1.1
Nota dell'Autrice
Questa
è stata la prima fanfiction che ho scritto, nel lontano 2014 e
sviluppa uni dei più famosi clichè del
fandom Potteriano, clichè reso poi canonico dalla stessa
Rowling. Spero, tuttavia, di aver reso il mio personaggio comunque un
po' interessante e sarei lieta di ricevere i vostri feedback.
Piccolo avvertimento: il
suddetto personaggio è lievemente sociopatico,
una precisazione, questa, che ritengo necessario premettere.
Intanto, vi ringrazio per il vostro tempo.
Jo
:
.
Prologo
.
Verità
.
«Fai attenzione» gli disse, accarezzandogli delicatamente il braccio.
Non sapeva spiegarsi il perché, ma provava un acuto senso di
angoscia, anzi diciamo anche di puro terrore, come se stesse per
accadere qualcosa di tremendo che lei sentiva di non poter evitare.
«Io faccio sempre attenzione» le rispose lui, con una
smorfia divertita «A dopo» aggiunse, sfiorandole le labbra
in un veloce e timido bacio.
Megan non voleva lasciarlo andare così; gli afferrò il
braccio e lo attirò a sé, incurante del rumore della
folla che si stava avvicinando.
«Non mi interessa che tu vinca, per me sei già tu il
Campione, lo sai?» gli disse, seria. Cedric sorrise e la
baciò di nuovo, prima di allontanarsi lungo il sentiero ombroso
che portava allo stadio.
Megan lo seguì con lo sguardo, quindi si avviò verso le tribune insieme agli altri.
Da lassù, vide il suo Cedric entrare nel Labirinto Incantato, il
volto teso che si illuminava in un ultimo sorriso, solo per lei, prima
che le alte siepi si chiudessero attorno a lui.
«Cedric vincerà, ho scommesso cinque galeoni su di lui» affermò suo fratello William, convinto.
«Anche Krum ha buone possibilità» obiettò
George, accogliendo una puntata dell'ultimo minuto da un Corvonero del
sesto anno «Ottima scelta, amico mio» approvò poi.
«Abbiamo il vincitore!» esclamò d'un tratto Silente, solenne.
Le siepi si riaprirono e sulle tribune si scatenarono cori e boati di
approvazione, mentre la banda riprendeva a intonare quell'irritante
motivetto allegro.
Ma Megan non li udiva.
Le sue peggiori paure, la cui esistenza lei non sapeva spiegare nemmeno a se stessa, si erano avverate.
Si precipitò giù dagli spalti, dove i festeggiamenti
continuavano frenetici; nessuno si era ancora accorto che c'era
qualcosa di mortalmente sbagliato nel modo in cui il corpo di Cedric
giaceva sul prato.
Un urlo, il suo, fece tacere gli strumenti e mise fine al sogno.
Megan si svegliò nel suo letto, sudata e stremata.
I primi raggi del sole tracciavano sottili lame di luce sul pavimento della sua camera.
Megan si mise a sedere, cercando disperatamente di scacciare quelle immagini tremende dalla sua testa.
Era passato un mese da quella notte terribile, eppure l'orrore che provava era sempre lo stesso.
E forse, pensava Megan, era giusto che fosse così.
*
A qualche decina di chilometri di distanza, Cedric era il protagonista del sogno di un altro.
Harry Potter si svegliò urlando, le lenzuola aggrovigliate
intorno alle gambe e al petto, come le spire di un serpente strette
attorno alla preda.
Mancava poco all'alba e a un nuovo, noioso giorno in casa Dursley.
*
Megan non credeva di riuscire a riprendere sonno dopo quell'incubo,
invece, quando aprì gli occhi, vide che il sole aveva inondato
di luce la sua camera; la calura estiva, dopo la tregua notturna, era
tornata ad opprimere i cieli di mezza Inghilterra.
Cacciò via con rabbia le lenzuola e si alzò, rischiando
di inciampare su uno dei libri di magia che aveva dimenticato sul
pavimento la sera prima.
“Al diavolo” pensò, agguantando la bacchetta, che aveva lasciato sul comodino.
La legge ministeriale imponeva che ai minorenni non fosse concesso
usare la magia fuori dalle mura di Hogwarts; tuttavia, chi viveva in
una famiglia di maghi poteva godere di qualche libertà: il
Ministero, infatti, dal momento che poteva solo localizzare gli
incantesimi, ma non individuarne l'autore, e non potendo di certo
vietare a maghi e streghe adulti di farne uso, doveva raccomandarsi ai
genitori affinché la legge venisse rispettata.
I suoi genitori vigilavano attentamente, ma ogni tanto a Megan e a suo
fratello William era concesso uno strappo alla regola.
Essendo sola in quel momento, Megan agitò la bacchetta e
lanciò un semplice incantesimo di levitazione, facendo atterrare
i libri su uno scaffale.
Terminata l'operazione, Megan ripose la bacchetta sul comodino, quindi si diresse verso l'armadio e lo aprì.
Il disordine che vi regnava avrebbe fatto impallidire chiunque: nel
ripiano in basso, vecchi libri e strumenti erano ammassati l'uno
sull'altro, senza riguardi; appesi alle grucce, mescolati tra loro,
c'erano gli abiti Babbani, le divise scolastiche e alcuni vecchi
abitini dal taglio formale.
Megan rovistò un po' in quella confusione, finché non
trovò quello che stava cercando: una semplice camicia di lino,
molto fresca, e un paio di pantaloncini di jeans chiari; indifferente
al disordine ulteriore che aveva causato, richiuse l'armadio, quindi
scelse la biancheria intima e andò in bagno per lavarsi e
cambiarsi.
Quando scese di sotto per fare colazione, erano ormai le nove e trenta passate.
«'Giorno» salutò, entrando in cucina.
«Oh, buongiorno tesoro» le rispose sua madre; era in piedi
davanti alla finestra e per lei quello sembrava essere tutto tranne che
un giorno buono.
Megan non vi badò e si diresse verso la credenza.
«Vuoi che chiami Ellie per farti preparare qualcosa?» le chiese sua madre.
«No, grazie. Prenderò solo un caffè» rispose lei, riempiendo la tazza con il bollente liquido scuro.
«Sicura?» insistette «Ieri sera non hai quasi toccato
cibo e hai del tutto saltato il pranzo, dovresti mangiare almeno
qualcosa».
«No, sto bene così» rifiutò di nuovo.
In effetti, però, sua madre aveva ragione: da quando era tornata
a casa per le vacanze, Megan era dimagrita molto; passava gran parte
delle sue giornate chiusa in camera, a leggere e studiare i libri di
incantesimi che aveva chiesto in prestito ad alcuni ragazzi di
Durmstrang, e, quando scendeva, non restava mai molto tempo in
compagnia della sua famiglia, né di chiunque altro.
Ora, quando si osservava allo specchio, doveva constatare che quello
non rifletteva più l'immagine a cui lei era abituata: non vedeva
più la ragazza vivace e solare che era sempre stata, ma una
ragazzina taciturna e insicura. I lunghi capelli, neri e lisci,
incorniciavano un viso pallido, dalle guance scavate, e gli zigomi alti
e appuntiti mettevano i risalto due grandi occhi grigio-azzurro,
cerchiati da pesanti occhiaie e adombrati da un costante velo di
malinconia.
La morte di Cedric l'aveva devastata, e in lei era rimasto un solo
desiderio a darle sostegno: la vendetta. Aveva scritto ad alcuni
ragazzi di Durmstrang, con cui aveva fatto amicizia nell'ultimo anno,
per farsi spedire i loro libri di Magia; da quel punto di vista, la
scuola del Nord andava decisamente controcorrente: lì, infatti,
gli insegnanti non si limitavano a fare apprendere ai loro studenti
sciocche formule di difesa, ma veri e propri Incantesimi Oscuri. Megan
aveva deciso di impararli, anche se, per il momento, non aveva la
possibilità di fare pratica: pur potendo fare, di quando in
quando, qualche magia fuori da Hogwarts, era piuttosto sicura che
lanciare un qualche Sortilegio Oscuro in casa avrebbe fatto allarmare
il Ministero; perciò, era costretta a limitarsi alla sola teoria
e, per il momento, questo era abbastanza.
«Dov'è Will?» chiese a un tratto Megan, accorgendosi solo allora dell'assenza del fratello.
«È andato dai Weasley» rispose sua madre, che aveva ripreso a fissare l'orizzonte.
“Ah, già” pensò, ricordandosi di quella
visita programmata da settimane; William aveva insistito perché
andasse anche lei, ma Megan aveva rifiutato.
«Sono una Serpeverde» aveva detto una volta, quando William aveva cercato di nuovo di convincerla «Non vorrei mai essere
accusata di spionaggio mentre voi Grifondoro vi allenate per il
Campionato».
Quella era stata solo una delle decine di scuse che aveva trovato per declinare l'invito, non troppo spontaneo, dei Weasley.
All'improvviso, Megan udì l'inconfondibile crepitio delle
fiamme: qualcuno aveva appena usato la Metropolvere per Materializzarsi
nel loro salotto.
«Non può già essere tornato» mormorò sua madre, che era sbiancata di colpo.
«Chi, Will?» chiese Megan, senza ottenere risposta.
Un attimo dopo, suo padre comparve sulla soglia della cucina.
Aveva un'aria stanca, come di uno che non fa una dormita decente da settimane; sua madre gli andò incontro, pallidissima.
«Com'è andata?» chiese con un filo di voce.
Megan seguiva la scena preoccupata: non aveva mai visto i suoi genitori in quello stato.
«No» mormorò sua madre un attimo dopo, come se il silenzio le avesse appena dato la peggiore delle risposte.
«Che succede?» riuscì a chiedere Megan, incontrando
lo sguardo sconsolato di suo padre e quello angosciato di sua madre.
Dopo un lungo istante, finalmente suo padre parlò «Megan, c'è una cosa che devi sapere»
«No, non se ne parla!» esclamò sua madre, interropendolo.
«Non abbiamo scelta, Kate, deve saperlo» ribatté lui, con convinzione.
«No, assolutamente no, è troppo presto!» protestò l'altra.
«Sapere che cosa?» chiese Megan, con una nota di panico
nella voce; si sentiva confusa e il comportamento dei suoi genitori, di
solito sempre calmi e riflessivi, la spaventava.
«La verità Megan» rispose suo padre, avviandosi verso il salotto, seguito dalla moglie.
Megan, abbandonato il suo caffè, non ebbe altra scelta che imitarli.
«Vincent, ti prego» ripeté per
l'ennesima volta sua madre, ignorando deliberatamente il marito che le
faceva segno di accomodarsi su una delle grandi poltrone del salotto.
Suo padre si posizionò in piedi davanti al camino. Voltava loro
le spalle, e si tormentava il polsino della camicia; era un gesto che
Megan gli aveva visto fare spesso, quando c'era qualcosa che lo
preoccupava o lo innervosiva.
Dopo un lungo silenzio, rotto soltanto dai respiri affannosi di sua madre, suo padre riprese a parlare.
«Devi sapere che noi, io» precisò «non sono
sempre stato l'uomo che sono oggi. Avevo fatto una scelta, di cui mi
sono pentito presto, di cui mi vergogno in ogni momento»
Megan, che era stata quasi costretta a sedersi sul divano, pendeva dalle sue labbra.
«Devi capire che a quel tempo ero giovane, pieno di idee stupide.
Ero ambizioso e arrogante e le mie amicizie … Non cerco
giustificazioni, ma devi capire che in certi momenti si fanno scelte
sbagliate, che si rimpiangono amaramente in seguito».
«Papà» lo interruppe Megan, stanca di quei giri di
parole «Mi stai dicendo che hai fatto una cosa sbagliata da
giovane, quale?» lo esortò, temendo la riposta.
Suo padre trasse un lungo respiro «Mi sono unito al Signore
Oscuro» disse infine, in tono grave; slacciò i bottoni del
polsino sinistro e tirò su la manica, scoprendosi l'avambraccio:
un grosso tatuaggio, nero e spettrale, pulsava sinistramente.
Era il Marchio Nero.
Megan represse un gemito. Si alzò lentamente, avvicinandosi a quella cosa che sembrava dotata di vita propria, per esaminarla.
«Quando incontrai tua madre, ero già diventato un
Mangiamorte» riprese a raccontare lui, scoccando un'occhiata alla
moglie, che finalmente aveva preso posto sulla poltrona più
vicina, lo sguardo basso e l'aria sconfitta.
«Lei non condivideva le mie idee e, dopo poco tempo, mi accorsi
che neanche io mi riconoscevo più in quegli ideali. Ci
innamorammo, ci sposammo, ma non potevamo avere una vita, non
così» continuò «Non si può smettere di
essere un Mangiamorte» spiegò «L'unico modo per
sciogliersi dal giuramento è pagare con la vita»
«Poi, un giorno, il Signore Oscuro venne da me. Mi disse che
dovevo andarmene, lasciare l'Inghilterra e dire a tutti che Lui mi
stava dando la caccia. Era una cosa credibile, perché già
allora occupavo una posizione di rilievo al Ministero. Voleva che lo
servissi in quel modo e mi disse che, un giorno, forse, avrei saputo il
perché».
Fece una pausa, come per raccogliere le idee prima di continuare; la
parte peggiore di quella confessione a tre, dunque, non era ancora
arrivata.
«Per me quella era un'occasione unica. Potevo sfuggire al suo
controllo e con il suo permesso per di più. Così feci
come mi aveva ordinato, simulai un attacco in casa nostra e con tua
madre lasciammo il Paese. Silente stesso ci offrì protezione per
la fuga. Arrivammo in Francia e lì aspettammo. Passò un
mese, poi tre, un anno e niente. Sperai che il Signore Oscuro si fosse
dimenticato di me, del nostro accordo, ma non fu così. Una
notte, dopo più di due anni di esilio, si presentò alla
porta un Mangiamorte. Non lo conoscevo, doveva essere una nuova
recluta, dal momento che non poteva avere più di diciotto anni.
Mi disse che il Signore Oscuro era stato sconfitto e che se n'era
andato, ma che sarebbe ritornato presto, e allora avrebbe voluto
raccogliere i frutti di ciò che gli avevo promesso. Dovevo
onorare il mio giuramento, mi disse, e così» si
fermò, sospirando «Così mi consegnò
voi».
Tacque.
Megan guardò suo padre confusa.
«Noi?» chiese, cercando una risposta nello sguardo avvilito
di suo padre e in quello terreo di sua madre, che aveva cominciato a
piangere.
«Sì, tu e tuo fratello» rispose alla fine suo padre.
«Che significa?» chiese; la risposta era fin troppo
evidente, ma Megan non voleva crederci, aveva un disperato bisogno di
sentirsi dire che non era vero, che quelli che aveva davanti erano i
suoi veri e unici genitori.
«Noi non siamo i vostri veri genitori» dichiarò
invece suo padre, o meglio, a questo punto, l'uomo che si era
professato come tale fino a quel momento.
«Ma-» cominciò Megan, senza riuscire a pronunciare la domanda che sapeva di dover fare.
Chi allora? E perché glielo stavano dicendo in quel momento, e solo a lei poi?
«Tesoro, è meglio che ti sieda» disse sua madre,
parlando per la prima volta da quando suo padre aveva cominciato a
raccontare.
Megan non l'ascoltò nemmeno, aspettando che suo padre
continuasse, ma lui taceva ancora. Era tornato a darle le spalle, le
braccia tese sulle mani appoggiate al camino, lo sguardo fisso sulla
cenere fredda.
«Tua madre era una Veela, Megan» disse alla fine, dopo quel
silenzio teso ed eterno «Ed era stata destinata a un uomo, a...» si interruppe «a Lui».
Quando ebbe pronunciato quell'ultima parola, “lui”, fu come
se qualcuno l'avesse trafitta con mille stilettate velenose.
«Vuoi dire che-» riuscì a dire alla fine, ritrovando
chissà come la voce che credeva ormai persa per sempre
«Che Voldemort è il mio vero padre?»
«Sì».
Altre stilettate.
Megan sentì la vista offuscarsi e le gambe sembravano essere diventate molli e pesanti.
Trovò a tentoni il bracciolo del divano e vi si lasciò cadere.
Voldemort era suo padre.
Voldemort, quel demonio, quel mostro ripugnate, quell'essere malvagio e crudele era suo padre.
Voldemort, che aveva ucciso il suo Cedric, e innumerevoli altri innocenti, era suo padre.
Senza neanche accorgersene, Megan si scoprì a ridere.
I suoi genitori, o meglio, le persone che lei aveva sempre considerato
tali e che l'avevano cresciuta, la stavano osservando preoccupati.
«Megan…» cominciò sua madre, ma lei la
interruppe subito, sforzandosi di controllare quella risata isterica
che doveva certamente suonare inquietante «Ok, molto
divertente» disse, ironica.
«Tesoro, è…» cominciò sua madre «È la verità, tesoro».
«D'accordo allora! Mio padre è Voldemort e mia madre
è, che cosa avete detto, una Veela?» ricapitolò.
«Amore…»
«No, no, sto bene, davvero» ghignò Megan
«È semplicemente assurdo, tragicamente assurdo, ma va
bene».
«Non è tutto» disse suo padre.
«Oh ma davvero?» chiese Megan, sarcastica «Che altro
mi avete tenuto nascosto? Vediamo, mio fratello non è mio
fratello, e quello vero se l'è tenuto Voldemort? O
chessò, sono imparentata con qualche altro assassino o-?»
«Vuole incontrarti» disse suo padre, semplicemente.
Di nuovo, Megan sentì il desiderio bruciante di ridere. Questa
volta riuscì a trattenersi e chiese «Incontrarmi?
Perché, vuole giocare a fare il padre? E Will, viene con
noi?»
Suo padre ignorò il suo tono e rispose «Non vuole
tuo fratello, ha fatto domande e ha deciso che sei tu quella che gli
interessa».
«Ma davvero?» ripeté. Sentiva l'odio e la rabbia, a
lungo covati in quelle settimane, esploderle dentro «Gli
interesso? Mi dispiace allora, perché io non provo alcun
interesse per lui».
«Non possiamo-» stava ribattendo suo padre, quando si
intromise sua madre «Vince, non puoi costringerla, e neanche lui,
è troppo giovane».
«Non è questione di essere giovani, non voglio vederlo» ribatté Megan.
«Lo so che è giovane e lo sa anche lui» disse suo
padre «Vuole solo accertarsi di chi e che cosa sia diventata, non
pretenderà che si unisca a lui o altro, vorrà solo
vederla e mi ordinerà di addestrarla nelle Arti Oscure, me l'ha
assicurato».
«Oh bé, se te l'ha assicurato!» sbottò sua madre, ancora pallida, ma risoluta.
«Non mi importa, non ci andrò» continuava a ripetere Megan, stranamente calma.
«Sarà solo per questa volta, poi, a tempo debito, diremo tutto a Silente e lui ci aiuterà».
«Se proprio insisti va bene!» dichiarò alla fine
Megan «E gli dirò esattamente quello che sono e che
penso».
«Megan, non dirai sul serio!» esclamò sua madre, allarmata.
«Certo» assicurò Megan «Piuttosto che unirmi a
lui preferisco morire!» concluse e, ignorando le grida di sua
madre che cercava di richiamarla, corse a chiudersi in camera sua.
Per tre giorni, Megan rimase rinchiusa tra le quattro pareti della sua stanza.
I suoi genitori, dopo qualche debole tentativo, avevano deciso di lasciarle il tempo e lo spazio che le servivano.
Ellie, l'Elfa Domestica di famiglia, si Materializzava in silenzio
nella sua camera per portarle da mangiare e ritirare i piatti che Megan
lasciava, quasi intonsi, sulla scrivania.
All'alba del quarto giorno, Megan, che aveva passato le ultime ore
sveglia a riflettere, prese la sua decisione: avrebbe riposto per
l'ultima volta la sua fiducia in quelli che aveva creduto essere i suoi
genitori. Dopotutto, non aveva altra scelta.
Quando scese di sotto, li trovò in cucina, seduti a parlare davanti a una tazza di tè nero.
«Non possiamo più aspettare, Kate» stava dicendo suo padre «Vuole una riposta».
«E l'avrà» lo interruppe Megan, entrando.
Sua madre balzò in piedi e si avvicinò a lei, per
abbracciarla. Lo sguardo gelido che Megan le rivolse le fece cambiare
idea.
«Lo incontrerò e mi mostrerò timida e sorpresa, per niente ostile, va bene?» chiese, in tono di sfida.
Suo padre annuì, quindi si alzò e lasciò la stanza.
«Sarà meglio prepararsi» disse sua madre, dopo un
momento; Megan la seguì docile, sperando di aver preso la
decisione migliore.
*
«Ci sta aspettando» disse suo padre, raggiungendole in fondo alle scale.
Si era cambiato d'abito: ora indossava un completo nero e, drappeggiato
sulle spalle larghe, quello che Megan intuì fosse il Mantello
dei Mangiamorte.
Sua madre, invece, aveva scelto un bell'abito lungo, verde pino, mentre
Megan aveva alla fine optato per un semplice tailleur pantalone.
Con un cenno di assenso, tutti e tre si diressero verso il salotto.
«Andrò prima io, tu mi seguirai subito dopo» le disse suo padre, entrando nel camino.
Afferrò la Metropolvere e declamò «Villa
Malfoy»; con un ruggito, le fiamme verdi si accesero e lo
inghiottirono
Megan, per nulla sorpresa di quella destinazione, attese qualche istante, quindi ripeté gli stessi gesti.
“Fa che vada tutto bene” si ritrovò a pensare,
mentre il turbine verde la trasportava lontano, facendole roteare
davanti centinaia di camini dai mille colori; Megan sarebbe entrata
volentieri in uno qualsiasi di quelli.
Alla fine la sua folle giravolta terminò e Megan atterrò
incerta sul tappeto bruciacchiato davanti al camino dei Malfoy.
Pochi attimi dopo, anche sua madre li raggiunse.
Dalla penombra della stanza, emerse la sagoma di un uomo, e fu solo
quando la luce delle candele illuminò il suo viso che Megan lo
riconobbe: Peter Minus, basso e grassoccio, si rivolse a loro con fare
untuosamente deferente «Ben arrivati, signor Parker,
signora» salutò affabile con la sua vocetta fastidiosa
«Seguitemi» squittì, precedendoli sulla soglia e
facendo loro strada lungo il corridoio, alcune rampe di scale e altri
due corridoi.
Megan era stata molte volte a Villa Malfoy, dal momento che Lucius era
il cugino di suo padre. Lei e Draco, il figlio di Lucius, erano
praticamente cresciuti insieme, tanto che, se non fosse stato per
l'incredibile somiglianza che legava Megan al suo gemello, si sarebbe
detto che erano loro due i fratelli e William l'amico.
Tuttavia, ora che si ritrovava a percorre quei corridoi che conosceva tanto bene, Megan si sentiva un'estranea, un'intrusa.
«Aspettate qui» disse Minus, una volta che ebbero raggiunto
il grande atrio. Di solito, Megan non mancava mai di notare lo sfarzo
di quel luogo, arredato con il gusto finissimo di Narcissa; tuttavia,
in quel momento, le pareva più tetro di una cattedrale
abbandonata, buio e umido.
Codaliscia si era allontanato e si era fermato davanti alla porta del
salone; bussò tre volte, quindi socchiuse l'uscio e
sgattaiolò dentro.
Pochi istanti dopo ne uscì trafelato, come se avesse appena corso una maratona, o ricevuto il peggiore degli spaventi.
«Potete entrare adesso» disse agitato.
Suo padre le fece cenno di precederlo, quindi, con un ultimo sguardo di
raccomandazione, abbassò la maniglia di bronzo della porta e
l'aprì per lei.
Il salone di villa Malfoy era, come il resto della dimora, immenso.
Il grande camino di marmo era spento e l'unica luce proveniva dai
quattro grandi candelabri a muro, appesi agli angoli della sala.
Al lungo tavolo, riccamente decorato, erano sedute alcune persone, per
lo più sconosciute; Megan riconobbe solo Lucius e Narcissa
Malfoy, Dwayne Tiger e Magnus Goyle.
Al capo opposto del tavolo, ammantati dalle tenebre, un paio di occhi rossi la stavano fissando.
Megan era pietrificata dal terrore.
Con lentezza esasperante, Voldemort si alzò in piedi e avanzò.
Mentre si avvicinava, la luce delle candele danzava tra le pieghe del
suo mantello, risalendo l'alta, snella figura del Signore Oscuro,
finché non illuminò il volto più orrendo che Megan
avesse mai visto.
Più simile a un teschio animalesco che a un viso umano, con la
pelle bianca e sottile, quasi trasparente, Voldemort era il ritratto
della Morte. Al posto del naso, c'erano due sottili fessure, come le
narici di un serpente, e le labbra erano inesistenti.
«Benvenuti» alitò Voldemort, in tono che voleva
sembrare suadente, ma che invece era solo raccapricciante
«Vincent, Katherine, accomodatevi» continuò,
indicando con le lunga dita pallide due sedie lì accanto.
«E tu, mia cara, devi essere Megan» riconobbe.
Al sentir pronunciare il suo nome, Megan sentì il sangue gelarsi nelle vene.
«Mi devo congratulare con voi, amici miei» continuò,
rivolgendosi di nuovo ai suoi genitori, che nel frattempo avevano preso
posto.
«Vi siete presi cura di lei molto bene, vedo. E, avevi ragione
Lucius, è bellissima» disse, ricevendo un cenno di
muto ringraziamento da parte di Malfoy.
All'improvviso, Megan sentì qualcosa sfiorarle le caviglie;
abbassò lo sguardo e vide un lungo, viscido serpente strisciare
sinuoso verso Voldemort.
«Oh, questa è Nagini» spiegò il Signore Oscuro, accarezzando dolcemente l'enorme testa della serpe.
«E lei» continuò poi, rivolgendosi a Nagini «lei è Megan, la mia deliziosa figlia».
Alcuni mormorii di inquieta ammirazione percorsero la sala. Un attimo
dopo, Megan capì il perché: Lord Voldemort aveva appena
parlato in serpentese.
«E ora, perdonami cara, ma non sono molto pratico di queste
cose» continuò, tornando alla lingua normale «Dovrei
abbracciarti, suppongo?» chiese, e così facendo, sorrise
in modo orribile, allargando le braccia.
Megan, che destava anche solo l'idea di sfiorare quel mostro ripugnante, fece un passo indietro.
«Capisco, forse è troppo presto» aggiunse Voldemort,
che non sembrava per nulla dispiaciuto della sua mancata dimostrazione
di affetto,
In quel momento Megan provò un odio bruciante e parlò, per la prima volta da quando era arrivata.
«Non osare toccarmi» sibilò in serpentese.
Voldemort non si scompose e disse, a sua volta, in serpentese
«Molto bene, mi avevano detto che avevi ereditato questo
dono»
Megan non sapeva che cosa stava facendo.
Si era ripromessa di restare calma, ma quando era entrata in quella
stanza, quando aveva visto quella bestia, quel demonio, tutti i suoi
buoni propositi erano volati via, come foglie al vento, e l'odio verso
quell'essere mostruoso erano divampati dentro di lei, fino a prendere
il sopravvento.
Non sarebbe finita bene, di questo ne era certa.
«Mi avrai anche generata, ma tu non sei mio padre e non provare a
sperare che mi unisca a un relitto ripugnante come te»
continuò.
I Mangiamorte, che non conoscevano la lingua, rimasero in silenzio, cercando di intuire quello che stava succedendo.
Un lampo d'ira balenò negli occhi sanguigni di Voldemort.
«Tutti fuori, voglio restare solo con la mia bambina» ordinò, nella lingua umana.
I Mangiamorte si affrettarono ad obbedire; i suoi genitori, con il
terrore dipinto sul volto, furono gli ultimi a lasciare la sala.
«Molto bene, vedo che hai carattere e la rabbia è uno
strumento utile» disse Voldemort, riprendendo a usare il
serpentese «Anche se preferisco sia diretta verso gli
altri» aggiunse.
«Mi dispiace,» ribatté Megan «non so che cosa
ti aspettassi da questo incontro, ma devo deluderti, non sarò
mai come te»
«Davvero? E che cosa te lo fa pensare?» chiese Voldemort, per nulla impressionato dalle sue dichiarazioni.
«Tu hai ucciso il ragazzo che amavo, pensi davvero che potrei mai perdonare il suo assassino?»
«Ah sì, quell'Eric»
«Cedric!» esclamò Megan, ricacciando a fatica le lacrime.
«Cedric, giusto, un bel ragazzo devo ammetterlo» disse
Voldemort, con noncuranza, «È stato Codaliscia ad
ucciderlo» aggiunse «Se vuoi, puoi avere la sua
testa» le offrì.
«Ti prego!» esclamò di nuovo Megan «Quel ratto
non respira neanche senza il tuo permesso. Lui è stato la mano,
tu hai dato l'ordine» ricostruì.
«Ah, l'amore» sospirò Voldemort, orrendamente
«Troverai qualcun altro, senza dubbio» disse con
semplicità, e insinuò «Pensi sul serio che sarebbe
rimasto con te, pensi che i tuoi amici si fideranno ancora quando
sapranno chi sei veramente?»
Megan, confusa, rimase, suo malgrado, ad ascoltarlo.
«Già, mi hanno detto che sei amica di Potter»
continuò Voldemort «Potter, che invece di affrontare il
suo destino, è scappato via come un codardo, lasciando il tuo
Cedric a morire al suo posto».
«Non è vero!» protestò Megan, ritrovando la voce.
«Come pensi che sia riuscito a sfuggirmi?» chiese e, senza
aspettarsi una risposta, continuò «A sfuggire a me, il
più grande mago di tutti i tempi! Megan,» insistette
«le persone mentono, ingannano e, dietro al più grande
ardimento, si cela sempre la peggiore delle viltà»
spiegò «E poi, avanti, credi davvero che quando
saprà la verità rimarrà al tuo fianco?» le
chiese e, senza darle il tempo di rispondere, proseguì
«No, Potter, e tutti quelli che tu chiami amici, e ogni altro
mago e strega senza un briciolo di ambizione, da codardi quali sono, ti
vedranno come una minaccia, ti escluderanno, e tu che cosa
farai?».
«Non ho scelto io di chi essere figlia, contano le azioni
e-» ribatté Megan, cercando, ormai invano, di opporsi.
«Ah, vedo che Silente è già entrato nella tua bella
testolina e ha fatto i suoi danni» la interruppe subito
«Amore, amicizia, buone azioni, tutte cose inutili secondo me.
È il potere che conta, solo questo. Vuoi davvero passare la tua
esistenza all'ombra degli altri? So come Silente e le sue pecore
trattano noi Serpeverde, scommetto che non c'è stata una sola
occasione in cui qualcuno ti abbia preferita a un pidocchioso
Grifondoro, mai una volta che qualcuno si sia fidato ciecamente di
te» continuò.
Aveva toccato il tasto giusto, lo sapeva, e per questo insisteva.
«Megan, non dirmi che non hai mai desiderato essere al centro
dell'attenzione, avere il rispetto di tutti. Ebbene, te lo devi
prendere, quel rispetto, e io posso aiutarti. Nessuno dubiterà
più del tuo potere, nessuno metterà mai più in
discussione la tua forza. Non ti serve Potter, per il semplice fatto
che tu non servi a lui».
«E se fossi io a dire la verità, e se raccontassi tutto a
Silente? Come pensi la prenderebbe?» lo sfidò. Megan
ancora non lo aveva capito, ma stava reagendo esattamente come
Voldemort voleva
«Fallo» rispose lui, tranquillamente «Dì la
verità su chi sei, e guarda i tuoi preziosi amici dileguarsi. Il
tuo sangue, le tue origini, parlano per te. Sanno quello che sei e
temono quello che potresti diventare. Se fai tue le loro paure, se
accetti il tuo destino, loro non potranno usarle contro di te. Unisciti
a me e avrai tutto quello che hai sempre desiderato» concluse.
Per un lungo istante, nessuno dei due aggiunse altro.
Megan era confusa, ancora furiosa certo, ma più con se stessa ora.
«Vai pure adesso e rifletti su quello che ti ho detto. Ti
accorgerai da sola che non ho mentito» la congedò
Voldemort.
Di nuovo, Megan esitò, quindi, senza dire una parola, si
allontanò da quella stanza infernale e dal demonio che la
abitava.
Ai suoi genitori non raccontò nulla di quello che lei e
Voldemort si erano detti; loro rispettarono il suo silenzio e non le
fecero domande.
Quando finalmente si ritrovò sola nella sua camera, le lacrime, a lungo trattenute, esplosero come un fiume in piena.
“Riflettici”.
Il ghigno malefico di Voldemort le danzò davanti agli occhi e
Megan, prima di abbandonarsi tra le braccia di Morfeo, si ripromise di
obbedire.
* * *
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