ReggaeFamily
Get
Better
«Price?»
Sollevai
il capo di scatto e incrociai gli occhi scuri di Dominic.
Tenevo
tra le mani una bottiglia di birra e me la rigiravo con fare
annoiato. «Dimmi» risposi.
Il
chitarrista mi si sedette accanto, per poi fare un sorso dal
bicchiere di plastica che teneva in mano. «Pensavo una cosa. La
prossima volta che siamo in studio, voglio arrangiare meglio il brano
che stavamo provando durante il sound check, prima.»
Annuii.
«Buona idea. Sembrava un'idea carina.»
«Lo
è, cazzo, fratello. Ti rendi conto? Siamo una forza, tutti ci
amano...»
Gli
lanciai un'occhiata sospettosa. «Sei ubriaco o è
l'atmosfera natalizia a farti male?» buttai lì.
«Coglione.»
Dominic mi mollò una gomitata, poi rimase per un attimo in
silenzio.
Lo
conoscevo abbastanza bene per capire che quel silenzio era piuttosto
strano.
«Devi
dirmi qualcosa, Craik?» lo interrogai.
Lui
sospirò. «Price, non voglio farmi gli affari tuoi,
però... non hai ancora deciso cosa fare con Joe?» chiese
infine.
Alzai
gli occhi al cielo, poi abbassai il capo e ringraziai la visiera del
mio cappellino che mi proteggeva dagli occhi pungenti di Dominic.
«Eh... mmh...»
«Andiamo!
Ti ha invitato a un fottuto pranzo di Natale, che sarà mai?»
proseguì il mio amico con semplicità.
«Non
so se sia il caso» farfugliai.
«Ma
qual è il problema, fratello?» volle sapere.
Senza
guardarlo, sospirai. «Questa cosa sta diventando più
grande di me, non so se... Craik, è tutto così
ufficiale!»
«La
sua famiglia sa tutto, quindi... fregatene» mi consigliò
Dominic.
Lo
guardai. «Per te è facile. A te piacciono le ragazze.»
«E
allora?» se ne uscì, inclinando leggermente il capo di
lato.
«Non
lo so. Joe è molto sensibile, non vorrei deluderlo. Non vorrei
che lui pensasse... magari i suoi parenti penseranno che io sia un
coglione.»
Il
chitarrista rise. «Avrebbero ragione.»
Gli
mollai un pugno sulla spalla. «Pensa per te, stronzo.»
Dominic
rise. Era un ragazzo allegro e loquace, mi piaceva chiacchierare con
lui perché era sempre sincero e non risparmiava mai di dire
ciò che pensava davvero, qualunque fosse l'argomento che si
stava affrontando.
«A
parte gli scherzi, io ti consiglio di accettare. Joe ne sarebbe molto
felice» aggiunse poi, battendomi fraternamente sulla spalla.
«Ci
penserò» risposi, ancora dubbioso.
Dominic
si mise in piedi e poco dopo fummo raggiunti da Philip; la sua figura
corpulenta si stagliò sulla soglia della stanzetta in cui ci
trovavamo, coprendo quasi del tutto la visuale sul corridoio.
«Che
si fa? Torniamo in albergo? Conor è stanco morto, e anche io
non ne posso più... domani finalmente torneremo a casa!»
esordì il nostro amico, incrociando le braccia sul petto.
Notai
che aveva indossato una felpa, nonostante avesse suonato con una
delle sue solite canottiere; succedeva spesso che, una volta finita
l'adrenalina del live, il bassista indossasse qualcosa sopra il suo
solito outfit da palcoscenico.
«Sì,
andiamo» accettai di buon grado.
Non
vedevo l'ora di buttarmi a letto, prendere Joe tra le braccia e
dormire per almeno cinque ore filate. Ero distrutto, e poi stare in
tour in inverno non mi piaceva più di tanto. Preferivo mille
volte suonare all'aperto, sudare come un dannato e poi buttarmi sotto
il getto d'acqua fresca. Preferivo trascorrere le notti a
bighellonare sulla terrazza di qualche albergo o per le strade di una
città qualunque.
«Dov'è
Joe?» chiesi a Philip.
«Sono
qui!» esclamò il ragazzo biondo, intrufolandosi nella
stanza dopo aver dato una leggera spinta al bassista.
Philip
gli lanciò un'occhiataccia truce, ma non fece in tempo ad
aprir bocca che si ritrovò Dominic addosso. Il chitarrista lo
abbracciò senza alcun preavviso, poi prese a scompigliargli i
capelli. «Ehi, cucciolo!»
L'altro
se lo scrollò di dosso e prese a imprecare, mentre la voce
stridula di Conor risuonava nel corridoio. «Datevi una mossa,
non mi reggo in piedi!» strillò.
Joe
mi si accostò e sorrise, quel sorriso dolce e meraviglioso che
era in grado di scaldarmi il cuore come nient'altro. «Eri
preoccupato?» mormorò, prendendo la mia mano.
Intrecciai
le dita con le sue e mi avviai verso l'uscita. «Solo un po'»
replicai.
«Non
capisco perché mi fate sempre aspettare un'eternità!»
stava frignando Conor.
«Ma
piantala, non rompere i coglioni e cammina!» lo rimbeccò
Dominic, spintonandolo lungo il corridoio.
Io
scoppiai a ridere, mentre Joe e Philip si scambiavano un'occhiata
esasperata e sospiravano.
«Buonanotte
tesori!» strillò Dominic, per poi spingere Conor e
Philip dentro la loro stanza e richiudersi la porta alle spalle.
Io
e Joe ci scambiammo un'occhiata.
«Da
quando ha visto Bohemian Rhapsody
si comporta come Freddie Mercury» borbottai.
Joe
aprì la porta della nostra camera e mi fece cenno di entrare,
per poi seguirmi. «Craik è un cretino,
lo sai» commentò.
Mi voltai di scatto e lo
intrappolai tra le mie braccia, stringendo il suo corpo esile al mio.
«Ora non mi importa di lui» mormorai al suo orecchio, per
poi baciare lentamente il suo collo e godere di quella pelle chiara e
soffice che tanto mi faceva impazzire.
Joe reclinò il capo
all'indietro e si offrì completamente a quella dolce tortura,
mentre con le mani sfilava gentilmente il cappellino da baseball
dalla mia testa e lo lasciava cadere a terra.
«Andiamo a letto»
sussurrai, mentre percorrevo con le mani la sua schiena e
giocherellavo con le ciocche morbide dei suoi capelli.
Ci eravamo cambiati e
avevamo fatto tappa in bagno, anche se era stato difficile stare
distanti in quei pochi minuti.
Quella sera era talmente
stanco che non riuscivo quasi a rispondere ai dolci baci di Joe. Se
ne stava steso su di me e mi accarezzava, baciava la pelle del mio
viso e del mio collo, riuscendo a rilassarmi completamente e a
sciogliere qualsiasi tensione.
«Joe, ci ho pensato»
sussurrai, percorrendo delicatamente uno dei suoi fianchi con la
mano.
«A cosa?» soffiò
lui nel mio orecchio.
«Al tuo invito. Credo
che si potrebbe fare» gli comunicai con un poco di incertezza.
Lui sollevò il capo
di scatto e mi guardò dritto negli occhi. «Davvero?»
chiese conferma con entusiasmo.
«Davvero»
ripetei, regalandogli un sorriso.
Joe mi gettò le
braccia al collo e cominciò a riempirmi di baci rumorosi,
mentre mi ringraziava tra uno schiocco e l'altro.
«Okay, okay, basta!»
risi, rotolandomi con lui tra le lenzuola.
Rimanemmo abbracciati in
silenzio. Joe mi fece posare il capo sul suo petto e prese ad
accarezzarmi i capelli e il viso.
«Sono distrutto»
farfugliai.
«Allora dormi»
mi suggerì, mentre le sue mani gentili si spostavano con
dolcezza sulla mia pelle.
«Ma domani non mi
scappi» grugnii, per poi allungarmi a baciare il suo collo.
«Sì, sì...
adesso dormi, piccolo teppista. Domani vedremo cosa fare» mi
rimbeccò.
Sorrisi. Adoravo il mio
amato Joe, non avrei potuto fare a meno di lui neanche se lo avessi
voluto.
Presi un profondo respiro e
feci partire la chiamata, il cuore che mi martellava nel petto come
se volesse scappare via dal mio controllo.
Le dita della mano sinistra
si serrarono ancora di più attorno ai manici della busta di
carta che tenevo in mano, mentre quelle della mano destra si
stringevano con forza sul cellulare.
La voce familiare di Joe
fece capolino all'altro capo del telefono. «Pri, sei arrivato?»
esordì.
«Sì, sono sotto
casa tua» ammisi in tono piatto.
«Arrivo»
annunciò, poi chiuse la chiamata.
Osservavo il palazzo che mi
trovavo di fronte senza neanche vederlo, senza riuscire a notare i
particolari che lo caratterizzavano; provavo molta ansia per quel
primo incontro con la famiglia del mio ragazzo, non avevo mai fatto
niente del genere, me la stavo facendo sotto.
E se non fossi piaciuto ai
suoi genitori? E se suo fratello mi avesse giudicato un idiota?
Joe mi avevo sempre detto
che Louis era particolarmente abile nel farsi un'idea precisa e
corretta delle persone. Dovevo stare attento a come mi comportavo
quel giorno, ne andava della mia reputazione.
Joe aprì il portone e
mi venne incontro, abbracciandomi. Indossava una giacca a vento verde
militare sopra un maglione a righe verdi e bianche, un paio di
pantaloni neri felpati e delle scarpe da ginnastica.
Lo tenni stretto per un
attimo e gli lasciai un rapido bacio sulle labbra. «Ehi. Me la
sto facendo sotto.»
Joe ridacchiò e
sciolse l'abbraccio, per poi intrecciare le sue dita alle mie. «Non
essere sciocco. A loro piacerai un sacco, non vedono l'ora di
conoscerti.»
«C'è anche tua
nonna?» domandai, mentre raggiungevamo l'ascensore.
«Certo! Nonna Caroline
e anche zia Bridget» annunciò con un enorme sorriso.
Una volta all'interno del
box metallico, mi chinai su Joe per intrappolare le sue labbra
carnose e dolci in un bacio, spingendo la mia lingua dentro la sua
bocca.
Lui infilò le dita
tra i miei capelli e mi tirò più vicino a sé.
Poco dopo si staccò e mi osservò perplesso.
«Che c'è?»
borbottai.
«Non hai messo il
cappellino» notò.
«Già, non mi
sembrava il caso» ammisi.
«Sei un cretino! Devi
essere te stesso, non ti venga in mente di...»
«Non potevo
presentarmi con quell'affare a un pranzo di Natale, è
un'occasione importante» lo contraddissi.
Le doppie porte
dell'ascensore si spalancarono e noi ci ritrovammo su un ampio
pianerottolo, sul quale spiccava un enorme e coloratissimo albero di
Natale.
«Sarà... Pri,
siamo arrivati!» annunciò, accennando a una porta
socchiusa.
Poco prima che potessimo
aprirla, qualcuno la spalancò e si stagliò sulla
soglia. Si trattava di un ragazzo biondo come Joe, che portava i
capelli corti e sistemati con il gel in un'acconciatura ordinata. I
lineamenti non erano molto più marcati di quelli del fratello,
ma le labbra erano più sottili e il naso un poco più
grosso. Gli occhi erano identici a quelli di Joe, grandi ed
espressivi.
Louis Langridge-Brown era
muscoloso, indossava abiti piuttosto alla moda e pareva un ragazzo
come tanti. Non aveva qualcosa che lo distinguesse da tante altre
persone.
Mi sorrise, e a quel punto
mi resi conto che quel gesto semplice e luminoso era davvero caloroso
e accogliente, amichevole nei miei confronti.
«Ehi, tu devi essere
Price!» mi salutò Louis, invitandomi a entrare.
Joe, senza smettere di
tenermi la mano, mi guidò dentro casa sua. Suo fratello
richiuse la porta e si piazzò di fronte a me, scrutandomi con
curiosità mentre le sue ciglia lunghe sbattevano di tanto in
tanto.
«Ciao, tu devi essere
Louis» buttai lì, stringendo con più forza la
mano di Joe.
«Indovinato! Oh,
amico, ti piace il vino?» mi chiese.
Un sorriso spontaneo sbocciò
sulle mie labbra e la tensione di botto si sciolse. Lasciai andare la
mano del mio ragazzo e sollevai il braccio per mollare un'amichevole
pacca sulla spalla di Louis. «Puoi scommetterci!»
L'altro sorrise e mi strizzò
l'occhio. «Sei okay. Andremo d'accordo.»
Myra Langridge-Brown era una
donna mora, aveva gli stessi occhi grandi dei suoi figli e la pelle
chiara come quella di Joe. Era in carne, il suo viso dolce e solare
mi fece sentire fin da subito a mio agio.
«James, finalmente ti
conosco!» esclamò Myra, accostandosi a me per stringermi
la mano.
«Signora, per me è
un piacere. Ecco, ho portato qualcosa per voi, spero di aver fatto
bene» replicai, porgendole la busta che tenevo ancora in mano.
Louis si intromise e rubò
subito l'oggetto, frugando per controllare cosa contenesse il
sacchetto. «Wow, adoro questi cioccolatini alla liquirizia! Se
non fossi già impegnato con mio fratello, ti sposerei, Price!»
esclamò, cominciando subito a scartare uno dei piccoli
dolcetti avvolti in carta stagnola colorata.
«Sei un maleducato,
Louis!» lo rimbeccò una donna più anziana, che
somigliava molto a Myra. Raggiunse il ragazzo con passo lento e gli
tirò leggermente un orecchio. «Mascalzone!»
«Scusa, nonna!»
farfugliò Louis, masticando voracemente il cioccolatino.
Risi, notando Joe che si
premeva una mano sulla fronte.
«Salve, James! Sono
nonna Caroline, mi fa piacere conoscerti» mi si rivolse
l'anziana, sorridendomi cordiale.
«Salve, signora. Sono
onorato di conoscerla, Joe mi parla sempre molto bene di lei»
ammisi, sorridendo timidamente in direzione di nonna Caroline.
Aston Langridge-Brown si
avvicinò a noi e mi porse la mano. «Piacere, sono Aston,
il padre di Joseph» disse.
Sapevo che era un uomo
piuttosto timido, Joe me lo diceva sempre. Eppure non mi diede
l'impressione di essere burbero o indisponente, mi regalò
perfino un breve sorriso. Portava i capelli biondi lunghi, come il
mio ragazzo, ma i suoi lineamenti erano decisamente più
marcati e mascolini.
«Myra! Corri in
cucina, presto!» gridò qualcuno dall'interno della casa,
poi una donna robusta fece irruzione nella sala da pranzo. Non appena
mi vide, mi squadrò da capo a piedi e mi sorrise con fare
malizioso. «Oh, ma guarda un po' chi c'è! Tu devi essere
il famoso James Price!» esclamò.
Mi sentii avvampare e la
osservai senza sapere cosa replicare, limitandomi a sorridere
imbarazzato.
«Zia, non
cominciare...» balbettò Joe.
«Che bel bocconcino,
Joey caro! Sai com'è, alla mia età desidero sempre di
vivere avventure emozionanti con dei bei giovanotti come lui»
proseguì zia Bridget, facendomi l'occhiolino.
«Zia Bri, a lui non
piacciono le donne» la contraddisse Louis.
«Ah no?»
«Piantatela!»
esclamò Myra, fulminando suo figlio e sua sorella con
un'occhiataccia.
Joe sospirò e mi
guardò con una punta di dispiacere nei grandi occhi scuri. «Mi
dispiace» mormorò.
Gli lasciai una breve
carezza sui capelli. «È tutto okay» lo rassicurai.
Quella famiglia mi piaceva,
mi sentivo bene e non provavo il senso di disagio che mi ero
immaginato fino a poco prima.
«Quindi, tu e Joseph
suonate nello stesso gruppo musicale» commentò nonna
Caroline, mentre finivamo di mangiare i numerosi e deliziosi
antipasti che erano stati sparsi per l'enorme tavola.
Annuii. «Sì. Io
suono la batteria, Joe la chitarra.»
«Mio nipote è
un bravo musicista, vero? Ha preso da suo nonno, sai?»
Sorrisi. «Ne ho
sentito parlare.»
Lpuis mi riempì per
la terza volta il bicchiere di vino rosso. «Bevi, fratello!
Dimmi, com'è stare in tour con questo imbecille?»
Joe si allungò per
mollare un pugno a Louis. «Bada a come parli.»
«Non litigate,
bambini!» esclamò nonna Caroline.
«Si sta bene in tour
con lui. Joe è tranquillo, il problema principale è
Dom» scherzai.
«E Conor dove lo
lasci? Quando fa l'isterico è insopportabile» commentò
Joe con una risatina.
«Il più calmo e
ragionevole è Phil. Lui riesce sempre a tenerci a bada, a
farci ragionare... senza di lui la band sarebbe un disastro»
proseguii in tono divertito.
«Joe, quand'è
che mi fai conoscere uno dei tuoi giovani amici?» chiese zia
Bridget, per poi scoppiare a ridere.
«Perché non le
presenti Dom? Lui con le donne ci sa fare» mormorai, dando di
gomito al mio ragazzo.
Lui ridacchiò. «Zia
Bri, non so se sia il caso. I miei compagni di band potrebbero essere
tuoi figli» le fece notare.
«Che importa? A me non
fa schifo nulla!»
«Bridget!»
strepitò Myra, guardando con aria severa sua sorella.
Continuammo a scherzare e
chiacchierare per un po', finché il pranzo non si concluse e
tutti ci alzammo da tavola sazi e soddisfatti.
Nonna Caroline si era
addormentata sulla poltrona, Myra e Bridget erano sparite in cucina e
chiacchieravano animatamente, Louis e Aston si sfidavano alla
playstation. Il pomeriggio scorreva tranquillo, mentre io e Joe
osservavamo senza troppo interesse la partita a Tekken tra padre e
figlio.
«Papà, sei un
rammollito! Che c'è, non mi picchi solo perché sono tuo
figlio? Ricordati quando da piccolo ti facevo dannare e vacci giù
pesante!» strillava Louis in continuazione.
«Ora ti faccio vedere
io!» esclamò all'improvviso Aston, premendo
convulsamente sul joystick.
Joe si voltò a
guardarmi e sorrise appena. «Andiamo in camera mia?» mi
propose.
Annuii
e mi alzai, seguendolo fuori dal salotto. Mi guidò
lungo un breve corridoio, alla fine del quale si
fermò per aprire una porta.
Entrai nella sua stanza e la
trovai piccola e accogliente. Era piuttosto ordinata, ma immaginai
che fosse opera di Myra, dal momento che Joe non era affatto un
ragazzo ordinato.
«Carina»
commentai, guardandomi attorno.
Joe richiuse la porta, poi
mi posò le mani sul petto e mi spinse all'indietro, fino a
farmi appoggiare con la schiena contro il legno chiaro.
I nostri occhi si
incrociarono, poi il biondo si fiondò sulle mie labbra e le
fece sue, premendo il corpo esile sul mio. Portò le braccia a
circondarmi il collo e socchiuse gli occhi, approfondendo il nostro
contatto.
Con calma, sollevai una mano
e la feci scivolare sotto il suo maglione, accarezzando lentamente la
sua pelle calda.
«Pri...»
sussurrò Joe.
«Ehi» risposi.
«Grazie per essere
venuto.»
I nostri sguardi si
incrociarono ancora, e rimanemmo a fissarci senza dire niente per un
po'.
«La tua famiglia è
fantastica» gli confessai.
Joe fece spallucce. «A
parte Louis e zia Bri...»
Scossi il capo. «Anche
loro sono particolari. Mi piacciono.»
Joe
mise su un broncio talmente tenere che mi fece venir voglia di
baciarlo senza sosta per almeno un'ora. «Dai, non fare così.»
Tracciai il profilo delle sue labbra con un dito. «Tu sei
sempre il mio preferito, non
ti tradirò mai con zia Bridget,
promesso!» scherzai.
Joe si esibì in una
smorfia disgustata. «Ho i brividi al solo pensiero»
borbottò.
Mi chinai a baciarlo.
«Grazie per l'invito» dissi.
«Per fortuna hai
accettato» replicò.
«Sappi che è
tutto merito di Craik» buttai lì.
Joe mi guardò
dubbioso. «Cosa intendi?»
Mi strinsi nelle spalle. «Ha
insistito perché accettassi. Ha detto che ne saresti stato
felice.»
«In fondo è un
bravo ragazzo» scherzò il mio ragazzo.
Ci scambiammo qualche altro
bacio, ma fummo interrotti da un grido straziante proveniente dal
salotto.
Ci guardammo allarmati.
«Ti ho battuto ancora
una volta, Aston Langridge-Brown!» tuonò Louis in tono
trionfante.
Scoppiammo a ridere
fragorosamente.
◘
○ ◘ ○ ◘ ○ ◘
Carissimi
lettori, quest'anno ho deciso di festeggiare il Natale nella
categoria (si spera) nascente dei Nothing But Thieves!
Ebbene
sì, anche io sono giunta alla conclusione che dovevo
assolutamente scrivere qualcosa su di loro, in particolare sulla
coppia PricexJoe ^^
Da
cosa nasce questa ship? Be', è tutta colpa di Soul_Shine
e della sua All in a Night,
nella quale c'è stato un momento in cui ho veramente shippato
il chitarrista biondo con il batterista un po' scemo XD
Spero
che questa piccola storia vi sia piaciuta, e ne approfitto per
augurare a tutti buon Natale e buone feste :3
Mangiate
tanto, divertitevi e lasciate sempre che la fantasia galoppi, mi
raccomando!!!!
Alla
prossima ♥
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