Più di 2.000 anni fa, mentre la Terra vedeva gli
albori della civiltà la Luna era già abitata e su di essa vi era un rigoglioso
Impero centro legislativo, esecutivo e giudiziario delle Colonie del Sistema
Solare formato da tutti i pianeti che fanno parte dello stesso. Tutti tranne la
Terra troppo primitiva e ancora all'inizio del suo processo evolutivo per
poterne far parte.
Selene, Principessa del Regno e le altre sue
amiche nobili tra cui Athena, Ares, Nike e Aphrodite sviluppano delle capacità
e un senso di responsabilità tale da essere insignite del ruolo di
"Guerriere del Sistema" titolo posseduto precedentemente ad altre
Guerriere prima di loro. Il compito a cui sono chiamate è non solo di far
rispettare l'ordine e la giustizia in tutto il Sistema e impedire qualsiasi
approccio con la Terra. Il divieto di aver a che fare con il pianeta è dovuto
al suo basso livello evolutivo per cui le loro somme capacità sarebbero viste
come "divine" deviando così il loro normale e giusto sviluppo.
Tuttavia un elemento invisibile agli occhi della
società, Eris, causerà una distruzione tale da impedire alla Guerriere di avere
un luogo da chiamare casa e di fatto costringendole a ritirarsi sull'unico
Pianeta ospitale dell'intero Sistema: la Terra.
Svanito però il periodo dell'antichità in cui
Dii e Dei facevano da padroni e in cui le ragazze avevano ritrovato una
parvenza di normalità e di similarità a casa, la loro storia inizia a perdersi
e a viaggiare nel tempo fino a portare all'epoca attuale ove integrandosi con
il nuovo tessuto della società capiscono che la loro missione non è mai finita.
Loro che hanno visto le atrocità della storia e degli eventi e che sempre hanno
cercato di portarvi giustizia, come promesso e giurato quando vennero rivestite
di quel luogo. Le stesse conosciute come le "Guerriere della Notte",
di cui nessuno conosce l'identità, ma che tutti sanno vigilano su di loro e la
loro incolumità.
Loro che per via della longevità normale sui
loro pianeti, ma vista come "divina" sulla Terra, passano epoche ed
eventi incrociando più volte la loro strada con la Confraternita degli
Assassini che divengono in poco tempo gli unici custodi della loro storia ed
identità e loro protettori e alleati.
«Viviamo nel buio per servire la luce» dice il
moto degli Assassini famosi per mantenere l'equilibrio nel mondo usando anche
mezzi che il mondo non è pronto ad accettare. Grazie a una fonte dalle acque
misteriose chiamata "Pozzo di Lazzaro" possono arrestare il proprio
invecchiamento. La stessa potrebbe anche riportare in vita i morti, ma questa
procedura non viene mai usata per la sua pericolosità e perchè va contro i
principi della Confraternita.
Eris però non è persa come si crede, colei che
le Guerriere non sanno essere la distruttrice delle loro case, colei che un
tempo consideravano amica. La stessa che ora alleata con i Templari è decisa
nella sua missione di aiutarli a portare il caos nel mondo, seppur loro lo
chiamano "ordine" e poi perchè hanno un nemico in comune: loro la
Confraternita degli Assassini e lei le Guerriere, entrambi alleati l'uno delle
altre.
Ecco l'incipit di questa storia, che parte da
qui. Dal presente e da molteplici avventure e relazioni da costruire insieme!
***
HAYTHAM
La situazione era caotica, ma la battaglia era a
nostro favore e respingevamo Gli Assassini come fossero mosche. Molti dei
nostri soldati cadevano, ma dopo aver portato con loro più uomini di quelli che
perdevamo.
Urlavo ordini e combattevo a lama sguainata da
quelle che mi parevano ore, ma tanto era distorta la percezione del tempo in
una battaglia non c’era modo di dire se fossero passati solo pochi minuti.
Rumori indistinti, spari e lame che cozzavano… li
costringemmo alla ritirata, ma pagammo lo scotto.
Quando vidi Shay fuggire con il nemico, capii. Ne
avevamo parlato, eravamo consci di questa possibilità, ma me l’avevano
strappata dalle braccia ancora una volta. Con la caratteristica vigliaccheria
nata dall’incapacità di affrontarla in uno scontro aperto, colpendola alle
spalle come così bene sapevano fare. Corsi da lei, e la trovai a terra,
adagiata come se addormentata.
Il mio animo si svuotò, e provai lo stesso dolore
di tanti secoli prima, stringendola a me esanime.
Questa volta però una nuova determinazione mi
animava, salvandomi dall’oblio della disperazione più nera, e agii come avevamo
pianificato.
L’avrei riportata da me, a qualunque costo.
Il profumo di fiori proveniente dall’esterno della
Loggia inondava la stanza, e a soli tre mesi dopo la battaglia il sole sembrava
essere tornato a splendere. Feci appena in tempo ad impacchettare l’ultima
missiva della giornata e riporla nel cassetto della mia scrivania, che un
leggero bussare alla porta mi distolse dalle mie occupazioni.
«Atlas, lo sai che puoi entrare senza bussare.»
Esclamai divertito, e quello che al primo sguardo poteva sembrare un nanetto da
giardino fece capolino da dietro l’alto uscio scuro. Gli andai incontro,
sorridendo, e lo presi per mano.
«Ho finito le occupazioni per questa mattina, per
oggi sono tutto tuo.» Con un gridolino divertito Atlas si aggrappò più forte al
mio braccio, quasi saltellando di gioia.
«Allora voglio andare a vedere Etere, papà!»
Ridacchiando annuii, continuando a camminare verso
l’ingresso.
«Certamente. Ma prima forse sarebbe il caso di
mangiare qualcosa, che ne dici? Dovrebbero esserci due belle focacce alle olive
in cucina.» Dissi ad un Atlas in un primo momento indispettito dal non poter
andare subito alle stalle, e in un secondo momento estremamente contento di
poter mangiare uno dei suoi spuntini preferiti.
Arrivati a destinazione, lo issai su uno degli alti
sgabelli e gli portai le due focacce in un piattino con un succo di frutta,
mentre lui oscillava le gambe impaziente.
Il figlio che era nato dall’amore di Eris e me
aveva giusto tre mesi di vita, venuto al mondo mentre la madre era immersa
nella maledizione provocata dai Frutti dell’Eden, e nonostante ciò dimostrava 8
anni fisicamente e mentalmente. Fortunatamente eravamo entrambi consci che
sarebbe stato una creatura speciale, il frutto dell’unione fra una dea e un
uomo che possedeva la capacità di vivere più a lungo dei comuni mortali, ma
comunque non avremmo potuto immaginare quanto Atlas potesse essere unico.
Soffrivo molto di non poterne parlare con la mia
amata e condividere con lei meravigliosi momenti con nostro figlio, anche se
andavamo a trascorrere regolarmente con lei il più tempo possibile, ma vedendo
l’amore incondizionato che lui provava per la madre la determinazione a
riportarla da noi cresceva in me sempre più.
Ero intento ad osservare Atlas mangiare, con i suoi
particolari capelli grigio argento e un paio di brillanti occhi cerulei che mi
ricordavano quelli pieni di meraviglia del mio pupillo Thomas, quando un mio
sottoposto mi raggiunse per annunciarmi un ospite.
Congedandolo, mi alzai e diedi un buffetto
affettuoso a mio figlio, raccomandandogli di raggiungermi in soggiorno non
appena avesse finito di mangiare.
A passi misurati raggiunsi l’ingresso, e vi trovai
ad aspettarmi una conoscenza di lunga data, che rivedere in quel contesto mi
risollevava il morale ma che mi provocava anche sentimenti contrastanti.
Adrian era lì, dignitosamente eretto, con un
leggero sorriso sul volto solitamente stoico.
«Vecchio mio, da quanto tempo.» Lo accolsi,
allargando un braccio per invitarlo ad accomodarsi nel soggiorno adiacente.
«Mi avevi avvertito della tua visita nella tua
ultima missiva, ma non immaginavo così presto.»
Esordii, mentre gli versavo un bicchiere di whiskey
e glielo porgevo. Ricordavo che quel particolare tipo, invecchiato molti anni,
era da lui particolarmente gradito per via del retrogusto affumicato.
«Ah, permettimi di presentarti mio figlio Atlas.»
Proseguii, quando il bambino fece il suo ingresso dalla cucina, con qualche
briciola ancora attorno alla bocca. Chinandomi vicino a lui, gli diedi una
ripulita veloce e con un rapido occhiolino gli diedi il segnale.
Come piano d’azione, per determinati ospiti che potevano
rivelarsi pericolosi in determinate circostanze, avevo insegnato ad Atlas a
riconoscere un segnale che avrebbe significato di interpretare la parte di mio
figlio adottivo e dunque di non menzionare per nessun motivo Eris o la natura
celestiale della madre e sua.
«Come ben saprai non è stata una battaglia facile,
e anche se abbiamo respinto gli Assassini molti valenti Templari hanno perduto
la vita, come i genitori di questo piccolo. Da allora vive con me e lo tratto
come un figlio, diventerà un guerriero formidabile in futuro sotto la mia
sorveglianza.» Spiegai ad Adrian, alzandomi e sedendomi di fronte a lui, mentre
il bambino prendeva un libricino dallo scaffale e si accomodava in disparte a
leggerlo.
«Dunque, bando alle interruzioni, di cosa volevi
parlarmi?» Conclusi, attendendo la sua risposta.
ADRIAN
Un tempo — decenni che
sembravano secoli, vite intere — non avevo provato nient’altro se non il
desiderio di ritirarmi in un posto simile, lontano dalla frenesia della città e
circondato dalla natura, anche se decisamente meno immenso e sfarzoso — una
casa di campagna, così ero stato solito visualizzarla nei miei pensieri, un
luogo dove poter vivere in pace i meritati anni di riposo, insieme alle persone
a cui più tenevo al mondo. Mi soffermai ad osservare l’esterno della Loggia per
pochi minuti, gli unici che mi concessi, durante i quali mi permisi di portare,
seppur brevemente, la mia mente al passato ; che certamente non rinnegavo del
tutto, nonostante adesso riconoscessi fossi stato debole, in più di
un’occasione, eccessivamente ingenuo e vulnerabile. Un tempo, infatti, avrei
seriamente potuto considerare Haytham un
amico, al di là delle
nostre divergenze di pensiero ( le quali non erano mai state troppo gravi, ad
ogni modo, da precludere una collaborazione ), sarei stato disposto a fargli
visita più spesso, forse, indugiando in serate che consistevano, per lo più,
nel bere qualcosa mentre conversavamo di lavoro ( era un ottimo interlocutore,
come avevo scoperto ), o addirittura qualcosa semplice, ma stimolante, come una
partita a scacchi. I fantasmi del passato erano diventati, però, cicatrici dure
e spesse sulla mia pelle, prive di dolore ormai, ma mai dimenticate del tutto e
non ero più disposto a lasciarmi andare tanto, a formare una sorta di legame
con quell’uomo, ulteriormente stretto rispetto a quello lavorativo che già
avevamo stabilito. Non lo disprezzavo, anzi potevo dire di ammirare la mente
analitica che dimostrava di avere, la forza di volontà nel mantenersi saldo nei
propri principi, tuttavia io avevo i miei, ed erano altrettanto saldi,
rappresentavano le fondamenta su cui avevo basato la mia vita — difficilmente,
proprio per quel motivo, la nostra sarebbe potuta essere una collaborazione del
tutto serena, priva di complessità.
Non ero lì in veste di
un vecchio amico in visita, dunque, ma non sentii il bisogno di correggerlo con
veemenza, quando il termine gli uscì dalle labbra, lo lasciai fare, piegando
appena le labbra, in una curva avente un che di ironico. Prestai più attenzione
al bambino che fece, inaspettatamente, il suo ingresso nella stanza, ed inarcai
la fronte, quando Haytham lo chiamò “figlio” — non era un’informazione in mio
possesso, dal momento che ero a conoscenza soltanto di un figlio, Connor —,
salvo poi specificare fosse adottato poco dopo, quietando la confusione che
aveva suscitato in me. Non credevo prudente lasciarlo nella stanza, vista la
natura del discorso che ero giunto fin lì a fare, tuttavia non lo vedevo come
un problema, né una minaccia, benché mi incuriosisse. Il sospetto, a me tanto
familiare quanto una pacca amica sulla spalla, serpeggiò comunque, subdolo,
anche se per il momento decisi di accantonarlo ; c’era altro di cui discutere.
Per il momento mi feci bastare la spiegazione di Haytham.
« Non ne dubito. » non
parlai con eccessivo calore, ma il tono fu sincero. Presi il bicchiere che mi
porse e mi sedetti senza aspettare alcun invito, poi, piuttosto impaziente di
cominciare a parlare di una questione che stava ad entrambi piuttosto a cuore.
« Non troverai piacevole
la conversazione, temo. Dopo i risultati fallimentari con il Cristallo e le
Guerriere, culminati nella disfatta di due mesi fa, non posso più lasciare il
controllo ai Templari.
E’ necessario che la
Trinity assuma il comando della situazione, sono certo ne comprenderai i
motivi. »
«Non troverai piacevole
la conversazione, temo. Dopo i risultati fallimentari con il Cristallo e le
Guerriere, culminati nella disfatta di due mesi fa, non posso più lasciare il
controllo ai Templari. E’ necessario che la Trinity assuma il comando della
situazione, sono certo ne comprenderai i motivi.»
HAYTHAM
Adrian fu molto diretto, come suo solito, e parlò
con precisione e cognizione di causa.
Sospirai, portandomi una mano al mento e osservando
il vuoto prima di riportare l'attenzione al mio interlocutore.
«Immaginavo che fossi qui per questo... Non posso
darti completamente torto, Adrian, ma puoi immaginare che non posso accettare
un'arbitraria deposizione dei Templari. Ci sono stati dei fallimenti, ma anche
molti successi come ben sai, e stiamo portando avanti altre operazioni che non
posso delegare a questo punto.»
Parlai con calma, confidando nella comprensione di
Adrian. Capivo perfettamente la sua posizione, ma sapevo anche che fosse
conscio dell'impossibilità non solo personale ma anche tecnica di un mio passo
indietro.
«E' vero, mi sono ammorbidito negli anni e ho
permesso che un mio errore con Shay Cormac ci conducesse alla disfatta su
questo fronte, ma non permetterò che accada ancora, non una sola volta di più.»
Proseguii, intrecciando le dita e accavallando le gambe per accomodarmi meglio
sulla poltrona.
«Propongo piuttosto un compromesso che porterebbe
benefici ad entrambi: una collaborazione. I Templari condivideranno le
informazioni sulla discrepanza in atto tra gli
Assassini e la conoscenza accumulata sul Cristallo
e le Guerriere, mentre il Trinity potrà aver voce sui procedimenti da adottare
e sulle missioni da intraprendere, tutto ciò in via generale -ovviamente
valuteremo insieme altre proposte. Ne trarremmo giovamento entrambi, Assassini
e Guerriere sono un nemico comune, e fare un solido fronte unico di contro alla
loro frammentazione ci faciliterà le cose.»
Gli proposi sommariamente il mio piano, che avremmo
discusso nei minimi dettagli se avesse accettato l'accordo. Sapevo che non
poteva ignorare la minaccia che rappresentavano i nostri nemici comuni, e in
parte mi pentii di non avergli proposto molto prima una parziale cooperazione
fra i nostri ordini.
«Inoltre, per quanto riguarda la questione di
Cormac... se non hai nulla in contrario avrei piacere ad occuparmene
personalmente. Posso però assicurarti che dopo averlo incontrato non sarà più
in grado di danneggiare alcuno.» Aggiunsi infine, ripensando al traditore.
Per il bene della mia famiglia e dell'Ordine, Shay
non avrebbe conosciuto più alcuna pietà da parte mia.
ADRIAN
Sapevo non si sarebbe
arreso tanto facilmente, abbassando docilmente la testa alle mie parole — le
quali erano state sì dure, dirette, ma non crudeli — e l’ombra di un sorriso
fece capolino sulle mie labbra, parzialmente nascoste dal bicchiere dal quale stavo
bevendo. Il suo comportamento non mi aveva affatto deluso, nè spazientito — la
sua era, dopotutto, la medesima reazione che avrei avuto io stesso, nel vedermi
accantonato con tanta, apparente, semplicità. Eravamo simili, in quello, nella
nostra determinazione nel mandare avanti ciò in cui credevamo e quello lo
rendeva sia un possibile alleato prezioso che un rivale temibile ; nessuno dei
due avrebbe ceduto, a dispetto di qualsiasi ostacolo potessimo trovarci
davanti.
Ciò che diceva non era
certamente impossibile, nè potevo escludere l’evidenza di un beneficio comune,
se avessimo congiunto i nostri sforzi — la situazione era troppo delicata per
poterlo fare, ancora di più alla luce dei nuovi, preoccupanti, sviluppi. Ero
cambiato, ma non abbastanza da poter ingoiare la brutale morte di qualcuno del
mio team, orribilmente mutilato da un essere alieno ( avevo informato
personalmente la famiglia e mi sarei anche assicurato venisse consegnata loro
il corpo, se solo non fosse stato troppo rischioso mostrare a qualunque civile
quello scempio ). Mi trovavo lì anche per quello, di fatti, per fargli presente
l’accaduto, nella
speranza che, come me,
non tollerasse di trovarsi un’altra minaccia innaturale tra i piedi.
« Concordo. Fallimenti
o meno, sarei un folle a rifiutare un accordo del genere. Voglio, però,
trasparenza assoluta, Haytham — voglio essere a conoscenza di ogni sviluppo,
per quanto marginale. » era sottinteso il suo operato sarebbe stato monitorato
attentamente, durante la nostra neonata collaborazione, dopotutto non potevo
concedermi il minimo errore, nè dare per scontato qualsiasi cosa.
« Ma c’è altro di cui
ti devo parlare. Le guerriere non sono l’unica minaccia aliena di cui dobbiamo
occuparci. » posai il bicchiere, ancora mezzo pieno, sul tavolino vicino alla
poltrona, dopo di che non aspettai molto altro ancora, prima di passargli un
fascicolo contenente le foto del povero malcapitato che era stato mandato in
Alaska e le poche immagini in nostro possesso di quella avevamo ragione di
credere fosse la nave madre.
« Una nave è atterrata
in Alaska, una settimana fa. Quelli sono i resti del nostro agente che ha
provato ad avvicinarsi per ottenere informazioni. Ci è stato restituito così da
un certo Principe Endymion di Haumea. »
HAYTHAM
Mi sentii sollevato dalle parole di Adrian, aveva
accettato il mio compromesso e il mio orgoglio fu in parte ripristinato. Si
aprì però un ventaglio di nuove problematiche, come la palese difficoltà di
gestire la temporanea fusione tra la Trinity e l'Ordine, ed in primis la preoccupazione
per Eris e Atlas: se Adrian avesse scoperto la loro vera natura, non avrebbe
esitato. Avrei protetto la mia famiglia a tutti i costi, ma non potevo
garantire di farcela senza spese contro di lui, anche se mi risollevava il
pensiero di avere la minaccia direttamente sotto ai miei occhi piuttosto che
lontana, senza armi per poter intuire le sue mosse.
«Ma c’è altro di cui ti devo parlare. Le guerriere
non sono l’unica minaccia aliena di cui dobbiamo occuparci.» Continuò Adrian,
al che mi sporsi in avanti corrugando la fronte, preoccupato ma incuriosito
allo stesso tempo, mentre allungava delle cruente fotografie sul tavolino di
vetro posto fra noi.
«Una nave è atterrata in Alaska, una settimana fa.
Quelli sono i resti del nostro agente che ha provato ad avvicinarsi per
ottenere informazioni. Ci è stato restituito così da un certo Principe Endymion
di Haumea.» Concluse con voce roca, guardandomi intensamente negli occhi.
Esaminai le immagini, sospirando prima di
raddrizzare la schiena e contraccambiare lo sguardo dell'altro uomo.
«Ci troviamo di fronte ad una forza sconosciuta,
dal potere distruttivo che potrebbe rivelarsi maggiore delle Guerriere.»
Commentai, dando voce ai miei pensieri. «Posso fornirti il supporto dell'Ordine
per indagare, con la reciproca condivisione di ogni informazione ottenuta,
questo caso merita al momento la priorità. Ospiterò volentieri te e i tuoi
sottoposti scelti, forse questo Endymion non conosce la Loggia e potrebbe
essere più sicuro renderla il centro operativo.»
Offrii, sinceramente desideroso di approfondire la
questione.
Sarebbe divenuto molto più complesso continuare la
ricerca dei Frutti per liberare Eris, ma forse ponendo la questione nel modo
giusto avrei anche potuto sfruttare la Trinity per il mio scopo, o quantomeno
tenerla strettamente in osservazione in modo che non interferisse con i miei
piani su quel frangente, praticamente l'unico dal quale differivo con le idee
di Adrian.
Contavo però di appoggiarmi all'aiuto di Thomas,
che avrebbe gestito la ricerca dalla sua base difficilmente intercettabile
dalla Trinity.
Al di là delle mie personali battaglie, però,
dovevo ammettere che la scoperta di quella nuova minaccia mi metteva in
agitazione: avrei fatto di tutto per trarre il più possibile dall'alleanza con Adrian,
perché il presentimento che mi attanagliò le viscere bastava a sorpassare ogni
attrito che potevo avere nei suoi confronti. Questo Principe era pericoloso,
una minaccia che non mi sarei permesso di sottovalutare.
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