SEI SEMPRE QUI CON ME
Mi siedo alla scrivania; c’è la
tastiera del computer, una piccola lampada per non stancare gli occhi e
davanti a me, sul monitor, c’è una pagina pulita
di word che attende di essere scritta con un’ispirazione
improvvisa che però non arriva. Sollevo gli occhi verso
l’alto, sulla mensola ci sono una serie di fotografie che
guardo ogni giorno, ma che in questo momento osservo talmente tanto da
farmi venire voglia di aprire i miei vecchi album di foto. Nel cassetto
c’è tutto quello che cerco eppure, come spesso mi
capita, perdo interesse sull’obiettivo principale, noto quel
piccolo diario che non apro più da tre anni, lo prendo e lo
appoggio sul tavolo, lo apro e leggo le parti che una delle foto di
prima mi ha ispirato a leggere.
Settembre 1985
Ho passato le solite vacanze estive a Bellaria con quasi tutta la mia
famiglia, tenuto sotto controllo perennemente come se fossi un
disadattato soltanto perché quando gioco con i soldatini io
gli do fuoco simulando una vera guerra. Sono pronto per la nuova
avventura scolastica dopo aver superato le elementari brillantemente
(bugia), ho già incontrato tutti gli amici e abbiamo
stipulato un patto: tutti nella “sezione I”
perché studiare la lingua inglese è
più importante che imparare la lingua francese, o almeno
così crediamo tutti noi ragazzi. In questa scuola, al primo
piano, ho passato i cinque anni delle elementari e ora, al secondo
piano, mi aspettano i tre anni delle medie. Uno dei professori ha letto
una lista e ho scoperto che non eravamo noi a scegliere la sezione, ma
lo avevano deciso loro senza consultare nessuno e così, in
un istante, mi sono ritrovato nella “sezione H”,
quella di francese. Ho provato fastidio, inutile negarlo, anche se
nella classe ci sono ragazzi e ragazze che conosco bene
perché con molti di loro ho frequentato la scuola
elementare. Per niente felice ho dovuto accettare questa situazione e,
cercando di non far pesare agli altri la mia insoddisfazione, ho
iniziato a fare ciò che mi è sempre riuscito
bene, nonostante la timidezza: far sentire a casa propria tutte le
persone appena conosciute. Mi sono lanciato presentandomi ai due nuovi
arrivati: una ragazza carina e ripetente giunta da un’altra
scuola e un ragazzino che, a prima vista, mi ha colpito soprattutto
perché ha avuto delle agevolazioni nello studio che ancora
non comprendo.
Novembre 1985
Con quel ragazzino c’era stato feeling fin dal primo scambio
di battute ed è continuato ad aumentare giorno per giorno.
Credo molto nell’amicizia, quella vera, quella in cui ti
senti di essere presente senza pensare a un tuo tornaconto: dare senza
chiedere, aiutare senza pensare a se stessi. E così ho
rischiato grosso questa mattina perché, per difendere il mio
amico ho usato la mia forza fisica contro un ragazzo più
grande di età. Max, il mio amico, è anemico e
diabetico, ha bisogno di mangiare quando ha cali di zuccheri, i suoi
piccoli dolcetti non possono essere predate da chi crede di essere il
capo del mondo. Max, dopo qualche cioccolatino, stava per bere il suo
succo di frutta quando quel ragazzo glielo ha sfilato dalle mani, senza
una ragione, soltanto per affermare la sua superiorità. Odio
in genere le ingiustizie, figurarsi quando di mezzo ci finisce un mio
amico. Sono andato da quel ragazzo e gentilmente ho richiesto che
lasciasse il succo di frutta ma lui, come risposta, ha iniziato a
berlo. Forse ho sbagliato, forse no, avendo fatto judo ho bloccato a
terra il teppista e spinto Max a riprendersi ciò che era suo
senza curarsi di qualsiasi ripercussione perché ci avrei
pensato io a sistemare le cose. Poteva finire lì; invece il
ragazzo, dopo che gli ho permesso di liberarsi, mi ha affrontato a muso
duro chiedendomi se conoscessi chi fosse e se sapevo cosa stavo
rischiando. L’ho guardato bene negli occhi rispondendogli che
forse era lui a non conoscermi e che avrebbe dovuto chiedere al suo
fratello minore dato che avevo frequentato con lui la scuola
elementare. Paura? Forse adesso che ci ripenso mentre scrivo sul
diario, ma in quel momento non esisteva niente di più giusto
che mettere a rischio la propria vita per un amico.
Gennaio 1986
Il giorno del compleanno dovrebbe essere una ricorrenza felice, ma io
sono anni che non mi godo questa giornata in allegria. Questa volta,
per cambiare la brutta tradizione, ho invitato i compagni di scuola a
casa forzando la mano ai miei genitori, sempre restii ad avere gente
per casa. Max ed io abbiamo discusso sul valore
dell’amicizia, ma quando lui si è accorto che gli
altri ragazzi presenti alla festa si approfittavano della mia
bontà d’animo, mi ha quasi rimproverato. Il fatto
che gli altri mi sottraevano le “figurine” dei
calciatori dopo avermele regalate, non m’interessava; io
desideravo soltanto vivere questa giornata in compagnia di persone che
conosco e che frequenterò per molti anni, mentre Max,
riteneva che considerare “amico” una persona che si
approfitta di te, è un errore concettuale sul quale dovevo
riflettere. Adesso, scrivendo il resoconto della giornata, ripenso a
quelle parole perché ci ritrovo le mie stesse idee,
accantonate solo per vivere un giorno di felicità che, in
verità, è soltanto una farsa, creata ad arte, per
non sentirmi solo.
Marzo 1986
A volte succedono cose così irreali che ti viene voglia di
prendere il tuo amico e dargli un sacco di botte! Nel primo pomeriggio
siamo usciti da scuola e ci siamo trovati davanti ad una ragazza
stupenda; una biondina, non tanto alta, ma che emana carisma soltanto
con lo sguardo. Max si era avvicinato alla ragazza ed io avevo pensato
che stesse puntando troppo in alto, ma quella lo aveva baciato
lasciando me senza parole. Mi ero avvicinato per capire cosa stava
succedendo e Max, con un sorriso, mi ha detto che si trattava di sua
zia e lei, che ha qualche anno in più di me, senza farsi
problemi, mi ha baciato sulla guancia dicendomi che era contenta di
conoscere l’amico di suo nipote. Io sono timido, lo so, e
immagino quale faccia abbia potuto fare per quel bacio. Da perfetto
idiota non ho cercato di approfondire la conoscenza di Sonia, ma mi
sono dedicato a insultare Max per non avermi mai detto di avere una zia
così bella. Lui rideva di gusto e mi stuzzicava
così, mosso da impeto incondizionato, gli ho detto
chiaramente che quando sarò suo zio, dopo aver sposato la
giovane zia, non gli darò mai la mancia. Sono proprio un
imbranato in queste cose e spesso finisco per sembrare il buffone di
corte per poi ammutolirmi all’improvviso senza riuscire a
spiccicare una parola di senso compiuto. Max ha continuato a ridere di
me, ma lo faceva in modo così spontaneo che mi sono limitato
a rifilargli un pugno sulla spalla (dimenticando la mia forza che per
poco non gli smontava il braccio).
Maggio 1986
Oggi ho passato una giornata stupenda al compleanno di Max. Lui mi ha
presentato l’intera famiglia e sono stato accolto come se
fossi il figlio più grande. Ho conosciuto Teo, il fratellino
di Max, la madre e un'altra delle zie del mio amico. Lui subito si
è precipitato a dirmi che ne ha altre che posso sposare
mettendomi in difficoltà con tutti, anche con Sonia. In un
momento di relax, dopo aver mangiato come un leone affamato, Max ed io
ci siamo presi il nostro tempo, quei minuti, che a volte diventano ore,
nei quali ci confrontiamo su tutto esponendo le nostre opinioni senza
trattenere le parole che possono fare del male all’altro
perché riteniamo che il male di un’amicizia sia il
silenzio. L’argomento, in questa giornata, poteva essere
soltanto la “famiglia” perché lui voleva
in tutti i modi farmi comprendere perché chiamava per nome
quell’uomo che viveva insieme alla madre. Avevo capito che i
suoi genitori fossero divorziati e non doveva preoccuparsi di
giustificare la situazione così gli ho detto che non giudico
nessuno e che al massimo avrei espresso le mie opinioni su di lui, non
certo sulla sua famiglia. Alle mie parole sembrava più
rilassato e ciò mi ha ricordato che ogni volta in cui ci
buttiamo su argomenti seri, troviamo entrambi la
tranquillità nel poter parlare senza temere il giudizio
dell’altro, ma, anzi, esponendo le nostre preoccupazioni
cerchiamo il sostegno che solo tra coetanei si può trovare
nei momenti difficili. I genitori sono preziosi, ma i tempi cambiano e
le situazioni, seppur simili, portano a sviluppi differenti e non
sempre i loro consigli sono adeguati al momento in cui stai vivendo la
tua vita. Come ci diciamo spesso Max ed io, il vero amico è
proprio chi ascolta, ti sgrida, ti fa anche adirare, ma è
anche quello su cui puoi sempre contare.
Agosto 1987
Nell’ultimo anno non ho scritto niente perché le
cose che sono successe mi hanno ferito in modo permanente. Pur
mantenendo il mio sorriso, ho mandato giù bocconi amari per
la separazione dei miei genitori e per il mio trasferimento a casa dei
nonni. Momenti tristi che hanno coperto le piccole gioie di ogni
giorno. Oggi ho ripreso a scrivere perché sono appena
tornato a casa dalle vacanze estive che sono state, forse, le
più belle che abbia mai trascorso in vita mia. Dopo lunghe
trattative ero riuscito a convincere la mamma di Max a lasciarlo
partire con me e, volentieri, avevo accettato che ci fosse anche Teo
nella nostra combriccola. Giorni di assoluta esaltazione, forse
perché per la prima volta avevo la mia stanza condivisa con
gli amici e non con i parenti. Sono anni che vado a Bellaria e ogni
anno è sempre diverso, anche se il posto è sempre
lo stesso. Max ed io abbiamo “dominato” la scena
per tutti i quindici giorni: sfrontati con le ragazze, partecipi
convinti e decisivi nelle peripezie di ragazzi molto più
grandi di noi e spettacolari nelle feste dell’hotel (a
ferragosto dovevano legarci per tenerci fermi). Ancora oggi non so se
definirci, come usano alcuni ragazzi della mia età, dei
“grandi” o dei “deficienti”.
Giugno 1988
Un giorno triste perché molti di noi non si vedranno
più così spesso com’è
accaduto in questi tre anni: la fine delle medie. Oggi,
l’ultimo giorno di esami, ho fatto la mia dichiarazione
d’amore a una mia compagna di classe (risultato negativo), ho
superato l’esame brillantemente (bugia), ho promesso a tutti
che un giorno, quando saremo degli adulti più sbandati di
come siamo da ragazzi, organizzerò una riunione di classe
così da rivederci nonostante le distanze che verosimilmente
ci allontaneranno gli uni dagli altri. Max era entusiasta
dall’idea del grande raduno della 3H e mi ha obbligato a
giurare che farò ciò che ho detto, sapendo che
per me una promessa è sempre da mantenere. Io, dopo la
separazione dei miei genitori, vivo lontano dalla casa di tutti gli
altri, tranne che da quella di Max e così per noi due la
possibilità di incontrarci c’è sempre,
anche se solo nei fine settimana, e tutte le volte che ci ritroveremo
per la partita settimanale di “calcetto” tra amici.
Novembre 1989
Da un mesetto ho iniziato a lavorare in una pizzeria come
“lavapiatti” e mi sto trovando bene, nonostante
abbia dovuto rinunciare ad andare allo stadio perché lavoro
il sabato e la domenica. Certo, quattordici ore con le mani
nell’acqua per una paga da schiavo è fastidioso,
ma ho deciso che devo mantenermi da solo senza pesare sulle finanze dei
nonni e di mia madre. Il lavoro poteva anche limitare gli incontri con
Max e gli altri amici, ma ogni sera ci ritroviamo in una strada senza
uscita a giocare a calcetto perché, finito di lavorare,
raggiungo la combriccola in sella del mio motorino, tanto rottamato che
mi sentono arrivare appena io lo accendo. Sul muro di un centro
tennistico abbiamo disegnato la porta con il gesso e si gioca a
“sette”, in altre parole chi subisce sette gol
è eliminato. Io gioco in porta e tiro poco quindi spesso
finisco per vincere mentre Max, tira spesso, sbaglia anche di
più, e finisce per essere eliminato per primo
così da darmi l’opportunità di
sfotterlo. Entrambi, sudati e stanchi, l’ultima cosa che
vogliamo fare, dopo queste serate, è tornare a casa,
così ci fermiamo a chiacchierare, organizziamo le uscite per
i lunedì (in cui sono di riposo dal lavoro) continuando a
girare insieme per la città divertendoci con tutte le cose
che offre una grande metropoli come Milano.
Capodanno 1989
Da poche ore è il primo gennaio. La notte di capodanno
è stata divertentissima a casa della nonna di Max. Donna
gentile e spiritosa, con il suo accento calabrese molto marcato,
cercava di parlare in milanese e tutti noi quasi ce la facevamo nei
pantaloni dal ridere. Max ed io c’eravamo visti nel primo
pomeriggio per l’organizzazione generale della festa; niente
di straordinario ma a lui piacciono i fuochi d’artificio e
quindi la sua spesa era stata tutta dedicata a questa sua passione,
mentre io, ormai assuefatto da Sonia, non facevo altro che domandare
dove fosse, con chi avrebbe passato il capodanno e perché
non sarebbe venuta a farci un saluto. Chiaramente lui si era risentito
molto del mio continuo chiacchiericcio fino a minacciarmi di lasciarmi
a casa! Ogni tanto bisticciamo ma ogni volta con il sorriso sulle
labbra. Abbiamo sempre risolto ogni problema parlando, non infrangiamo
quelle regole non scritte tra amici ed è sempre uno spasso
vederci insieme. In effetti, sono gli unici momenti in cui la mia
timidezza scompare quando sono nella mia città
(perché al mare tutto si può dire di me tranne
che sembro timido). Lui ed io gioviamo entrambi della presenza
dell’altro, perché Max nasconde tutti i suoi
problemi fisici mentre con me ha sempre
l’opportunità di usare un linguaggio
più colorito per esprimere le sue preoccupazioni sapendo che
lo ascolto, cerco di aiutarlo e, se serve, gli posso rifilare un calcio
se commette qualche stupidaggine.
Settembre 1991
Negli ultimi tempi ho visto poche volte Max perché da
qualche tempo abbiamo entrambi la ragazza fissa e difficilmente
riusciamo a uscire a coppie poiché le due ragazze non si
sopportano molto. Max ed io abbiamo pensato di essere il vero problema
perché abbiamo un forte legame e ci siamo accorti che a
volte, quando siamo in gruppo, tendiamo a parlare come se non ci
fossero altre persone vicine. Oggi c’è anche una
novità per me perché è stato deciso
definitivamente il posto dove andrò a svolgere il servizio
militare: Triste per il CAR e Udine o Bolzano per il servizio di leva.
Aprile 1992
Tutti ci aspettavamo una brutta notizia perché le malattie
che affliggono Max sono molto gravi e, in percentuale, le persone con
questi disturbi hanno una vita breve, ma ciò che non ci
aspettavamo era che suo fratello Teo, anch’egli malato allo
stesso modo, potesse lasciarci per primo. Ero appena rientrato a casa
da una licenza quando mi hanno telefonato per comunicarmi la brutta
notizia. Senza pensare un attimo sono accorso a casa di Max, ci siamo
abbracciati piangendo entrambi, perché quando si perde un
fratello è un dolore immenso (e per me Teo era diventato un
fratello). Max si chiedeva costantemente perché era toccato
al fratellino e quasi s’incolpava di essere ancora vivo, ma
io ho cercato di fargli capire che il destino non sceglie in base
all’età o al rapporto famigliare, ma che questo
triste momento giunge per tutti quando deve accadere. Sono rimasto con
lui fino a questa mattina, nessuno dei due ha dormito, abbiamo
ricordato il sorriso di Teo e, seppur con afflizione, abbiamo cercato
di non piangerlo.
Imprecisato 1993
Ieri e oggi sono state due giornate davvero dure per me. Nei giorni
scorsi la ragazza di Max mi ha chiamato spesso dicendomi che le cose
non andavano bene e che solo io potevo cercare di risolvere la
situazione. Io non ho mai accennato niente a Max ma gli ho sempre
chiesto se stava bene, se aveva dei problemi e se avesse voluto
condividerli con me, io sarei sempre stato disponibile ad ascoltarlo,
ma la sua risposta era sempre stata che non c’era nulla di
strano. Ascoltando le parole di entrambi ho deciso di incontrare anche
la sua ragazza temendo che fosse lei ad avere dei problemi di cui non
poteva parlare ad altri, ma e quando l’ho vista, ho capito
subito dove stava cercando di arrivare. Si è messa a
piangere, ho cercato di consolarla e all’improvviso lei ha
tentato di baciarmi. La cosa, sotto un certo punto di vista, non mi ha
sorpreso, erano già capitate altre volte che i suoi
atteggiamenti fossero equivoci ma avevo considerato la cosa
superficialmente. Le ho chiarito subito che un amico non fa queste
cose, che la mia presenza da lei era perché la considero
parte delle mie amicizie e nel sentirla sofferente mi ero deciso di
capire la situazione in cui si trovava dandole supporto morale; niente
di più di questo e sicuramente mai ci sarebbe potuto essere
tra noi oltre all’amicizia. Oggi ho chiamato Max ma non me la
sono sentita di dirgli cosa era accaduto, e forse ho sbagliato proprio
perché non abbiamo mai avuto dei segreti, ma lui, senza che
gli facessi domande, mi ha spiegato che la situazione con la ragazza
era anomala. Si erano lasciati e poi ripresi però firmando
virtualmente un contratto nel quale entrambi potevano fare altre
esperienze con altre persone, previa comunicazione all’altro
prima di iniziare delle relazioni. Gli ho chiesto se la sua
“ragazza” aveva trovato un altro e lui mi ha
risposto che gli aveva detto che c’era uno che le piaceva ma
che poi aveva rinunciato. Io ero ancora titubante ma alla fine sono
stato zitto; l’importante era che lei avesse capito che non
ero disponibile, sia per l’amicizia con Max sia
perché ho la ragazza ed io non tradisco mai nessuno. Max mi
è sembrato davvero tranquillo e ciò era quello
che volevo.
Imprecisato 1994
La vita è così strana che ti mette con le spalle
al muro e ogni scelta che devi fare diventa penalizzante per qualcuno
che ti sta a cuore. Max ed io ne avevamo parlato spesso di cosa
comportava amare una persona e delle rinunce, piccole o grosse, che
bisognava fare per tenersi vicino la donna che si ama. Era un discorso
molto duro e crudo ed entrambi non avevamo dubbi che una relazione
sentimentale avrebbe preso tutto il nostro tempo, ma quando mi sono
accorto di aver lasciato indietro gli amici, soprattutto Max, ho
sentito delle grosse fitte al cuore. È vero che i momenti
divertenti o quelli più cupi non si dimenticano ma perdere
la vicinanza di una persona che ti è sempre stata di aiuto,
proprio come lui con me e viceversa, diventa un peso insostenibile. Max
ed io, in questi anni ci siamo visti solo al calcetto, non siamo
più usciti insieme o in gruppo con gli altri ragazzi e,
senza mezzi termini, la colpa è soprattutto mia.
Giugno 2013
Sono passati parecchi anni da quando ho scritto di Max sul mio diario.
Nel corso del tempo io ho cambiato lavoro, ho lasciato la mia ragazza
dopo sette anni e prima di un possibile matrimonio; Max ha lasciato
definitivamente la sua ragazza e con la famiglia si è
trasferito a Monza. Nel corso del tempo ci siamo scambiati solo poche
telefonate, soprattutto per farci gli auguri, ma non ci siamo
più visti anche perché lui ha dovuto smettere con
il calcetto perché gli si è aggiunto un nuovo
disagio fisico e la conseguente operazione al cuore per
l’innesto di un pacemaker. Abbiamo ripreso a metterci in
contatto più spesso solo negli ultimi giorni
perché finalmente anche lui è diventato
“tecnologico” e sta imparando a usare il computer,
soprattutto l’applicazione per prendere contatto con amici o
conoscenti. Tutto lì perché non ci vedremo per
altro tempo di sicuro, con tutti i problemi che sto avendo nella mia
vita privata da qualche anno non ho voglia di muovermi e lo faccio solo
per la solita partitella tra amici o per andare allo stadio.
Ottobre 2014
Avevo scritto a Max per fargli auguri per il compleanno e si erano
accodate moltissime persone che conosciamo entrambi, soprattutto molti
nostri ex compagni ed io, memore della promessa che avevo fatto a Max,
avevo colto l’occasione per preventivare l’idea di
organizzare un grande raduno della “3H”, accolta da
tutti con molto interesse. Dopo mesi di preparativi finalmente,
gliel’ho fatta. Nella mattinata ci siamo incontrati tutti
davanti alla nostra ex scuola e ritrovarci tutti è stato un
salto nel passato incredibile. Alcuni di noi non sembravano tanto
cambiati e ci siamo sentiti tutti così bene da voler
rimanere insieme più del tempo che avevamo previsto.
Incontrare Max è stato molto particolare perché
si erano notati subito gli anni di “non
frequentazione” nonostante il nostro legame di amicizia fosse
ancora molto presente. Abbiamo parlato di tante cose e ricordando
persone, luoghi, azioni e i momenti vissuti divertendoci, abbiamo rotto
quella specie di scudo protettivo che entrambi stavamo indossando per
non entrare in argomenti scomodi, come ad esempio tutti gli anni in cui
non ci siamo più visti. Una giornata così bella
che, di fatto, ha permesso a Max e me di riconciliarci anche se non
c’era mai stato un litigio, tanto che lui mi ha invitato al
suo compleanno ed io ho accettato, per la prima volta, di andare da lui
a Monza.
Maggio 2015
Mi mancavano, più di quanto pensassi, queste giornate di
allegria come quella che ho trascorso oggi a casa di Max per il suo
compleanno. Oltre a rivedere quasi tutta la sua famiglia (purtroppo la
nonna è deceduta da qualche tempo); incontrare Sonia dopo
tanti anni, mi ha fatto un effetto stranissimo perché anche
ora, da adulto, l’attrazione magnetica che mi attirava verso
di lei è immutata e, forse, pure aumentata poiché
i miei ormoni maschili sono di certo più in subbuglio oggi
di ieri, ma soprattutto ho avuto l’opportunità di
riallacciare il legame con Max parlando con lui per molte ore,
nonostante fosse il festeggiato e quindi sempre chiamato in causa da
tutti. È stato un ritorno al passato ancora più
rilevante di quanto lo fosse stato il raduno di classe
perché in questo frangente potevamo discutere tra noi di
cose su cui non avevamo parlato. Io gli ho raccontato quanto mi
sentissi colpevole per essermi allontanato, ma lui, facendo il suo
solito sorriso, mi ha detto che con il trasferimento a Monza aveva
scelto di tenersi più lontano dalle persone che conosceva
perché spesso i ricordi lo disturbano non potendo
più frequentare i luoghi della sua gioventù. In
un certo senso mi consolava, ma capivo che lui aveva sentito forte il
distacco tra noi e che, in qualche modo, lo stava giustificando
soprattutto per rincuorarmi. Ora che sono a casa ripenso alla giornata
e a ciò che succede intorno a me e capisco che, nonostante
l’allegria di questo giorno, non potrò cambiare la
mia situazione a breve e sarò ancora costretto a stare
lontano dagli amici, soprattutto da Max, ancora per un tempo non
quantificabile.
Gennaio 2016
Una telefonata e il mondo è crollato su se stesso. Poche
informazioni, non ho chiesto, non ho chiamato chi dovevo
perché non volevo disturbare. Questa mattina eravamo tutti
lì presenti, con i nostri anni sulle spalle, con la mente
rivolta al passato per non pensare al presente. Ho visto persone che
non incontravo da almeno vent’anni, ragazzi con cui non avevo
mai legato o con cui, per futili motivi, avevo anche bisticciato,
oppure gente che vedevo sporadicamente per caso ma che erano parte
integrante del gruppo di amici che frequentavo. Nessuno è
mancato. Eravamo lì, infreddoliti e scomposti, e nel momento
in cui era arrivata quella macchina scura, capimmo che non potevamo
più dire che fosse solo un brutto sogno. Ho incontrato
Sonia, ci siamo abbracciati, e solo in quel momento i miei occhi hanno
riversato tutte le lacrime in un pianto senza fine. Sono entrato nella
chiesa attendendo che gli uomini vestiti di nero portassero la bara.
Prima che iniziasse la messa, mi sono avvicinato al feretro,
l’ho toccato come si può accarezzare il viso di un
bambino, ho continuato a piangere perché Max,
l’amico su cui potevo sempre contare, era stato sconfitto
dalle sue malattie, soprattutto dal cuore che aveva smesso di battere
tre volte prima che si spegnesse del tutto. Toccando il legno che
rinchiudeva Max, ho cercato di fargli sentire la mia voce,
l’ho chiamato con tutti i soprannomi che gli avevo dato nel
corso degli anni, ho continuando a piangere fino a che mi sono seduto
al mio posto. Alcune persone, oggi, dicevano che era vissuto
più di quanto si aspettavano i medici e sembrava che fosse
un premio, ma io, silenziosamente, contestavo questo modo di pensare
perché non migliora la situazione, anzi, sembrava quasi che
si fossero tolti un pensiero con la sua scomparsa. Ora, sono a casa,
ancora scosso, ancora triste. Il pianto si è fermato
lasciando il posto alla malinconia, ma poi ricordo una nostra piccola
chiacchierata nella quale Max disse: «Non ho tanto tempo, non
voglio buttarlo piangendo su cose che non posso cambiare».
«Hai ragione, facciamo una pernacchia al destino avverso e
ridiamo ogni giorno che invece possiamo cambiare».
Richiudo il diario, so di avere gli occhi gonfi, ma sto sorridendo
riguardando sulla mensola quella foto, fatta allo zoo safari di Pombia
più di trent’anni fa; noi due insieme, nelle
nostre mani un panino enorme, ridiamo mentre facciamo un balzo verso la
macchina fotografica. Che spettacolo!
Dedica
Questo racconto è dedicato al mio migliore amico che proprio
il 26 di gennaio di tre anni fa è mancato ai suoi cari e
alle persone che gli hanno voluto bene. Ciao Max, sei sempre qui con me.
N.d.A
La forma verbale del racconto rispecchia le parole scritte su un diario
quindi frasi descritte di getto e senza prevedere una correzione. I
racconti così passano dal presente, mentre
l’autore sta scrivendo, al passato, mentre l’autore
ricorda. Forse è sbagliato ma ho scelto questa forma che ne
rispecchia l’idea di base.
|