Painful
memories
Ti siedi sul pavimento freddo della palestra, cercando di respirare.
L'aria che hai
intorno ti soffoca, poiché ogni cosa trasmette la sensazione
unica del Natale, quella festa che tanto hai amato da bambina.
Una parvenza di
felicità destinata a svanire come neve al sole,
perché è tutto ciò che senti di
essere. Non riesci a farti coinvolgere, anche quando ti sforzi, anche
se farlo significa buttarti il passato alle spalle e mostrare il tuo
miglior sorriso.
No, non sei
ipocrita, né lo sei mai stata. Ti si legge in faccia
ciò che pensi, ciò che senti, ed è per
questo che tutti pensano che tu abbia un brutto carattere.
Dovresti e
vorresti davvero essere come loro in questo clima spensierato e pieno
di entusiasmo. Il desiderio di lasciarti andare, di tornare ad avere la
tua età, mentre gli occhi ti si illuminano ogni volta che
guardi le luci sparse per Nerima.
Pieghi le gambe
e nascondi la testa sulle ginocchia, desiderando come non mai di
sprofondare in quell'oscurità che poco a poco ti sommerge.
Ti ricordi
benissimo quel giorno e la rabbia cresce in te come un fiume in piena,
ti strappa via dalla realtà, da quel senso di
razionalità che stenti a riconoscere. Il muro crolla
perché Natale si avvicina, perché oggi
è il giorno che speri ardentemente sparisca dal calendario.
Ricordi quel
giorno, quella corsa con le tue sorelle all'ospedale. Tuo padre che
piangeva, ma si dimostrava forte mentre ripeteva a malincuore quanto la
situazione fosse peggiorata.
Dopodiché,
l'avevi vista in quel letto d'ospedale per l'ultima volta; i capelli
scuri scompigliati sul cuscino, gli occhi grandi da cerbiatto
così simili ai tuoi. Sembrava dormisse, così
naturalmente, serenamente.
Le avevi
afferrato il braccio, cercando di scuoterla, di parlarle, mentre le
lacrime ti scivolavano copiose sul volto e finivano sulla pelle di lei.
Mamma...
Avevi pensato
quel nome e poi ti era uscito dalla bocca, senza neanche rendertene
conto. Forse perché volevi provare a dirlo ancora, prima di
non poterlo fare mai più.
La paura che non
sarebbe più esistito, perché lei non ti avrebbe
più guardato con la sua caratteristica dolcezza unica,
né avresti sentito di nuovo quella voce piena di amore. La
presenza fondamentale per la vita di tutti, di Nabiki, che stava ferma
e immobile senza fiatare, di Kasumi, che stentava a trattenere un
dolore troppo grande per lei nel tentativo di essere forte e occuparsi
di voi. E poi c'era tuo padre, chiuso all'improvviso nella sua
disperazione, il peso di un mondo che gli era improvvisamente crollato
addosso.
La
mamma non c'è più. Non è
più qui.
La tua mente
aveva formulato quest'unico pensiero, mentre la guardavi: ancora
bellissima, nonostante il volto pallido e gli occhi chiusi. La piccola
Akane di allora tratteneva tutto, lo sai; la diga mentale che ti eri
costruita riusciva a proteggerti dal mondo, dalla sofferenza, da quel
malessere che stringeva forte nel petto impedendoti quasi di respirare.
Ti aiutava ad estraniarti dal mondo, a vedere le cose in un modo
differente, distaccato.
Hai iniziato a
chiuderti, a risultare antipatica per molti, a rispondere male per
allontanare le persone.
Tuttavia,
nessuno vedeva la sofferenza che ti eri imposta di allontanare, da quel
primo Natale senza tua madre.
Mancavano
ventiquattro giorni e ti aveva lasciato sola; la rabbia verso di lei o,
forse, verso quel qualcosa - o qualcuno - che te l'aveva strappata via
troppo presto.
Non se ne sarebbe mai voluta
andare.
E oggi, come
allora, mancano ventiquattro giorni a Natale. I piedi nudi a contatto
del legno freddo della palestra ti fanno tremare, ma forse non
è solo per quello.
La diga si
rompe, ancora come anni fa. E come ogni anno, il primo di dicembre.
Le lacrime
cadono a terra senza controllo, coprendo la visuale. Percepisci le
guance bagnate di pianto, la frangia che si appiccica negli occhi
castani, mentre i singhiozzi ti scuotono le spalle in maniera brusca.
Non controlli più il tuo corpo; la mancanza è
forte, adesso.
Cosa
mi sta succedendo?
Neanche ti
accorgi di alcuni passi lievi che ti si avvicinano alle spalle.
«Ehi,
Akane».
Non riesci a
voltarti per non farti vedere in quello stato, ma riconosci la voce di
Ranma al tuo fianco, adesso.
«Tutto
bene?».
Annuisci, la
testa ancora nascosta dalle braccia, ma non hai il coraggio di
guardarlo negli occhi.
Non gli rispondi
nel tentativo di calmarti, mentre lo senti sedersi accanto a te.
Dopodiché, quando i singhiozzi cessano e le lacrime
rallentano il proprio corso, sollevi appena lo sguardo nel vuoto.
«Sì...
sì, sto bene».
Lui ti osserva,
inizialmente senza osare proferire parola. Conosce la situazione:
gliel'ha spiegata Nabiki da quando ti sei chiusa in palestra, ore fa. Non è bravo in queste cose, lo sai, e lo sa anche
lui.
Tuttavia, il
fatto che il tuo fidanzato sia vicino a te ti fa sentire sicura, anche
se non lo ammetteresti mai.
Ora lo guardi,
voltandoti lentamente verso quest'ultimo, e lui ti osserva serio.
«E-ecco,
Nabiki mi ha raccontato e... ».
«Sto
bene, non è nulla» lo interrompi, senza la minima
voglia di mostrarti debole, non con lui.
Ranma riprende
un po' di sicurezza in più, sospirando senza farsi sentire
da te.
Dopo attimi
interi di silenzio, la sua voce torna a scaldarti il cuore.
«Akane...
mi dispiace» confessa, senza smettere un istante di studiarti
con quegli occhi blu, profondi e perfetti. «Non posso
capirti, ma devi reagire. Devi vivere anche per lei».
«Non
preoccuparti» rispondi, anche se le sue parole ti hanno
lasciata stupita. Stringi i pugni, desiderando come non mai di poterti
allontanare da quel dolore e da quei ricordi.
«Ehi,
che ne dici di venire con me a decorare la casa? Dopotutto, qui non
stai facendo nulla... e poi Kasumi ci ha chiesto questo favore. Su,
andiamo».
Il ragazzo si
alza in piedi, tendendoti la sua mano. Lo segui con lo sguardo, ancora
un po' incerta, e sorridi istintivamente quando i vostri sguardi
s'incrociano.
«Va
bene, chissà quali disastri sei in grado di fare da
solo».
Prendi la sua
mano e lui ti aiuta ad alzarti con uno slancio. Dopodiché
mette il broncio, fingendosi arrabbiato per ciò che gli hai
detto.
«Guarda
che da solo farei tutto meglio e più in fretta»
«Certo»
lo prendi in giro, facendogli una linguaccia. Poi, pian piano, la
domanda che preme di uscire dalla tua bocca da un po' non riesce a
trattenersi.
«Eri
preoccupato per me?».
Ranma
arrossisce, fermandosi di scatto. Quando riprende a camminare lo fa
velocemente, in modo da non essere obbligato a guardarti in viso.
«Dai,
sei lenta! Di questo passo non finiremo neanche stasera».
Ti fermi,
scrutando un attimo il suo atteggiamento. In questo momento riesci a
riflettere sul serio.
E sorridi,
nonostante la traccia umida lasciata dalle lacrime. Sorridi grazie a
lui e a quei ricordi, così dolorosi ma preziosi da
conservare con cura.
Sorridi
perché, per la prima volta, sarà un Natale
diverso.
Sorridi solo
grazie a lui e ne sei consapevole. Ranma è tutto per te, ora
nei sei convinta un po' di più.
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