Sangue, solo sangue attorno a
lei. Tutto ne era stato invaso: il suo kimono, le sue mani, il terreno
sotto le sue gambe, ormai impregnato di quel liquido caldo
dall’odore ferroso.
Stringeva tra le sue
braccia un corpo, il corpo di un uomo. Lo stringeva con tutte le sue
forze, per paura che qualcosa o qualcuno potesse portarglielo via. Il
volto dedll'uomo ormai era una maschera senza espressione, vuota, senza
vita.
La ragazza piangeva
calde lacrime, disperata. Non poteva crederci che fosse davvero
successo, proprio a lui: l’essere più forte, colui
che era inavvicinabile, irraggiungibile, ora giaceva esamine tra le sue
minute braccia.
Lo guardò con
gli occhi annebbiati dalle lacrime: nemmeno l’Oscura
Mietitrice era riuscita ad alterare i suoi tratti fieri; anche nella
morte lui sembrava il solito e fiero demone.
I capelli argentei si
erano riversati sul terreno gravido di sangue, il suo sangue, e qualche
ciocca era stata contaminata da una screziatura scarlatta. Il kimono
era brutalmente squarciato all’altezza del petto, da cui
sgorgava prepotente il sangue.
-Ti prego… non lasciarmi… sola- piangeva la
ragazza.
In quel momento qualcuno le poggiò una mano sulla spalla,
lei però non si voltò.
-Rin, devi essere forte-
le disse la voce, appartenente ad una vecchia donna.
-E come posso farcela?-
strillò lei, avvinghiandosi ancora di più al
corpo del demone, come se fosse l’unica cosa che avesse senso
nella sua vita.
L’anziana donna sospirò.
-Credi nella
reincarnazione?- chiese pacatamente.
La giovane si voltò per la prima volta di scatto, un barlume
di speranza comparve negli occhi nocciola. Se poteva esserci anche una
sola possibilità per lei e il suo amato demone di potersi
incontrare ancora una volta, l’avrebbe sfruttata, in un
ultimo disperato tentativo.
-Che… che cosa intendi, Kaede?- domandò lei,
quasi come se la stesse supplicando.
-Credi in una seconda possibilità? In un altro incontro tra
te e lui?-
-Oh, Kaede, se solo
fosse possibile, non esiterei a crederci- singhiozzò lei con
gli occhi pieni di lacrime.
Kaede sollevò gli angoli della bocca, formando un lieve
sorriso sul suo volto. La giovinezza, la speranza,
l’ingenuità della ragazza le trasmettevano solo
tanta tenerezza. Avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per poterla
rendere felice, quella piccola umana divenuta ormai come una figlia.
-Un giorno, non ti è dato sapere come, non ti è
dato sapere quando, tu e il tuo amore vi incontrerete nuovamente. Non
avrete ricordi della vostra vita precedente, ma verrete attratti
l’una all’altro senza neanche accorgervene, non
potrete fare niente per impedirlo. Quello che è accaduto in
questa vita, si ripeterà nuovamente e ancora e ancora, fino
a quando il vostro amore non troverà realizzazione.
È questo il destino delle anime gemelle-
La ragazza l’ascoltò attentamente e altre calde
lacrime scesero sul suo viso, ma erano lacrime di speranza,
l’ultimo appiglio per poter sopravvivere alla sua assenza.
-Se è questo
quello che deve accadere, ci crederò- disse, guardando di
nuovo il demone.
Si soffermò
su ogni piccolo dettaglio sul suo viso: il naso, le labbra, le palpebre
che in quel momento crudelmente la privavano delle sue amate iridi
ambrate.
Un’altra
lacrima le cadde lungo la guancia. Si chinò sul volto del
demone. Ciò che le aveva detto la vecchia Kaede doveva per
forza essere vero, come avrebbe mai potuto mentirle, con il rischio di
farle solo ancora più del male? E anche se quella storia
delle anime gemelle non fosse stata vera, lei ci avrebbe creduto
fermamente, con ogni fibra del suo essere, fino a quando la sua
volontà e la sua fede non avrebbero smosso lo stesso
universo, gli dei in persona.
-Sesshomaru… un giorno ci incontreremo di nuovo- disse lei,
prima di donargli un ultimo, gelido bacio.
***
La sveglia scattò puntuale alle sette del mattino in punto.
Il trillo acuto e penetrante martellò le orecchie della
povera bambina, che si svegliò di soprassalto. Ci mise un
po’ a realizzare dove fosse, tanto profondo era ancora il suo
sonno. Sbattè più e più volte le
palpebre e poi cominciò a strofinarsi gli occhi cisposi con
le dita.
Il suo futon era ancora caldo e invitante e sembrava che qualsiasi cosa
attorno a lei le stesse suggerendo di rimanere a dormire ancora un
po’: il futon comodo e accogliente, la coperta pesane e calda
che la faceva sentire protetta dal terribile acquazzone che si era
riversato sulla città quella mattina di novembre. Poteva
sentire, a finestre chiuse, lo scroscio della pioggia al di fuori della
sua cameretta.
Quanto sarebbe stato bello poter poltrire ancora un po’,
pensò la bambina mentre con la manine minute si tirava il
piumone fin sopra il naso. Ma l’idillio durò ben
poco, perché sua nonna sbattè violentemente
l’anta della porta scorrevole della sua camera, facendo un
gran baccano e prendendo di sorpresa la povera bambina.
-Rin! È ora di alzarsi, non fare la poltrona!- la
rimproverò l’anziana donna con tono duro.
La bimba si alzò di scatto a guardare sua nonna, quasi
supplicandola di non sottoporla alla tortura di dover abbandonare il
caldo giaciglio.
-Nonna, non mi sento molto bene oggi, non posso restare a casa a
dormire un po’?- propose subito la piccola Rin, sperando che
la nonna per una volta cedesse al suo buon cuore e accontentasse il suo
desiderio.
-Non provare a fare la furba con me, signorinella. Ora tu ti alzerai da
quel letto e verrai a fare colazione giù in cucina con me-
Rin sbuffò frustrata da quella risposta. Scostò
dal suo corpicino il piumone e, a malincuore, si avviò verso
il bagno per prepararsi ad un’altra giornata di scuola. Ci
mise un po' per prendere coraggio e lavarsi la faccia con l'acqua
fredda che proveniva dal rubinetto. Sospirò più
volte e mormorava fra se e se incitamenti, il cui unico destinatario
era lei stessa.
-Coraggio, ce la puoi fare!- esclamò un secondo prima di
spruzzarsi l'acqua sul viso e lavarsi via dalla faccia anche quel
briciolo di speranza di poter passare tutta la mattinata a dormire a
casa.
Quando ebbe finito di prepararsi, scese al piano di sotto a fare
colazione con sua nonna, la quale l’attendeva
pazientemente. Per ingannare l’attesa aveva acceso la
televisione, sintonizzandola su un vecchio film occidentale. Rin prese
posto e si servì subito di un po’ di riso in
bianco preparato per la colazione.
-Hai dormito bene, bambina mia?-domandò la nonna tra un
boccone e l’altro.
Attese una risposta, che però non arrivò mai.
Kaede riformulò la domanda, ma ancora una volta la risposta
non arrivava. Spazientita si voltò verso la nipote.
-Rin, ma mi stai ascoltando?- sbottò.
La bambina, richiamata alla realtà, rivolse i suoi occhi
verso la nonna, con un’espressione sorpresa e perplessa. Dal
suo viso si poteva capire che non aveva sentito neanche una parola di
quello che la nonna le aveva detto.
-Non c’è niente da fare: quando
c’è qualche film in tv, te ti perdi in un mondo
tutto tuo- sospirò l’anziana, mentre scuoteva
leggermente la testa.
-Scusa nonna- balbettò la bambina, arrossendo di vergogna.
Non era carino non ascoltare le persone quando ti parlano, questo le
avevano sempre insegnato, ma quando si trattava di libri e film, Rin si
catapultava in un mondo tutto suo, dove a nessuno era concesso entrare.
Bastava che in televisione ci fosse un film discretamente interessante,
che subito tutto il resto del mondo perdeva di colore e spessore, si
appiattiva e passava in secondo piano. Fin da piccola le piacevano le
storie che venivano raccontate, vi si immergeva totalmente. Spesso e
volentieri provava a recitarle da sola. Le venne in mente sua madre e i
suoi incitamenti quando Rin allestiva uno spettacolo teatrale
improvvisato: non c’era scenografia, non esisteva un sipario
e il palco era solo un perimetro immaginario tracciato sul tatami. La
fantasia era l’unico ingrediente, ma quanto era divertente,
perché tutto era possibile.
-Non ti preoccupare. Volevo solo sapere se avessi dormito bene-
continuò la nonna con tono dolce.
Dormito bene? Beh era una parola un po’ troppo grossa. Era da
un po’ di sere che faceva sempre lo stesso sogno, che ora
faticava a ricordare. I contorni erano sfuocati e i volti dei
protagonisti del suo sogno faticavano a imprimersi sulla tela della
memoria.
-Sì, ho dormito profondamente- mentì alla nonna e
si portò un altro boccone di riso in bocca.
Ricordava vagamente che nel sogno c’era una ragazza, una
ragazza che piangeva la morte di qualcuno. Altro non ricordava. Se
provava a chiudere gli occhi per immaginare la scena, vedeva soltanto
del rosso, come se quello fosse il colore dominante
dell’intera scena. Ad ogni modo Rin non se ne diede molta
pena, le era capitato molte volte di sognare qualcosa di simile. La sua
mentalità da bambina, per ora, non le permetteva di porsi
altre domande.
Una volta finita la sua colazione, Rin portò la sua ciotola
al lavandino, pulì i suoi utensili e poi corse su in camera
sua per preparare la cartella.
Trafficò con i quaderni ed i libri scolastici per un bel
po’, ancora non aveva imparato a memoria il suo orario.
Cercò sulla sua scrivania anche un’altra cosa: un
copione. Rin faceva parte del club di recitazione della scuola
elementare dove andava e si stava preparando per lo spettacolo di fine
anno; dopo le lezioni si sarebbe fermata alle prove con gli altri
piccoli attori come lei. Adorava recitare, era divertente e le riempiva
il cuore di felicità. La nonna e la mamma
l’avevano portata spesso a teatro a vedere qualche
rappresentazione: la prima della sua vita fu “Il mago di
Oz” e ricordava ancora con un certo timore negli occhi, la
paura che l’aveva assalita quando la perfida Strega
dell’Ovest aveva fatto il suo ingresso in scena. Forse fu per
il trucco verde sulla faccia o per l’interpretazione
appassionata dell’attrice, ma Rin scoppiò subito a
piangere, rifugiandosi tra le braccia della madre.
-Rin, sbrigati o perderai l’autobus!- la riportò
alla realtà la voce della nonna dal piano di sotto.
La bambina si ridestò dai ricordi, raccattò tutto
quello che le serviva e si precipitò giù per le
scale. Prima di abbassarsi per infilare le scarpe, si voltò
verso l’antica cassettiera all’ingresso, rivolse lo
sguardo verso una fotografia contenuta in un portafoto dal contorno
semplice di colore nero. Al suo interno era contenuta una foto,
leggermente sgualcita ai bordi. Rin sorrise, poi sussurò:-
Ciao, mamma-
***
La scuola elementare di Rin era piuttosto grande ed ospitava sia le
scuole elementari che le medie. I club erano numerosi, ma quello di
teatro godeva di una buona reputazione: gli spettacoli,
benchè non fossero tenuti da professionisti, erano curati
nei minimi dettagli e gli studenti ricevevano preziosi insegnamenti dai
loro insegnanti.
Rin volle iscriversi al club di recitazione fin dal suo primo giorno di
scuola, moriva dalla voglia di farlo. Ormai erano quattro anni che ne
faceva parte e con gli anni era riuscita a migliorare ed anche a farsi
una cerchia di amici abbastanza stretti. Nonostante fosse una bambina
piuttosto socievole, la sua più grande amica però
era solo una: Kanna Miura.
Le due bambine si erano conosciute lentamente: ognuna rimase
affascinata dall’altra, si erano guardate incuriosite alle
prime lezioni del club, e con il tempo la loro voglia di conoscersi si
era tramutata in un sentimento di amicizia. Le differenze tra loro
erano palpabili, non solo a livello fisico, ma anche a livello
caratteriale: se una era un vulcano di energia, l’altra era
calma e silenziosa; se una aveva il viso incorniciato da lunghi capelli
neri, l’altra vantava capelli chiarissimi che si sposavano
perfettamente con il colore della pelle.
Le bambine si trovavano entrambe alle prove, le lezioni erano finite da
un pezzo. Tutti i membri della compagnia del teatro delle elementari si
sentivano eccitati: lo spettacolo di Natale si avvicinava sempre di
più. Per quell’anno era stato deciso di portare
sulle scene una delle opere più famose di Dickens,
“Il canto di Natale”. A Rin era toccato il ruolo
del fantasma dei natali passati, parte che sembrava le calzasse a
pennello in quanto il primo dei fantasmi dell’opera
dickensiana era descritto come un personaggio luminoso, allegro. Kanna
doveva rivestire i panni del fantasma del natale futur, altro ruolo
assegnato tenendo conto della naturale propensione della bambina:
silenziosa, delle volte glaciale e dal portamento elegante e senza
movimenti superflui.
Le due amiche erano sedute leggermente in disparte, in attesa del loro
turno.
-ehi Rin…- sussurò Kanna, cercando di non farsi
sentire dagli altri: non era rispettoso verso i compagni che stavano
recitando.
-Sì?- domandò Rin sorpresa. Di solito Kanna
parlava durante le prove solo se strettamente necessario o se proprio
non poteva aspettare a dirle qualcosa, cosa che accadeva piuttosto
raramente.
La bambina aprì il suo copione apparentemente a caso e, con
lentezza quasi studiata, poggiò sulle gambe della piccola
Rin due cartoncini rettangolari di colore giallo.
Rin osservò meglio ciò che Kanna le aveva messo
sotto gli occhi. In un primo momento non capì, ma con
un’occhiata più attenta lesse “Il
mercante di Venezia”. Afferrò i biglietti con
entrambe le mani e se li portò più vicini al
viso, come se avesse paura di aver letto male e che quel titolo se lo
fosse inventato la sua mente birichina. Lesse ancora una volta e sul
visino le si disegnò un sorriso estatico.
-Ma… dici sul serio?- bisbigliò Rin, cercando di
domare l’ondata di eccitazione che sentiva travolgerla come
un’onda anomale in quel preciso momento.
Kanna abbozzò un sorriso divertito:-Papà li ha
ricevuti in omaggio in ufficio e mi ha detto che potevo portarci chi
volevo. Verrà anche lui con noi, per accompagnarci-
“Il mercante di Venezia”, Rin non sapeva di cosa
parlasse per la precisione, ma poco le importava, sarebbe stata attenta
per tutta la durata dello spettacolo per poter capire. La cosa
più importante era poter andare a teatro ed ora la sua
migliore amica le stava offrendo quell’occasione.
Da quando la mamma era morta, la piccola non aveva avuto molte
occasioni per andare a teatro: la nonna doveva lavorare molto per poter
permettere alla nipote una vita dignitosa, magari riuscendola a viziare
di tanto in tanto.
Si voltò verso Kanna e, sempre in silenzio, con il sorriso
stampato sulle labbra disse:- Grazie!-
In risposta, l’altra si limitò ad annuire
lievemente con la testa.
***
Subito dopo le prove, sia Rin che Kanna si erano precipitate a casa: i
compiti per il giorno seguente non erano pochi e loro desideravano con
tutto il cuore godersi lo spettacolo di quella sera, senza il pensiero
della scuola. Rin, appena messo piede in casa, si era fiondata in
camera sua e subito ripiegata sulla scrivania di fianco al suo letto.
Aveva in mente un solo pensiero: lo spettacolo di quella sera,
“Il mercante di Venezia”. Durante il tragitto verso
casa Kanna le aveva detto che lei e suo padre sarebbero passati a
prenderla per ora di cena, avrebbero cenato in un ristorante di fianco
al teatro e poi avrebbero potuto godersi la rappresentazione.
La luce aveva fatto spazio alla sera in un batter d’occhio,
subito le strade si erano lasciate ricoprire dal quel sottile velo
nero, i lampioni erano stati accesi e la città si apprestava
ad indossare scintillanti gioielli luminosi.
Nonna Kaede era intenta a preparare un infuso commissionatole da una
delle sue clienti più strette. In fondo era contenta che sua
nipote avesse ricevuto quell’invito, così lei
avrebbe potuto portarsi avanti con il lavoro arretrato e la piccola Rin
un ricordo piacevole.
La piccolina riuscì a salvarsi per il rotto della cuffia e i
compiti furono completati in tempo. Dopo essersi lavata accuratamente e
pettinata altrettanto minuziosamente, aprì
l’armadio alla ricerca di un vestito adatto per la serata.
Non erano molti, ma Rin aveva già le idee chiare: avrebbe
indossato un vestito di velluto blu, dalla gonna ampia e il colletto
bianco. Lo indossava esclusivamente per eventi che lei reputava
speciali.
Le era stato confezionato dalla nonna per il suo ultimo compleanno, lo
aveva copiato da una rivista di moda.
Rin si vestì accuratamente: si infilò il vestito,
scelse le calze e le scarpe da abbinarci, indossò un
bracciale regalatole da sua mamma anni prima.
Poco prima di scendere giù in cucina per chiedere un
opinione alla nonna, le capitò di incontrare la sua immagine
nello specchio. Si guardò con attenzione ed ebbe a
sensazione che mancasse qualcosa, vedeva riflessa una bambina banale,
per niente originale. Si studiò con attenzione, piegando la
testa di lato e strizzando gli occhi in cerca di
un’ispirazione improvvisa. Subito le venne in mente
un’idea geniale: agguantò un elastico poggiato
sulla piccola cassettiera e, con mani esperte, si acconciò i
capelli in una pettinatura del tutto personale. Quando ebbe finito, si
concesse alcuni minuti per ammirare il lavoro fatto. Sorrise: quel
codino di lato le stava davvero bene.
-Come sei carina, bambina mia- disse una voce alle sue spalle. Rin vide
il riflesso della nonna nello specchio.
Si voltò con un grande sorriso e la nonna si
sentì pervadere da un senso di calore senza eguali. Da
quando sua figlia era morta, la piccola Rin era l’unico
tesoro che le fosse rimasto a questo mondo, e vederla così
sorridente, con gli occhi che luccicavano, la faceva sentire in
completa pace con se stessa. La vecchiaia e la vita le avevano tolto
tantissime cose ed aveva giurato a se stessa che per la sua unica
nipote si sarebbe impegnata al massimo per farla sentire felice e
protetta.
Il suono del campanello costrinse entrambe ad interrompere quel momento
di intimità familiare.
-Credo che Kanna sia arrivata-la informò la vecchia Kaede,
mentre l’aiutava ad indossare il cappotto.
***
Che storia meravigliosa.
Rin non riusciva a pensare ad altro da quando il sipario di velluto
rosso aveva lasciato posto alla scenografia che evocava
l’antica città lagunare.
Lei e Kanna, scortate dal padre di quest’ultima, avevano
riservati i posti in platea: quarta fila dal palcoscenico. Non potevano
sperare in qualcosa di meglio.
L’eccitazione era così forte che Rin non aveva
avuto molta voglia di mangiare, face uno sforzo per non offendere il
signor Miura, che tanto gentilmente si era fatto carico della
soddisfazione di due bambine. Rin guardava rapita, come se fosse sotto
l’effetto di un incantesimo, gli attori sul palcoscenico.
Come si muovevano, il modo in cui parlavano, in cui modulavano la voce,
così potente che pure gli spettatori in balconata erano in
grado di capire ogni singola parola di ogni singola battuta. Tutto
appariva così naturale, niente era forzato e
l’energia che trasmettevano contagiosa.
Rin se ne sentì pervasa, completamente. Un sorriso le si
dipinse sul volto. Li invidiava, tremendamente. Avrebbe tanto voluto
esserci lei sul palco, non le importava avere il ruolo della
protagonista: le sarebbe bastato solo recitare, far parte di quel mondo
fluttuante, sospeso tra la realtà e la fantasia.
Quello che provava nel club di recitazione era niente rispetto alla
gioia che avrebbe avuto nel far parte di una compagnia di attori
professionisti.
Il cuore dentro al petto, sembrava essere impazzito: batteva forte,
eccitato. Rin emise un sospiro.
Un giorno anche io farò parte di uno spettacolo del genere,
pensò invasa da un sentimento di speranza che inondava ogni
cellula del suo esile corpicino.
Quando lo spettacolo si concluse, la piccola battè le mani
talmente forte da farle diventare tutte rosse.
Kanna, che aveva notato quel dettaglio, disse ridendo:-Ma Rin, non
starai esagerando?-. Ovviamente la diretta interessata non aveva
ascoltato neanche una parola della domanda della sua migliore amica e,
con impeto crescente, seguitò a sfogare la sua ammirazione
per ogni singolo attore che veniva presentato.
Una volta che il palcoscenico fu vuoto e le luci di nuovo accese, Rin
sembrò ritornare alla realtà. Quando si
voltò incontro gli occhi divertiti di Kanna, la quale, con
la sua solita calma e dolcezza le disse:-Sono contenta che ti sia
piaciuto-
-Moltissimo, Kanna. Non so come ringraziarti. È stato uno
degli spettacoli migliori della mia vita- esclamò
traboccante di gratitudine.
Il padre di Kanna si intromise in quel siparietto tra le due amiche e
annunciò loro di alzarsi per poter far ritorno a casa,
dopotutto il giorno dopo c’erano le lezioni scolastiche ad
attenderle.
Rin subito si alzò in piedi, ma, forse a causa
dell’eccitazione, mise un piede in fallo ed
inciampò su lei stessa, cadendo all’indietro. Era
pronta a sentire sotto di lei l’urto del suo sedere con il
pavimento freddo e lucido del teatro ma così non fu, al
contrario precipitò su qualcosa di più morbido.
Aprì istintivamente gli occhi, per capire cosa
l’avesse salvata da un livido bello grosso sul sedere.
Guardò verso l’alto e le incontrò: due
iridi ambrate, belle e profonde, leggermente fredde.
Rin sbattè le palpebre più volte per mettere a
fuoco il suo salvatore. La bambina rimase sbigottita nel vedere davanti
a lei un ragazzo grande, molto più grande di lei.
Arrossì per la vergogna.
-Mi… mi scu-scusi, signore- balbettò lei,
sentendosi subito intomorita.
Il ragazzo la guardava senza battere ciglio, anche se uno sguardo
più attento avrebbe scovato in quella maschera di perenne
indifferenza, una nota di fastidio. In fondo quella mocciosa gli era
precipitata sulle gambe, impedendogli di muoversi. Lui non rispose e
Rin si sentì ancora più mortificata.
Cercò di rialzarsi subito, aiutata anche da Kanna e da suo
padre, i quali erano accorsi in suo aiuto.
-Mi scusi, spero non le abbia fatto male- tentò di scusarsi
il padre di Kanna con il ragazzo, mentre rimetteva in piedi una Rin
rossa in faccia come un peperone.
Il ragazzo, con una lentezza quasi estenuante, si alzò in
piedi, rivelando la sua statura notevole e la figura longilinea.
-Nessun disturbo- si limitò a dire.
Rin, nascosta dietro la frangetta, spiò il volto del
giovane. Capì subito che si trattava di uno youkai, lo aveva
capito dai segni demoniaci che adornavano il volto pallido e fiero. Una
mezza luna di colore viola regnava sulla fronte, incorniciata da una
frangia di capelli argentati.
Il ragazzo sembrava alla bambina bello come un principe.
Chissà quanti anni aveva: diciotto, venti?
-Andiamo, Sesshomaru- lo chiamò una voce.
Il ragazzo non si scompose. Con un lieve cenno del capo
salutò il terzetto che aveva davanti agli occhi e, con la
tipica eleganza dei demoni antropomorfi, si avviò verso
l’uscita del teatro.
Rin lo seguì con lo sguardo.
Che bello quel principe.
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