Will i
Will I be alone?
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Sarò sola? Quando avrò alzato
in me l’intimo fuoco che originava già queste bufere e sarò salda, libera,
vitale, allora sarò sola? E forse staccherò dalle radici la rimossa speranza
dell’amore, ricorderò che frutto d’ogni limite umano è assenza di memoria,
tutta mi affonderò nel divenire… Ma fino a che io tremo del principio cui la
tua mano mi iniziò da ieri, ogni attributo vivo che mi preme giace incomposto
nelle tue misure.
Alda Merini, Sarò sola?
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Lei non dovrebbe trovarsi lì.
Mesi di preparativi, di appostamenti e si è verificata l'unica cosa che lui ha
cercato di evitare per tutto quel tempo.
L'aria nella stanza è stantia,
sa di vecchio e inchiostro e naftalina. Olaf conta i secondi che lo separano
dalla rovina. Quanto tempo occorrerà prima che il fuoco appiccato nel
seminterrato raggiunga il piano terra e l’ala della biblioteca in cui si
trovano? Prima che il fumo riempia i corridoi e lei si accorga di quello che
sta succedendo?
“Non dovresti essere qui,” dice
nel suo tono più arrogante, quello che usa per mascherare la paura e
l’insicurezza. Perché è lì? Il rapporto diceva espressamente che -
“Proprio come te,” lei
risponde, senza distogliere gli occhi dal libro ingiallito che sta leggendo. “Immagino che
sia l'ennesima prova della mia straordinaria fortuna.” Il sarcasmo ha un suono diverso
quando fuoriesce dalle sue labbra, specie se scortato dalla smorfia che ora le
corruccia la bocca sottile. Il rumore secco con cui chiude di scatto il libro
risuona come uno sparo nel silenzio della notte che li circonda e ricopre il
suono stentoreo del battito che il suo cuore ha saltato, non appena lui ha
riconosciuto il titolo sulla copertina. Dopotutto recuperarlo è il motivo
iniziale che l’ha spinto nell’enorme labirinto che è la biblioteca degli
Snicket.
Secondi preziosi passano senza
che lei aggiunga altro o che lo degni della minima attenzione. Gli sembra quasi
di sentire il crepitio del fuoco che avanza dal cuore della casa e la violenza
dell’atto che ha compiuto si scontra con l’aria insolitamente dimessa di Kit.
Non l’ha mai vista così da quando la conosce, ovvero da quando era una
ragazzina dinoccolata e occhialuta che divorava libri con la voracità di uno
squalo e rispondeva ai soprusi battagliando con una lingua più affilata di uno
stiletto.
Altri
minuti e lei ancora non
solleva lo sguardo dal libro che ha in grembo. Non ci sono luci
artificiali al di fuori della lampada da tavolo accesa
nell’angolo preferito di entrambi,
con il paralume a globo sostenuto da due albatros in ottone.
“Non capisci. Devi uscire.
Entrambi dobbiamo.” Non riesce a evitare il piccolo tic nervoso alla bocca e
quando finalmente lei lo guarda è per fissarlo con occhi pieni di
contraddizioni: sgomento e quieta accettazione e struggimento.
“L'hai fatto.”
“Fatto cosa?” Vorrebbe
scoppiare a ridere – la nuova e ammaliante risata malefica che ha perfezionato
negli ultimi mesi dacché si sono separati - e negare, fingere. Con lei sarebbe
futile.
La
osserva e conosce ogni
pensiero che le sta attraversando la mente. Sta calcolando come lui: il
tempo rimanente, eventuali vie di fuga, la necessità o meno di
uno scontro fisico.
Kit si
riscuote con un sospiro profondo. Sembra aver ritrovato parte della sua
combattività e il viso teso è acceso da una furia che gliela rende disperatamente
cara. “Speravo che non saremmo
arrivati a questo punto, ma temo di non avere alternativa. Entrambi abbiamo
fatto una scelta ed è ora di accettarlo e imparare a conviverci.”
Lui afferra facilmente il
sottotesto esplicito. Dopo questa notte le loro strade si separeranno
definitivamente.
Una rabbia identica a quella di
lei lo ghermisce, un abisso nero che inghiotte ogni altra cosa. “E di chi è la
colpa?” la accusa.
“Credi davvero che distruggendo
la mia famiglia otterrai quello che cerchi?” Lei scuote la testa, i capelli
disordinati le cadono in onde scomposte davanti agli occhi e le mani gli
prudono per il desiderio di sistemarli dietro le orecchie. “La vendetta non è
mai la soluzione, Olaf.”
“Una famiglia per una famiglia.
Una casa per una casa.” Tiene le braccia conserte dietro la schiena e le rivolge
un ghigno che è uno spauracchio per bambini, ma che non sembra minimamente
scalfire la sua compostezza. “Mi sembra fatalmente giusto.”
“Perciò hai intenzione di
uccidere anche me?” lei domanda a bruciapelo, senza mezzi termini. Non è quella
una delle qualità che l’hanno fatto innamorare di lei? La sua resilienza, la
sua incapacità di indietreggiare di fronte al pericolo, la sua intraprendenza,
la sua verve? Lei affronta con risolutezza il suo sguardo, senza traccia di
compassione per il tumulto che ha appena causato. “Li distruggerebbe. La mia
morte. Sai che è vero. Minimo sforzo per il risultato più efficace.”
Ma
distruggerebbe anche me. Una parte di quello che sta provando deve
trasparire perché all’improvviso lei è di fronte a lui e sta allungando con
esitazione una mano verso la sua guancia, un gesto ripetuto mille volte,
un’abitudine diventata banale per la consuetudine con cui erano soliti
scambiarsi gesti di quel tipo. Non più,
una voce crudele gli sussurra all’orecchio e lui si scansa dalla mano di lei,
invitante e illusoria, come se avesse provato a schiaffeggiarlo.
Di fronte a quel rifiuto, il
dolore non è una deflagrazione rumorosa, ma si accartoccia nel bordo dei suoi
occhi induriti. “Mi odi a tal punto?”
“Non è te che odio, ma quello
che rappresenti.” La verità non è clemente né pietosa, ma è l’unica gentilezza
che lui può permettersi di concederle ora come ora.
Kit annuisce con aria
imperscrutabilmente definitiva, di chiusura. “E io odio la persona che stai
diventando. Sei un brav'uomo. Potresti essere nobile, come tuo padre.”
“Non nominare mio padre!”
“Lo amavo anch'io, sai. Odio
quello che mio fratello ha fatto, cosa ha causato, ma capisco le ragioni che lo
hanno spinto ad agire in quel modo.”
“Il fine che giustifica il
mezzo,” lui ringhia, provando una collera che neppure la presenza di lei riesce
a frenare, un’inquietudine e un’irrequietezza che niente riesce a calmare. “Voi
e la vostra nobiltà. Voi e le vostre ipocrisie, le vostre mezze verità. Cosa mi
dici degli effetti collaterali delle vostre azioni? Affermate di agire per il
bene, ma chi ha deciso che il bene di alcuni sia più importante del bene di
altri? Chi ha stabilito che il perdono sia concesso solo a pochi eletti e
fortunati?”
Quando lei poggia una mano sul
suo petto, lui non si ritrae e poggia la sua sopra quella di lei. “Non è ancora
troppo tardi. Puoi sempre tornare indietro.”
Entrambi fissano con luttuosa
fascinazione la vicinanza delle loro mani sovrapposte. Ed è bastato così poco?
Così poco tempo per rendere strano ed estraneo quanto era di più naturale e
semplice tra di loro? “So che potrei,”
lui risponde atono e non aggiunge altro. Sa che lei leggerà tra le righe, che
capirà. Per un istante vorrebbe che Kit non lo conoscesse come lo conosce, ma sarebbe
come desiderare l’impossibile, come che il sole non sorga e tramonti ogni
giorno o che il mare diventi una distesa placida e priva delle maree che lo
caratterizzano.
“Non vuoi,” lei risponde nello
stesso tono freddo e impersonale. “Dunque è così.”
“La vendetta è tutto ciò che
cerco,” le sussurra all’orecchio piegandosi in avanti, le labbra accostate al
suo orecchio. “Non desidero altro.”
Lei si ritrae come se l’avesse
colpita. In un certo senso è esattamente quella che ha fatto. “Questo è un
addio.”
“No, carissima,” lui promette
con ineluttabilità, spostando la mano dietro la sua nuca e apprestandosi al
colpo per tramortirla. “Solo un arrivederci.”
Quando si risveglia, sotto una
coltre di stelle lontane e su un letto di erba bagnata dalla rugiada notturna,
Kit Snicket è sola in giardino mentre la casa della sua infanzia brucia
daccapo, per un incendio appiccato dall'amore della sua vita.
Il ciclo della sua vita senza
di lui inizia così, con il furto di un libro regalato.
*
La volta successiva in cui le
loro strade si incrociano, entrambi sono presi alla sprovvista da
quell’incontro fortuito. Lei è in fuga, scappata per un pelo da nemici troppo
potenti e sta percorrendo i tunnel sotterranei per raggiungere la casa di un
alleato, in cerca di protezione fintantoché non si riprenderà completamente
dalle ferite che le sono state inferte. Lui sta per commettere il secondo
crimine che lo condannerà ai suoi occhi. (Fallirà, ma non è questo il punto. Il
punto non è mai stato riuscire nei suoi intenti malvagi, ma la natura incontrovertibile
dei suoi tentativi criminosi.)
Olaf la squadra da capo a piedi
con atteggiamento predatore e Kit è troppo stanca per badare a come deve
apparire. “Ti credevo morta.”
Lei muove una mano per
respingere le parole di lui. “Opinione diffusa e ovviamente incorretta.” Prima
che lui aggiunga qualcosa lei lo precede. “So cosa hai intenzione di fare.”
Il ghigno di sfida di lui è
dolorosamente familiare. “Vuoi provare a fermarmi?” le domanda come se non
aspettasse altro.
“Prenditi cura di lui,” lei recita a memoria e sente la gola
ostruirsi per lacrime che non piangerà. “Il
mio ragazzo è testardo e orgoglioso, vanesio come pochi, ma ha un buon cuore.
Prenditi cura di lui. Tuo padre me l'ha detto il giorno in cui mi hai dato
l'anello di tua madre. Non te l'ho mai restituito.”
Lui è pallido e sembra
intontito, come se stesse combattendo gli effetti di un potente sonnifero.
Quando lei si sbottona il giubbotto per estrarre la catena con l’anello in
questione, la vista basta a risvegliarlo dal suo stato di stordimento.
Sembra che voglia toccarla, ma
alla fine incrocia le braccia dietro la schiena ed evita con decisione il suo
sguardo. “Non voglio che tu lo faccia,” lei lo sente dire e così risistema la
catenella sotto la camicetta, al posto che le appartiene, vicino al suo cuore.
“Tutti questi anni e per cosa?
Hai trovato quello che cercavi?” Non si aspetta una risposta ed è sorpresa
quando lui gliene offre una.
“L'avevo trovato.” Gli occhi di
lui sono cerchiati da ombre livide e profonde e perseguitati dal suo stesso
tormento. “L'ho tenuto contro il mio petto e poi l'ho lasciato andar via.”
La bocca improvvisamente secca,
Kit si umetta le labbra screpolate e assapora il gusto amaro della perdita che
non è necessariamente morte, ma avversità e patimenti e scelte di vita
incompatibili. “Il passato si cela nei ricordi. Il futuro si costruisce sulle
speranze.”
“Non sei cambiata,” lui dice e
il sorriso che le rivolge è triste e arrabbiato assieme. “Sei la stessa.”
“Non più,” lei lo contraddice. “Il
mondo intero è mutato e così ho dovuto fare anch'io.”
Il dolore al fianco sta
aumentando esponenzialmente, si accompagna a quello che le squarcia il petto,
che le riempie i polmoni. Sotto la mano aperta a ventaglio, lei sente la stoffa
impregnarsi di sangue.
Pensi
mai a me? A quando eravamo giovani e felici e con il mondo ai nostri piedi? Un
futuro splendente e rigoglioso di opportunità e sfide? Pensi mai a quello che
sarebbe dovuto essere? A dove saremmo noi se in quella notte fatale -
“Non trascorre giorno senza che
ci pensi,” la raggiunge, lontana e vicina, la voce di lui.
Riapre gli occhi di scatto ed è
così che scopre di aver pronunciato ad alta voce i suoi pensieri. Nel lampo di
sorpresa e vulnerabilità che gli sta attraversando il volto. E’ così, privata della sua
armatura e resa impulsiva da ragioni che travalicano la sua volontà, che si
rende conto che sta morendo.
Ansima e mentre la
consapevolezza la travolge, si appoggia contro il muro di mattoni. Cercando di
prendere fiato, il peso del suo corpo moltiplicato dalla stanchezza, cerca di
mantenersi in piedi su gambe instabili. La testa gira vorticosamente.
“Kit.” La mani di lui poggiate
sulle sue spalle, il modo in cui nella penombra del tunnel la sta studiando.
“Perdi sangue.” La sua voce è pericolosamente bassa e roca, promette minacce. “Cosa è successo? Chi ha
osato –”
“Si sono presentati come i tuoi
mentori. Mi hanno invitato a cena.” Cerca di sorridere, ma il tentativo
fallisce miseramente. “Non ho potuto rifiutare.”
“Sciocca ragazza. Sai di cosa
sono capaci e lo stesso sei andata. Perché?” La rabbia è a malapena contenuta.
Lo ha già trasformato, rendendolo un demone di distruzione.
Successivamente Kit si
discolperà per quell’interludio di debolezza e fragilità, trincerandosi dietro
la scusa della ferita, dello stato febbricitante in cui si trovava. Parole a
lungo trattenute, terreni inesplorati non perché resi accidentati da insidie
nascoste, ma perché senza via di uscita.
Un braccio dietro le sue
spalle, un altro dietro le sue ginocchia. Kit si lascia sollevare e poggia la
testa nell’angolo del suo collo. “Volevo cercare di capire,” ammette in un
mormorio. “Se avessi capito loro, forse avrei avuto maggiori speranze di –” si
blocca e strofina il naso contro la mandibola di lui. Leggero come un alito di
vento del sud, il respiro di lui le
sfiora la guancia. “Non ha più importanza. Ho mandato un volenteroso foglietto
a Jacqueline. Manderà qualcuno a prelevarmi. Devo solo aspettare i rinforzi.”
Olaf continua a camminare e Kit
è cullata dal leggero dondolio della sua camminata, dal profumo della sua
colonia, dal pizzicore della sua barba contro la fronte. Prende nota
distrattamente delle direzioni. Destra, sinistra. Due volte sinistra e poi
ancora una volta destra.
“Non arriverà nessuno.”
Riapre gli occhi. “Sai della
festa.” Non è una domanda, neppure un’affermazione. E’ qualcosa a metà strada
tra le due, ambiguo come è diventato il loro rapporto.
“Ho i miei informatori,” lui
risponde, insolente e arrogante.
“Stavi andando lì. Perché?”
“Per uccidere i traditori.”
Non è nuova al dolore
noncurante che affermazioni del genere, specialmente perché fatte da lui, le
procurano. Dovrebbe essersi educata al contraccolpo che producono dentro di
lei, sfiorando le corde più segrete del suo cuore, affilando i denti e le
unghie contro quella massa morbida che erano i suoi sentimenti per lui, non
importa quanto ostinatamente lei cerchi di soffocarla come il più dannoso e
nocivo degli incendi. Il dolore ha riempito gli spazi vuoti creati dalla sua
assenza. Si agita un poco tra le sue braccia, ma la sua voce non mostra tracce
dello shock e del tradimento che prova. “Loro non hanno mai tradito. Nessuno di
noi l'ha fatto. Ma tu sì.”
Le mani di lui si serrano
attorno alla sua spalla, attorno al suo ginocchio destro. “Insisti nelle tue
menzogne?”
“Di cosa stai parlando?”
“La freccetta avvelenata,” lui
digrigna i denti. “Era tua.”
“Non ne ho mai fatto segreto.”
“Chi ha scagliato la freccetta
che ha ucciso mio padre?” lui domanda incalzante. “Chi compì il misfatto?”
“Conosci la risposta.”
“Sì, ora sì. Osi ancora
difenderli? Dopo tutto quello che hanno fatto?”
“Gli arditi sono coloro che
osano e coloro che osano cadono dalle vette più alte.”
Il buio le cala sulle palpebre
come una ghigliottina, il vuoto le riempie le orecchie. Quando si risveglia, è
disorientata. Si aspettava di trovarsi su un prato con le stelle come uniche
compagne. Invece è stesa su una brandina, medicata con garze che le fasciano il
torace.
Seduto alla sponda della
brandina, lui la osserva con occhi spietati e teneri, nell’ossimoro che lui è
diventato per lei. In mano ha la catenella con l’anello che le ha dato in
un’altra vita, quando le ha promesso se stesso e il mondo. Il sentimento che
lei legge nei suoi occhi le fa perdere un battito.
“Dov'è il tuo cuore?” domanda e
non si stupisce quando lui si sporge per agganciare nuovamente la catenella al suo collo. Le
sue dita sono fredde e le sollevano il mento.
“Qui,” lui dice. “Esattamente
dov'è l'ho lasciato. E il tuo invece?”
In un giardino. In un vecchio
libro di poesie che lui le ha sottratto, approfittando vergognosamente del suo
stato indotto di incoscienza. In una collezione abbandonata di freccette
avvelenate. Nell'anello che porta al collo. Negli occhi tormentati dell'uomo
che è inginocchiato accanto a lei e che la guarda con gli occhi del passato,
occhi in cui si rincorrono le risate di amici perduti, fantasmi e rimpianti. È
un attimo, l'impulso dettato da un sentimento troppo a lungo sotterrato. L'uomo
rancoroso cede il posto a un ragazzo solitario e triste. Le mani le prudono
dalla voglia di sfiorare quel viso familiare ed estraneo, spianare le nuove
rughe che ha sulla fronte. Kit si sporge prima che la ragione metta a tacere
l'istinto. Allunga il collo, inclina la testa e con lenta, deliberata
precisione poggia le sue labbra contro quelle di lui. Non un sussulto, non un
tremore lo attraversano. Nessuna sorpresa. La bocca di lui rimane immobile e
dura sotto la sua per secondi lunghi interi anni. La perdita consistente di
sangue ha reso la sua testa leggera, ma ora si sente come un pallone aerostatico.
È sempre stata brava a
trattenere il fiato. Immersioni, freccette avvelenate, bibliofilia. Questa era
lei prima di lui. Per un tempo è stata una ragazza che indossava vestiti
eleganti e portava diamanti al collo. Non ha più indossato un vestito elegante
e un gioiello da quella sera. Aveva promesso a se stessa di non avere pace fino
alla fine dello scisma, fino al ricongiungimento con le persone a lei care. La
promessa diventa inconsistente alla luce delle nuove rivelazioni di quella
sera, di fronte all'ennesimo rifiuto che brucia più di mille incendi appiccati
contemporaneamente. Quando si scosta, poggia la fronte contro la sua spalla e
fa un sospiro profondo. È doloroso ricordare il prima e confrontarlo con
l'adesso.
Nel prima le braccia di lui non
sarebbero rimaste inermi contro i suoi fianchi, ma serrate con forza attorno al
suo corpo. La sua mano le avrebbe accarezzato la nuca, reclinandola per avere
maggiore accesso alla sua gola. Ci sarebbe stata gentilezza e passione e quel
calore confortevole che l'aveva convinta di aver finalmente trovato la sua
Itaca dopo mille naufragi e peripezie.
“Non ti bacerò, non stanotte.
Non quando credi che sarà l’ultima cosa che farai.” Il suo sorriso è amaro e
cupo. “Più tardi lo rimpiangeresti.”
“È la fine.”
“Non ancora.” Olaf parla
rapidamente, accompagnandola nel sonno. “Non
finirà fino a quando ognuno di loro avrà provato il dolore e la disperazione
che io provo costantemente. Finché ognuno di loro non avrà assaggiato il sapore
amaro della mia vendetta. Non finirà fino a quando ognuno di loro non avrà
perso tutto ciò a cui tiene, non avrà visto ogni cosa bella trasformata in
cenere, le loro case ridotte in macerie e la vita non sarà diventata che una
lenta agonia, tutto intorno a loro solitudine, pazzia e rovina.”
Dopo, quando è di nuovo sola e
la febbre è retrocessa, il dolore al fianco sbiadito in qualcosa di
sopportabile, un nuovo foglietto volenteroso raggiunge Jacqueline per avvisarla
del pericolo imminente.
Olaf
sa.
*
La prima volta che Kit visita casa
Baudelaire è anche l'ultima. Kit osserva quella casa massiccia e ricca, piena
di sole e risate e poesia e piante. Ne osserva l'opulenza criticamente. Le
tende sono troppo chiare per i suoi gusti e ci sono troppi tappeti e fiori e
pochi quadri. Non può fare a meno di pensare a tutto ciò che ha perso.
Soppesare i sacrifici e chiedersi se ne sia valsa davvero la pena.
Non può evitare di pensare per
un attimo, un attimo soltanto, a quanto sia profondamente ingiusto e iniquo. In
un mondo alternativo quella casa potrebbe essere sua. È un attimo. Poi Beatrice
le viene incontro, tendendole le mani e accogliendola con un sorriso pieno di
affetto ed è raggiante e fiera e coraggiosa e tenace. È la sorella che non ha
mai avuto (e che non avrà mai). La madre che ha sempre aspirato a diventare.
Una donna realizzata e appagata e con un velo di malinconia che la rende
soltanto più umana e vera. Alle sue spalle Bertrand porta in braccio una bimba
dai capelli scuri che indossa un vestito di velluto e scarpette di vernice.
Sono deliziosi a vedersi e
l'istinto di proteggerli è prepotente e feroce.
I suoi fratelli sono dispersi,
uno morto e l'altro una creatura che cammina sotto cieli sconosciuti in cerca
di risposte alle sue infinite domande.
Kit accetta l'abbraccio di
Beatrice e il tè che Bertrand le versa in un servizio di porcellana a fiori.
Intreccia i capelli di Violet come Esmé le ha insegnato a fare anni addietro e
scambia giochi di parole di cui Lemony sarebbe fiero. Lei e Bertrand declamano
citazioni dei rispettivi autori preferiti, sfidandosi a riconoscere l’opera a
cui appartengono.
È un pomeriggio di luce e
profumi e nel crepuscolo di ciò che è stato, lei accetta con quieta
determinazione l'alternativa di ciò che sarebbe dovuto essere.
E dopo tante perdite, lutti e atti
di coraggio, l'ennesimo crepacuore ha un sapore familiare. Dopo essere
sopravvissuta al primo, rimanere in piedi dopo gli altri che sono seguiti è
diventata la sua normalità.
Dopo aver salutato i
Baudelaire, si incammina lungo il viale alberato. È primavera, ma l'inverno si
è incuneato fin dentro le sue ossa. Nonostante i numerosi inviti, non rimetterà
mai più piede in quella casa.
*
Nel suo decimo anno sotto
copertura al Carosello Caligari, un volenteroso foglietto la informa che
l'inevitabile è accaduto. I Baudelaire sono periti in un terribile incendio
scoppiato nel diciottesimo anniversario di quella notte fatale all'opera. Kit
piange le ultime lacrime che ha e così, quando un altro volenteroso foglietto
la informa tredici mesi più tardi della morte dell'unico familiare che le era
rimasto, non ha più lacrime da versare. Affida il suo travestimento di Madame
Lulu all'inesperta ma sagace e intelligente Olivia Caliban (un’altra quasi
sorella. In una vita più giusta la sua sarebbe stata una famiglia di persone
stupende) e indossa i panni di insegnante nella Prufrock Preparatory School (e
se anche percorrendo i corridoi e le aule in cui lei stessa da ragazzina ha
imparato le prime importanti lezioni della vita, la biblioteca magnifica e
l'angolo dei trofei i fantasmi degli amici e dei compagni di avventura la
tallonano indesiderati, questo è un segreto che appartiene a lei soltanto e un
dolore con cui ha imparato a convivere. È la testimonianza che ha ancora un
cuore, pulsante e funzionante, insieme a una coscienza e a un'anima non ancora
corrotte dal rimpianto).
*
La risposta alla domanda che vi
sarete di certo posti (può l’amore
finire? Anche quando tutto è perduto o crollato sotto il peso fatiscente di
troppi errori e tradimenti da ambo le parti?) è nella zuccheriera. È sempre
stata nella zuccheriera sin dal momento in cui Kit la recuperò dall'ospedale e
più tardi dal Torrente Teso.
Che
"il servizio da tè sarebbe un posto a portata di mano per
nascondere qualsiasi cosa importante e piccola" é una
verità universalmente riconosciuta. La zuccheriera
conserva al suo interno uno e più segreti. Il secondo più importante è il
cimelio che Kit vi nascose all'interno durante la fuga dall’uomo senza capelli
con la barba e la donna senza la barba con capelli.
Un anello. A chi appartenesse
potrei saperlo solo io che ho provveduto a nasconderla nell'ultimo luogo sicuro
eppure non è così. L'anello è l'unico oggetto che possiedo di mia madre e non
saprò mai chi glielo abbia regalato e perché.
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