Rebirth

di Ksyl
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Se Kate fu sorpresa di trovarselo davanti inaspettatamente, non lo dimostrò affatto, facendo appello al suo formidabile autocontrollo, costruito grazie all'addestramento e temprato negli anni spesi a non dimostrargli la minima apertura, nonostante lui fosse sempre stato più che sicuro che non fosse così indifferente come voleva indurlo a credere. Gli venne da sorridere, ricordando un passato più felice che avevano condiviso tra quelle mura impolverate, che avevano decisamente bisogno di una rinfrescata.

Si piazzò davanti a lui, in totale silenzio, e gli lanciò un'occhiata severa che lo fece sentire sotto esame e sicuramente colpevole. Di che cosa, ancora non lo sapeva. Non si fece intimidire, perché dopotutto era pur sempre sua moglie e la conosceva da diverso tempo, anche se quando si mostrava nella sua armatura d'acciaio scintillante era difficile non farsi impressionare. E, in aggiunta, era impossibile non trovarla anche tremendamente sexy, ma quello era un altro discorso.
"Che cosa succede, Castle? Che cosa ci fai qui così presto? E perché hai quell'aria soddisfatta?". Snocciolò fulminea la serie di interrogativi con tono imperioso venato, lui riusciva perfettamente a notarlo, da una nota divertita che non le faceva comunque perdere di autorevolezza. La stessa che imponeva a chiunque di obbedire rispettosamente ai suoi ordini, grazie alla sola forza della sua formidabile sua presenza.
Era chiaro che non si sarebbe fatta ingannare così facilmente dalla sua faccia da poker, per quanto ne andasse orgoglioso. Forse aveva perso un po' di smalto o forse ormai si conoscevano troppo bene.

"Non posso passare a trovare mia moglie senza aver bisogno di un motivo ufficiale per farlo?".
La sua affermazione venne accolta da una buona dose di scetticismo condita da un silenzio pieno di sospetto. Non aveva intenzione di agevolargli il compito.
Tentò una manovra diversiva e, approfittando della tregua, accorciò la distanza tra loro e la baciò lievemente sulla guancia arrossata, appoggiandole una mano sul fianco. Trovandola insolitamente cedevole, la tirò contro di sé, per concedersi di avvolgerla in un vero abbraccio, senza limitarsi a un contatto fugace. Lei non si ritrasse, nonostante ritenesse prioritario mantenere le loro effusioni pubbliche entro una soglia decorosa, che lei stesse aveva stabilito una volta diventata capitano, e di cui l'aveva messo al corrente con fermezza, in diverse circostanze in cui lui aveva effettivamente esagerato.

Teneva sottobraccio dei faldoni pieni zeppi di documenti che finirono con il premergli contro il fianco, insieme al ventre teso e voluminoso che innescò in lui una sensazione di ben altra natura che lo sciolse. Abbracciarla cominciava a farsi complicato.
Gli parve un carico troppo pesante - si riferiva ai documenti e non all'essere vivente che si palesava dando dei minuscoli colpetti visibili a occhi nudo -, ma si trattenne dall'offrirsi di alleggerirlo, nonostante gli apparisse un po' trafelata. Anche per quel motivo era stato redarguito in più occasioni, non doveva trattarla come se fosse di cristallo, era in grado di svolgere delle banali mansioni d'ufficio, gli aveva spiegato risentita. Non si poteva dire che i loro scambi comunicativi fossero stati noiosi, nell'ultimo periodo. Ma lui non aveva mai detto ad alta voce "sbalzi umorali", e andava piuttosto orgoglioso di sé, pur avendo dovuto trattenere in extremis la lingua con una certa allarmante frequenza.

Kate depose i fascicoli sulla scrivania impeccabilmente ordinata, dandogli le spalle. Poi si volse di nuovo nella sua direzione, appoggiandosi al bordo esterno del tavolo, per tornare sull'argomento della sua inopportuna presenza non annunciata, che non intendeva lasciar cadere.
Nonostante il dibattito che sapeva essere in agguato, Castle si perse come sempre nella contemplazione adorante delle nuove forme di sua moglie - la magrezza della primavera scorsa era ormai uno spiacevole ricordo lontano - , i fianchi arrotondati, la postura un po' sbilanciata in avanti, lo sguardo più morbido, nonostante le preoccupazioni onnipresenti, che avrebbero limato l'ottimismo di chiunque.
Era incredibilmente bella, più di quanto fosse mai stata, anche se in modo diverso, e più di quanto lui non si concedesse di esternare, per non diventare monotono e ripetitivo. Offenderla, magari.
Si riscosse dalle sue fantasticherie quando incontrò il suo sguardo lievemente accigliato, le braccia incrociate sul petto. Kate si aspettava, con una certa impazienza non dissimulata, che lui illustrasse l'ultima delle sue idee strambe – era sicuro che se lo aspettasse da quando era entrata.

Decise che sarebbe stato saggio non tergiversare, l'obbiettivo che si era proposto era impegnativo, inutile nasconderlo. Non credeva fosse semplice convincerla a prendersi dei giorni di riposo, dopo aver trascorso già del tempo a casa durante la convalescenza, tempo che le era enormemente pesato. Era meglio affrontare direttamente la questione. Si allontanò e tornò ad affacciarsi alla finestra, fingendo di osservare il panorama con interesse, come aveva fatto poco prima.
"Mi stavo chiedendo... non sono splendidi questi colori autunnali? So che li ami molto". Pessimo tentativo di non tergiversare e terribile avvio di conversazione.
"Sei venuto a farmi un trattato sul foliage?". Pur non credendo minimamente alle sue parole, si predispose all'ascolto, fingendosi molto interessata alle successive esternazioni.
Castle ignorò il tono pungente, non perché non avesse voglia di imbarcarsi in uno dei loro soliti, amati battibecchi, ma perché aveva fretta di arrivare al punto.

"Perché non ci prendiamo qualche giorno solo per noi, viste le ottime previsioni per il resto del mese? È raro avere un autunno così mite".
Gli rivolse un'occhiata dubbiosa, aggrottando la fronte, per niente impressionata dalla sua uscita, soprattutto perché sapeva perfettamente che lui non era un fine conoscitore della situazione meteorologica del Paese. In effetti non aveva idea di come sarebbe stato il clima nei giorni seguenti. Aveva improvvisato. Per quel che ne sapeva poteva essere in arrivo una bufera di neve già quella sera stessa.
"Vuoi trascorrere un fine settimana negli Hamptons?". Era l'ipotesi più ovvia, trovò normale che fosse la prima idea ad esserle venuta in mente.
No, non voleva gli Hamptons. Voleva qualcosa di nuovo, solo per loro. Si trovò ad arricciare le labbra, mentre decideva come proseguire la conversazione, ma quando se ne accorse si impose di rilassare il viso, per assumere un'espressione neutra. Sapeva che lei avrebbe intuito che stava cercando di scegliere con cura le parole. E non le sarebbe piaciuto per nulla.

"Avevo in mente qualcosa di diverso e un po' più... prolungato. Possiamo dirigerci verso nord, o dove ci pare. Senza programmi".
Lo fissò a lungo, con quello sguardo penetrante che convinceva chiunque ad ammettere qualsiasi peccato, anche quelli non personalmente commessi.
"Hai parlato con Allison", lo accusò con voce bassa e controllata, che gli fece temere di avere effettivamente qualche colpa da espiare.
"Assolutamente no", si difese istintivamente.
"Non sei mai stato bravo a mentire, Castle".
"Ti sbagli. So mentire benissimo, sono un campione di bugie", replicò senza riflettere.
"Vantartene non mi rende ottimista sulla buona riuscita del nostro matrimonio", lo ammonì, cercando di rimanere seria. Si sorrisero come ai vecchi tempi, quando riconoscevano di aver di fronte un compagno dialettico altrettanto stimolante.

"D'accordo, posso aver formulato male la frase. E sì, sono un pessimo bugiardo. È stata Allison a suggerire l'idea e io credo che abbia ragione a consigliarci una breve vacanza, adesso che le cose si sono sistemate e tu stai... voi state bene". Non aggiunse che erano a vario grado tutti preoccupati per il suo stato d'animo e non solo per le sue condizioni fisiche, anche se erano felici che non ci fossero più pericoli concreti in un futuro prossimo finalmente quantificabile.
"Castle...". Scosse la testa, iniziando, presumeva, quella che sarebbe stata un'arringa ben motivata e inattaccabile sul piano dialettico, che avrebbe portato a un rifiuto più o meno definitivo. La precedette.
"Sai perfettamente che al distretto possono fare a meno di te".
"Grazie per aver sottolineato quanto io sia indispensabile nel luogo in cui passo la maggior parte del mio tempo", commentò garbata, come se fossero in un salotto ben arredato e in procinto di prendere un tè.
"Sei indispensabile per me", si lasciò sfuggire lui, con un tono che suonò più grave e sincero di quanto avesse previsto. Era vero. Più di quanto volessero ammettere entrambi, ma non era il momento di affrontare quel discorso.
"Intendo dire che hai una squadra di ottimi detective in grado di risolvere ogni omicidio senza problemi, visto che li hai addestrati tu", rispose conciliante, tentando di salvare il salvabile.
Kate sollevò un sopracciglio. "Pensavo fossi convinto di essere tu l'asso nella manica di questo distretto".
Touché.
"È vero. Ed è così. Ma hanno imparato bene".

Capì che di quel passo non sarebbero andati da nessuna parte, non solo figurativamente, e lui avrebbe faticato a mantenere la conversazione entro i binari utili al suo scopo, mentre lei avrebbe tentato di farla deviare in ogni modo possibile.
"Kate... possiamo evitare di imbarcarci nella solita lunga discussione in cui io trovo una serie di motivi ragionevoli per indurti a fare qualcosa, e tu li disinnescherai tutti, sapendo già in partenza che tanto alla fine capitolerai? Potremmo usare il tempo risparmiato in qualcosa di molto più proficuo".
Non aveva idea di quali fossero le cose più proficue a cui dedicarsi, ma era aperto a proposte.
"Sei molto sicuro di te, Castle. Che cosa ti fa credere che alla fine capitolerò?".
Sfoderò un sorriso impudente. "Perché ti ho convinta a sposarmi. C'è voluto del tempo, lo riconosco, ma...".
Dal canto suo la considerava un'obiezione inoppugnabile e, con suo stupore, parve crederlo anche lei. Non solo, gli venne incontro e appoggiò la testa contro il suo petto, cogliendolo di sorpresa. Qualcuno doveva averle fatto un incantesimo, non ricordava di aver vinto una divergenza di opinioni con tanta facilità a memoria d'uomo.

Naturalmente la accolse tra le braccia con ogni premura. Non era da lei chiedere conforto fisico, mostrarsi vulnerabile, soprattutto nel suo ufficio, visibile agli altri, in quello che lui aveva iniziato a considerare un casto santuario da cui era bandita ogni vicinanza fisica, pur amando trascorrervi all'interno momenti di calma tutti per loro che gli ricordavano gli anni trascorsi insieme a risolvere casi. E pensare che si era sempre aggirato in quei corridoi con allegra noncuranza e la certezza spensierata – quasi criminale, con il senno di poi – che tanto a loro non sarebbe mai successo niente di grave. Avrebbero arrestato assassini tra una punzecchiatura e l'altra, fatto cauti passi avanti nella loro relazione, bevuto litri di caffè e niente di brutto sarebbe mai successo.
"D'accordo", mormorò lei impercettibilmente alla fine. Dovette sforzarsi per non perdersi quella clamorosa resa.
"Così è troppo facile, Beckett", le sussurrò accarezzandole i capelli. "Mi farai credere di essere in grado di convincerti senza il prezzo di estenuanti trattative e così perderò il mio potere persuasivo e tu alla fine trionferai senza pietà. Conosco questa strategia".
Kate alzò la testa per trafiggerlo con un'occhiata sprezzante. "Mi stai dicendo che non ti va più di prenderti qualche giorno di vacanza, solo perché ho accettato troppo in fretta? Quanti anni hai? Dodici?".
La strinse più forte. "No, certo che no. È solo che l'euforia da vittoria mi ha offuscato la ragione".

Il problema non era lui, rifletté impensierito, ma il motivo per cui non era stato necessario ricorrere a voli pindarici basati su logica imbattibile per convincerla. Che stesse peggio di quanto credevano tutti e ne fosse consapevole lei per prima? Magari aveva già tentato di chiedere aiuto e lui non se ne era accorto, ma Allison sì? Era un tale pessimo marito? No, doveva stare calmo e non farsi prendere dalla paranoia. Lei era sempre Beckett, ardua da decifrare. E lui aveva la certezza assoluta di essere sempre stato pronto a cogliere ogni variazione del suo umore, ogni cambiamento rispetto alla norma, per quanto fosse possibile delineare una condizione di normalità in quella particolare situazione.
Doveva aver covato dentro di sé qualcosa di serio che solo adesso era riuscito a venire a galla.

"È che... ultimamente sono un po' stanca". L'ammissione dovette costarle molto. Castle rimase in silenzio, per non rovinare la sacralità del momento storico: Beckett si stava aprendo. "Da qualche tempo mi sembra di far fatica perfino a muovermi".
La staccò da sé allarmato, per scrutarla negli occhi. "Non ho nessun problema fisico, Castle", lo rassicurò, conoscendo i suoi timori. "I medici hanno detto che sto bene. Te lo hanno ripetuto più volte". Era vero, aveva avuto bisogno di qualche conferma in più. Peccato non avessero voluto rifare gli ultimi esami per esserne sicuri, come aveva richiesto in modo assolutamente discorsivo e non insistente come lei lo aveva accusato di aver fatto.
"Anzi, sono contenta che tu sia passato in anticipo. Penso che la mia giornata lavorativa possa concludersi qui".

Gli venne un accenno di tachicardia e oscuri presagi si materializzarono. Da quando smetteva di lavorare tanto presto? Una stakanovista come lei? Quel rossore sulle guance era naturale o nascondeva altro? Potevano passare al pronto soccorso quando volevano, anche per semplici dubbi o inezie, glielo avevano ripetuto fino allo sfinimento. Meglio una visita inutile in più che far peggiorare, anche lievemente, le sue condizioni.
"Non vuoi chiamare il tuo ginecologo? Magari..."
Kate gli posò un dito sulle labbra. "È solo stanchezza, Castle. Non preoccuparti". Si lasciò sfuggire un sospiro prolungato. "In realtà sono stanca di tutto, anche di questo".

Capì molto bene a che cosa si riferisse con l'ultima frase. Era stanca di infinite visite, analisi, consulti, prescrizioni, medicinali, divieti. Non doveva essere facile, inoltre, vivere con qualcuno che spiava in continuazione, più o meno visibilmente, le sue mosse, alla ricerca di possibili segnali negativi. La vacanza era necessaria. Sperò che andasse tutto bene, che potessero godersela senza interruzioni o malesseri. Solo loro due. D'un tratto smaniava all'idea di mettersi per strada e lasciarsi tutto alle spalle. Se non avessero fatto abbastanza in fretta sarebbe successo qualcosa, un contrattempo, un imprevisto che li avrebbero costretti a rimanere inchiodati alle loro responsabilità, invece che concedersi di fuggire lungo quel varco che si era miracolosamente aperto.

Ho risposto singolarmente ai commenti del primo capitolo, ma lo faccio anche qui. Sono molto felice che ci sia ancora tanto amore per i Caskett e desiderio di tenerli vivi, grazie per aver condiviso i vostri pensieri a riguardo! Che possano nascere e vivere sempre più storie Caskett :-)





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