Il più grande fallimento di Vorkov
Il tiepido sole primaverile illuminava con i
suoi raggi quel che restava dell’inverno, piccoli cumuli di neve adagiati agli
angoli delle strade che imperterriti continuavano la loro resistenza anche se
per poco. Distratto dai suoi pensieri il ragazzo dai capelli cremisi ci finì
dentro con tutte le scarpe, bagnandosi l’orlo dei pantaloni e imprecando
mentalmente nella strada deserta.
Erano le otto di domenica mattina, un orario
insolito per girovagare da solo, e lui faceva ripetutamente dietro front ogni
volta che arrivava sulla soglia del grande cancello in ferro battuto. Rimaneva
qualche secondo ad osservarlo in tutta la sua imponenza, poi si allontanava di
qualche metro e ispirando riprendeva il coraggio necessario per riprovarci.
Sembrava avere più paura dei morti che dei vivi.
All’ennesimo tentativo si fermò ad osservare
l’ampia entrata stringendo la presa attorno al mazzo di fiori che con cura era
sistemato nella sua mano. Ripeteva a sé stesso che non c'era nulla da temere,
non sarebbe morto oltrepassando quella linea invisibile da lui stesso posta
dinanzi agli occhi, semmai avrebbe fatto felice quei poveri defunti che era
convinto, in un certo senso, continuassero a vivere lì dentro. Un po’ come nel
monastero, si disse, dove quei ragazzini più deboli non ce l’avevano fatta a
sopravvivere alle angherie di Vorkov e avevano chiuso gli occhi in un’umida
cella o chissà in quale altro subdolo modo, ma continuavano a vivere.
Li sentiva, scendendo all’interno delle segrete, avvertiva
chiaramente l’aria diventare rarefatta e la costante sensazione di essere
osservato da occhi invisibili. Una volta aveva percepito una sorta di calore
alle spalle, quando dopo la disfatta di Vorkov era sceso nei sotterranei per
sistemarli, evitando così l’ingrato compito ai compagni di rientrare in quegli
angoli del terrore. Ed era proprio lì dentro, in una delle celle più dislocate
aveva trovato un piccolo orsacchiotto, appartenuto al ragazzino entrato con lui
in quel posto, bambino mai più visto dopo quel giorno.
Aveva raccolto quel piccolo tesoro e sistemato
accanto alla piccola lastra eretta nel giardino in memoria delle povere
vittime, in quel momento era arrivato quell’abbraccio. Giurava di aver visto dinanzi
a sé quel corpicino minuto sorridente.
Quando aveva raccontato questo episodio a
Sergey, si era ripromesso di non provarci una seconda volta. Il colosso biondo
l’aveva guardato poggiandogli una mano sulla fronte e chiedendogli se si
sentisse bene.
Sospirò alzando i freddi occhi azzurri in
direzione delle indicazioni presenti sul vialetto e muovendo il primo passo
all’interno del cimitero, seguito dal secondo meno riluttante del precedente.
Avanzò lungo la stradina acciottolata sperando di ricordarsi il percorso esatto,
oltrepassando numerose file di lapidi ben tenute. Pensò che probabilmente non
tutti avevano avuto la sfortuna di avere lui come unico custode per la propria
tomba.
Un’anziana signora in abito scuro si era
appena alzata da terra e con ancora il fazzoletto stretto al petto aveva
lasciato un bacio sulla foto dinanzi a lei. Foto di un ragazzo fin troppo aveva
immediatamente e malinconicamente pensato.
Si ricordò all’istante perché non aveva avuto
il coraggio di entrare fino a quel momento, non voleva vedere la sua tristezza all’interno
degli occhi di chiunque in quel posto, era come guardarsi allo specchio e lui
odiava la sua parte più vulnerabile. Quella celata dietro la maschera di
freddezza e noncuranza che ostentava sempre in pubblico e persino con i sui
compagni di squadra, ma che nei momenti in cui era solo o in quel luogo
vacillava pesantemente.
Svoltato l’angolo Yuri raggiunse la sua meta e
si fermò ad osservarla in lontananza. Le sue gambe non collaboravano,
inchiodate al suolo come se fossero finite in una lastra di cemento fresco,
induritasi improvvisamente al loro passaggio. La piccola tomba bianca ricoperta
di rampicanti era uno scenario penoso rispetto alle altre linde e pinte.
Con il peso sul cuore che aumentava di pari
passo con lo scorrere del tempo, si avvicinò al freddo marmo sedendosi
sull'erba bagnata, a tratti ancora ricoperta di bianco.
I fiori posti nel vaso erano ormai appassiti e
distrutti dalle intemperie. Di quelle rose rosse che rammentava era rimasto
soltanto uno stelo annerito su cui svettavano le spine.
“Ciao mamma”, il flebile suono della voce si
perse nel vento che gli scompigliò i capelli, come se con quella folata la sua
interlocutrice lo stesse accogliendo.
Abbassò gli occhi sui fiori ancora stretti a
sé “Sono imperdonabile lo so, ti ho lasciato per due anni da sola senza farti
una visita”.
Sospirò perdendosi ad osservare il volto della
donna sorridente raffigurata, Yuri non ricordava molto di lei, aveva vaghi flashback
che gli affollavano la mente, ognuno dei quali aveva il potere di provocargli
un nodo alla gola. Ciò che gli era rimasto impresso erano solo momenti felici,
e questo faceva sempre più male del previsto. Nella sua mente toccava il cielo
con un dito per poi cadere bruscamente nella cruda realtà, rifugiandosi da
tutto e tutti crogiolandosi nella malinconia di quei momenti.
Chiunque conoscesse il moscovita, seppur in
minima parte, avrebbe stentato a riconoscere in quel momento l’immagine
idealizzata creata dal su cipiglio autoritario.
“Sono cambiate tante cose dall’ultima volta
che sono venuto qui”, la voce sottile scaturita da quelle labbra era insolita,
con una cadenza sbiascicata tanto da faticare lui stesso a riconoscersi “Vorkov
è ritornato all’attacco dopo il nostro ultimo incontro. Stavolta con una nuova squadra
addestrata in modo totalmente diverso dalla nostra, ma i suoi progetti folli
non hanno avuto vita lunga. È stato sconfitto di nuovo, spero per sempre.”
Con la mano libera si toccò la fronte coperta
dalla candida benda “Vedi questa?” le chiese indicandola “Non è stata una
battaglia facile, non solo per me ma per tutti”.
Si interruppe bruscamente mordendosi l'interno
della bocca, si sentiva uno stupido a parlare da solo dando voce ai suoi
pensieri, ma ne aveva bisogno. Non aveva avuto molte occasioni per parlare
ultimamente, non che lui fosse un tipo di tante parole ma aveva scoperto a sue
spese che la sua natura taciturna aveva un limite. Sentiva il bisogno materiale
di sfogarsi e incanalare la sua frustrazione nel beyblade non era stata una
buona idea, la sua rabbia aveva quasi distrutto la palestra del Monastero.
“Io sono stato in coma, ma al contrario di
Sergey e Boris non riporto danni visibili”
Sua madre sarebbe stata sempre lì pronta ad
ascoltarlo senza mai interromperlo, e lui decideva di farle visita solo quando
si sentiva impotente verso il mondo. Si faceva schifo per questo, la usava per
i suoi comodi, un po’ come aveva fatto con i suoi compagni ma infondo al cuore
sperava di essere compreso almeno da lei. Aveva cercato di far capire il perché
delle sue scelte alle persone a cui voleva bene, senza esito positivo.
Posò il piccolo mazzo di orchidee accanto alla
lapide mantenendo lo sguardo fisso sull’erba sottostante che ben presto venne
strappata con foga. Yuri ascoltava i battiti veloci martellargli il petto ogni
qual volta si soffermava a pensare al casino creato dalle sue stesse mani, ed
essi si fecero sentire anche in quel caso. Lui si odiava, provava rancore verso
sé stesso e verso il suo carattere maledettamente orgoglioso che lo aveva
portato ad un isolamento ben peggiore rispetto a quello passato.
“Prima
avevo Boris, Sergey e Ivan pronti ad appoggiarmi in qualunque decisione.”
Dopo lo scontro con la Bega, scoperte tutte le
sue carte non era riuscito a sostenere la diffidenza dei due russi nei suoi
confronti, tutto quello che aveva saputo dire ai due compagni di squadra era
racchiuso in un’unica sfera tematica, il beyblade. Non aveva neanche provato a
giustificare il suo comportamento, aveva incassato ogni parola senza replicare
o dire la sua. Non si era giustificato.
“Un
codardo avrebbe dimostrato molta più dignità”.
La paura di chiedere come stessero e ricevere
una risposta negativa, lo aveva bloccato indurendo il loro rapporto in maniera
definitiva.
“Boris si è ritrovato a dover fare
riabilitazione al braccio destro per la frattura riportata e Sergey per poco
non ci rimetteva la schiena.” dirlo ad alta voce era anche peggio, le
conseguenze delle sue azioni facevano sentire il proprio peso all'altezza del
petto, in una morsa soffocante che gli bloccava il respiro
“Ora non mi rivolgono più la parola” le dita
seguirono i contorni delle lettere bronzee accarezzandole dolcemente con
piccoli tocchi terminando e il loro movimento sulla liscia superfice marmorea.
A tale contatto rabbrividì lasciando però ugualmente la mano poggiata evitando
accuratamente i rovi che la ricoprivano.
“Non è stata una buona idea mentire loro sui veri
motivi della nostra partecipazione al mondiale.”
Chiuse gli occhi ispirando profondamente, nel
vano tentativo di calmare il suo animo irrequieto, all’interno del suo cuore
sembrava esserci un animale rabbioso incatenato che con ferocia graffiava le
pareti cercando di uscire.
Il silenzio spezzato dal cinguettio degli
uccelli avvolse quel posto, l'odore dolciastro dei fiori copriva i restanti e
due iridi celesti guardavano malinconiche il cielo del medesimo colore.
“Perché non le dici i motivi? Sono impaziente
di sentirli anche io”
La pace dell'ambiente circostante andò in
frantumi come uno specchio ridotto in tante piccole schegge. Per Yuri, quelle
parole furono una doccia fredda quando arrivarono alle sue spalle. Sussultò
sfregiandosi la mano a contatto con i rovi distratto dall'ombra proiettata su
di lui in grado di oscurarlo completamente.
Deglutì a fatica voltandosi nella direzione
del nuovo arrivato che con la sua stazza sembrava ancora più imponente visto
dal basso.
“Cosa ci fai tu qui?” chiese perdendo le
incrinature morbide che la sua voce aveva avuto fino a quel momento, diventando
improvvisamente freddo come il gelido inverno russo.
Il platinato non rispose limitandosi a
osservarlo a braccia conserte, con due occhi smeraldini infuocati, non avrebbe
potuto trovare occasione migliore per sentirsi superiore a lui in tutti i
sensi.
Yuri si alzò con cautela controllando i
movimenti, stagliandosi di fronte al nuovo arrivato in tutta la fierezza di cui
era capace. Per terra si era sentito piccolo in confronto alla statura
dell'altro, ed anche se in piedi raggiungeva a malapena le sue spalle sapeva di
destabilizzare la baldanza di Boris.
“Da quanto tempo sei qui?” il pensiero di essersi
mostrato così vulnerabile alla vista di qualcuno lo faceva innervosire, soprattutto
se si trattava di colui con cui non aveva più nulla da spartire. I suoi dubbi
divennero certezza quando l'altro rispose in tono strafottente “Da quando sei
arrivato tu“.
Yuri si chiese come avesse fatto a non accorgersi
di essere seguito fin dall'inizio. All’entrata era andato avanti e indietro
tantissime volte e non si era sentito minimamente osservato. Stava sicuramente
perdendo colpi.
“Pensavi forse di trovarmi intento a
complottare con qualche adepto di Vorkov?” Il tono provocatorio si perse nel
vento quando la risposta non arrivò. Yuri ostentava ancora il sorrisino ironico
su quelle labbra sottili ma a quel silenzio opprimente avrebbe preferito
piuttosto una valanga di insulti, o un pugno scagliato con tutta la forza di cui
Boris era capace. Non era il dolore fisico a spaventarlo, quello aveva imparato
a sopportarlo fin dalla tenera età. Al contrario, nessuno gli aveva insegnato come
poter gestire al meglio il miscuglio di emozioni che lo stava corrodendo.
Quelle stesse emozioni soppresse durante la
sua infanzia ora facevano nuovamente capolino con la stessa forza impetuosa di
una cascata che rompe gli argini.
Con quel silenzio Boris, aveva inconsapevolmente
ferito il freddo Yuri Ivanov.
Il rosso indurì la sua espressione, si voltò
dandogli le spalle e tornò a sedersi davanti il loculo della madre. Aveva
distolto lo sguardo per primo, non se lo sarebbe perdonato ma un secondo in più
e la sua maschera imperscrutabile sarebbe venuta meno.
Strofinò la mano lacerata sul pantalone
sporcandolo con quelle piccole strisce rossastre mentre sperava che l'altro
andasse via al più presto. Il ragazzo dai capelli cremisi sapeva che il suo
carattere avrebbe avuto la meglio come al solito, al di là del senso di colpa
che provava sicuramente avrebbe preteso di aver ragione e l'altro sarebbe
andato via più arrabbiato di prima. Non avrebbe mai ammesso di aver sbagliato,
quindi preferiva nettamente stare in silenzio evitando di fare ulteriori danni
ancor più irreparabili.
Boris dal canto suo, non aveva risposto alla
domanda perché colto impreparato. Se lo sguardo ceruleo fosse stato più attento
avrebbe visto lo smarrimento in quegli occhi smeraldini alla ricerca di una
risposta sensata. Una risposta che non era stata trovata, non sapeva bene
neanche il platinato perché avesse seguito il suo capitano quando aveva visto
la sua chioma rossa attraversare il giardino del monastero.
“Hai intenzione di rimanere lì tutta la
giornata?” chiese ad un certo punto osservando la schiena di Yuri rigido nella
sua postura, deciso a non voltarsi nella sua direzione “Non sono affari tuoi.”
Boris assottigliò gli occhi e si avvicinò
afferrando il colletto della maglia e alzando di peso il compagno di squadra,
ma prima di riuscire a farlo girare nella sua direzione, il polso gli venne
bloccato e Yuri si voltò quel tanto necessario a mostrare il suo astio. Quelle
iridi lucenti come il cristallo e dure come il diamante lo trafissero ricolme
d’odio.
“Non toccarmi” sibilò calmo aumentando la
pressione attorno al polso che era il doppio del suo “Non ho la minima voglia
di discutere con te, torna a ignorarmi come hai fatto nelle ultime settimane” concluse
spingendolo lontano e strappandogli una smorfia.
“Ah certo, il cattivo della situazione sarei
io. Quello che ci ha mandati in un'impresa suicida contro Vorkov sei stato tu!”
ribatté l’argenteo alzando il tono di voce e avrebbe anche continuato se la
signora poco distante non si fosse girata indispettita nella sua direzione.
Avvolta nel suo scialle nero tirato fin sopra la testa rimproverò il russo di
mantenere un comportamento rispettoso in quel luogo e che era poco garbato
alzare le mani addosso agli altri. Il platinato dovette fare affidamento a
tutto il suo bon ton per non mandarla al diavolo mentre Yuri colse al volo
l’occasione di quello scambio di battute per tornare nuovamente seduto.
Il suo desiderio era molto semplice, trovarsi
a chilometri di distanza, lontano da Boris, lontano dalla consapevolezza di
aver rovinato l'unica relazione stabile della sua vita, quella con colui che
considerava un fratello. Proprio non riusciva a rispondergli in modo pacato,
non riusciva ad ammettere i propri errori. Pensò di non essere mai caduto così
in basso, non voleva essere considerato un robot insensibile ma compiva tutte
azioni per dimostrare il contrario.
Con il suo comportamento l’avrebbe allontanato
completamente, ne era consapevole, forse non avrebbe nemmeno più avuto neanche
l’occasione di mettere in chiaro le cose, eppure continuava a rinchiudersi a
riccio.
Seduto sul prato preso dai suoi drammi
interiori con la coda dell’occhio vide Boris imitarlo borbottando qualche
insulto poco velato nei confronti della vecchietta che l’aveva rimproverato,
facendosi pure sentire da lei intenzionalmente.
Il platinato superato il confronto verbale con
colei che considerava una vecchia zitella, era pronto a tornare all'attacco ma
non riuscì nell'intento, le parole gli erano morte in gola dopo aver notato il
capitano perso nei propri pensieri. Lo conosceva da anni, non aveva mai avuto problemi
a rapportarsi con lui perché riusciva a capirlo al volo, finché qualcosa era
cambiato. Si era trovato a dare man forte ad una persona che non aveva riposto
alcuna fiducia nella squadra, in lui.
Nonostante ciò, per quanto provasse rancore
non poteva fare a meno di notare quei cambi lievi e quasi impercettibili in
quelle pozze cristalline, al momento meri contenitori vuoti. L’aveva visto quel
lampo di tristezza attraversarle e incupirgli lo sguardo, per quanto fosse
stato prontamente nascosto sentendosi osservato, a lui non era sfuggito di
certo.
Pensò che fino a poche settimane prima non
avrebbe esitato nel definirlo un fratello, ed era bastata solo un'occasione per
rovinare tutto.
Erano cambiati tutti negli anni, si disse, ma
Yuri non aveva mai cercato la compassione di nessuno neanche nei momenti in cui
aveva avuto bisogno di aiuto, aveva sempre guidato la squadra in modo
impeccabile, anche in quel terzo campionato finché non era venuta a galla la
verità.
“Poteva
essere davvero così effimera la base del loro rapporto? Da svanire in un
battito di ciglia? No, c’era dell’altro, doveva esserci per forza.”
“Perché abbiamo preso parte al terzo
campionato mondiale?” il russo spostò la sua attenzione verso Boris, sorpreso
di quel repentino cambio di tono, molto più calmo, pacato, quasi come fossero
due amici che parlavano del tempo. Il platinato aveva compreso di non potersi
aspettare risposte se partiva all’attacco. “Lo sai già il perché” rispose il
russo sentendo lo stomaco contorcersi all’idea di quell’interrogatorio “Per
riuscire ad avere quante più informazioni possibili su Vorkov. Cercare di
vincere il campionato in modo da poter essere chiamati da lui e mandare
all’aria il suo progetto nascente.”
Boris puntò i suoi occhi in quelli di Yuri che
sosteneva ostinato il suo sguardo, più pallido del solito e sicuramente ancora
provato dalla recente esperienza ospedaliera.
“E perché non ci hai voluto dire niente?” Si
fermò osservando la mascella contratta del ragazzo “Perché ci hai considerato
estranei alla pari di Key?”.
Era questo ciò che più di tutto aveva dato
fastidio al moscovita, l'essere stato messo da parte come un estraneo da un
progetto che lo coinvolgeva in prima persona, al di là del volere di Yuri.
Ancora malediceva il momento in cui aveva appoggiato il folle piano di irruzione
alla Bega.
Lo stupore del platinato fu grande quando il
primo ad abbassare lo sguardo non fu lui, e diventò ancora più grande quando
arrivò la risposta pronunciata riservando maggiore attenzione visiva alle
venature della lastra di marmo lì accanto “Non volevo coinvolgervi in una
faccenda che avrebbe portato alla luce ricordi che stavamo cercando tutti di
dimenticare.”
A Yuri quelle parole erano costate tanto,
significava scoprire i suoi punti deboli, essere sdolcinato per i suoi gusti. Rendersi
molto più esposto del dovuto e un facile bersaglio.
“Non
toccherai i miei compagni di squadra” Boris in quel
momento si chiese quante volte aveva sentito quell’affermazione uscire dalla
bocca del suo capitano nel corso degli anni.
“Yuri, non siamo più dei bambini lo sai?” dopo
attimi di silenzio per la prima volta diede peso alle parole, cercava quelle
più adatte pensando attentamente a quella frase sbucata nel suo inconscio
all’improvviso “Non c’è bisogno di fare il salvatore della squadra come facevi
ai tempi del monastero”
“Io non volevo fare l'eroe” rispose
massaggiandosi stancamente la tempia “Ho fatto ciò che ritenevo giusto e poi era
una faccenda personale”.
Boris disse addio al suo autocontrollo e
inarcò scettico un sopracciglio guardandolo come se avesse detto di provenire
da Marte “Faccenda personale?” le parole quasi tremavano per la rabbia
incontrollata “Non hai vissuto solo tu nel monastero c’eravamo anche noi!”
calcò le ultime parole infervorato beccandosi un’altra occhiata di rimprovero
dall'anziana signora che spazientita aveva posto le mani sui fianchi
intimandogli di fare silenzio altrimenti avrebbe chiamato il custode per farlo
cacciare. Soprattutto gli suggerì di parlare in modo pacato con il suo amico.
Dal canto suo Boris avrebbe tanto voluto dirle
che della sua irritazione o dei suoi consigli se ne fregava altamente ma la
posizione e la vena pulsante, intravista accanto a quella macchia a forma di
esse sul collo della donna, gli avevano ricordato in modo fin troppo nitido gli
scatti di rabbia alla Ivanov durante gli allenamenti. La ignorò soprattutto
perché aveva altro a cui pensare.
“Non avevi il diritto di escluderci, anche noi
siamo finiti contro la nostra volontà in quel posto, anche noi abbiamo sofferto
subendo quell’addestramento militare, ma non abbiamo mai pensato di tenerti
all'oscuro della minima informazione per avere la tua vendetta. Dovevamo avere
la possibilità di riacquistare la nostra libertà tutti insieme” esclamò furioso
con il respiro corto cercando di non alzare fin troppo il tono, non ricordava
di aver mai parlato così tanto e così a lungo. Forse proprio per questo motivo non
riuscì a frenare le ultimi parole che gli uscirono dalla bocca “Sei stato un’egoista”.
Egoista. Quella parola rimase impressa nella mente di Yuri, logorandolo dall’interno.
La bocca improvvisamente secca sembrava il deserto più arido e si trovò
impreparato a reagire verbalmente. Dopo gli ultimi episodi si sentiva spossato,
da quando si era svegliato dal suo stato comatoso non si era ancora
completamente ristabilito e quella forza che lo aveva sempre contraddistinto
era venuta meno nel momento peggiore. Era diventato il fantasma di sé stesso.
Vide di sbieco Boris aspettare impaziente una
sua risposta cercando si darsi una calmata dopo lo sfogo “Non mi interessa la
tua opinione e poi come avresti voluto ottenere la libertà se sei caduto
neanche iniziato l’incontro contro Garland?”.
Si maledisse mentalmente per il veleno che gli
stava rovesciando addosso, ma il suo intento era proprio quello di stuzzicarlo,
fargli perdere la pazienza in modo da non dover continuare
quell’interrogatorio. Voleva farsi vedere invincibile e restare da solo.
I due si fronteggiarono con lo sguardo finché
Boris non si alzò di scatto prendendo l'altro per il bavero della maglia sollevandolo
da terra tanto da fargli perdere il contatto con il suolo. Gli occhi azzurri
rimasero impassibili come la linea sottile delle labbra ancora serrata
orizzontalmente, al contrario del platinato che sembrava una teiera in
ebollizione. Si era sentito ferito da quelle parole, o almeno pensava fosse
quella la sensazione pungente all'altezza dello stomaco. Lo aveva sempre
ammirato anche se non gliel’aveva mai detto apertamente, ma ora
quell’ammirazione si era persa come i granelli di sabbia che scivolano via
dalle dita nonostante esse provino a trattenerla.
“Tu di certo non sei stato un esempio
migliore” soffiò a pochi centimetri dal viso del moscovita con tono mellifluo,
Yuri neanche per un attimo temette per la propria incolumità.
Stava per rispondere a tono ma fu interrotto
dalla folata di vento gelida e improvvisa, fin troppo fredda ed insolita per
quel periodo come se al suo interno trasportasse cristalli di ghiaccio. Essa
smosse solo gli abiti del rosso facendo scivolare via un pezzo di carta tutto
spiegazzato che il proprietario riconobbe immediatamente.
Notando gli occhi spalancati, quasi
spaventati, del peso piuma fra le sue mani, Boris si senti decisamente attratto
da quel foglietto e mollando con poca grazia il suo capitano si chinò a
recuperarlo. Dall’altra parte Yuri si rimise in piedi barcollante, dopo essere
scivolato nell’atterraggio lo scatto repentino fatto per alzarsi aveva
destabilizzato l’equilibrio ancora precario.
“Non può essere” sussurrò basito mentre
l'altro leggeva avidamente il contenuto di quelle poche righe che lui ricordava
di aver bruciato tempo prima.
L’improvvisato lettore rimase con il foglio a mezz'aria
al termine della sua lettura.
“Carissimo Yuri, sono lieto di invitarti alla
partecipazione del mio nuovo progetto, sai che ti ho sempre considerato il
blader migliore del monastero. Ti aspetto sul retro della struttura della BBA
per ulteriori dettagli” il platinato citò ad alta voce il testo cercando di
mantenere un tono controllato ma il nervosismo era entrato in circolo
facendogli affluire così velocemente il sangue al cervello da avere la vista
annebbiata.
Con lentezza Yuri si avvicinò e con gli stessi
movimenti lenti riprese delicatamente il foglio dalle mani dell’altro
accartocciandolo in un colpo solo.
“Se te lo stai chiedendo, sì era un messaggio
di Vorkov e mi è stato recapitato prima che la Bega assumesse tutto quel
potere” non credeva di poter mantenerne un tono cosi calmo e controllato,
parlava come se non ne fosse stato coinvolto personalmente, quando nel momento
in cui il messaggio gli era stato recapitato non ci aveva pensato due volte a
bruciarlo stizzito nel camino.
“Tu ci sei andato all’incontro?” il suono
flebile della voce lasciava trasparire tutta l'amarezza di essere stato escluso
nuovamente al di fuori di tutto “Si “
Boris chiuse gli occhi ispirando
profondamente, cercava di calmare i fremiti alla mano, non riusciva a resistere
alla tentazione di mollargli un pugno. Il braccio si era sollevato, le dita
erano state contrarre e il fruscio dello spostamento d’aria non era sfuggito al
rosso. Yuri però non si mosse.
Il braccio si agitò di scatto pronto al
colpire il pallido ragazzo ma l’impatto non arrivò, le nocche bianchissime per
la forza con cui erano strette non avevano concluso la corsa sul viso diafano, si
erano fermate a pochi centimetri da esso.
“Perché non ti fidi di dirmi poche semplici
parole ma hai piena fiducia sul fatto che non ti potrei mai far del male?” e fu
lì che Boris la vide, quell’ espressione sconosciuta celata dietro
l’egocentrismo apparente che lo caratterizzava ogni giorno. Il colorito pallido
faceva da contorno ai due occhi limpidi e lucidi: umani li definì Boris.
“Io mi fido di te” rispose piano scostando con
facilità il braccio ancora teso davanti alla sua faccia, nonostante il disagio
crescente nella sua testa una vocina che continuava a ripetergli di essere
sincero una volta tanto “Avevo paura potesse farvi del male”.
Boris strabuzzò i suoi smeraldi sbattendo più
volte le palpebre incerto se si fosse immaginato o meno quello appena accaduto,
ma lo sguardo dell’altro improvvisamente interessato al paesaggio circostante
era una conferma più che valida.
“Yuri, non poteva farci nient'altro dopo il
primo campionato mondiale, ormai era -” non riuscì a continuare la frase
bruscamente interrotto dalla voce dell’altro che si era alzata più del solito
ma non con la solita cadenza perentoria e di rimprovero, bensì disperata “Non è
vero! Doveva marcire in una prigione eppure è tornato a fare i suoi comodi con
altri ragazzi. Aveva si cambiato i suoi metodi di allenamento, anche se Brookyn
e gli altri sono stati degli allocchi a fidarsi, ma nulla toglie che potesse
ancora vendicarsi su di no!.” riprese fiato prima di aggiungere questa volta in
modo più controllato e tagliante “Dovevo fargliela pagare per tutto quello che
mi ha fatto e che ci ha fatto, prima di vedere lui pronto a fare altrettanto”.
A Boris sembrò di aver davanti un vero e
proprio lupo pronto a sbranare il primo incosciente che provava a toccare il
suo branco, e anche se strideva con la situazione si sentì offeso notando che la
vecchietta non avesse rimproverato il suo capitano per i toni quando con lui
non aveva perso tempo. Voltandosi però si rese conto che era sparita, si chiese
che fine avesse fatto dato che per uscire e tornare sul vialetto sarebbe dovuta
passare accanto a loro. Soprattutto si chiese perché fosse stata lì, dove nella
tomba accanto non c’era sepolto nessuno.
“Boris
non è questo il momento di pensare alla signora datata!” si rimproverò mentalmente per il dilagare dei suoi pensieri in quella
situazione seria e delicata.
Riprese il suo contegno schiarendosi la voce
prima di dire “Infatti abbiamo
cercato di fargliela pagare, non ci siamo riusciti in prima persona ma il
nostro contributo lo abbiamo dato”.
Yuri scosse la testa da una direzione all’altra
fin troppo velocemente “No, dovevamo essere noi a distruggerlo, non Takao. Era
un nostro diritto avere vendetta facendolo soffrire per tutto quello che ci ha
fatto passare, con le nostre mani “.
Il volto di Boris improvvisamente si illuminò
come se avesse fatto la scoperta del secolo.
“Tu nonostante tutto non ce l’hai con noi
perché giustamente offesi ti abbiamo messo da parte allo stesso modo di come
hai fatto tu per la tua sete di vendetta. Ce l’hai con te stesso per aver
fallito miseramente e per averci raccontato una serie di frottole inutilmente”
Il rosso si irrigidì sul posto mordendosi impercettibilmente
le labbra nella frustrazione di essere stato scoperto. Gli occhi di Boris lo
trafiggevano da parte a parte alla ricerca di una conferma alle sue parole e
annuì leggermente in risposta.
Il platinato dovette far leva su tutto il suo
autocontrollo per non saltare addosso all’altro con l'intento di ucciderlo per
tutto lo sforzo mentale che gli aveva fatto fare negli ultimi giorni pensando a
una spiegazione del suo comportamento.
“Tu non sai cosa ho passato gli ultimi giorni
che precedettero la prima finale contro Takao” esordì a un tratto il moscovita
in un moto di coraggio sconosciuto per esternare ciò che provava “E con ciò non
voglio fare la vittima del monastero o sminuire la tua situazione. Vorkov non
mi lasciava un attimo da solo, mi faceva passare da un laboratorio ad un altro
facendomi degli strani test in apposite vasche con temperature bassissime. Al
termine di ogni esperimento ripeteva sempre che un bravo blader non prova
emozioni sul campo se non il desiderio di vittoria, non ha amici, non ha nessun
tipo di debolezza umana” sorrise ironico alla sua ultima affermazione mal
celando la tristezza che aveva invaso i suoi occhi, incredibilmente trasparenti
per quanto erano lucidi
Il groppo opprimente alla gola diventava
difficile da gestire “Dovevo essere il soldatino perfetto, non dovevo essere in
grado di pensare con la mia testa, volevo fare una cosa e invece ne facevo
un’altra. Mi ha fatto mettere da parte Wolfborg per quegli altri inutili bit
power. E la cosa peggiore sai qual è? Al tempo non mi dispiaceva nemmeno la
cosa. Sono il suo progetto insensibile, freddo e privo di volontà che si è
fatto manipolare. Il suo esperimento perfetto”
Boris improvvisamente ricordò il loro scambio
di battute nel corridoio prima che scendesse in campo durante il primo mondiale,
il sorriso di superiorità ottenuto in risposta quando gli aveva raccomandato di
stare attento. Quella sensazione di disagio provata per la prima volta a
contatto con lui.
“Tu sei il suo fallimento perfetto” rispose
Boris accantonando il suo orgoglio. Il platinato lo credeva sul serio, aveva
posto la sua ammirazione in quel ragazzo mingherlino e privo di un’eccessiva
massa muscolare, in grado di uscire vittorioso in ogni conflitto non
utilizzando la forza ma la sua lingua tagliente. Si era affidato, quando erano
ancora dei bambini, a quel corpicino all'apparenza cagionevole che era stato
posto a capo della squadra sotto il suo sguardo scettico. Il rosso aveva
conquistato il suo rispetto in pochi semplici gesti, nonostante continuasse
costantemente a deriderlo per la sua statura piccina.
“Ti ha dovuto fare il lavaggio del cervello
per portarti sotto i suoi ideali, hai una forza di volontà che non immagini
neanche. Nonostante le torture sei sempre andato avanti, dopo la sua prima
disfatta ti sei rialzato rimettendo in gioco gli insegnamenti ricevuti con
l’intento di riscattarti, di darti una vita che tu credevi migliore. La vita
che vorresti per te stesso” provava invidia per quell’integrità morale, quel
desiderio di difendere i propri ideali mostratosi fin dai primi giorni in quel
lugubre posto. La luce ribelle di quegli occhi ceruli era stata l’ancora di
salvataggio alla quale si era appigliato ed era sicuro di non essere stato il
solo a farlo. Quante volte lo aveva visto trasgredire incurante gli ordini di
Vorkov intrufolandosi nelle segrete per portargli da mangiare dopo l’ennesima
tortura, quante volte lo aveva visto accollarsi la responsabilità, la colpa e
le relative conseguenze per errori commessi da loro. Il tutto senza un secondo
fine, faceva tutto quello che riteneva giusto perché desiderava farlo. “Come ha fatto anche durante il terzo
campionato”
La consapevolezza a cui quel ragionamento
portò Boris, lo fece pentire del modo in cui l’aveva attaccato, di come lo
aveva evitato sentendosi escluso restituendogli pan per focaccia, quando
probabilmente ciò che il suo amico aveva intenzione di fare, era solo dare loro
una vita normale priva di quella paura cieca in grado di farti stare
continuamente sull’attenti.
Yuri lo fissava con due occhi increduli, non
era preparato a ricevere elogi sinceri era abituato soltanto ad apprezzamenti
che riguardavano la sua carriera come blader. Il suo volto stupefatto era fin
troppo inusuale e il senso di colpa che portava dentro bussava alle porte dell’animo
pretendendo di dire la sua. Le parole di Bori lo avevano colpito, con la stessa
intensità con cui lo aveva colpito il silenzio iniziale della loro
conversazione, solo in modo totalmente opposto.
Lui era considerato il re dell’autocontrollo e
della freddezza, tratti che gli conferivano quell’aria quasi regale agli occhi
altrui ma Boris veniva raffigurato come un serial killer, una persona il cui
unico pensiero era trovare il modo di ferire il prossimo. In parte era così, ma
il moscovita andava oltre quelle apparenze a cui si fermava il resto della
popolazione. Sapeva di non aver ceduto facilmente a Volkov ma non immaginava
tutta la stima che Boris riservava nei suoi confronti, aveva legato con lui con
non poche difficoltà e inizialmente aveva pensato che quel legame fosse dettato
soltanto dall’istinto di sopravvivenza.
“Ti ho invidiato per la voglia di vivere
dimostrata nei momenti più bui, quando volevo strapparti il ruolo di capitano
ma mi rendevo conto che solo tu eri in grado di mantenere unite persone tanto
simili caratterialmente quanto diverse. Probabilmente senza i tuoi incentivi
noi non saremmo qui ora.”
Yuri serrò gli occhi per placare il bruciore
che li stava invadendo, “Non qui, non ora”
pensò mentre sentiva quel fastidioso prurito agli angoli crescere sempre più dove
quelle piccole goccioline premevano per uscire.
Aprì la sua bocca ma nessun suono ne uscì, il
suo apparato vocale non reagiva come desiderato e si ritrovò a boccheggiare
alla ricerca di qualcosa da dire prima di scoppiare. Boris inclinò la testa da
un lato, era difficile per lui capire l’effetto di quelle parole sul volto del
moscovita puntato verso il basso.
“Mi dispiace”
Boris per poco non si strozzò con la sua
stessa saliva al suono di quelle due paroline cariche di significati, ne
immaginava il costo pagato dal capitano verso la sua cortina d’orgoglio
invalicabile. In un primo momento pensò di averle immaginate, non aveva mai
ricevuto delle scuse da parte sua neanche quando gli erano dovute.
Lo stupore non era nulla paragonato a quello
provato nel notare il colorito propagatosi sulle guance del moscovita, molto
simile alla tonalità dei capelli infuocati. In quel momento avrebbe preferito di
gran lunga nascondere la sua faccia sottoterra.
Strinse le labbra alzando il volto per
guardare Boris dritto in faccia, non era da lui nascondersi davanti alle
difficoltà, doveva comportarsi come sempre.
Fu in quel momento che Boris si rese conto di
un’altra sfaccettatura caratteriale del moscovita, forse non aveva mai voluto
vederla o essa c’era sempre stata, ma fu allora che si accorse della sua parte
fragile, quella costantemente celata e oscura. Le iridi arrossate furono il
colpo di grazia a quell’armatura di orgoglio e testardaggine che si stava
sgretolando sotto i suoi occhi.
Sul quel viso stanco e smorto la fierezza però
non venne meno. Nonostante l’incrinatura ben visibile non avrebbe mai
abbandonato il suo cipiglio, non voleva perderci completamente la faccia.
Boris scosse il capo arrendendosi all’evidenza
che quel pel di carota come si divertiva a stuzzicarlo, non si sarebbe mai
mostrato debole sentendosi osservato. In silenzio, passo dopo passo, si
avvicinò al rosso intento a guardarlo sospettoso. Prima che potesse reagire in
qualche modo alzò le braccia attirandolo a sé.
“Non provare a scappare” sibilò aumentando la
presa nel momento in cui lo aveva sentito divincolarsi “Non ci provare dopo lo
sforzo che sto facendo” aggiunse in modo molto più calmo sospirando.
Yuri si arrese poggiando la fronte sul corpo
dell’altro mantenendo le braccia abbandonate inermi lungo i fianchi,
lasciandosi andare a quel calore rassicurante. Non rimanevano in quella
posizione da quasi dieci anni, ne avevano passate tante eppure non si erano mai
aperti così tanto a vicenda.
“Ti odio Boris”
“Io no Yuri”
Nel medesimo istante Boris aumentò la presa
poggiando il mento sulla testa fulva e il viso di Yuri venne solcato da due
lacrime silenziose e solitarie che dopo aver percorso i suoi lineamenti si persero
nell’incavo del collo.
Nessuno dei due portò il conto del tempo
passato in quella posizione, era il loro momento segreto lontano dagli occhi
critici degli altri. Yuri anche se non l’avrebbe ammesso trovava piacevole quel
calore, quella vicinanza dopo tutto il periodo di isolamento forzato. Quel
semplice gesto era una cura miracolosa.
“Yuri” disse ad un tratto l’argenteo
sospirando pesantemente “Dimentica quello che ti ho detto prima, non sei un
egoista”, il rosso si limitò ad annuire per quanto quelle braccia muscolose
glielo permisero. “Sei solo un bastardo manipolatore che in qualunque
situazione anche quelle sfavorevoli, riesce ad uscirne vincitore. Mi chiedo
come diavolo tu faccia brutto bastardo” concluse ironico.
Il pugno del moscovita cozzò con lo stomaco
del platinato, scagliato non con eccessiva forza, solo quel tanto necessario
per fargli perdere la presa ferrea. Il rosso sgusciò via fermandosi ad
osservare il ragazzo dolorante come un artista contempla l’opera appena
terminata.
“Ci riesco sempre perché io sono Yuri Ivanov”
rispose con un ghigno ironico mimando con il braccio una riverenza fasulla “Vedi
di non dimenticarlo”
“E chi se lo scorda un vanitoso come te”
sbottò Boris alzando gli occhi al cielo e massaggiandosi la parte lesa
continuando a borbottare parole incomprensibili mentre il moscovita si
abbassava all’altezza della lapide spostando con cautela i rovi intrecciati.
Nessun altro preambolo, era questo il modo in
cui interrompevano sempre una situazione troppo dolce per i loro caratteri.
L’altro si avvicinò guardando per la prima
volta la fotografia della donna, immortalata vi era una giovane ragazza dai
fluenti cappelli rossi che incorniciavano due occhi color ghiaccio dalla forma
meno allungata rispetto al figlio. “Sono
due gocce d’acqua “pensò concentrandosi sul sorriso radioso che le aveva
illuminato il volto in quel frangete lontano e si soffermò sull’unica
differenza che aveva con Yuri, una macchia rosea a forma di esse malferma sul
collo. Un brivido gli corse lungo la schiena e si guardò intorno circospetto
per poi scuotere il capo mestamente “No,
non può essere”.
“Vuoi continuare a fissarmi imbambolato o
pensi di darmi una mano?” chiese stizzito il rosso imprimendo una pressione
maggiore verso uno degli steli che proprio non ne voleva sapere di venire via.
L’argenteo si avvicinò strappandolo con un gesto semplice della mano, cosa che
non fece per nulla piacere all’altro che lo guardò corrucciato rimpiangendo in
quel momento di avere un bit power dei ghiacci e non del fuoco.
“Wolfborg”
il pensiero del suo beyblade gli aveva ricordato il
vento gelido che aveva fatto volare via il foglietto, quel pezzo di carta che
doveva essere ormai cenere. Senza quel foglietto probabilmente la conversazione
non sarebbe mai finita per il meglio.
Estrasse la piccola trottola dai pantaloni assottigliando
lo sguardo deciso al voler trovare una spiegazione logica a quel fenomeno. Il
suo sguardo venne catturato dal sorriso sornione che il lupo mostrava nel bit
chip, non si ricordava un disegno così felice. “Non dirmi che –“
“Hai intenzione di lanciare Wolfborg per
staccare i rampicanti?!” chiese agitato Boris osservando l’amico stringere quel
pezzo di metallo, per tutta risposta egli inarcò un sopracciglio chiedendosi se
potesse arrivare veramente a pensare una cosa così assurda. “Sì, conoscendo Boris tutto era possibile.”
“Ti ha forse dato di volta il cervello? Certo
che no!” ringhiò come se la sua risposta fosse la cosa più ovvia del mondo. Il
platinato alzò le mani per indicare una tregua e i due occhi azzurri tornarono
a rivolgere quello scintillio indagatore verso il bit chip, dove il lupo era
raffigurato questa volta con espressione austera senza l’ombra di un sorriso.
“Maledetto lupo” sussurrò mentre un debole
sorriso gli incurvava le labbra, una curva all’insù senza alcun secondo fine,
un timido sorriso sincero che non sfuggì nemmeno a Boris. Un gesto d’affetto rivolto
al suo compagno di una vita.
“Grazie”
Ed eccomi qui! Dopo anni di assenza torno con
un piccolo testo! (Sempre con Yuri…NdSergey) (Sempre con Boris…ndIvan).
Come hanno fatto notare i due simpaticoni, i
protagonisti sono sempre il freddo capitano della Neoborg e Boris! Lo so, vi
starete chiedendo se un girono scriverò di altri personaggi XD
Bando alle ciance voglio dirvi di essere
estremamente felice di aver visto diverse nuove storie sul fandom che avevo paura
di trovare ormai deserto. Spero che questa piccola storiella strappi almeno un
sorriso o non vi annoi troppo durante la lettura. Purtroppo non scrivevo da
molto e il mio stile è un po’ arrugginito..:/
Sarei lieta di ricevere le vostre
considerazioni, positive o negative esse siano. So bene ci sono storie qui
dentro di gran lunga migliori di questa ma nel mio piccolo spero di avervi
trasmesso qualche emozione.
Ringrazio in anticipo anche tutti coloro che
le daranno almeno una possibilità leggendola.
Baci baci a tutti dalla vostra Aky! <3
Questi personaggi non mi appartengono,
ma sono proprietà di Takao
Aoki ,questa
storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.