Freddo. Grigio. Blu.
Odio le luci dei neon. Ma
so che non
sopravviverei a lungo alla luce piena del sole.
Trascino le mie ali a
terra, queste ali
inutili che mi inchiodano ad un'esistenza artificiale. Non posso
fingere, come Max, di essere qualcosa di diverso, nemmeno per qualche
istante.
Pendono dalle mie spalle
esili. Quattro
metri e mezzo l'una. Quasi dieci metri di apertura alare, bianche,
lievemente intarsiate d'ocra. Dieci metri di peso schiacciante che a
stento riesco a sollevare per camminare, senza che la natura mi abbia
dotata del giusto modo per piegarle perchè non siano
d'intralcio o
non finiscano per intorpidirmi i muscoli della schiena.
Tant'è che
spesso pendono a terra, semiaperte. Tenerle chiuse e camminare
è
come per voi reggere due grosse sporte per la spesa tenendole
sollevate piegando i gomiti.
Un'autentica tortura, per
quanto col
tempo i miei muscoli si siano abituati a questo tipo di lavoro per
cui non sono progettati.
Già.
Il mio progetto.
Non penso che la mia
sopravvivenza
fosse contemplata. Forse è per questo che nessuno si
è domandato
cos'avrei dovuto farmene di queste due inutili appendici piumate
oltre che usarle per spazzarci il corridoio della Itex tra la mia
gabbia e le sale di sperimentazione.
Ari è di nuovo
fuori a cercare lo
Stormo.
Siedo nell'angolo
più buio della
stanza grigia e impersonale che ho ottenuto
“convincendo” i
Camici Bianchi. Non so fino a che punto il mio potere possa
influenzarli. L'istinto di autoconservazione è forte, non
penso si
suiciderebbero soltanto perchè la mia mente suggerisce loro
di
farlo. Né credo che offrire ad un prototipo non
particolarmente ben
riuscito una suite di lusso rientri tra i comportamenti che potrei
forzare in qualche modo. Non so se sono in grado di farlo, ma temo
quasi di scoprirlo. Se i Camici Bianci si rendessero conto che il mio
potere ha una simile portata, dubito che mi lascerebbero in pace.
Fare esperimenti in tal senso per me è troppo rischioso.
Niente colpi di testa. Mai
attirare
l'attenzione. Ari potrebbe pagarne le conseguenze.
Max e gli altri fingono di
essere
umani, in questo periodo. Non penso si siano accorti che la loro
gabbia si è soltanto allargata. L'esperienza di una scuola
“normale”
è soltanto una mascherata.
L'ennesima.
Raccolgo brandelli di
ciò che accade
dalle menti dei Camici Bianchi. Del resto non ho molto altro da fare
oltre soffocare la rabbia.
Max.
Max, che esisti soltanto
perchè io
sono sopravvissuta.
Max, perfetta grazie agli
imperdonabili
errori commessi su di me.
Max, prediletta di Jeb.
Max, l'arma definitiva.
Max... che mi stai portando
via Ari
senza saperlo.
Quante volte ho finto di
non vedere il
tuo viso nella sua mente? Quante volte avrei preferito essere cieca
ai sentimenti che gli straziano l'anima piuttosto di essere certa che
non ero io la causa?
E sorrido, pensando che
forse questa
gelosia non mi appartiene del tutto, ma è solo il riflesso
di quella
di Ari nei confronti di Max.
Ma fa male lo stesso. E mi
fa
desiderare di avere le mani per strangolarla e mettere fine a tutto
questo una volta per tutte.
Allora forse Ari
smetterebbe di pensare
soltanto a lei e di farsi del male per colpa sua. Forse si
ricorderebbe che sono qui, che gli voglio bene, e che, al contrario
della Perfettissima Max, non ho mai tentato di ucciderlo né
gli sto
portando via l'affetto di suo padre. Non lo odio, non lo guardo con
disgusto.
Per me è sempre
bellissimo.
Invece Ari è
innamorato di lei. Lei,
che possiede ciò che le è stato dato solo in
funzione di ciò che è
stato dimenticato su di me.
Che avrebbe mani per
accarezzarlo...
Che avrebbe braccia per stringerlo.
Lei, il prodotto finale.
Perfetta e
inarrivabile.
*_*_*_*
Un Eliminatore.
Ne sento l'odore familiare
e
penetrante, prima ancora di sfiorare i suoi pensieri.
Non è Ari.
È uno degli
altri, uno dei nuovi.
Anche Ari è solo un prototipo, i nuovi branchi sono volatori
migliori.
Perchè
è trasformato?
Di solito vengono in forma
umana ad
annusarmi per l'addestramento.
La sua mente risuona d'odio
e
desiderio. Pregusta il sangue, la carne.
Sento la fame che lo
divora. Non ha
nulla di umano, nulla su cui possa fare leva.
Mi guardo attraverso i suoi
occhi e
rabbrividisco.
Piccola, minuta, fragile.
Pregusta lo
schiocco delle ossa e le mie grida di dolore.
Ho paura, non posso farne a
meno e ne
sente l'odore.
Riesco a localizzarlo
grazie
all'angolazione in cui vedo la stanza attraverso i suoi occhi, ma non
c'è comunque molto spazio per fuggire. Striscio lungo il
muro per
allontanarmi il più possibile.
L'Eliminatore si muove
carponi, come
fosse un lupo completo.
Ora lo riconosco.
Wrath. Matricola 17, primo
branco. Lo
ricordo, da umano. Uno dei prototipi della modifica genetica in
età
adulta. Aveva sedici anni. Un bel ragazzo, capelli lunghi, rossi,
azzurri occhi tristi.
Per qualche motivo, non
riesce a
tornare alla forma umana. Si è trasformato qualche mese fa
per la
prima volta, ma da allora il suo aspetto è rimasto animale,
molto
più animale dei suoi successori.
Riesco ad avvertire la
presenza di un
Camice Bianco nel corridoio.
Perchè Wrath
è qui?
La consapevolezza mi assale.
Esperimento. Cercano di
comprendere i
limiti del mio potere.
E li ho appena appresi
anch'io.
Non posso contrastare
l'istinto di
Wrath. Non posso contrastare la determinazione di un animale. Gli
umani sono sempre preda di dubbi, pensano tutto e il contrario di
tutto.
Sempre, tranne quando si
tratta del
loro istinto di sopravvivenza.
Piego la loro mente
soltanto quando
hanno di fronte un bivio. Allora posso spingerli in una direzione o
in un'altra.
Il Camice Bianco
può decidere di
lasciarmi morire tra le fauci di Wrath o dichiararsi soddisfatto
prima che l'Eliminatore mi riduca a brandelli.
Una zampa poderosa mi
colpisce,
scaraventandomi contro il muro. L'urto fa danzare scintille dorate
nel mio buio eterno. Fa male. L'aria si riempe dell'odore dolciastro
del mio sangue. Il fianco destro brucia.
Grido.
Mi è sopra.
Posso sentire il vento
rovente del suo fiato, l'odore penetrante di selvatico. Mi schiaccia
a terra come una farfalla inchiodata sulla teca. Non riesco a
respirare, non riesco a concentrarmi, non riesco a pensare. Il mio
abito stile impero è rimasto impigliato tra gli artigli di
Wrath
alla prima zampata. In ogni caso era più un impaccio che una
protezione, in un combattimento e in questo momento l'ultima cosa che
m'importa è che il Camice Bianco fissi le mie curve
inesistenti. So
di essere un esemplare adulto della mia specie, ma le caratteristiche
umane della maturità sono minime. Forse la curva dei fianchi
si è
fatta più rotonda, forse potrei dire di avere un seno, anche
se
minimo, ma la realtà è che sono molto
più falco che femmina umana.
Un falco che non è disposto a diventare la cena di nessuno.
Nemmeno
di Wrath.
Sferro una testata a quel
muso lupesco.
E un'altra quasi immediatamente dopo. Conosco bene gli Eliminatori,
il dolore impiega tempo a raggiungere il cervello.
Fa mezzo passo indietro
concedendomi lo
spazio per raccogliere le ginocchia e colpirlo a piedi uniti
all'altezza della gola.
Max, la perfetta.
Max, la più
forte e la più veloce.
Max, sempre e solo Max.
Persino gli
Eliminatori mi sottovalutano.
Wrath tossisce cercando di
riprendere
fiato.
Rotolo di lato cercando di
rimettermi
in piedi, mentre gli ordini del Camice Bianco risuonano imperiosi.
-Diciassette.. indietro.-
Indietro un accidente. La
sua mente è
gonfia di rabbia e di odio. Si raggomitola per caricare lo slancio.
Se avessi più spazio, tenterei di usare il suo stesso impeto
per
scaraventarlo contro il muro alle mie spalle, ma vi sono quasi
appoggiata. Sento il sangue scorrere lungo il fianco, ma ancora non
avverto a pieno il dolore.
Il pensiero vola ad Ari.
Sorrido con
amarezza. Non credo lo rivedrò.
Se al mio posto vi fosse un
prototipo
prezioso sarebbe già accorsa la sicurezza, ma l'unico motivo
per cui
sta arrivando qualcuno è far in modo che il Camice Bianco
possa
portare le sue natiche al sicuro.
Ed evidentemente sono un
ottimo
diversivo.
Mi concentro. Il Camice
Bianco si è
allontanato. Lascerà che Wrath sfoghi la sua rabbia su di me
o
manderà qualcuno a fermarlo? Non lo so. È
difficile influenzare la
mente di qualcuno quando la mia attenzione è assorbita
dall'evitare
di essere massacrata da qualcun altro.
Wrath si scaglia su di me.
Cerco di
evitarlo di nuovo scartando di lato, ma non potrò sfuggire
per
sempre.
Ari.
Perdonami.
Non sono stata abbastanza
veloce. Mi
schiaccia a terra, sullo stomaco, mi inchioda le ali con le zampe e
la forza soverchiante del suo peso.
Ari.
Serro gli occhi
istintivamente, come se
quel gesto per me tanto inutile potesse allontanare la fine.
Non voglio morire.
Poi il peso su di me si
scosta di
colpo. U n urto, due corpi in rapida collisione tra loro. Uno di essi
lanciato ad una velocità folle.
Ari.
Ari?
Non oso quasi muovermi.
Lo scontro è
violento. Ari infierisce
su Wrath con rabbia. Perchè è venuto? Non
dovrebbe essere qui. Non
dovrebbe.
Ari.
Riesco a seguire il
combattimento dalla
mente dei due avversari. Non avvertono il dolore, non subito. Riesco
ad avvertire la furia di Ari, mista alla paura e allo sgomento ed il
sapore del sangue di Wrath. Ari è nella sua contorta forma
di lupo,
le ali estratte ripiegate sulla schiena. È più
giovane di Wrath, ma
più forte e più umano.
Lo rovescia a terra, sulla
schiena,
serrandogli i denti attorno alla gola.
Restano immobili.
E in quell'istante la mente
di Ari va
in pezzi, straziata tra l'istinto del lupo scritto nel suo stesso DNA
che gli comanda di stroncare la vita del rivale, e la mente umana che
riconosce un proprio simile.
Folle.. folle e terribile.
Folle come il mio istinto
di migrare,
che mi spinge a camminare per giorni su e giù per la cella,
resistendo all'impulso di gettarmi contro il vetro, le finestre, le
pareti pur di uscire, volare via, nei grigi giorni d'autunno.
Folle come l'istinto di Max
e il suo
stormo, uccelli abbastanza da sentirsi smarriti se divisi.
Quanto di lupo
c'è in Ari?
Se le parti fossero
invertite, Wrath
non esiterebbe.
Ari indietreggia.
Wrath mi lancia un'ultima
occhiata di
astio quasi umano e fugge. Riesco a seguire la sua mente, il suo
progetto. Allontanarsi dalla Scuola.
Gli auguro di farcela.
Mi auguro di non rivederlo
mai più.
La tensione si scioglie. Fa
male. Fanno
male i morsi sulle braccia e sul petto di Ari. Mi fa male il fianco,
ma la ferita è solo di striscio. Poteva andare peggio. A
Fang è
andata peggio. Allungo un piede a recuperare il mio vestito in
pezzi, cercando di coprirmi con quella stoffa lacerata.
Ari mi solleva tra le
braccia,
stringendomi a sé.
Sento le ossa scricchiolare
in quella
presa che mi toglie il fiato, ma non ho il coraggio di sottrarmi a
quel gesto d'affetto.
Ne ha bisogno, come ne ho
bisogno io.
Affondo il viso contro la
sua spalla.
Se potessi piangere lo
farei.
Doccia fredda.
Il massimo che è
concesso ai mostri.
Le mani di Ari, quelle mani ormai più simili a zampe, sono
sorprendentemente delicate sulla mia pelle. Mi toglie il sangue
rappreso di dosso, dove è troppo incrostato per fare a meno
di
sfregarlo via. Guarisco in fretta, anche io.
Non c'è bisogno
di parole.
Ha rischiato di perdermi.
Ha avuto paura per me.
Si prende cura di me, come
se fosse il
solo modo per scusarsi di non esserci stato.
Non è molto
bravo con le parole, Ari.
Ma a me le parole non
servono.
C'è stato quando
ho avuto più bisogno
di lui.
E questo Max non
può averlo.
Con amarezza, penso che lei
non lo
vorrebbe nemmeno.
Perfetta Max, Splendida Max.
Stupida Max.
Se avessi soltanto la
metà di ciò che
hai tu, prenderei il mio lupo e me ne andrei di qui senza voltarmi
indietro.
Dormire, sognare. Non
riesco. L'unico
sogno che riesco a fare riguarda le fauci di Wrath e il suo peso su
di me ad inchiodarmi le ali al ruvido pavimento di cemento.
Ascolto i sogni di Ari,
l'orecchio
poggiato al suo petto, il battito innaturalmente veloce del suo cuore
in sottofondo.
Max.
l'amore per Max.
La paura per me.
La rabbia e il disgusto per
sé stesso.
Istintivamente mi stringe
più forte,
un basso ringhio gli sfugge dalle labbra, nel sonno.
La mia ala destra lo copre
e i suoi
sogni si disperdono in un ricordo confuso di conforto, calore e piume
bianche.
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