Tu
c'eri
Uno, due, tre passi.
Una corsa contro
il tempo, lungo la strada che percorreva quotidianamente ma che le
sembrava di vedere quel giorno per la prima volta.
Il respiro
mozzato nei polmoni, il cuore che stentava a battere in modo regolare.
Le gambe si muovevano per inerzia, probabilmente la responsabile era
l'adrenalina del momento. Shiho era convinta che, se si fosse fermata,
sarebbe piombata immediatamente a terra, sull'asfalto inumidito dalla
pioggia.
Quattro, cinque,
sei.
Vedeva ogni cosa
dalla giusta prospettiva di ventenne, dopo due anni trascorsi nel corpo
di una bambina di otto anni. Ma non le interessava, non in quel
momento.
Sapeva che non
era il caso di assumere l'antidoto definitivo, ne era sempre stata
certa. Non quando il pericolo era ancora intorno, pronto ad attaccare
in qualunque momento.
Ma Shinichi le
aveva detto di essere riuscito a rintracciare i pezzi grossi
dell'Organizzazione, insieme ad Akai Shuichi. Le aveva dato la sua
parola che non vi era più la minima traccia di pericolo, ma
avrebbe dovuto aspettarsi l'ennesima bugia.
Sette, otto.
Nove.
L'affanno la
costrinse a rallentare e a poggiarsi momentaneamente contro il muretto
che costeggiava la strada principale di Beika. Vi posò la
schiena contro, mentre si asciugava la fronte con il polso, e ne
approfittò per fare mente locale, per non farsi prendere
dall'ansia.
Non ne era il
tipo, non lei.
Era bastato
tornare a casa per capire che fosse successo qualcosa; la faccia del
dottor Agasa era cupa e le occhiaie profonde sotto gli occhi dell'uomo
le avevano confermato ogni dubbio.
Il telefono in
mano, l'espressione tesa. Shiho aveva impiegato pochi istanti per
capire che stesse provando a contattare Shinichi senza successo.
Pensò
a questo mentre riprendeva a correre.
Dieci, undici,
dodici.
Dopodiché,
il terrore aveva fatto breccia dentro di lei come non accadeva da molto
tempo.
Akai Shuichi si
era presentato alla porta, l'aria seria tradita da una punta di
preoccupazione. Solo dopo qualche attimo lo sguardo della ragazza si
posò sulle tracce rosso sangue che smorzavano il nero della
sua giacca di pelle.
"Kudo ci ha dato
una mano a rintracciare Gin, il membro latitante dell'Organizzazione"
aveva iniziato, avvicinandosi di un passo e fissando negli occhi Shiho,
senza ostentare altro. La consapevolezza dell'odio di quest'ultima nei
suoi confronti non gli permise quasi di muoversi.
Fu lei ad
avvicinarsi, mentre il respiro si bloccava nei polmoni al solo nome di
Kudo.
"Cos'è
successo? Dove si trova ora?!".
L'agente dell'FBI
aveva scosso appena la testa e bastò quello a permetterle di
percepire la scossa elettrica che le attraversò dritta il
cuore.
"In ospedale.
Quel delinquente gli ha sparato e non sanno se si
riprenderà".
Tredici,
quattordici passi.
Era scappata via
senza pensarci, senza neanche riuscire a versare una lacrima. Di colpo
non importava più niente, non esisteva più la
paura di quegli uomini, né il farmaco. La rabbia era
accantonata in un angolo, gigantesca, enorme, ma Shiho aveva deciso di
ignorarla, almeno per il momento.
Hai visto cosa succede
quando mi tieni all'oscuro di tutto, Kudo?
Le balenarono
nella mente i peggiori insulti del mondo, si sforzò di
farlo, ma di colpo - una dopo l'altra - si accatastarono nella sua
mente una serie di immagini belle, vere. Reali. Shinichi che le salvava la
vita davanti a una pistola e, subito dopo, che la portava in spalla al
riparo da un incendio. Poi, ancora una volta, lui che l'afferrava e che
la proteggeva mentre si lanciavano sull'asfalto rompendo il vetro di
autobus esploso pochi istanti dopo. Una frase, quella frase,
Non scappare dal tuo
destino
che le era
entrata dentro e che ormai faceva parte di lei, che era diventata il
suo motto, la sua forza per non mollare e andare avanti.
Immagini di una
simbiosi, di un comprendersi con uno sguardo. Un qualcosa che non aveva
mai sperimentato con nessuno e che aveva lo stesso odore dell'amore.
Un legame
profondo e speciale, perché - per quanto lo avesse negato
agli altri e a se stessa - si era innamorata di Shinichi Kudo.
Non provare a morire. Non
puoi farmi questo.
La seconda
persona più importante della sua vita, dopo Akemi. Non
avrebbe potuto fare la stessa fine, non ancora. Non dopo essere
riuscita a fidarsi ancora di qualcuno, a uscire dal guscio.
Quindici, sedici,
diciassette.
Era giunta
davanti all'ospedale di Beika senza neanche accorgersene.
Percorse in
fretta le scale e raggiunse il pronto soccorso, finché,
qualche ambulatorio più avanti, lo vide.
Era da solo,
forse perché si era precipitata prima che la notizia
giungesse agli altri.
Pallido, ma bello
come il sole. I capelli castani arruffati sul cuscino, le bende attorno
al costato.
Shiho si
immobilizzò, attenta al tremore continuo del proprio corpo.
Di colpo, ogni sorta di sicurezza svanì, lasciandola sola
nella disperazione.
"Abbiamo estratto
la pallottola, il peggio è passato. Dobbiamo soltanto
aspettare che si svegli".
Una voce
femminile e leggera le arrivò all'orecchio e, quando si
voltò, una dottoressa piccola e minuta le sorrise
gentilmente.
Forse, avrebbe
potuto continuare a sperare.
"Che
cosa hai fatto, Shinichi?" sussurrò, sedendosi accanto a
lui. L'amico era ancora privo di conoscenza e, forse, era proprio ciò che la spingeva a parlargli con quel tono. "Sei
sempre il solito. Ti diverti a metterti nei guai, ormai dovrei
saperlo".
Il ragazzo mosse
appena le palpebre e Shiho abbassò lo sguardo, trattenendo
le lacrime che stavolta premevano per scivolarle sulle guance.
"Dovrei
insultarti, ma lo farò dopo... non appena ti sveglierai".
Un istante
più tardi, il detective aveva aperto gli occhi e la stava
fissando. Lo osservó mentre forzava la vista e
tratteneva anche solo un'esclamazione di dolore.
"Quindi... vuoi
insultarmi?" le sussurrò flebilmente, voltandosi appena a
guardarla. Le mostrò un sorriso malizioso, cercando di
sdrammatizzare.
"Certo che
sì, ma forse dovrei rimandare. Non sono abituata a
prendermela con chi non può difendersi".
Il tono di lei fu
più duro di quanto in realtà volesse. Shinichi la
osservò, cercando di capire cosa potesse essere accaduto fino a quel
momento.
"Hai corso? Sei
affannata".
"No, figurati.
Hai soltanto rischiato di morire, dopotutto" rispose sarcastica la
ragazza, lanciandogli un'occhiata eloquente.
"Abbiamo...
abbiamo preso anche Gin. È finita" continuò lui,
ignorando la frecciatina dell'amica. Quest'ultima si
innervosì ulteriormente e non riuscì
più a sollevare lo sguardo verso il suo viso.
"Tu avevi detto
che non c'era più alcun pericolo, che erano stati arrestati
tutti".
"Come potevo
dirti che... che proprio Gin era scappato? Per vederti chiusa in casa
paralizzata dal terrore?".
Shiho lo
guardò bruscamente, mentre le lacrime le inumidivano gli
occhi. Le trattenne ancora, nonostante tutto.
"No, il problema
è che ormai sei abituato a non rivelarmi la
verità e a cacciarti nei guai da solo. Hai rischiato di
morire" gli rispose tutto d'un fiato, osservandolo mentre sgranava
lievemente gli occhi.
Shinichi emise un
debole gemito quando si spostò lievemente sul materasso, ma proseguí il discorso ugualmente.
"Sì,
ma l'ho fatto per un motivo. Ho promesso di proteggerti e se ti avessi
rivelato il piano di oggi avresti fatto di tutto per venire con me".
"Lo sai, mi
conosci" disse Shiho, tradendo un lieve tremolio nella sua voce. "Avrei
voluto essere lì con te".
"Tu c'eri".
I loro sguardi
s'incrociarono improvvisamente e nessuno dei due distolse il proprio
per un lasso di tempo che sembrava interminabile. Gli occhi smeraldo in
quelli blu, un collegamento difficile da interrompere. Un'empatia che
faceva breccia nel cuore di Shiho e, improvvisamente, anche il suo
petto faceva male.
"Cosa?" gli
chiese, balbettando appena.
"Una volta
scoperto dove si nascondeva quell'assassino, siamo andati noi a
stanarlo" le spiegò, sorridendo. "Per chi credi che l'abbia
fatto? Ti ho fatto una promessa tempo fa, ricordi?".
Shiho rimase
interdetta, mentre il respiro le si regolarizzava nei polmoni e il suo
intero corpo cessava di tremare. Non gli rispose, stupefatta, colta da
una risposta che non avrebbe mai creduto possibile. Non da lui.
Poi accadde.
Gli si
avvicinò lentamente, molto lentamente, finché i
suoi occhi blu non furono a pochi centimetri di distanza. E lo
baciò attraverso il contatto più puro e casto del
mondo, assaporando quell'amore che gli aveva sempre rivolto in cambio
della protezione e dell'affetto che lui le aveva offerto.
Le sue labbra si
muovevano su quelle di Shinichi, annullando la parte razionale di sé, la stessa
che la intimava a lasciar perdere e andarsene.
E invece no; per
la prima volta riusciva a seguire l'istinto e i sentimenti, il calore
così nuovo che le occupava il cuore.
Poi,
sentì le labbra del ragazzo rispondere appena, in modo goffo
e insicuro. Ciò le bastò per continuare,
perché non sarebbe più riuscita a interrompere quella situazione.
Shinichi gemette
dolorante e Shiho si allontanò di scatto da lui, abbassando
lo sguardo. Nessuno dei due disse nulla, perché anche il
primo rimase stupito per quei sentimenti dei quali non si era mai reso
conto.
La porta
dell'ambulatorio si aprì improvvisamente e una ragazza dai
lunghi capelli castani fece capolino all'interno della stanza,
l'espressione spaventata stampata sul viso.
Shiho si
alzò di scatto dalla sedia, continuando a fissare il
pavimento senza vederlo realmente. Mandò giù il
boccone amaro di quel momento, nonostante la mano di Shinichi la
trattenne per il lembo della giacca.
"No, lascia
stare" gli sussurrò, facendo un passo indietro.
"Dimenticalo. L'importante è che tu stia bene. Grazie di
tutto, Kudo".
Ran li raggiunse
immediatamente e fu sollevata di vedere il ragazzo sveglio.
Baciò il fidanzato sulla guancia, prima di voltarsi verso
Shiho e salutarla educatamente.
Quest'ultima
percepì lo sguardo del ragazzo su di sé
finché non uscì dall'ambulatorio, ma non
importava. Non più.
Era
ciò che voleva credere, ciò che sapeva sin
dall'inizio.
Si
appoggiò con la schiena contro la porta chiusa
dell'ambulatorio, ignorando il viavai delle infermiere che passavano
lungo il corridoio.
E in quel momento
sì, le lacrime furono libere di scivolarle sulle guance.
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