Briseide, una vita senza amore

di Veronicariel
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Briseide, una vita senza amore.

 
La mia vita sembrava destinata a scivolare via in maniera limpida, costante e tranquilla, come i semi che si lasciano i loro padri alberi alle spalle per unirsi alla corrente e germinare felici altrove. Sperimentai allora, oscuro e triste attimo di buio dalla lunga e tetra ombra, cosa significasse perdere ogni certezza: la melensa certezza della quiete, la solida certezza delle comodità, la vigorosa certezza dell’amore per mio marito e la felice certezza di essere rispettata come donna e come regina.
Da un’ormai prossima lontananza l’aria portava lo sfregamento delle spade, l’odore di sangue m’empiva le narici e la morte cadde lieve e greve su di me: un uomo a cavallo uccise mio marito e mi rapì.
Aveva l’aspetto della vita più rigogliosa e l’odore della morte più profonda; era forte, affascinante, energico ma letale come il fiele. Pareva quasi che i suoi pasti fossero fatti della paura che incuteva nelle sue vittime, manforte data dal suo focoso vigore. E infelice e felice vittima fui anche io, disperata ad una sorte di nascosto amore inesorabile, non lo nascondo. Differenza fu che la matassa dei nostri corpi non si aggrovigliò con armature, scudi o elmi, no: solo ci muovevano passione e desiderio. Ratta prigioniera di Eros crudele, la mia vita era cambiata, diventata altra, questa: il mio dovere era accontentare Achille, sperando, nel tempo che sapevo essere tiranno, di potermi ancora a lungo cullare nel dolce sogno che tutto sarebbe durato per sempre. 
Mi sentivo bene e in pace, in una situazione che aveva turbato tutta la mia vita precedente come un fulmine a ciel sereno. Non avevo capito che quella, però, non era quiete dopo la tempesta: quando Poseidone adirato scosse le lande marine, la mia storia continuò ancora e ancora, e io divenni quasi Odìssea naufraga di casa.
In un giorno di sole giunsero araldi di Agamennone chiedendo di me. Volevano portarmi da Agamennone: egli aveva restituito di già la sua schiava al padre Crise, ed altro corpo di donna volle chiedere al Destino con forza ed arroganza. Pretendeva una sostituta di un certo valore. Ma io sapevo che egli non avrebbe raggiunto il suo scopo, io lo sapevo, ne ero certa: Achille non avrebbe mai rinunciato a me e alle amorose nostre giornate d’amore. L’amore che il Pelide provava per me lo leggevo inciso nei suoi occhi, traspariva da ogni gesto e da ogni respiro, cosicché io mi feci forza forte di queste mie percezioni. Ma proprio in quel momento Poseidone tuonò con il tridente colpendo la terra e scatenò la furia della tempesta che credevo già passata: Achille accolse gli araldi di Agamennone, offrì loro da bere, e non solo. Dopo lo vidi parlare in disparte con Patroclo, pochi minuti, ma senza che nessuna ruga di rabbia gli stropicciasse il viso. E dopo ancora ero già scortata via dai fedeli di Agamennone. Ma io non opposi resistenza, nessuna lacrima riempì i miei occhi e rigò il mio viso. Non aveva più senso ormai. Continuai a guardare, incredula, umiliata e ferita Achille, colui che disperatamente ancora amai e forse amavo, fino a quando, dopo aver percorso molta strada, la sua figura non si fece talmente piccola da confondermi nel campo di tende dei Mirmìdoni.
Ancora e di nuovo le mie sicurezze andavano perdute: la quiete, la comodità, la famiglia, il rispetto. Ma sarei riuscita ad accettare una vita senza. Solo per una mi sentii disperata: sciagurata, ero destinata a vivere senza amore.




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