ReggaeFamily
Adesso
non può più ferirmi
C'è
stato un tempo in cui anche io credevo che i figli potessero essere
amati dai propri genitori.
C'è
stato un tempo in cui anche io sono stata bambina e ho avuto tante
belle e colorate illusioni.
C'è
stato un tempo in cui anche io ho avuto una famiglia come tutte le
altre.
Qualche
volta mi chiedo perché il destino ci riserva tante atrocità.
Non
è necessario uscire di casa, non è necessario
riversarci nel mondo che ci circonda. Basta stare quieti tra le mura
domestiche e ascoltare. Sentire.
Le
grida, i litigi, le parole dette con rabbia e risentimento, le parole
non dette, le parole sputate tra i denti in un muto sibilo.
In
quei momenti ho capito che non esiste l'amore, che solo nelle storie
da me create può esistere, perché non è reale e
non si consuma come una vecchia candela.
L'amore
di un uomo per una donna non è mai superiore all'amore che lui
prova per il suo sconfinato ego. L'ho imparato grazie a mio padre.
L'amore
di una donna per un uomo è sempre superiore alla
considerazione che lei ha di se stessa. L'ho imparato grazie a mia
madre.
L'amore
di una madre per i suoi figli va sempre oltre i confini del
conoscibile, ma quello di un padre si ferma di botto quando egli si
rende conto che i suoi figli non sono come li aveva immaginati.
Un
giorno lui disse: «Sei un errore, un peso».
Un
giorno il mio cuore si indurì e divenne di ghiaccio.
Un
giorno persi la fiducia nel genere maschile.
Un
giorno mi ritrovai senza un padre.
Lo
sentivo gridare, lo sentivo insultarmi, convinto che io non potessi
udirlo. Lo sentivo prendersela con mia madre, lo sentivo dimostrare
di essere un vero uomo, credendo davvero di esserlo.
Mi
sentivo furente, piena di odio, speravo che sparisse.
Mi
angosciava, mi disgustava, mi dava la nausea.
Mi
chiedevo perché mi odiasse.
Non
sono nata perfetta, nemmeno lui lo era.
Ma
io avevo qualcosa di peggio, qualcosa di mostruoso.
Diversa,
sbagliata, inutile.
«Quando
ero piccolo io, tutti uscivamo per i fatti nostri. Non avevamo
bisogno dei genitori per fare qualunque cosa.»
«Io
rispettavo mio padre, lui esigeva rispetto e noi dovevamo darglielo.»
«Mia
madre era un'ignorante, serviva solo per fare da schiava a mio
padre.»
«Tu
sei una figlia, un essere inferiore. Devi fare come dico io.»
«Tu
sei un errore, non ho certo scelto io di farti nascere così.»
Così
significava disabile.
Quante anime lottano per far
accettare la loro sessualità? Quante donne lottano per farsi
accettare in quanto persone al pari di tutte le altre?
Quanti disabili vengono
derisi e umiliati e sanno di poter stare al sicuro soltanto tra le
mura domestiche?
Io non avevo neanche questo
piccolo privilegio.
Per lui ero una disabilità,
non una figlia. Una disabilità con tutte le conseguenze del
caso.
Ora non piango più,
ora non mi importa. Ora non provo rabbia, ora non provo risentimento.
Ora non sento più quel vuoto dentro, quella delusione, quella
frustrazione, quell'impotenza.
«È morto»
mi dissero.
Io non provai tristezza, non
avvertii il famoso senso di perdita.
Lui mi ha reso insensibile
nei suoi confronti, lui mi ha plasmato con la sua durezza e mi ha
portato a essere dura come una roccia.
C'è stata una goccia
d'emozione, devo ammetterlo. Un pizzico di sollievo, piccolissimo e
quasi insignificante.
Oggi mi chiedo perché.
Perché non è
riuscito ad amarmi? Perché non è riuscito ad
accettarmi? Perché lui non era in grado di capire che anche io
ho dei sentimenti? Perché lui stesso non era in grado di
provarne?
Non a tutto c'è una
spiegazione.
Anche Forrokh Bulsara infine
fu accettato da suo padre, che lo riconobbe come Freddie Mercury e
gli fece capire che lo amava nonostante avesse cambiato nome e
cognome, nonostante fosse diventato una rockstar al centro di
un'infinità di scandali, nonostante fosse omosessuale.
So che lui non mi avrebbe
mai accettato, mai amato, mai capito, mai ascoltato.
Forse è meglio così.
Il suo riflesso aleggia
ancora nei miei peggiori incubi.
La sua ombra ancora mi
perseguita.
Ma io sono più forte.
Adesso posso affrontarlo.
Adesso
non può più ferirmi.
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