6.6
Capitolo V
L'Arma
«Allora sei proprio sicura di non voler venire?» le chiese William, entrando nella sua stanza.
«Sicurissima» rispose Megan, distrattamente, senza sollevare lo sguardo dal libro che stava fingendo di leggere.
La sera prima, infatti, zia Elizabeth aveva proposto una gita di un
paio di giorni a Snowdonia, un parco naturalistico ai piedi del monte
Snowdon, “un luogo magico, dove anche il più potente degli
stregoni si inchina alla maestosità incantevole della
natura” aveva detto, recitando quanto aveva scritto nel suo
articolo.
I suoi genitori e suo fratello aveva aderito all'idea con entusiasmo, mentre Megan aveva deciso di rimanere a casa.
«Ti farebbe bene staccare un po'» stava insistendo suo fratello, sedendosi sull'angolo della scrivania.
Megan sollevò gli occhi al cielo «L'ultima volta che mi
hai consigliato di uscire, stare in mezzo agli altri, staccare un po',
chiamalo come vuoi, si è rivelata una pessima idea,
ricordi?» disse.
«D'accordo, come vuoi» si arrese Will «Se preferisci
restare qui da sola a leggere…» continuò,
afferrando un libro appoggiato sulla scrivania «Attaccare per non
essere attaccati: quando la Difesa non è una scelta» lesse
sulla copertina «Che roba è?» chiese, perplesso,
rigirandosi il libro tra la mani.
«Niente» rispose Megan, sbrigativa, balzando giù dal letto per strappargli via il volume.
Suo fratello la fissò per un momento, ma non aggiunse altro.
«William, dobbiamo andare!» gridò sua madre dal piano di sotto.
«Bé, allora ci vediamo tra un paio di giorni» la salutò suo fratello, prima di uscire dalla stanza.
Era stato un po' freddo, pensò Megan, ma non se ne preoccupò.
La sua attenzione, infatti, era concentrata su un'unica cosa: l'incubo,
che aveva avuto due notti prima, si stagliava ancora nitido nella sua
mente, ed era stato così reale da sembrare qualcosa di
più di un sogno terrificante.
La Sala Grande di Hogwarts era addobbata a festa, come la sera del Ballo del Ceppo.
I tavoli delle Case erano spariti e, al loro posto, erano stati
posizionati molti piccoli tavolini rotondi, ognuno dei quali ospitava
vistose decorazioni floreali; striscioni verde e argento erano appesi
ad ogni angolo e magnifiche statue di ghiaccio punteggiavano la Sala,
scintillando alla luce delle candele.
Si respirava un delicato aroma di incenso e di rose.
Megan, che si trovava sulla pedana rialzata in fondo alla Sala, si guardò intorno.
Era sola.
«Ora sei tu la Campionessa» disse una voce, all'improvviso.
Megan si voltò di scatto e riconobbe subito chi aveva parlato: Cedric, elegante e bellissimo, le venne incontro.
«Guarda, sono venuti tutti per te» sussurrò avvicinandosi ancora di più a lei.
In effetti, in un attimo la Sala Grande si era riempita. Megan
intravide i volti dei suoi amici, sorridenti, accerchiati da una folla
di studenti, insegnanti, giornalisti, funzionari del Ministero e
dignitari stranieri. Tutti ora le stavano sorridendo.
«Ma cosa?» chiese, e di nuovo Cedric si affrettò a
spiegare «È la festa in tuo onore» disse, con un
ampio sorriso.
In quel momento, Megan si rese conto di indossare un abito splendido, blu notte, con raffinati ricami d'argento.
«Per la vittoria contro Potter e Silente» continuò
Cedric «Lui non ce l'avrebbe mai fatta senza di te. Ora
inizierà una nuova era».
Megan non capiva, ma tutti gli sguardi continuavano ad essere puntati su di lei.
«Apriamo le danze?» propose Cedric.
Un'orchestra apparve dal nulla e cominciò a suonare.
Cedric la prese sottobraccio e la condusse fino al centro della Sala; la folla fece largo al loro passaggio.
Ballarono per quelle che a Megan parvero ore.
Tutti gli ospiti continuavano a rivolgerle sorrisi e sguardi di
ammirazione, e ogni tanto Megan riusciva a captare qualche commento.
«Le saremo per sempre grati».
«Verrà insignita dell'Ordine di Merlino».
«Ora finalmente potremo smettere di nasconderci».
Megan si abituò in fretta a tutte quelle attenzioni e lo stupore
iniziale lasciò presto il posto alla consapevolezza. Lei
meritava quei complimenti, quella festa, quell'incondizionata
gratitudine.
All'improvviso, le porte della Sala Grande si spalancarono e un vento gelido eruppe all'interno.
Le candele si spensero, l'orchestra tacque e grida di terrore serpeggiarono tra gli ospiti.
Un uomo, incappucciato e ammantato di nero, venne avanti.
«Tu!» disse, puntando l'indice contro di lei.
Aveva una voce familiare, ma un po' soffocata e Megan non riuscì a capire a chi appartenesse.
«Tu» ripeté «Sei stata tu a fare tutto questo».
Megan era di nuovo confusa, che cosa aveva fatto? Chi era l'uomo che la
stava accusando, dopo che lei aveva portato pace e gioia al loro mondo?
«Ci hai condannati tutti!» continuò lo sconosciuto.
Megan non si rese conto di aver parlato, ma udì le proprie parole echeggiare nella Sala.
«Ho solo fatto ciò che era giusto!»
«Giusto?» la schernì l'uomo.
La sua voce era gelida e Megan di nuovo ebbe la sensazione di averla
già sentita prima, anche se non riusciva a ricordare.
«Guarda» continuò l'uomo «Guarda quanto è giusto».
Megan obbedì e si guardo attorno.
La folla festante intorno a lei era sparita: la Sala ora era immersa
nella penombra, ma si distinguevano chiaramente alcune forme, ombre,
corpi forse, riversi sul pavimento, accasciati su sedie e tavolini,
molti dei quali ribaltati .
Un liquido scuro e denso scintillava alla luce della luna.
Era sangue.
«È giusto questo?» chiese di nuovo l'uomo,
afferrando uno dei cadaveri che giaceva per terra. Megan lo riconobbe,
era Ron Weasley, pallido e inequivocabilmente morto.
«E questo?» continuò l'uomo, sollevando la testa di
un altro ragazzo, Dean Thomas, seduto in modo scomposto a un tavolo
poco distante.
«E questo? E questo?» continuò, ripetendo lo stesso gesto ancora e ancora.
Alla fine, Megan riconobbe metà della scolaresca di Hogwarts,
tutti gli amici di Harry, i membri dell'ES, alcuni insegnanti e tanti,
tanti altri.
Erano tutti morti.
No, non morti, erano stati uccisi.
Tutti quanti.
L'aria ora era ammorbata da un tanfo insopportabile, putrido.
Era l'odore della morte.
«Hai visto che cosa hai fatto?» chiese l'uomo, facendosi avanti.
Si scoprì il capo.
Una massa di capelli neri gli ricadde sulle spalle; sollevò la testa e finalmente Megan lo riconobbe.
Non era un uomo, era una ragazza, perfettamente identica a lei.
«Hai visto che cosa hai fatto?» ripeté.
Questa volta parlò con voce alta e squillante; una voce proprio identica alla sua.
«Hai visto che cosa sei diventata?» chiese.
«Guarda» ordinò la sua copia, sospingendola verso la
grande finestra in fondo alla sala.
Il vetro lucido le restituì il suo riflesso. Non indossava
più il bel vestito blu, ma un lungo mantello scuro, sopra quella
che sembrava essere una divisa, una specie di tuta di pelle nera.
«Guarda» disse il suo riflesso, ma Megan sapeva non di non aver parlato questa volta.
«Guarda» ripeté ancora la sua immagine, afferrandosi il polso sinistro e tirando su la manica.
C'era una macchia scura sull'avambraccio, una specie di grosso tatuaggio che sembrava essere dotato di vita propria.
Megan copiò il gesto e si scoprì il braccio.
Il Marchio Nero, nel venire alla luce, ammiccò orrendamente.
«Harry Potter è morto» disse una voce, acuta e fredda, prorompendo in una risata gelida e raccapricciante.
Un teschio pallido, due occhi rossi come il sangue e un serpente
gigantesco, furono queste le ultime cose che Megan vide, prima di
svegliarsi nel suo letto, a casa sua, sudata e stremata.
«Era solo un sogno» aveva poi detto a se
stessa, mettendosi a sedere e cercando di calmarsi; aveva il fiatone,
come se avesse appena corso una maratona e si sentiva squassata da
brividi incontrollabili.
«Solo un orribile, innocuo sogno. È colpa di tutto quello
che ho mangiato» si era detta di nuovo, ricordando il ricco
cenone di Natale della sera prima, fatto di timballi e pasticci di
carne, spezzatini e l'immancabile Christmas Pudding.
Ma tutte le spiegazioni del mondo non erano riuscite a calmarla.
Quel sogno non poteva essere casuale, doveva avere un significato e c'era una sola persona a cui Megan potesse rivolgersi.
Non era più riuscita a chiudere occhio e all'alba era giunta a un decisione: doveva andare da Voldemort.
Le parole di Sirius, a cui non aveva più pensato da settimane,
le riecheggiavano nelle orecchie costantemente “Cerca una cosa
che non aveva l'ultima volta… un'arma”.
E se fosse lei l'arma? Si era chiesta.
Quattordici anni prima non era che una neonata con il moccio al naso, ma adesso era quasi un'adulta, e poteva servirgli.
Ma come poteva lei essergli di qualche aiuto?
E, soprattutto, voleva esserlo?
Negli ultimi tempi, Megan si era ritrovata pericolosamente davanti a una risposta.
Aveva iniziato a riflettere su alcune cose, cose che l'avevano riempita di orrore per il solo fatto di averle pensate.
Si era chiesta, infatti, se Voldemort, così come Draco e la
quasi totalità delle persone che conosceva e di cui si fidava,
non avessero ragione riguardo ai Babbani e ai Nati Babbani.
Tre anni prima, la risposta a quella domanda era stata decisamente
affermativa, ma poi era cresciuta, maturata, aveva, per così
dire, ampliato i propri orizzonti e si ricreduta su molte cose che
aveva sempre ritenuto, se non vere, quantomeno non importanti
abbastanza da richiedere la sua attenzione.
Ma da quando aveva scoperto chi era realmente, quelle nuove certezze
avevano cominciato a sgretolarsi e Megan era tornata a chiedersi se,
dopotutto, il fine che Voldemort si era prefissato non fosse, in
qualche misura, nobile e giusto.
Era così malvagio sperare nella creazione di una potente
società di maghi, compatta e unita, a guida di tutto il mondo?
Certo, i metodi di Voldemort si erano rivelati crudeli e spietati, ma
era colpa sua se la ferma opposizione di persone come Silente e tanti
altri li avevano resi necessari?
Naturalmente, restava il fatto che il Signore Oscuro aveva cercato di
uccidere un bambino innocente, un crimine davvero orrendo, ma ormai il
bambino era cresciuto e comunque la cosa sembrava essere diventata un
fatto di principio.
Non aveva senso interrogarsi su cose che non poteva conoscere e che a stento riusciva a comprendere.
Non aveva altra scelta: doveva parlare con Voldemort, capirne le intenzioni, magari negoziare?
Non era possibile credere che il Signore Oscuro sarebbe sceso a patti
con qualcuno, ma magari con lei sì; se era lei l'arma che gli
serviva, forse avrebbe accettato qualche condizione, forse…
Probabilmente erano solo le illusioni di una ragazzina, ma ormai il
desiderio di incontrare Voldemort si era fatto strada dentro di lei,
voleva capire, voleva prendere in mano la sua vita e il suo destino, e
per farlo non poteva continuare a nascondere la testa sotto la sabbia e
fingere di ignorare la realtà.
Lei era la figlia del Signore Oscuro e doveva comprendere fino in fondo che cosa significasse.
Per realizzare questo piano, questo assurdo e pazzo piano,
c'era solo un ostacolo da superare, e zia Elizabeth, con il suo
viaggio, aveva dato a Megan l'occasione perfetta: avrebbe aspettato che
la sua famiglia partisse, quindi, da sola, sarebbe andata da Lui.
In verità, non sapeva dove si trovasse, e non poteva di certo chiederlo a chiunque.
“Zio Lucius” pensò d'un tratto.
Era la soluzione più semplice e Megan si diede della stupida per non averci pensato subito.
Si vestì in fretta, prese un po' di denaro Babbano e qualche
galeone dei maghi, quindi uscì di casa. Avrebbe potuto
raggiungere Villa Malfoy con la Metropolvere, ma non era sicura che i
camini fossero sempre collegati e, inoltre, non voleva che il Ministero
tracciasse i suoi movimenti. Non sarebbe apparso affatto insolito che
qualcuno dei Parker si fosse Materializzato a casa dei Malfoy, ma
comunque non voleva correre rischi.
Con l'autobus raggiunse la metropolitana, che la portò a
Victoria Station dove vide che c'era un treno per Swindon, nello
Wiltshire, alle due e mezza; da lì, poi, avrebbe preso un altro
autobus per Devizes, quindi avrebbe proseguito a piedi fino al maniero
dei Malfoy. In tutto il viaggio sarebbe durato più di tre ore;
non era comodo come la Metropolvere, ma non era neppure proibitivo.
Acquistò il biglietto e, dopo pochi minuti di attesa, sentì l'altoparlante annunciare il binario del suo treno.
Poteva ancora tirarsi indietro, gettare il biglietto nella spazzatura e
tornare a casa. Forse sarebbe stata la cosa più sensata da fare.
O poteva prendere il treno e arrivare a Villa Malfoy. Avrebbe avuto
qualche ora per riflettere e, una volta giunta lì, poteva sempre
dire che era venuta perché la sua famiglia era partita e non
voleva restare da sola. Non era vero, naturalmente, e sicuramente Draco
non le avrebbe creduto. Doveva trovare un modo per sviare i sospetti,
se si fosse reso necessario.
“Non volevo restare da sola perché… Perché
da sola penso a Cedric!” era una scusa perfettamente plausibile,
anzi era la verità. Se fosse rimasta a casa avrebbe pensato a
lui, a come sarebbe stato quel Natale se lui non fosse morto, se
Voldemort l'avesse risparmiato.
Già, Voldemort, il suo malvagio, crudele, abietto papà.
Che cosa avrebbe fatto una volta arrivata? Che cosa gli avrebbe detto?
Voldemort la voleva dalla sua parte gliel'aveva detto subito,
perché poteva rivelarsi un'alleata preziosa e forse qualcosa di
più.
Viveva ad Hogwarts, conosceva Harry, poteva diventare un'utile
spia… Ma Megan aveva perso il controllo e si era inimicata
Potter e i suoi amici; come l'avrebbe presa Voldemort? L'aveva
avvertita che questo sarebbe potuto accedere, quindi forse l'avrebbe
giudicato un fatto positivo. O magari si sarebbe arrabbiato, avrebbe
compreso che una ragazzina non gli occorreva. E appunto, come poteva
una ragazzina essere l'arma?
Un'ondata di panico la travolse.
“Stupida, non ti ucciderà!” si disse, ritrovando la calma.
Era ovvio che non potesse ucciderla: la morte di un altro studente
avrebbe attirato l'attenzione, ed era proprio quello che Voldemort
evitava da mesi.
Forse però incontrarlo non sarebbe comunque stata una buona idea.
Il suo era stato solamente un sogno, terribile, ma innocuo, e non
poteva significare nulla. La Veggenza era un dono tanto raro quanto
ambiguo e il fatto di aver sognato una cosa mai accaduta, non la
rendeva certo una Profezia. Non sarebbe diventata una spietata
assassina solo perché aveva sognato il massacro dei suoi
compagni.
E poi, che cosa avrebbe potuto dirle Voldemort? Che era quello il suo
destino e doveva rassegnarsi? O era una rassicurazione, quella cercava?
Voleva forse sentirsi dire da lui che non avrebbe mai fatto nulla del
genere, che non avrebbe mai compiuto una strage di innocenti e che si
sarebbe limitato a dare la caccia solo a Harry?
Forse in questo Megan poteva davvero aiutarlo.
In fondo, la morte di una sola persona non era un prezzo equo per la vita di centinaia di altre?
Quanti erano morti per permettere a Harry di vivere? E quella lotta senza fine quante vittime aveva già causato?
Era un ragionamento un po' spietato, ma era la verità.
Come poteva Harry restarsene tranquillo, mentre gli altri rischiavano
tutto per proteggerlo? Forse i suoi pensieri non erano propriamente
corretti, ma il comportamento di Harry non era da meno.
Aveva deciso: sarebbe andata da Voldemort e avrebbe cercato di intuirne
le intenzioni. Forse si sarebbe rivelato uno spreco di tempo, o forse
sarebbe riuscita a sopravvivere alla guerra che stava per scoppiare, o
magari sarebbe perfino riuscita ad evitarla.
Era un pensiero eccitante e le prime immagini del sogno, quelle dove
Megan veniva acclamata da una folla ammirata, riaffiorarono nella sua
mente e la cullarono dolcemente, assecondando il lento
sferragliare del treno che lasciava la città.
*
«Megan, che piacere vederti!» la salutò Narcissa,
scendendo l'ampia scalinata di marmo. Indossava uno splendido abito da
strega, di velluto blu scuro molto pesante, con un'ampia scollatura che
metteva bene in mostra uno stupendo collier di zaffiri, in perfetta
armonia con i suo occhi azzurro intenso.
Megan capì di essere arrivata in un momento poco opportuno: i Malfoy stavano uscendo per una serata di gala.
«Draco non c'è, è andato dai Goyle» proseguì la donna.
Megan ignorò l'ultimo commento. «Mi dispiace disturbavi a
quest'ora e senza preavviso, ma ho bisogno di vedere Lucius»
disse.
Il volto di Narcissa si adombrò per un momento, quindi con un
sorriso indicò il piano di sopra, dove si trovava lo studio del
marito.
Senza esitare, Megan lo raggiunse.
Trovò Lucius seduto alla sua scrivania, intento ad apporre il suo sigillo su alcune pergamene.
«Ciao zio» lo salutò, come era solita fare. Aveva
parlato con voce leggermente stridula, che tradiva il suo nervosismo;
tuttavia, Lucius parve non notarlo. Sollevò la testa e le
sorrise.
«Megan, come mai qui?» chiese Lucius, non senza garbo.
«Se avessi saputo del vostro arrivo, vi avrei fatto
riservare un invito dal Ministro».
«Veramente ci sono solo io» disse Megan, suscitando
un'espressione sorpresa sul volto di Lucius. «Will e i miei sono
partiti» spiegò.
Lucius annuì, ma conservò ancora quell'espressione di educata sorpresa. Megan non sapeva da dove cominciare.
«Ecco, io» si risolse «Non sapevo a chi altri
rivolgermi per…» esitò, sperando che Lucius capisse
da solo, nonostante non gli avesse fornito alcun dettaglio.
«Per vederlo» esalò alla fine, tutto d'un fiato, fissando il volto di Lucius per coglierne ogni espressione.
«Capisco» disse lui, semplicemente. Il suo volto,
perennemente atteggiato in una smorfia di indolenza, mutò di
colpo in un espressione dura e attenta. Il flemmatico Lucius Malfoy si
era tramutato nell'efficiente Mangiamorte.
«Capisco» ripeté.
Rimase per un po' in silenzio, quindi si alzò dalla sua sedia e si accostò al camino freddo.
Megan si sentiva soffocare dall'inquietudine. Se Lucius si fosse
rifiutato di aiutarla, lei che cosa avrebbe fatto, a chi altri avrebbe
potuto rivolgersi? E se invece l'avesse accontentata, sarebbe stata in
grado di affrontare Voldemort da sola? Già, perché questa
volta non ci sarebbero stati i suoi genitori e nemmeno gli altri
Mangiamorte. Forse la sua era stata una decisione troppo avventata e
avrebbe finito col pentirsene amaramente. Tuttavia, non voleva
mostrarsi spaventata o titubante; rimase ferma sulla porta, in
silenzio, aspettando che Lucius parlasse. Per fortuna, non dovette
attendere molto.
«Molto bene» disse Lucius alla fine «Ti
porterò da lui. Hai mai usato la Materializzazione
Congiunta?» le chiese. Megan scosse la testa.
«In questo periodo il Ministero non viene allertato dalle tracce,
dal momento che ci sono troppi ragazzi in casa con le famiglie, e poi
in questa circostanza la Materializzazione è più sicura
di qualunque altro mezzo di Trasporto Magico» spiegò.
Megan annuì e si avvicinò a Lucius, che le porgeva il
braccio. «Non sarà piacevole» l'avvertì.
Megan non ebbe neanche il tempo di pensare a che cosa avrebbe provato,
quando improvvisamente percepì il pavimento di lucido marmo
svanire da sotto i suoi piedi.
La sensazione era simile a quella che si prova a letto, quando ci si
sta per addormentare e per un attimo si ha l'impressione di
cadere nel vuoto; solo che in quella circostanza si tratta di una cosa
passeggera e le pareti solide e il morbido materasso offrono un
immediato conforto e uno stabile supporto.
In quel momento, invece, tutto il mondo le turbinò intorno e
l'unica cosa salda e rassicurante era il braccio di Lucius, a cui Megan
si aggrappò furiosamente. Una densa tenebra le piombò
addosso e Megan si sentì premere contro una forza invisibile e
irresistibile, come una morsa che minacciava di toglierle il respiro e
stritolarla.
Poi, in un attimo, così come era cominciata, la pressione
svanì e l'aria fredda della notte invernale le invase i polmoni.
Erano in un bosco, circondati dall'odore forte dei pini.
«Tutto bene?» le chiese Lucius. Era perfettamente calmo,
come se si fosse appena fermato dopo una aver fatto una bella
passeggiata rilassante.
Dal canto suo, Megan si sentiva come uno straccio che era stato strizzato e sbattuto troppe volte.
Stava per rispondere, quando una spiacevole sensazione allo stomaco le
suggerì che fosse meglio non aprire la bocca. Si limitò
ad annuire.
«Andiamo» disse Lucius, incamminandosi.
Tentando di ignorare la nausea, Megan lo seguì.
Camminarono in silenzio per qualche minuto.
Si erano lasciati gli alberi alle spalle e ora procedevano svelti lungo
una stretta via lastricata, assediata da ambo i lati da basse villette
di mattoni. Si trovavano in un piccolo villaggio, che non poteva
contare più di un migliaio di abitanti.
Svoltarono a sinistra, poi a destra e di nuovo a sinistra, immettendosi poi sulla strada principale.
All'orizzonte, spiccava una piccola altura, con in cima quello che,
alla pallida luce della luna, sembrava un vecchio castello in rovina.
Con sua sorpresa, Megan vide che Lucius si dirigeva proprio in quella direzione.
Superarono una chiesa, dall'aspetto modesto, accanto alla quale sorgeva
il cimitero, cinto da un'elegante inferriata, e giunsero ai piedi del
colle. Cominciarono a risalirlo.
Mentre camminava, Megan si sentiva sempre di più una sciocca.
Come le era venuto in mente di incontrare Voldemort, da sola, in quella
serata fredda e buia. No, doveva tornare indietro, anche a costo di
apparire una bambina, vigliacca e capricciosa agli occhi di Lucius.
Stava per ingoiare l'orgoglio e dare voce ai suoi pensieri, quando
Lucius parlò, per la prima volta da quando avevano lasciato il
boschetto in cui si erano Materializzati «Da qui, puoi proseguire
da sola».
Si erano fermati a qualche metro da un alto cancello di ferro, un po'
arrugginito e reso instabile dalle intemperie e dall'incuria.
Poco lontano, circondata da un ampio giardino mal tenuto, sorgeva una grande villa, anch'essa in rovina.
Là dentro, immaginò, doveva esserci Voldemort.
Megan si sentì pervadere da una strana eccitazione, mista a
paura. L'unica cosa che sapeva per certo era che non voleva più
tirarsi indietro, che stupida era stata a pensarlo.
«Grazie» mormorò Megan.
Con il cuore in gola, afferrò una sbarra del cancello e spinse.
Quella sembrò sbriciolarsi sotto il suo tocco, ma non cedette.
Megan spinse con più forza e finalmente il battete si
scostò, cigolando.
Megan avanzò.
L'erba del giardino era ghiacciata e irregolare. Tuttavia, alla luce
della luna, Megan riuscì ad individuare uno stretto sentiero di
pietra, strangolato dagli arbusti.
Lo percorse tutto, finché non giunse davanti ad alcuni gradini, che portavano ad un'ariosa veranda.
Megan salì e si fermò davanti alla porta. Il tetto di
legno della veranda impediva alla debole luce di penetrare fin
lì.
Si voltò indietro e vide che Lucius era rimasto in piedi davanti
al cancello, il volto lungo e aristocratico reso lugubre e ancora
più pallido dal bagliore spettrale della luna.
Megan tornò a guardare davanti a sé, quindi tastò
il muro e la porta; non c'era il campanello, ma, poco dopo,
riuscì ad afferrare un pesante batacchio di ottone. Lo spinse
due volte contro la porta e attese.
Stava per bussare di nuovo, quando finalmente udì dei passi
strascicati oltre la soglia; la porta venne socchiusa e un occhio
acquoso fece capolino, illuminato dal basso da una fioca luce
azzurrognola.
«Oh, sei tu» disse l'uomo, Peter Minus, aprendo
maggiormente l'uscio. Sembrava ancora più basso e più
calvo; con una mano reggeva una specie di lanterna, in cui guizzava una
fiammella magica; l'altra mano impugnava la bacchetta, e pareva che
tutto l'essere di quel piccolo, infido omuncolo fosse aggrappato ad
essa.
Non sapeva spiegarsi come, ma, dal tono che usò, Megan ebbe la sensazione di essere attesa.
«Entra pure» la invitò Minus, scostandosi quel tanto che bastava per farla passare.
Megan obbedì.
«Da questa parte» disse l'uomo, dopo aver richiuso la porta
con un gesto della bacchetta. La precedette attraverso l'atrio
polveroso, su per una rampa di scale e lungo uno stretto corridoio, che
terminava con una porta, sotto la quale filtrava la luce baluginante e
calda del fuoco.
Si arrestarono davanti alla porta e Codaliscia le fece cenno di aspettare, quindi entrò nella stanza.
«Padrone…» cominciò Minus, con quel tono insopportabilmente untuoso e servile.
«Lasciala entrare, Codaliscia» lo interruppe Voldemort.
Megan sentì il sangue gelarsi nelle vene. Aveva dimenticato quella voce gelida e secca.
Codaliscia tornò sui suoi passi e la fece passare.
Megan avanzò piano.
La stanza era piccola e calda e recava le tracce di un lusso ormai perduto.
Voldemort era seduto su una grande poltrona, davanti al camino.
Da dove si trovava, Megan poteva vedere solo lo spesso schienale
imbottito, il fluttuante mantello nero del Signore Oscuro che toccava
terra e la punta pallida del teschio che era la sua testa.
Mentalmente, ringraziò la sua buona stella che Voldemort le
desse le spalle. Se se lo fosse ritrovato davanti, all'improvviso, con
quegli occhi rossi puntati su di lei, probabilmente avrebbe urlato.
«Vattene Codaliscia» ordinò Voldemort «Per questa sera non mi occorri più».
Minus, tutto inchini e salamelecchi, lasciò la stanza.
Megan era tesa come una corda di violino. Non le piacevano i modi di
fare dell'ex ratto, e di solito non sopportava la sua presenza, ma
avrebbe preferito che rimanesse; non si sentiva davvero pronta a
restare da sola con Voldemort.
Per un po', nessuno dei due disse niente.
Era un silenzio inquieto, orribile, ma Megan lo rimpianse subito quando
Voldemort parlò di nuovo, questa volta nella lingua sibilante
dei serpenti «Credevo che il Natale si dovesse passare in
famiglia, ma per quest'anno mi accontenterò di una visita in
ritardo».
Megan era intontita; non sapeva che cosa le avrebbe detto Voldemort,
vedendosela arrivare lì così, dopo tutti quei mesi, ma di
certo non si aspettava che iniziasse la conversazione in quel modo.
Con un gesto esasperatamente lento e aggraziato, il Signore Oscuro si alzò dalla poltrona e si voltò a guardarla.
La sua alta figura sembrava fatta di tenebre, in contrasto con il caldo sfavillio del fuoco alle sue spalle.
Gli occhi, tremendi, erano due braci ardenti, inquietanti.
«Accomodati» proseguì, agitando la bacchetta con
noncuranza, facendo quindi apparire una seconda poltrona, più
piccola, accanto alla prima.
Senza sapere come comportarsi, Megan cercò di guadagnare un po'
di tempo; si tolse il cappotto e lo pose con cura sul bracciolo della
poltrona; alla fine però, non ebbe altro da fare e quindi
obbedì.
Anche Voldemort tornò a sedere.
«Suppongo che i tuoi amici abbiano deciso di fare a meno della
tua presenza» insinuò Voldemort e di nuovo Megan si
sentì confusa.
“Non dovevo venire” si rammaricò, cercando un modo
per togliersi da quella situazione in cui le stessa si cacciata.
«No, hai fatto la scelta giusta a venire da me» disse Voldemort, come se le avesse letto nel pensiero.
Improvvisamente, Megan comprese con orrore che molto probabilmente lui le aveva davvero letto nella mente.
«Non hai nulla da temere, e molto da guadagnare, invece»
proseguì il Lord Oscuro. «Ti avevo avvertita, ma la tua
presenza qui ora mi dimostra che sai che avevo ragione. Presto Potter e
la sua banda si renderanno conto dell'errore che hanno commesso».
I modi di fare di Voldemort la disorientavano.
Era calmo, quasi gentile.
L'unica volta che gli aveva parlato, Megan era ancora furiosa, per
Cedric, per la verità che aveva appena saputo, e aveva vomitato
la sua frustrazione e la sua rabbia su Voldemort, senza curarsi delle
conseguenze.
Ma questa volta era diverso, era stata lei a decidere di incontrarlo,
era venuta con un motivo preciso e, se la prima volta aveva dentro di
sé tutta quella rabbia a sostenerla, adesso si sentiva svuotata,
debole.
Ma doveva dire qualcosa.
Voldemort era seduto sulla sua poltrona, rilassato, con le lunghe dita pallide stese sui braccioli, in quieta e paziente attesa.
Megan trasse un profondo respiro, cercando di richiamare a sé il
proprio coraggio, quindi cominciò «Perché hai
voluto incontrarmi quest'estate?»
Era una domanda che si era posta fin dall'inizio, anche se aveva voluto
prendere per buone le spiegazioni che le avevano dato i suoi genitori.
E poi, era un modo come un altro per arrivare alla questione che l'aveva portata lì.
Voldemort non rispose subito; rimase qualche istante in silenzio,
concentrato, come se stesse soppesando le parole. Alla fine disse
«Perché sei la mia adorata figliola».
Megan non poté reprimere una smorfia «Infatti, sono tua
figlia» disse, accorgendosi di aver pronunciato ad alta voce
quelle parole per la prima volta. «Quindi saprai che non me la
bevo. Perché? A che cosa ti servo davvero?»
Voldemort arricciò le labbra inesistenti, come un ghigno compiaciuto, ma non disse niente.
Megan lo incalzò; ora che aveva iniziato, parlare non era più così difficile.
«Perché vuoi Harry morto?» era una domanda semplice,
eppure cruciale e si sorprese di non aver mai pensato di farla prima di
quel momento.
Certo, Harry era il Ragazzo Sopravvissuto, il bambinetto di appena un
anno che aveva sconfitto il più grande Mago Oscuro del secolo,
ed era ragionevole, diciamo, credere che Voldemort ora volesse
vendicarsi. Ma perché, quattordici anni prima, lui aveva cercato
di uccidere un bambino indifeso?
«Ah» sospirò Voldemort, per nulla irritato dalla domanda; anzi, al contrario, appariva soddisfatto.
«È il motivo che cerco di comprendere da quasi quindici
anni» spiegò «E che intendo scoprire con il tuo
aiuto».
«Che cosa intendi?» chiese Megan, visibilmente perplessa.
«C'è una cosa che desidero ardentemente e che non posso
prendere. Ma credo di aver trovato una soluzione e tu mi aiuterai a
metterla in pratica».
«Che cos'è?» chiese di nuovo Megan.
«Un oggetto molto prezioso, ben protetto e segreto ai più, in grado di assicurarmi la vittoria».
«Come un'arma?»
Quindi non era lei l'arma. Era solo il mezzo che serviva a Voldemort
per conquistarla. Megan si sentì umiliata e, con sua sorpresa,
un po' delusa.
«Sì» rispose Voldemort «E no».
«Se vuoi il mio aiuto devi dirmi tutto» ribatté
Megan. Un po' della rabbia, che credeva assopita, era ritornata e si
percepiva chiaramente nel suo tono.
«Devo?» disse Voldemort, con un ghigno di malvagia ilarità.
«Io obbedirò a qualsiasi ordine» promise Megan «A una condizione».
Voldemort la studiò attentamente. Lei gli stava dando esattamente quello che voleva.
«E sarebbe?» chiese alla fine.
«Tu vuoi Harry, giusto?»
Voldemort si limitò ad annuire.
«Io ti aiuterò a prendere solo lui, non ucciderai nessuno, neanche Harry».
Voldemort le rivolse uno sguardo divertito.
Megan proseguì «Puoi imprigionarlo, come Silente ha fatto
con Grindelwald, otterresti lo stesso risultato che ucciderlo, ma
sarebbe molto più civile».
“Ma che cosa sto dicendo?” si chiese intanto. Parlare di
civiltà, misericordia, a uno come Voldemort? Probabilmente era
la cosa più folle e stupida che fosse mai stata detta. Forse era
davvero solo una ragazzina sciocca.
«D'accordo» accettò Voldemort.
Megan era incredula, e il suo stupore doveva essere perfettamente
visibile, perché Voldemort aggiunse «Se potrò
evitarlo, non lo ucciderò».
Era una menzogna bella e buona, ma Megan non poté non sperare.
Avrebbe potuto riderle in faccia, con quella sua risata fredda e
tremenda, insultarla, dirle che non si sarebbe mai abbassato alle
condizioni di una ragazzina; avrebbe potuto darle prova del suo potere,
della sua totale mancanza di pietà, ma non l'aveva fatto. Stava
al suo gioco, quindi Megan gli serviva davvero, molto più di
quanto non avesse ammesso prima. O forse provava solo un gusto perverso
a manipolare gli altri.
Megan non lo sapeva e forse non l'avrebbe mai compreso.
«Bene, ora che abbiamo risolto questa questione, veniamo a te» disse Voldemort, riscuotendola sai suoi pensieri.
«L'oggetto di cui ti parlavo, è una Profezia»
continuò «Silente sa che la sto cercando e tenta
inutilmente di proteggerla. Le Profezie possono essere ritirate solo da
coloro per le quali vengono fatte, quindi solo io o Potter possiamo
prenderla. Io ho incontrato delle difficoltà nell'introdurmi al
Ministero perciò…»
«Vuoi che la prenda Harry» concluse per lui Megan. Voldemort annuì.
«Quindi sei stato tu ad attaccare il signor Weasley?»
chiese e di nuovo Voldemort annuì. «Ma Harry non sa che
cosa cerchi, e di certo l'Ordine non lo lascerà andare al
Ministero» obiettò Megan.
«Ed è per questo che tu sei fondamentale. Devi trovare il
modo di portarcelo, senza che Silente abbia il tempo di fermarlo».
«E poi che cosa dovrei fare, strappargliela di mano?» chiese ironica Megan.
«Farò in modo che ci sia qualcuno pronto a ricevere la
Profezia» rispose Voldemort, arricciando di nuovo la bocca in
quella smorfia spaventosa.
«E credi che la Profezia possa aiutarti? Sono solo stupidaggini e-»
«Non ho chiesto il tuo parere, ti ho dato un ordine!» sbottò Voldemort.
Megan si ritrasse sul fondo della poltrona, come se questa potesse
inghiottirla e farla sparire da quel luogo, lontano da Voldemort.
Il mostro, ricordò, era sempre in agguato, sotto la superficie di apparente calma e cordialità.
“Forse ha ragione Harry, e io mi sto alleando con un assassino, un bruto, violento e crudele”.
Ma lei aveva provato ad essere gentile, a dimostrare il proprio valore,
a unirsi ai “buoni”, e loro l'aveva scacciata, umiliata,
trattata come una Serpeverde indegna di fiducia.
“Voldemort ha ucciso Cedric” le ricordava una voce nella
sua testa, ma un'altra, più maligna, le sussurrava che Voldemort
era suo padre, sangue del suo sangue.
E Megan lo aveva sperimentato già in passato, quando ancora non
immaginava nulla delle sue vere origini, quanto fosse attratta da quel
mondo oscuro e violento, quanto, in fondo, in lei ci fosse qualcosa che
la rendeva orribilmente simile a Signore Oscuro.
Voldemort parve intuire i suoi pensieri, o forse li lesse di nuovo.
Si sentiva frastornata, e non riusciva a capire se quel senso di
spossatezza fosse dovuto a un'intrusione nella sua mente o alla
suggestione di quella situazione.
«La Preveggenza non è un potere affidabile, ma a volte le
Profezie si avverano. Questa si è avverata, ed è per
questo che ho bisogno di sapere» disse Voldemort, calmo «E
di te» aggiunse.
La stava manipolando, lo sapeva, ma quella sensazione di essere
indispensabile, unica, era troppo seducente. Megan si aggrappò
alla forza di quelle parole, e delle emozioni che suscitavano in lei.
«Va bene, ti aiuterò a prenderla» decise, e aggiunse «Ma voglio una cosa in cambio».
Voldemort rimase in silenzio ad ascoltare, incuriosito.
«Devi insegnarmi tutto. Voglio essere forte, voglio conoscere le
Maledizioni e imparare a usarle, voglio essere rispettata da
tutti» disse.
Erano quasi le esatte parole che lui le aveva detto al loro primo incontro.
E aveva ragione, pensò Megan. Se non poteva avere il naturale
rispetto degli altri, allora doveva conquistarselo, e il mago
più potente, più temuto, e quindi rispettato, del mondo
era lì, davanti a lei.
«Naturalmente» disse Voldemort, compiaciuto, estraendo la bacchetta.
Non ebbe nemmeno bisogno di scuoterla troppo o di pronunciare un incantesimo.
Una brillante luce rossa scaturì dalla punta della bacchetta,
come un raggio, che investì Megan in pieno, scagliandola
all'indietro.
*
Da quasi due ore, Megan stava prendendo lezioni private di Arti Oscure da Voldemort.
Era la cosa più assurda ed eccitante che le fosse mai capitata.
Ed era anche molto dolorosa.
Dopo il primo attacco a sorpresa, Megan si era ritrovata lunga distesa sul freddo pavimento di pietra.
La fattura le aveva tolto il respiro e la schiena le faceva male.
Si era aggrappata allo schienale della poltrona, che, come lei, si era ribaltata, e si era rialzata.
Voldemort, nel frattempo, era rimasto seduto a guardarla con un'espressione di crudele divertimento.
«È stato un colpo basso» aveva commentato Megan a
denti stretti, abbastanza forte perché lui potesse sentirla.
«Vuoi essere forte? Non sono tutti come Silente e il suo esercito
di onesti maghetti» aveva spiegato Voldemort, alzandosi in piedi
a sua volta.
Alla parola “esercito” Megan aveva represso un gemito.
«Riproviamo» aveva detto Voldemort e Megan si era messa in posizione, esitando all'ultimo.
Voldemort l'aveva osservata perplesso.
«Sono minorenne» aveva ricordato a se stessa e a Voldemort
«Non c'è il rischio di attirare l'attenzione se uso la
magia qui?»
Voldemort aveva sogghignato «Questo luogo è protetto da
ogni genere di incantesimo» aveva spiegato «È
irrintracciabile, così come lo sono le persone al suo
interno».
Megan si era sentita più sicura, anche se il fatto di non poter
essere individuata da nessuno, neppure se le cose si fossero messe male
per lei, avrebbe dovuto preoccuparla.
Aveva dunque concentrato tutta la sua attenzione sul duello.
Aveva lanciato il Sortilegio Scudo quasi nello stesso istante in cui
Voldemort aveva scagliato il suo incantesimo, ma non era stato
sufficiente. La barriera da lei eretta si era infranta al primo impatto
e lei si era ritrovata di nuovo a gambe all'aria.
Erano andati avanti così per una decina di minuti, poi,
finalmente, forse per la disperazione, o forse per il suo esasperato
desiderio di non sentire altro dolore, il suo scudo aveva retto
abbastanza da respingere la fattura. Megan aveva barcollato sotto la
pressione immensa dell'incantesimo di Voldemort, che lottava
furiosamente per colpirla, ma aveva resistito.
«Molto bene» l'aveva elogiata Voldemort e, di nuovo, a sorpresa, aveva lanciato un'altra fattura.
Megan era stata colpita in pieno.
«Molto male» aveva commentato lui.
Per almeno mezz'ora erano andati avanti così, e alla fine Megan
era riuscita a parare la metà dei colpi e a schivare gli altri.
La cosa frustrante, però, era che quelli di Voldemort erano
attacchi blandi, per nulla complessi, che qualunque ragazzo fresco di
diploma avrebbe saputo respingere.
Poi era toccato a Megan attaccare, ma naturalmente non era riuscita a mettere a segno neanche un colpo, neppure di striscio.
Ora stava attaccando Voldemort, con una Maledizione Non Verbale di sua
invenzione, una sorta di Stupeficium potenziato, per così
dire.
Era stata colpita già tre volte e per tre volte Voldemort aveva
annullato l'incantesimo; Megan, ogni volta che si risvegliava, sentiva
un tremendo senso di oppressione al petto, e ora si stava chiedendo per
quanto tempo ancora sarebbe stata in grado di sopportarlo.
Evidentemente, la cosa non sembrava preoccupare Voldemort, che
lanciò l'incantesimo di nuovo. Megan cercò di schivarlo e
al contempo lanciò un Sortilegio Scudo, più efficace, che
Voldemort le aveva mostrato in precedenza, sicura di farcela questa
volta.
Quando riaprì gli occhi era sdraiata per terra. Ogni millimetro
del suo corpo le faceva male e la testa e il petto erano un inferno di
dolore.
«Per oggi, basta così» decise Voldemort. Torreggiava su di lei e aveva un'espressione irritata sul volto.
Lo stava deludendo?
«Di sopra ci sono delle camere, scegli quella che vuoi e riposati, domani ricominceremo dalle basi».
Megan non aveva la forza di controbattere.
Si alzò a fatica e obbedì.
Era sulla soglia, quando si voltò e disse «Buonanotte».
Voldemort non si diede la pena di risponderle.
“Sono un disastro, una stupida. Sono solo una ragazzina che
voleva giocare a fare la grande” si disse, mentre saliva le scale
che portavano al piano superiore.
Non c'erano luci, così Megan accese la punta della bacchetta,
uno sforzo che le provocò delle fitte lancinanti al braccio, che
aveva dovuto sopportare fin troppi contraccolpi.
Davanti a sé, un lungo corridoio si perdeva tra le tenebre.
Sulla parete di sinistra, gradi finestre si aprivano sul lato sud della
villa, ma erano state tutte chiuse con pesanti assi di legno. Solo
qualche flebile spiraglio era sfuggito all'opera di sbarramento,
laddove il legno marcio e i chiodi arrugginiti avevano ceduto.
A destra si aprivano numerose porte.
Megan tentò la prima; era chiusa.
Provò con la seconda, che si aprì in un piccolo spazio,
simile a ripostiglio, quasi completamente vuoto, a parte una vecchia
sedia traballante e uno scaffale di legno, con le ante di vetro
scardinate.
Anche la terza sbarrata, mentre la quarta si aprì cigolando. Era
una polverosa stanza da letto, arredata con il gusto tipico di inizio
secolo.
Nel centro della camera c'era un sontuoso baldacchino.
Una delle tende era caduta a terra, l'altra era piena di buchi, come le coperte che odoravano di muffa.
Megan lanciò un semplice incantesimo di pulizia, tentando di rendere quel giaciglio un po' più accogliente.
Il risultato non fu un granché, ma aveva un disperato bisogno di dormire, e quel letto era invitante quanto bastava.
Serrò la porta e si sorprese nel vedere che la chiave girava ancora nella stretta serratura arrugginita.
Si tolse i pantaloni e il maglione e si infilò tra le coperte, addormentandosi immediatamente.
* * *
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