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Quiero
verte sonreir
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Da
quando ho iniziato a esistere, l’unico ricordo che ho
sono state solo lacrime e urla.
È
strano, le ho percepite chiare e vivide, ma non le ho
udite davvero – nemmeno ce le ho, le orecchie per ascoltare.
La
sensazione, però, è stata fortissima e da quando
si è
annidata in me non se n’è mai andata. Ritorna a
ondate improvvise e violente,
mi sommerge ed è come se stessi annegando in un mare in
tempesta.
Qualche
volta ci provo, a rallegrarla, ma è difficile non
farsi portare via da tutta questa paura mista a rabbia e tristezza.
In
un primo momento ho temuto per la mia vita; lei voleva
sbarazzarsi di me, non voleva averci niente a che fare. Mi sono
spaventato, mi
trovo così bene con lei, ma all’inizio la cosa non
era reciproca. L’empatia che
c’è sempre stata tra di noi mi ha fatto intuire
perché: era persa e spaesata e
sola. Non so cosa sia scattato poi, forse è riuscita a
sentirmi davvero per la prima
volta, forse ha
capito quanto siamo legati, forse non ha avuto il coraggio di mandarmi
via
realmente.
Fatto
sta che sono riuscito a rimanere con lei per mesi e
mesi.
Man
mano che il tempo è trascorso, sono entrato sempre
più
in contatto con le sue emozioni e le sue memorie. Immagini ricorrenti
sfilano
davanti ai miei occhi chiusi, vuote parole rimbombano nella mia piccola
mente.
“Se
l’è andata a
cercare, eh.”
“Non
puoi andare in giro vestita così e poi pretendere che
non facciano nulla.”
“Chi
è così stupido da tornare in metro alle due di
notte?”
Fanno
male queste frasi, perché non so cosa significhi tutto
questo, non lo capisco. Ma è quello che la fa piangere ogni
notte, quando
nessuno la vede e si accascia su se stessa, quando è libera
di sfogare la
propria rabbiosa umiliazione senza che qualcuno le si accanisca contro
come se
lei fosse la colpevole.
Sono
quelle voci i mostri.
Sono
altri i veri criminali.
La
sua sofferenza è la mia. È una tortura non poter
effettivamente fare qualcosa quando sento le sue mani posarsi su di me,
regalarmi il loro calore, mentre io non posso contraccambiare.
Voglio
vederla felice. Voglio che finisca il periodo della
gente che la squadra – ci
squadra – e
schiocca la lingua con aria di disapprovazione mentre scuote la testa
implacabile
e giudica senza nemmeno sapere, il periodo delle cicatrici di cosce e
schiena
coperte dai vestiti pesanti per la vergogna, il periodo dei
“Certo che le gambe
poteva tenerle chiuse, a quest’età.”
Adesso
basta.
Tutto
quello che ha vissuto non dovrebbe portare a questo, io
non dovrei portare a questo.
Dovrebbero
esservi sorrisi, e aspettative, e gioia, e
serenità. Invece le onde maligne coprono anche i
più piccolissimi spiragli di
luce, soffocano me e lei, e le sue speranze; tutto viene inghiottito e
si
cancella in un vortice fatto di singhiozzi e vergogna.
Voglio
nascere.
Forse
non mi ricorderò di queste ondate, di come ha sofferto
in questi mesi, di come questi umani le abbiano voltato le spalle, ma
io voglio
venire al mondo.
Solo
per vederla sorridere di nuovo.
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Hola
gente
Il
titolo in spagnolo significa "Voglio vederti sorridere", come mio
solito non penso sia molto azzeccato ma io non sono proprio capace di
darli, i titoli.
Questa
storia nasce in realtà per un compito di spagnolo sul
femminismo, sul movimento #metoo e sul lessico femminista che si sta
diffondendo anche sul web. A darmi lo spunto è stata la
"cultura de la violaciòn", ovvero l'assumere che sia normale
che una donna venga stuprata e che se abbia subito la violenza sia
comunque anche colpa sua perché se l'è cercata.
Ancora adesso si possono sentire (non sempre) commenti del genere,
quando si riporta la notizia di una violenza.
Dal
punto di vista del bambino (dato che si dice che madre e figlio sono
legati quando il bambino è ancora nel grembo), ho cercato di
focalizzarmi sulla sofferenza e l'umiliazione che una donna vittima di
questa "cultura" potrebbe provare. Spero di non aver fatto una cagata o
di risultare rindondante.
Ringrazio
chi mi farà sapere la propria su questa piccola shot e anche
chi leggerà e basta
Alla
prossima gente
Adios
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