Diaftheiro

di Sesquiplebe
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L'insistente ticchettio di un orologio echeggiava all'interno di una casa tra le pareti riluttanti e gli oggetti impolverati abbandonati al degrado.
La dimora non era più abitata da anni or sono -l'ultimo padrone morì di vecchiaia senza lasciarla in eredità a qualcuno-, tuttavia, nonostante ciò, quell'orologio ancora si ostinava a funzionare perfettamente ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo. Torturava le orecchie dei visitatori impedendo di concludere gli affari di vendita e portando costantemente i poveri venditori al punto di partenza. Una volta tentarono di romperlo, ma non vi riuscirono. Quello continuava a strillare a squarciagola.
Nelle stanze non fiatava mai un filo di voce, solo il ticchettare fastidioso riempiva il triste silenzio che aveva divorato lentamente l'atmosfera fino a tacerla completamente dalla morte dell'anziano. Alcuni ipotizzarono un meccanismo di amplificazione a causa del forte rumore udibile ovunque, altri muri sottili dai quali penetrava facilmente le onde sonore, in qualsiasi caso quell'orologio era diventato un peso eccessivo per tutti.
Scandiva monotonamente il passare del tempo, una marcia militare feroce sempre avanti e avanti e avanti, ignorando i cadaveri dei compagni accatastati uno a fianco all'altro alle spalle fredde della lancetta. E proseguiva, proseguiva, proseguiva, avesse avuto chissà chi da raggiungere fra quei stermini di secoli, anni, giorni, minuti, secondi. Massacrava chiunque fosse avanti trasformandoli nel ieri, relitti trascinati indietro e indietro e indietro, schiacciati dai nuovi, finendo poi per sprofondare nell'oblio.

Quell'orologio lo odiavano tutti: nessuno sopportava ascoltare il suo canto tetro come il battere rassicurante del cuore, mentre ricordava l'inesorabile fine destinata ad ognuno di loro.





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