamente i suoi precedenti misfatti compiuti sul suolo inglese
ti abbiano intrigato così tanto.”
“C’era un caso da risolvere! Uno che i ‘difensori della Nazione’
avevano dichiarato chiuso con conclusioni insostenibili!” rimarca
Sherlock. “Dovevo assicurare il colpevole alla giustizia.”
“Il colpevole era già assicurato alla giustizia, Sherlock, e sai
perfettamente che le accuse di cui i miei uomini lo chiameranno a
rispondere lo condanneranno a non meno di venti ergastoli. Era
strettamente necessario fargliene guadagnare un altro? Hai qualcosa di
personale contro quell’uomo di cui io non sono a conoscenza, fratello
mio?” domanda Mycroft, ben sapendo che l’unica questione personale,
qui, riguarda lui.
“L’incompetenza e l’idiozia di Scotland Yard sono oggettive e sotto gli
occhi di tutti. Ho corretto il loro ennesimo errore.”
“La situazione finale non subisce tuttavia cambiamenti apprezzabili. Un
comportamento molto inefficiente, Sherlock.”
“E tu sei tutto per l’efficienza, non è vero, Mycroft?” domanda
Sherlock con un sorrisetto.
“Sì, come sai bene,” risponde Mycroft trattenendo un sibilo irritato.
“E tu sei riuscito a farmi perdere un numero ancora indefinibile di
ore, questa sera e nella settimana a venire, calpestando i rapporti tra
il mio ufficio e i vertici della Polizia. Ben fatto. Sono convinto che
la soddisfazione sia inebriante.”
“Ti ho fatto perdere tempo? Tempo da dedicare a cosa? Hai degli impegni
per questa sera, Mycroft? Quanto altro tramare nell’ombra ti ho
procurato, oltre al tuo solito, noioso, aggiungerei, tramare
nell’ombra?” chiede l’odiosa serpe. “La situazione finale non subisce
cambiamenti apprezzabili. Sono di nuovo stato inefficiente.”
“Perché non proviamo a velocizzare la questione saltando il mio vano
tentativo di farti comprendere gli errori del tuo operato e il tuo
drammatico monologo di risposta, e lasciamo la polizia al proprio
lavoro? O condensiamo il tutto nel tragitto in auto verso Baker
Street?” propone Mycroft, senza troppe speranze.
Difatti, Sherlock si alza in piedi all’istante, trasformando l’ufficio
di Lestrade nel suo palco per i prossimi minuti.
Mycroft prende interiormente un bel respiro, e si prepara a una lunga,
indisponente, discussione.
E indubbiamente, Mycroft è indisposto oltre ogni dire, quando Sherlock
e John Watson se ne vanno per cercare un taxi (bene, perché l’offerta
di un passaggio non è più valida), ma non intende assolutamente farla
scontare a Lestrade, che è stato come sempre un prezioso supporto.
“Grazie per averci offerto la privacy del suo ufficio. Non che a
Sherlock importi granché, della privacy o della discrezione.”
Mycroft dibatte internamente la sua prossima mossa, ma Lestrade lo
precede e gli ricorda che stava andando a casa, e lui si adegua, anche
se è spaventosamente simile e battere in ritirata e sprecare
quell’occasione. Tuttavia, l’Ispettore si offre si scortarlo fuori e
Mycroft non riesce a nascondere la sua soddisfazione quando Lestrade lo
guida alle scale dell’uscita di emergenza, come quel venerdì mattina:
significa che almeno inconsciamente Lestrade ripensa ai loro precedenti
incontri.
È incoraggiante, e Mycroft è ben felice di poter classificare la serata
come non un completo disastro, quando Lestrade parla di nuovo: “In ogni
caso, non era necessario che venissi di persona, per sistemare i casini
di Sherlock. Potevi telefonarmi.”
Mycroft ammette che è vero, e implicitamente che ha scelto di fare
altrimenti, che ha ragionato sulle sue mosse, come sicuramente sta
facendo ora Lestrade, rivedendo i loro scambi alla luce di questa
consapevolezza: che Mycroft li ha voluti e cercati.
Mycroft si prepara a dare la sua migliore impressione di controllo su
di sé, per comunicare a Lestrade e a se stesso di essere pronto per
quella conversazione e sicuro del risultato.
“Tutto questo è perché speravi che…accadesse di nuovo. Tra noi dico,”
fa Lestrade, dopo essersi schiarito la gola.
“Speravo che lei realizzasse che non sarei avverso all’opportunità,
Ispettore, sì,” sorride Mycroft, ed è un eufemismo, perché la
coglierebbe con gioia,
ma ha ancora timore di scoprire tutte le sue carte, anche se il lieve
imbarazzo di Lestrade è eccitante, perché potrebbe tramutarsi in
incertezza e rifiuto.
E forse ci vanno vicino, quando Lestrade ammette che pensava che il
mercoledì pomeriggio fosse stato un’anomalia destinata a non ripetersi,
e la colpa sarebbe tutta di Mycroft, nonostante tutti i suoi buoni
propositi e la pretesa di sicurezza e confidenza, troppo pronto a fare
marcia indietro, a chiarire che se Lestrade non è interessato niente
deve cambiare, nel loro rapporto.
Ma Lestrade è più coraggioso di lui, e Mycroft trae forza dalla sua
decisione di continuare a parlare, a chiarire quello che spera possa
accadere.
E sulle scale deserte e prive di telecamere, Mycroft scende un gradino
verso di lui, e Lestrade ne sale uno verso Mycroft, e ora sono entrambi
spavaldi, nel dar voce al loro desiderio, finché Lestrade lo bacia, lo
prende tra le braccia e lo bacia, come se fosse la cosa più normale del
mondo addossare Mycroft Holmes a un muro e vezzeggiarlo con le mani e
le labbra, per poi accecarlo con il suo sorriso: “Scusa. Ci pensavo da
venerdì.”
Mycroft sbuffa piano, anche se vorrebbe scoppiare a ridere di felicità
e sollievo, perchè quello non è il posto per tali attività: Lestrade
l’ha invitato da lui e Mycroft non vede l’ora di arrivare.
“Andiamo?”
Note 2:
Mi hanno fatto notare che si sentiva un po' la mancanza di Mycroft,
nella parte della storia dedicata a Greg, così ho pensato di rimediare
in questo modo.
Ah, la faccenda internazionale a cui si fa riferimento (mandato di
arresto internazionale, estradizione, ecc...;) non è affatto
attendibile, scritta in modo solo vagamente plausibile (spero), non
fateci troppo caso.
Grazie per essere arrivati fin qui!
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