La
luce della luna inargentava le case della città di Aura,
dominate dall'immenso castello, e il vento, che spirava tra gli
alberi, faceva risuonare il silenzio di malinconiche melodie.
Una
figura umana alta e snella, avvolta in un ampio mantello rosso cupo,
bordato di pelliccia, contemplava il paesaggio da un'ampia torre.
I
lunghi e ondulati capelli neri circondavano un viso femminile dai
lineamenti delicati, su cui spiccavano gli occhi verdi, simili a
smeraldi, ombreggiati da lunghe ciglia curve e nere.
Una
corona di perle rosse era poggiata sulla sua testa e il suo collo
sottile era cinto da una collana di perle barocche, un po' più
chiare della corona.
Di
tanto in tanto, con gesti lenti, quasi meccanici, la ragazza si
sistemava l'ampio mantello sulle spalle.
Alzò
la testa e volse lo sguardo verso l'astro notturno.
–
E'
finita così... Prima che potesse cominciare? – mormorò
con voce flebile. Finalmente, la guerra era finita e il regno di
Ametista fremeva di gioia.
La
pace, dopo un'aspra lotta, era stata raggiunta e i millenari
contrasti tra il suo paese e il regno di Stellaria sembravano essersi
dissolti, come un miraggio in un deserto.
Accennò
ad un lieve sorriso. Certo, negli abitanti dei due regni sembrava
ardere il desiderio di vivere, ma quale tributo era stato pagato ad
una simile, meravigliosa situazione?
Quanti
eroici paladini avevano versato il loro sangue per liberare due regni
da uno stato di perenne conflitto?
Alcune
lacrime rigarono le candide gote di lei. Un tempo, lei, Ailynna,
principessa del regno di Ametista, aveva bramato con ardore la pace,
ma, in quel momento, non sentiva gioia.
Tra
gli eroi periti per la pace, ai suoi occhi, spiccavano i nomi di suo
fratello Fen, di sua sorella Dairine…
E
poi c’era lui.
Nathos,
il vento viola.
Il
guerriero più coraggioso del regno di Ametista.
L’eroe
che aveva sconfitto il drago a quattro testa della Foresta
dell’Incubo.
–
Nemmeno
lui è riuscito a sopravvivere a questa inutile sciagura…
E dire che me lo aveva promesso… – sussurrò,
volgendo gli occhi, lucidi di lacrime, verso la luna. I sovrani di
Ametista amavano quel giovane combattente.
Ad
una indiscussa fisica, univa un coraggio leonino e un animo fermo e
limpido come la lama di spada.
Mai
avrebbe osato rivolgere la sua forza contro persone indifese.
Quante
vite erano state salvate, grazie alla forza della sua spada?
Ailynna
chiuse gli occhi e si abbandonò ai ricordi. Il loro amore, al
compimento dei diciassette anni di entrambi, si era esplicato nella
sua pienezza.
Quando
si erano confessati il reciproco sentimento, entrambi tremavano
dall’imbarazzo e quasi non riuscivano a proferire parola.
Solo
un bacio, lieve come un petalo staccato da un fiore, aveva suggellato
il loro amore.
Un
singhiozzo le sollevò il petto e le sue dita sottili,
d’istinto, si strinsero a pugno. Qualche tempo dopo, avevano
deciso di rendere chiaro alle loro famiglie il loro reciproco
sentimento e, con sorpresa di entrambi, i sovrani del regno di
Ametista avevano acconsentito ad un loro, futuro matrimonio.
Con
suo grande dispiacere, suo padre aveva subordinato questo evento alla
fine della guerra con il regno di Stellaria.
Voleva
che le loro nozze fossero l’atto conclusivo di un conflitto che
si prolungava ormai da tanto, troppo tempo.
E
sua madre era concorde, perché riteneva giusto che la spada di
Nathos fosse al servizio dell’intera popolazione.
Pur
con tristezza, aveva acconsentito a questa condizione. Certo, era la
principessa, ma, in quei tristi momenti, non poteva godere di
privilegi negati alle altre donne del regno che non avevano scelto la
strada della guerra.
Anzi,
doveva mostrare la sua vicinanza al loro dolore.
Il
Fato con me è stato crudele…, meditò,
amara. La guerra, come una belva implacabile, le aveva sottratto suo
fratello e sua sorella, che erano stati sepolti in una cripta di
cristallo magico, in una cerimonia funebre olezzante d’orchidee
e gigli e risuonante di canti lugubri e amari.
Suo
padre, il potente re guerriero di Ametista, a stento frenava la sua
sofferenza, che si esplicava nell’impercettibile tremito delle
spalle.
In
quel giorno, non solo aveva perduto i suoi amati figli, ma anche la
sua splendida moglie, stroncata dal dolore.
Vedendo
i loro corpi, rossi di sangue e pietrificati in un innaturale
pallore, Nyla, sua madre,
si era afflosciata sul pavimento marmoreo della sala del trono.
Nathos,
discreto, le era stato accanto, per quanto gli era stato consentito
dai suoi doveri di guerriero.
Non
dimenticava di portarle un fiore, durante i giorni di tregua.
Oltre
quell’armatura metallica, rossa di sangue, si celava un cuore
nobile e generoso, che risplendeva nei suoi scintillanti occhi blu,
screziati di pagliuzze dorate.
Quei
piccoli gesti riscaldavano il suo cuore, prossimo al gelo.
Per
tanto tempo, aveva sperato che la guerra risparmiasse lui e le desse
la possibilità di essere felice.
Ma
questo suo desiderio non sarebbe stato esaudito.
–
Anche
lui… Anche lui è stato riportato privo di vita…
– sussurrò, il tono tremante. Anche
il corpo di Nathos era stato ricondotto da loro in una bara, come
era accaduto a suo fratello e a sua sorella…
Alcuni
soldati, gli occhi colmi di lacrime, lo avevano portato fino al
palazzo reale e avevano raccontato cosa fosse successo.
Si
irrigidì. Pur di salvare la retroguardia dell’esercito,
attirata in una imboscata aveva combattuto da solo contro centinaia
di nemici e, malgrado la sua forza, era stato sopraffatto.
I
loro nemici avrebbero voluto dare quel corpo agli avvoltoi, ma,
grazie all’intervento di due paladini di Stellaria, Aedan, il
leone nero, e Adrastea, la
tigre rossa, questo non era accaduto e avevano potuto dargli una
onorata sepoltura.
Il
suo corpo riposava accanto a quelli di Fen e Dairine, essendo stati
uniti in vita da una amicizia salda e forte, che nulla avrebbe potuto
infrangere.
Ma,
con lui, era morta anche lei.
Certo,
il suo corpo era ancora vivo, ma la sua anima era fredda.
In
quei giorni, malgrado il suo aspetto non fosse mutato, le sembrava di
essere estranea al mondo che la circondava.
E
nemmeno la fine di quel lungo, atroce conflitto era riuscito a ridare
alla sua anima gelida il calore di una emozione.
Aprì
un poco il mantello e staccò dalla cintura un lungo pugnale
dall’impugnatura d’oro, incrostata di gemme policrome.
Ormai, ne era sicura, non poteva più continuare a condurre
un’esistenza simile.
Con
la morte di Nathos, lei si era trasformata in uno spettro privo di
sentimenti e nemmeno l’amore di suo padre era riuscito a
scuoterla.
Anzi,
anche se non voleva ammetterlo, quelle attenzioni la infastidivano.
Esprimevano
l’affetto di suo padre verso di lei, ma, in quei giorni,
desiderava la solitudine.
Accennò
ad un sorriso. Sì, ne era certo, aveva preso la decisione
corretta.
Con
la sua scomparsa, suo padre non avrebbe più sofferto il
suo carattere ombroso e cupo.
E
lei, finalmente, avrebbe rivisto sua madre, i suoi fratelli e Nathos…
La
sua pena si sarebbe placata nel sonno della morte.
–
Sto
arrivando… Aspettatemi. – mormorò e, con un gesto
deciso, si pugnalò al cuore.
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