Nero
come la Notte
~º~
Qui
si narra di avventure e tribolazioni occorse all’Uomo Nero, e
del
suo fatale incontrar la Dea della Notte, dopo del quale nulla mai
sarà più come fu.
~º~
-
Ricerche e deviazioni -
Il
vento gelido che spira burrascoso dal nord sfiora il suo viso immoto
senza toccarlo realmente. Le sue labbra pallide e sottili si storcono
in una curva scontenta. Schiude gli occhi su di un cielo nero come il
suo cuore e sospira piano.
I
Dream Pirates sono perduti, ormai. Niente più bambini:
niente
fearlings. La ragazzina è andata, non potrà
essere sua, non lo è
mai stata d’altronde. La fata e lo spadaccino russo non lo
impensieriscono più di tanto, ma il mago è
insidioso e il pooka è
una preoccupazione tangibile. E poi… poi
c’è quel maledetto Star
Captain; come è possibile che si trovi qui anche lui? I
nemici da
cui guardarsi stanno diventando un po’ troppi per i suoi
gusti, e
ha perduto gli alleati con l’ultima infruttuosa battaglia.
Le
stelle continuano a brillare e riescono a calmare un poco il suo
animo agitato, ma gli servirà del tempo per rimettersi in
carreggiata.
“Forse
però…” pensa, in un soffio appena.
Forse,
dopo tutto, non è persa ogni speranza. La nave potrebbe
ancora
esistere, da qualche parte. Sì, potrebbe, e se
così fosse deve
ritrovarla e tentare di farla tornare in volo.
Bruscamente
si rimette
seduto e riflette seriamente su quella possibilità. In fondo
che ha
da perdere giunti a questo punto? Sperare è
l’unica opzione che
può ancora permettersi, non c’è molto
altro che possa fare
attualmente. Solleva nuovamente gli occhi al cielo e accenna uno
stentato sorriso: niente luna, stanotte; un’altra buona
notizia.
Rimessosi in piedi si allontana da quella landa brulla e fredda nella
quale ha perso sin troppo tempo, diretto ovunque decidano di condurlo
le sue percezioni, augurandosi che non lo tradiscano anche loro.
Strada
facendo riflette su un’idea che gli è balenata in
testa poco dopo
la partenza: può darsi che qualcuno degli incantesimi del
mago possa
tornagli utile per rintracciare il galeone. Dopo tutto è
stato
proprio quell’Ombric, in compagnia del cosacco, a mettersi in
viaggio tempo fa con la medesima speranza. Avesse avuto ancora con
sé
quei libri, sarebbe senz’altro risultato tutto più
semplice,
tuttavia può disporre di una memoria discreta e pensa di
poter
rammentare con sufficiente precisione la funzione di molti degli
incantesimi ivi trascritti; dovrà solo trovare un buon
momento per
concentrarsi e provarne qualcuno dei più promettenti.
Annuisce,
soddisfatto, e accelera il passo.
*
Il
sole è ancora un fastidio, ed è estremamente
seccante dover
attendere il momento in cui declina oltre l’orizzonte per
potersi
muovere agevolmente e in tutta libertà. Se ne avesse le
adeguate
conoscenze viaggerebbe sottoterra, percorrendone gli infiniti
cunicoli, ma è già fin troppo complicato rimanere
sulle giuste
tracce in superficie, non osa immaginare in qual luogo sperduto
finirebbe col ritrovarsi se dovesse scegliere la galleria sbagliata.
Per questo motivo si accontenta di percorrere più strada
possibile
nelle ore buie e sostare invece trepidante durante il giorno. Si sta
avvicinando, lo può avvertire con sempre maggior sicurezza
con lo
scorrere del tempo. Si riscopre eccitato alla prospettiva di
giungere, finalmente, alla meta tanto desiderata e, inconsapevole,
aumenta il passo impaziente di arrivare a destinazione.
Un’improvvisa
luminosità dorata al di sopra di un colle in lontananza
blocca
bruscamente i suoi passi. Indeciso, scruta con maggior attenzione il
cielo e, cauto, si muove per cercare un riparo. Il bagliore sembra
farsi più vicino, riflesso nei suoi occhi impensieriti, ma
infine
sfila oltre il suo momentaneo rifugio senza avvedersi della sua
presenza e, sollevato, trae un sospiro, riprendendo velocemente la
strada nel tentativo di recuperare il tempo perduto.
*
L’alba
è ormai vicina e rapido scova un buon riparo in cui
attendere il
prossimo tramonto. Siede sul morbido terreno muschioso, fra alberi e
grossi massi rocciosi, e abbassa morbidamente le palpebre,
permettendo ai pensieri di vagare fino a individuare il sentiero
giusto. Un buon punto di partenza, tutto sommato, sembra
l’incanto
che ha appena ripescato dalla memoria; serve a dare una rapida
occhiata a un momento preciso del passato, e lui sa esattamente quale
momento sbirciare. Risolleva le palpebre, raddrizza la schiena e, a
gambe incrociate, concentra la propria attenzione sulla corretta
esecuzione di quella piccola magia. Dall’esterno nulla si
può
scorgere, ma poco dietro i suoi occhi scorrono rapidamente brevi
immagini concitate, mostrandogli per un istante ciò che
più gli
preme. Quando tutto torna buio e silenzioso attorno a lui, le sue
labbra piegano appena verso l’alto nell’apprendere
che sì,
esiste qualche effettiva possibilità che il galeone sia
ancora su
quella Terra. Sospira, soddisfatto di quel primo esperimento, e torna
a chiudere gli occhi, questa volta per concedersi il lusso di un
po’
di riposo fino al nuovo digradare del sole.
*
Si
sta dirigendo a sud-ovest perché il secondo esperimento
portato a
compimento poco prima del crepuscolo sembra aver confermato la
direzione seguita fino a quel momento. Si augura che sia
effettivamente quella giusta perché fra pochi giorni la sua
marcia
lo porterà diritto in territorio umano, il che significa
centri
abitati, una sgradevole quantità di uomini adulti e
parecchie grane
al seguito che avrebbe di gran lunga preferito evitare. Ma certo non
può imbarcarsi in un giro
largo nel
tentativo di raggiungere la sua destinazione evitando tutto
ciò che
si trova nel mezzo; ci impiegherebbe troppo tempo e troppe energie,
sarebbe un vero disastro per il suo morale non propriamente alto.
Il
vento è meno gelido ma più potente, tanto che
l’erba cresce
stenta e malaticcia. Un fruscio lo distoglie dai suoi ragionamenti;
solleva di scatto la testa, senza ancora riuscire a scorgere
null’altro che il brullo paesaggio della steppa, ma qualche
misero
passo dopo si ritrova la strada sbarrata da un piccolo branco di
grossi lupi grigi che lo scrutano con scarsa benevolenza,
malignamente si direbbe. Inarca un sopracciglio, tenta un ulteriore
passo avanti ma è nuovamente costretto a bloccarsi di fronte
a un
cupo ringhio d’avvertimento. Sta per aprire bocca e provare a
chiedere in qualche modo spiegazioni; prima che ne trovi il tempo,
tuttavia, fra i lupi compare una nuova figura, grigia
anch’essa, ma
d’aspetto più umano anche se ugualmente selvaggio.
«Sei
nel mio territorio» avverte il nuovo venuto in un basso
ringhio
contrariato.
«Sono
solo di passaggio» tenta in risposta, per nulla intenzionato
a
cercare un confronto.
«Passa
altrove» ribatte quello, asciutto.
Affila
lo sguardo, i denti stridono, butta fuori un lungo respiro fremente.
«Bene» sibila, non meno contrariato, «da
che parte?».
Il
mezzo lupo solleva un braccio e indica oltre le basse colline a nord,
poi incrocia le braccia e lo fissa con evidente astio.
Si
limita ad annuire, quindi, e a fare qualche prudente passo indietro,
prima di azzardarsi a voltar loro le spalle e riprendere il cammino
seguendo la direzione indicata e augurandosi mentalmente di non dover
essere costretto ad allungare all’infinito il suo itinerario.
Altre
creature altrettanto territoriali e gli toccherà fare il
giro del
globo intero per arrivare al galeone.
*
È
discretamente convinto di star percorrendo la strada sbagliata. Tutta
colpa di quel maledetto mezzo lupo. Scuote il capo, si ferma nel bel
mezzo di un nulla fatto di terra e rocce ed erba ingiallita, sbuffa
irritato e si siede a terra, riflettendo, cercando di rammentare uno
di quei libri che per poco tempo ha potuto avere fra le mani. Gli
farebbe comodo qualche incantesimo per ritrovare la direzione giusta,
a quel punto, ma non riesce a rammentarne tutti i particolari, solo
qualche povero frammento che, da solo, sarebbe inutile nel migliore
dei casi, disastroso nel peggiore. Fa scorrere a mente, con pazienza,
i caratteri studiati in un momento migliore di quello attuale,
cercando di mettere a fuoco là dove adesso scorge unicamente
falle,
socchiude le labbra che prendono a muoversi lentamente ma senza
emettere suono, assottiglia le palpebre all’aumentare della
concentrazione, sente di esserci vicino. Poi un rumore proveniente
dal mondo esterno manda in frantumi l’immagine mentale prima
che
possa trovare la giusta nitidezza. Impreca, e bruscamente si rimette
in piedi, guardandosi attorno con nervosismo. Pensare che, fino a
pochissimi giorni prima, credeva che viaggiare di notte gli avrebbe
assicurato fra le altre cose minor possibilità di imbattersi
in
fastidiosi contrattempi; un errore di calcolo da parte sua,
evidentemente.
Per
un breve attimo pensa possa trattarsi di nuovo di quei lupi grigi, ma
si accorge ben presto che si tratta invece di cani, impegnati nel
trainare… slitte? Reclina appena il capo di lato, perplesso.
Slitte
sull’erba? Accantona però in fretta le proprie
perplessità quando
si rende conto che si stanno dirigendo proprio verso di lui e si
inquieta anche nello scorgere diverse figure dall’aspetto
umano a
bordo dei veicoli, e si allarma ancora di più nel momento in
cui si
rende conto che sono tutti equipaggiati d’armi ed espressioni
poco
amichevoli.
“Guai,
a quanto pare. Di nuovo. Ma che sorpresa” medita acidamente
dentro
di sé.
Poi
il tempo per meditare si esaurisce in un istante fin troppo breve e
una laconica maledizione abbandona le sue labbra, prima che si
risolva ad armarsi a sua volta nell’eventualità di
dover
fronteggiare l’ennesimo problema imprevisto.
Sono
quattro in totale, le slitte; rapide lo circondano ancora a una certa
distanza e da ognuna smontano un paio di uomini, o quantomeno tali
appaiono, mentre alla guida ne rimane uno. Il suo sguardo da affilato
si fa sorpreso quando nota che al posto dei bagagli, sui veicoli,
trasportano con sé fagotti che si dimenano e ansimano:
prede,
dunque, e vive per di più; di che genere ancora è
da scoprire, ma
non è poi così desideroso di farlo, soprattutto
non da vicino.
Gli
uomini, che infine non lo sono realmente, considerando che recano
segni di magia sulla pelle e occhi del colore del sangue, gli si
fanno presto incontro, decisi ad aggiungerlo al loro bottino,
evidentemente. Ha come la netta impressione che questa volta non
sarà
proprio possibile evitare lo scontro.
«Vediamo»
mormora, seguendo con gli occhi gli spostamenti dei cacciatori.
Poi
quelli lasciano da parte ogni indugio e gli si fanno rapidamente
incontro. Ma le lance di due di loro volano all’aria al primo
affondo, delle lunghe picche non rimangono che pochi trucioli e
l’ascia manca per un soffio il suo proprietario quando viene
ricacciata indietro da una parata un po’ troppo energica. I
tre
ancora armati si aggirano con maggior cautela al limitare del suo
campo visivo, forse intenti a studiare un nuovo piano
d’azione.
Dalle spalle lo sferragliare di una catena lo mette in allerta; una
delle sue lame sibila nell’aria e le maglie, arrotolatesi
appena al
di sotto dell’elsa, cedono tintinnando sul terreno. In fretta
ruota
su sé stesso, si piega sulle ginocchia e affonda la punta
della lama
sopra il ginocchio di quello che ancora regge la seconda ascia, poi
si scansa veloce mentre quest’ultima si pianta in
profondità nella
dura terra e colui che la impugnava si accascia ringhiando di rabbia
e dolore. L’ultimo, ancora armato di bastone ferrato, lo
fissa con
astio ma ancora non muove il suo attacco; sembra attendere un qualche
evento, e lo comprende per certo quando dalle retrovie delle slitte
smontano i quattro conducenti. Due di loro portano sulla spalla una
balestra, i restanti reti metalliche.
Soffia
stizzito, sorvegliando i passi misurati dei nuovi venuti. È
chiaro
che le sue lame non saranno altrettanto utili in questo frangente, ma
forse lo sarà la sua velocità.
Il
cacciatore col bastone decide di uscire allo scoperto, probabilmente
con l’intento di distrarlo, ma senza perdere
d’occhio gli altri
si sposta all’indietro andandogli incontro e confondendolo,
blocca
lateralmente il suo colpo portato dall’alto lo manda gambe
all’aria colpendolo con l’elsa.
L’aria
si smuove, un balzo indietro, due, per evitare di finire incastrato
nella rete di un pilota. È costretto a rotolarsi a terra, a
meno che
non desideri un foro o due di troppo; una freccia si pianta poco
discosta dalla sua gamba sinistra, un’altra accanto al suo
collo
sottile. Con un colpo di reni si rimette in piedi e prepara il
fendente prima che i piloti abbiano il tempo materiale per ricaricare
le balestre, ma le estremità uncinate di una rete strappano
la sua
giacca lungo la spalle fino al colletto, costringendolo a scartare
lateralmente per evitare danni peggiori.
I
suoi occhi dardeggiano all’intorno, controllando la posizione
dei
cacciatori e dei piloti, mentre indietreggia prudentemente tenendo la
guardia alta. I piloti con le reti ne hanno lanciate di riserva ad
altri tre cacciatori e uno dei rimanenti maneggia un grosso pugnale.
I balestrieri hanno ricaricato e sembrano intenzionati a mettere fine
alla partita. Snuda i denti, un lampo d’ira lampeggia nelle
pupille, scatta avanti e colpisce la mano del cacciatore con il
pugnale, poi si accuccia facendosi scudo del suo corpo quando una
freccia termina la sua corsa nel polpaccio di quello stesso
cacciatore che lancia un grido di bestemmia e crolla a terra
dolorante.
Tuttavia
ora ci sono cinque uomini con le reti attorno a lui e un balestriere
che non ha ancora lanciato. Guardarsi le spalle sta diventando un
problema; farebbe dannatamente comodo un buon diversivo, ma
lì nel
mezzo della steppa solo il vento è estraneo allo scontro, e
lui non
ha il tempo per trovare parole adatte a comandarlo; dunque si affida
nuovamente ai suoi sensi e alla sua esperienza, e si prepara ancora
una volta a dare battaglia.
Balza
indietro quando la prima rete plana veloce su di lui, poi di lato
evitando agilmente le maglie uncinate della seconda, ma è
costretto
ad appiattirsi a terra per evitare una freccia e gli uncini della
terza rete lo agganciano allo stivale destro. Solleva un braccio e
cala la lama che impugna; le maglie vanno in pezzi e gli consentono
di rotolare via per sottrarsi a un nuovo lancio. Balza nuovamente in
piedi e si slancia in avanti, direttamente contro uno dei cacciatori,
tramortendolo e sottraendogli la sua rete, poi la fa roteare in aria
dirigendola sulla testa del balestriere che, impreparato, solleva in
ritardo la sua arma, facendolo impigliare nella rete assieme alle sue
braccia.
Poiché
tutto sommato sembra lo vogliano prendere vivo (anche se non
necessariamente in ottima salute), non si cura affatto di far da
bersaglio quando salta verso il balestriere imprigionato e lo getta a
terra con un calcio, usando poi il suo petto come trampolino per
volteggiare all’indietro eludendo altri due tiri dei
cacciatori. E
tuttavia, inaspettatamente, uno di quelli che sperava vivamente di
aver disarmato una volta per tutte, a quanto pare non lo è
completamente. Così si ritrova a rovinare a terra con
entrambe le
caviglie imprigionate in una sottile fune trattenuta da tre pesi
tondeggianti. Non ha però perduto la presa sulle sue lame e
la prima
rete in arrivo viene squarciata a mezz’aria da un deciso
fendente.
Identica sorte capita a un braccio di uno dei cacciatori che
imprudentemente si è avvicinato mentre ancora la lama
mulinava in
aria.
Scalcia
furiosamente con un sordo ringhio frustrato, poi infila la punta di
una lama fra gli stivali e taglia velocemente la corda.
L’operazione
gli ha però richiesto preziosi secondi che lo espongono alle
azioni
altrui; infatti i cacciatori approfittano della momentanea
distrazione per farsi avanti assieme e bloccarlo a terra sotto il
peso e il fastidio delle restanti reti rimaste integre.
Sibila
adirato, ritrae al petto le ginocchia e rifila un calcio deciso,
seppur ostacolato dall’impedimento delle maglie metalliche,
al
primo cacciatore che si è avvicinato, spedendolo lungo
disteso. Gli
altri si accostano con maggior esitazione e prudenza, badando a
tenere ben serrati i bordi delle reti, e piano gli si fanno vicini,
decisi a immobilizzarlo e renderlo il più inoffensivo
possibile.
Sembra tuttavia un’operazione più complessa di
quanto si
aspettassero; nel tentativo almeno quattro di loro si guadagnano
lividi e tagli in quantità, mentre la loro preda si
divincola con
forza, spintonando, graffiando e mordendo senza risparmiare nulla,
neppure colpi bassi.
Grida,
ansimante e furioso, ritrovandosi infine strettamente avvolto dalle
stesse reti che lo hanno obbligato a terra. Avrebbe dovuto ucciderli
tutti; a quest’ora sarebbe già molto lontano,
magari nuovamente
diretto verso il suo galeone. Ma si sarebbe lasciato alle spalle
l’ennesima scia di cadaveri, e a dirla tutta la sola idea gli
dà
la nausea.
Ruggisce
una pesante imprecazione quando due cacciatori provano a issarlo su
una delle slitte fatte accostare appositamente; assottiglia gli occhi
e si contorce, affibbiando una testata a quello che gli si trova di
fronte, ghignando nel sentirlo borbottare maledizioni assortire, ora
sfoggiando un bel naso rotto.
“Ben
gli sta” pensa acidamente, rifilando una ginocchiata nelle
costole
di un terzo cacciatore avvicinatosi per dare una mano (e rimetterci
le ossa, evidentemente).
Mentre
riprende fiato, di nuovo adagiato sull’erba, li ascolta
lanciare
ingiurie e discutere animatamente fra loro. “Forse nel
tentativo di
mettersi d’accordo su chi sarà la prossima
vittima” riflette
maligno. Sospira. Nelle attuali condizioni difficilmente
riuscirà a
liberarsi; dovrà necessariamente essere paziente e attendere
il
momento più opportuno per levarsi d’impaccio e
lasciare la loro
sgradita compagnia.
Il
viaggio, buttato alla rinfusa come un sacco sulla slitta, è
incredibilmente scomodo e lungo in maniera angosciante. Si augura
ardentemente che non abbiano intenzione di fare fermate intermedie
per caricare a bordo altre prede, o finirà sul serio col
dare di
matto. Ma si consola immaginando che dopo aver perduto gran parte
delle loro armi e reti, la loro destinazione più prossima
sia anche
quella finale, ovvero il luogo (qualunque esso sia) nel quale
verranno scaricate le prede e verrà fatto un adeguato
rifornimento
d’armi e provviste. Sbircia con desolazione gli scorci di
cielo che
gli è dato di scorgere dal punto in cui è stato
gettato: è ancora
buio, ma non lo sarà ancora a lungo; presto
l’orizzonte schiarirà
e la situazione, per lui, si complicherà ulteriormente. Un
po’
irragionevole, spera che il viaggio abbia termine prima che il sole
sorga, anche se francamente ne dubita: nessun indizio annuncia che di
fronte a loro vi sarà altro che erba ingiallita e cielo a
perdita
d’occhio, almeno per un lungo tratto ancora. Sospira,
contrariato,
e chiude gli occhi, cercando invano una posizione più comoda
che,
ovviamente, non riesce a trovare, e mentre riposa gli occhi pensa;
riflessioni affatto liete, ma capaci di portarlo a chiedersi quale
sia la loro destinazione e per quale motivo quei cacciatori si sono
dati tanto da fare per assicurarsi di portarlo con loro, dovunque
siano diretti. È certo, ormai, che qualcuno li stia
attendendo, e ha
il timore di scoprire chi sia poiché sospetta che saperlo
non gli
garberà affatto.
Uno
scossone più forte degli altri, quasi da dargli
l’impressione che
la sua schiena possa spezzarsi da un momento all’altro, lo
mette in
guardia. Rapidamente riapre gli occhi e li fa spaziare il
più
possibile a studiare ciò che li circonda; le slitte stanno
rallentando? Sembrerebbe di sì. Dopo tutto pare giungeranno
a
destinazione prima dell’alta. Non è ancora certo
se sentirsi grato
per quella piccola fortuna, oppure maggiormente impensierito alla
prospettiva di venire presto scaricato ai piedi di qualche
personaggio ben poco apprezzabile. Respira lentamente per cercare di
rilassarsi, ma il suo corpo ancora strettamente imprigionato nelle
fastidiose maglie metalliche non facilita l’operazione,
tutt’altro.
Ecco,
il fruscio del vento contro l’erba ora supera il rumore dei
veicoli
trainati dai cani. Sono di nuovo fermi, finalmente, anche se ancora
non è in grado di scorgere nulla che non sia steppa e stelle
pulsanti. Ma è il suo naso, inaspettatamente, a intercettare
una
novità: odore di fiori, pensa, senza riuscire
però a comprendere,
inizialmente, di quali si tratti né da dove provenga. Sgrana
gli
occhi nel momento in cui ricorda quello specifico odore: fiori di
stramonio, dal sentore abbastanza aspro e pungente perché
possa
celare l’olezzo della morte.
Prova
qualche cauto movimento, cercando di capire se ci sia speranza di
liberarsi, ma pare che, senza le sue lame, siano catene troppo
robuste per essere spezzate o eluse. “Di nuovo guai, ma tu
guarda.
Questo assurdo mondo non porta altro, dopo tutto” riflette
con
cinismo. Abbassa le palpebre, affatto sicuro di voler scoprire troppo
in fretta ciò che lo attende. Le altre prede hanno sacchi
sulla
testa; lui, com’è ovvio aspettarsi, non ha questa
fortuna e presto
conoscerà il mandante di quella battuta di caccia.
Qualcuno
fa saltare la serratura che blocca il portello sulla fiancata e, come
un pesante sacco di patate, rovina a terra, rotolando su sé
stesso e
ritrovandosi malauguratamente a fissare negli occhi una donna dai
fiammeggianti capelli rossi e dallo sguardo purpureo. “E non
ho
neppure portato con me un pensierino” strascica velenoso fra
sé,
maledicendo quella nottata con devoto fervore.
La
signora dai capelli rossi e dall’apparenza di una giovane
fanciulla
si guarda attorno con manifesta curiosità, studiando una a
una le
slitte e osservandone il contenuto con molta attenzione, apparendo
poi leggermente contrariata.
«Avete
fatto ritorno prima del solito, portando un minor numero di
esemplari» fa notare con una nota stizzita nella voce.
«Sì»
ammette uno dei cacciatori, facendosi prudentemente avanti,
evidentemente dopo essersi auto imposto l’onere di portavoce.
«Posso
almeno conoscerne il motivo?» chiede dunque la signora con
tono
lieve ma sguardo affilato.
«Ci
sono stai… guai» tenta il cacciatore, incerto.
“Guai…
Come no” è il sarcastico pensiero del Nightmare
King.
La
signora fa brevemente vagare lo sguardo all’intorno, notando
senza
darvi troppo peso il palese nervosismo degli uomini. «Non
vedo guai,
qui. Li avete lasciati indietro, dunque?» chiosa ironica.
Il
cacciatore portavoce scuote piano la testa. «Non proprio. Lo
abbiamo
portato con noi» confessa di malavoglia.
«Lo?»
indaga, ora suo malgrado incuriosita.
Per
quanto tenti di controllarsi, il suo corpo si irrigidisce mentre
l’ansia per l’incontro ormai imminente sale.
“Di male in
peggio” riflette con amarezza.
«Sì,
uno degli esemplari» conferma il cacciatore, indicando con la
mano
il punto in cui ancora giace l’oggetto del loro interesse.
Mentre
la signora gli si accosta, lui mantiene i suoi occhi chiari su di lei
senza perderla di vista un solo istante.
«Orbene,
tu saresti quel famoso guaio» commenta lei, reclinando
graziosamente
il capo di lato.
Rimane
in silenzio, nonostante tutto ciò che avrebbe da dire al
riguardo,
per esempio che l’unico guaio, attualmente, è
quello nel quale si
trova lui. Certo, parlare con quella donna non fa parte delle sue
intenzioni, soprattutto tenendo a mente che lei è il
principale
motivo per cui lui ora si trova abbandonato a terra e aggrovigliato
nelle inestricabili maglie delle reti. E lei è anche
circondata e
seguita da quel terribile olezzo che gli sta portando una poderosa
emicrania.
«Nulla
da dire, quindi?» insiste la signora, chinandosi appena e
stuzzicandolo con la punta di un piccolo piede. «Sei forse
privo del
dono della parola… o dell’intelletto?»
scherza, senza notare il
bagliore dorato negli occhi del suo interlocutore.
Sta
per ringhiarle contro una minima quantità del suo totale
disprezzo,
ma si blocca per tempo, impedendo a sé stesso di cedere alle
seccanti provocazioni di quella creatura. Vi sarà certamente
un
momento migliore per farle scontare l’affronto.
Poi
lei sorride, incurvando gentilmente le labbra rosee, e un lungo
brivido ghiacciato scorre lungo la sua schiena maltrattata,
facendogli trattenere un brusco respiro.
«Non
importa. Sono certa avremo altre ottime occasioni per fare
conoscenza»
sentenzia, facendola apparire come una minaccia a tutti gli effetti.
In
seguito, grazie al cielo, si volta dando le spalle alle slitte e, con
un rapido gesto del braccio, congeda i presenti, abbandonandoli ai
loro doveri e tornando evidentemente ai propri.
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