¡Ay,
Carvanha!
«C'è
puzza di urina.»
«Io
non sento niente» risponde Ivan seraficamente, accarezzando
dal
divano la sua gattina come se da lei non potesse provenire altro che
tutto il bene di questo mondo. Peccato che, assolutamente, non sia
così.
«La
sentiresti se venissi qui a darmi una mano» ribatte Max, che
è
inginocchiato a quattro zampe ormai da svariati minuti, a cercare di
capire così, al buio e col solo aiuto del proprio naso, da
dove
esattamente provenga quella maledetta puzza di urina.
In
tutto questo, l'unico supporto che Ivan sia in grado di offrirgli
è:
«Se ti metti qua dove sono io, la puzza non si
sente.»
Max
cava la testa da sotto il divano e lo fissa con odio.
«Sai,
Ivan, se c'è puzza di urina, di solito significa che da
qualche
parte l'urina c'è. E se c'è
urina, significa che presumibilmente qualcuno ha urinato qua sotto. E
dal momento che sono alquanto certo di non averlo fatto io e mi
auguro che tu non abbia preso questa pessima abitudine, penso che
resti solo una possibile
responsabile in questa casa. O sbaglio?»
Ivan
si volta verso la
piccola Carvanha che si arrampica sull'albero con aria meravigliata.
Qualche
sera fa, di
ritorno da una delle poche lezioni che si sia preso la briga di
frequentare durante questo semestre, e in generale da quando si
è
iscritto all'Università, Ivan ha trovato una gattina che
guaiva
acquattata tra i cespugli e che gli si è avvicinata subito,
non
appena questo colosso di un centinaio di chili di muscoli le ha
accostato la mano, forse percependo che da quel ragazzone non poteva
provenire alcun pericolo. Perciò, dopo una lunga riflessione
durata
poco meno di un minuto, Ivan ha pensato bene di infilarsela nella
tracolla e di portarsela a casa. Dopodiché, per rincarare la
dose,
ha avuto la brillante idea di portargliela in camera sua, dove Max
stava preparando un esame da niente come Geochimica ambientale, e di
appoggiarla sul suo manuale con le sue deliziose zampette sporche e
tutto il resto.
«Possiamo
tenerla?»
Dopo
aver boccheggiato
per un po' in cerca di una spiegazione plausibile all'improvvisa
apparizione di una gattina selvatica che si leccava le pudenda sul
suo manuale, Max ha trovato dentro di sé la
lucidità necessaria a
fornirgli una risposta.
«Chiedilo
alla padrona
di casa.»
Naturalmente
questa gli
sembrava una strategia vincente, o quantomeno quella più
rapida da
escogitare e adottare in una dozzina di secondi appena. In fin dei
conti, si trattava della stessa padrona di casa che aveva loro
vietato di ospitare in casa più di due persone alla volta,
perciò
per quale motivo avrebbe dovuto autorizzarli a tenere addirittura un
animale?
«Giusto,
non ci
pensavo» ha risposto serenamente Ivan, come se non avesse
avuto
altro bisogno che di quel suggerimento per trovare la soluzione.
Dopodiché, senza troppi complimenti, ha sollevato la
gattina,
gliel'ha ficcata tra le braccia e ha ordinato: «Tienila ferma
mentre
le faccio una foto, eh?»
Esattamente
otto minuti
dopo, il responso della loro proprietaria è stato:
«Musino dolce
della mamma! Non azzardatevi a ributtarla in strada con questo
freddo», seguito dal link di Google Maps con la posizione di
un
veterinario di sua conoscenza.
Messaggio
che ha fatto
esultare Ivan per la gioia e che ha sancito la sua condanna a morte,
dato che a quanto pare il suo destino è segnato: la gattina
resterà
con loro. Presumibilmente, per sempre.
A
distanza di appena cinque giorni, c'è da dire che Carvanha
è
effettivamente la gattina più carina dell'universo
conosciuto, con
un delicato pelo raso color cipria, occhi enormi e orecchie ancora
più enormi, e una codina sottile e diritta sempre eretta.
Naturalmente è stato Ivan a decidere di chiamarla Carvanha,
dal
momento che da qualche mese si è appassionato a quello
stupido gioco
di Pokémon sul telefono e pare reputare molto più
interessante
partecipare a raid e andarsene in giro a far schiudere le uova
piuttosto che studiare o addirittura prendere questa benedetta laurea
in Scienze del Mare. A nulla sono valse tutte le sue obiezioni in
merito, tipo fargli notare che Carvanha è un
Pokémon brutto e
aggressivo e soprattutto è un piranha
mentre
lei è una gattina adorabile e carina e soprattutto
è una gatta:
perché piuttosto non chiamarla Skitty, o Mew oppure... ma a
Ivan
piaceva Carvanha, era convinto che fosse un perfetto nome da gatto, e
Carvanha si è chiamata. Fine. (E comunque, uno dei motivi
per cui a
Max non piaceva quel nome è semplicemente che Ivan fa parte
di
quella categoria di finti nerd che hanno scoperto l'esistenza dei
Pokémon solo quando è uscita una pratica e
gratuita app per
smartphone e hanno potuto pavoneggiarsi in giro per la città
coi
loro iPhone e i loro Pokémon Plus al polso, a identificarsi
in un
team e a fingere di essere nerd, e hanno potuto saltare tutta la fase
di ghettizzazione e isolamento che l'essere nerd comportava alle
superiori. Ma Max, che gioca a Pokémon da prima ancora
d'imparare a
leggere bene e che quella fase da nerd e da secchione, con la
relativa stigmatizzazione, se l'è sorbita tutta, nutre un
sacrosanto
disprezzo per questo gioco e i suoi fanatici dell'ultima ora.)
In
questo preciso
momento stanno addobbando l'albero, o quantomeno Max stava cercando
di farlo fino a un minuto fa. Al momento attuale, per la
verità, Max
è chino a quattro zampe ad annusare il pavimento sotto il
divano del
loro soggiorno – sala da pranzo – quello che
è (perché in fin
dei conti questa è sempre una catapecchia di appartamento
per
studenti e i mobili sono quelli che passa il convento) a cercare
d'incriminare la gatta, Ivan è appollaiato su quella vecchia
carcassa di divano sfondato che ha trovato due anni fa abbandonato
vicino a dei bidoni (e sul quale, per ovvi motivi, si è
sempre
seduto solo lui) e Carvanha si sta arrampicando sul tronco del loro
albero di Natale artificiale con lo stesso cipiglio e la medesima
solennità di un re leone sulla Rupe dei Re.
«Sono
i gatti maschi
che pisciano per marchiare il territorio, mica le femmine»
conclude
Ivan tornando a scorrere le notifiche sul telefono.
«O
le femmine cui
nessuno si è degnato di insegnare a usare la
lettiera» lo rimbecca
Max levandosi a sedere. «Non ti fa venire in mente niente,
questo?»
Finalmente
Ivan si
decide a sollevarsi a sedere sul divano in un gran scricchiolio di
molle. «Dai, Maxie, che avrei dovuto fare? Mettermi a
pisciare nella
sabbia per farle vedere come si fa?»
Protendendosi
dalle pericolanti fronde dell'albero con occhi enormi e curiosi ed
estremamente fieri, Carvanha decide di dimostrargli il suo appoggio e
assieme la sua presenza lì con un acuto, insistito e
prolungato
miao! O meglio, a
chiunque altro al mondo quello potrebbe sicuramente sembrare un
innocuo miagolio, ma Max ha capito benissimo che cosa voleva dire.
Questo
sarà il mio regno, e d'ora in poi voi non vivrete che per
adempire
alla mia volontà. Non vi allontanerete da me più
di quanto ve lo
consenta la distanza di un vostro braccio, e tutto ciò che
siete,
tutto ciò che possiederete o che mai sarete, ora e sempre,
sarà
devoluto a me e all'appagamento d'ogni mio desiderio, d'ora innanzi e
fino alla fine dei tempi.
Ma
naturalmente Carvanha è una piccola creatura demoniaca
fuoriuscita
direttamente dalle fiamme dell'inferno, e tutto ciò che sembra
aver detto, a
un orecchio
inesperto e ingenuo come quello di Ivan, è miao!.
«Hai
ragione, certo
che non potevi» conclude Max per chiudere il discorso.
«Ma
siccome l'urina, da qualche parte, c'è,
che ne dici di tirare
fuori la candeggina e pulire, così possiamo continuare con
l'albero?»
Quando
si sono
ritrovati a condividere questo appartamento da fuorisede, al primo
anno di Università, Max ha inquadrato subito questo
ragazzone
affascinante e muscoloso che passava tutto il suo tempo a partecipare
a campagne d'informazione sull'inquinamento dei mari e la
salvaguardia della barriera corallina e altre stronzate del genere e
dava forse un esame una volta ogni tanto senza degnarsi di studiare
mai; e no, decisamente non sembrava un maniaco
delle pulizie.
Max invece lo era già all'epoca, e anzi un po'
più di adesso per
dire la verità, e ha deciso perciò di ripartire i
compiti nel modo
più sicuro ed efficace che fosse in grado di escogitare, e
che
soprattutto gli desse maggiori garanzie di sicurezza: perciò
ha
unilateralmente stabilito che lui avrebbe eseguito ogni singola
pulizia di casa, mentre Ivan si sarebbe dovuto limitare soltanto a
lavare il pavimento. Passare una scopa e uno straccio al suolo non
sembrava richiedere particolari conoscenze o abilità
pratiche; e
tutto sommato, negli ultimi quattro anni, Max non ha quasi mai avuto
da lamentarsi.
«Che
intendi
esattamente con candeggina?» domanda Ivan
con la più viva
curiosità, e Max non si degna neppure di dargli peso. Ha
individuato
la pallina rotolata sotto il mobile, incastrata tra una zampa e la
parete, ma non ha la minima intenzione di cacciare la mano per
riprenderla finché non sarà assolutamente sicuro
che là sotto non
sia rimasto neanche un alone di pipì di gatto.
«Candeggina
o
qualsiasi altra cosa tu usi per pulire, Ivan. Puoi cortesemente
smetterla di fare il cretino e aiutarmi, per una
volta nella
tua vita?»
«Ah,
sì, sì,
giusto... avevo capito.» Ivan si alza nervosamente dal
divano, ma
non accenna affatto a uscire dalla stanza. «Senti, hai
presente
quanti danni creino i detergenti chimici che usiamo quotidianamente
per pulire e che finiscono nei nostri scarichi, giusto?»
Max
si sente
improvvisamente molto inquieto.
«Certo,
Ivan»
risponde con circospezione, alzandosi in piedi con la massima calma,
perché di certo non vale la pena di perderla. No?
Chissà
perché, la sua
calma non pare metterlo affatto a suo agio. «Ecco, un po' di
tempo
fa ho provato un nuovo tipo di detersivo ecologico e biodegradabile
che ho trovato in un negozio equo e solidale...»
«Uhm.»
Beh, fin qui
sembra promettente. «Quindi?»
«Ecco,
è finito.»
Beh,
da qualche parte
la fregatura doveva pur esserci. Ma perché Ivan sembra tanto
terrorizzato da lui?
«Quando
è
finito?» chiede Max senza scomporsi.
«Non
lo so, da un po'.
Perciò negli ultimi mesi ho usato dell'aceto.»
«Aceto»
ripete Max
soavemente.
«Sei
arrabbiato?»
«Stai
pulendo da mesi
il nostro pavimento con del condimento da insalata» ripete
Max con
la massima calma.
«Sei
tanto arrabbiato,
vero?» Ivan ha la stessa espressione spaventata, inquieta,
dei
caprioli che si bloccano a metà strada abbagliati e confusi
dalla
luce di fari. Tutti i muscoli del suo corpo sono contratti e pronti
alla fuga e tutto del suo sguardo pare urlare di correre via e
scappare e non tornare mai più; ma poiché Ivan
è sempre stato un
grosso bastardo molto avventato e molto poco vigliacco, tutto
ciò
che aggiunge è: «Su Internet ho letto che
è molto igienizzante e
soprattutto non inquina.»
Chiunque
non sia un
fanatico delle pulizie non potrebbe mai capire che cosa Max pensi
delle proprietà igienizzanti dell'aceto in questo momento.
In questo
preciso istante, per la precisione, Max sta pensando che Carvanha
è
entrata in casa loro cinque giorni fa dopo settimane passate a
rovistare tra la spazzatura di tutta la città, e in quei
giorni il
loro pavimento non è stato pulito con nient'altro che
dell'aceto.
«Pensi
che me ne
freghi qualcosa della salute dei mari in questo momento?»
chiede
dolcemente.
Se
c'è una cosa che
Ivan dovrebbe accuratamente evitare di fare in questo momento,
è
controbattere.
Ivan
gonfia il petto e
controbatte: «Beh, senti, se tu hai scelto un albero di
plastica per
non disboscare le abetaie, allora non vedo
perché...»
«Ivan,
non osare...»
In
questo preciso
istante succedono due cose. La prima è che le fronde
dell'albero
hanno un fruscio allarmante, una seconda pallina rotola a terra con
più fragore di quanto avesse l'aria di poter emettere, e
Carvanha
ritiene opportuno richiamare a sé la loro attenzione
producendosi in
un lungo e lamentoso miagolio di protesta per esser stata tanto a
lungo ignorata. La seconda è che Ivan, esattamente come i
caprioli
terrorizzati che si scagliano contro le macchine perché non
sanno
dove altro fuggire, gli si avventa contro, lo solleva per i glutei e
gli infila la lingua in bocca.
Ok,
questa è
un'argomentazione sorprendentemente buona.
Ivan
si stacca dalla
sua bocca solo quando un paio di zampette capricciose ed esigenti si
appoggia alle sue ginocchia. A quanto pare, Carvanha non ha
apprezzato di non essere al centro dell'attenzione di tutti per la
bellezza di quarantacinque secondi, e ha deciso di richiamare ancora
la loro attenzione, stavolta nel modo più semplice ed
efficace
possibile; ma per una volta Ivan si comporta in modo abbastanza serio
da non chinarsi a prenderla in braccio per stritolarla di baci e
chiamarla in modi ridicoli e un po' poco virili come patatina
del
tuo papà e amore della mia vita. Per
una volta Ivan è
tanto preso da lui, o quantomeno tanto determinato a giocarsi bene
almeno quella carta, che non accenna a staccarsi da lui, e le sue
mani rimangono ancorate ai suoi glutei esattamente come prima.
«Non
c'è niente che
possa fare per farmi perdonare?» mormora da qualche parte
contro il
suo orecchio, e Max riflette che, tutto sommato, potrebbe anche
approfittare della situazione. No?
«Una
cosa tipo pulire,
intendi?»
«Voglio
dire... oltre
a quello, ovviamente.» La stretta delle sue mani sui suoi
glutei
aumenta quel tanto che basta da sollevarlo ancora un poco da terra, e
Ivan lo morde piano nell'incavo del collo. «L'albero possiamo
finirlo dopo cena.»
«Oh,
Ivan...» Le
braccia che lo stringono e lo avvolgono sono calde e possessive da
potervi sprofondare, la sua bocca lo tenta più di quanto
egli sia
disposto ad ammettere; ma quando le dita di Ivan affondano
maggiormente tra le sue natiche, Max non può fare altro che
discostarsi seccamente da lui. «Abbiamo finito i
preservativi, Ivan.
Te ne sei dimenticato?»
Ivan
rimane interdetto
per un solo istante. Ha gli occhi troppo languidi ed eccitati in
questo momento, e Max sa quello che sta per dire prima ancora che
apra bocca. «Per una volta...»
A
quanto pare, anche
Ivan sa quello che sta per dire prima ancora che lo dica. Dev'essere
a questo che portano quattro anni di convivenza, dopotutto.
«Alt,
Ivan. Ti sei
scopato mezzo ateneo, perciò finché non ti decidi
a fare quelle
dannate analisi del sangue, scordatelo.»
Dopodiché, per rimarcare
il concetto, Max si china, prende Carvanha tra le braccia e va a
sedersi a gambe incrociate sotto l'albero. Ivan rimane in piedi in
mezzo al salotto con l'espressione più stupida che Max gli
abbia mai
visto in faccia.
«Sei
serio, Max? Non
puoi lasciarmi così, dai!»
Miao,
ribadisce
Carvanha tra le sue braccia, e Max le rivolge un sorriso d'intesa.
«Non
sono così
cattivo, Ivan. Il negozio qua sotto è ancora aperto,
perciò perché
non scendi a comprarne un pacco nuovo?»
Ivan
apre la bocca,
solleva un braccio, guarda fuori dalla finestra, chiude la bocca,
abbassa il braccio, guarda verso di lui ed esclama: «Ma sta
nevicando, Maxie!»
Max
si stringe nelle
spalle e risponde: «Allora lo faremo quando
smetterà di nevicare.
Ora continuiamo con l'albero?»
Per
la seconda volta
nel giro di un minuto Ivan apre la bocca, ci pensa un po', la
richiude, dopodiché esce dalla stanza e va a mettersi il
cappotto.
Miao,
prorompe
solennemente Carvanha, e questo fa tornare in mente a Max la cosa
più
importante.
«Ah,
Ivan...»
Quando
si affaccia
sulla soglia del salotto, Ivan ha l'espressione più
speranzosa del
pianeta. «Sì?»
«Non ti manderei mai
fuori sotto la neve solo per comprare dei preservativi. Già
che ci
sei, compra anche due flaconi di candeggina, d'accordo?»
«Ah.»
Chissà perché,
Ivan ha l'aria d'esserselo aspettato. «Fanculo,
Max.»
Max
schiocca la lingua
con tutta la soddisfazione del mondo. «Ti amo,
Ivan.»
«Già,
già, ti amo
anch'io» urla in risposta Ivan scendendo le scale.
«Però fanculo
lo stesso, eh?»
Angolino
dell'autrice:
Una
sciocchezzuola, che
mi sono divertita un sacco a scrivere per la challenge natalizia
organizzata dal gruppo Facebook Il giardino di Efp, intotolata
Una challenge sotto l'albero. Per partecipare ho
scelto il
primo prompt della lista proposta, che recitava: “A vorrebbe
fare
l'albero di Natale, ma il gatto di B (suo coinquilino) continua a
saltare sui rami e a far cadere le palline”.
Come
sempre, un infinito
ringraziamento a Fiulopis per averla betata, dato che altrimenti
sarebbe stata ancor più illeggibile!
Dedicata
a Caloub e
Futura, i miei due patatini felini che mi hanno salvata in tutti i
modi.
Un
abbraccio enorme a
tutti e buon anno!
Post-credit
scene:
Miao,
ribadisce Carvanha, dimenandosi tra le sue braccia per raggiungere il
lungo filo di luci che pende dall'albero e che Ivan avrebbe potuto
almeno degnarsi di sistemare, dal momento che è
più alto di lui –
oh, beh, pazienza.
Max
si concede l'attimo di tempo necessario a gettarsi una lunga occhiata
teatrale attorno: sono soli, adesso, e questo significa che nessuno
può vederli.
«Vuoi
giocare con le
lucine, topolina? Aspetta, adesso il tuo papà te le
accende...»
Fine.
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