A little piece of Heaven
Let’s make a new start
‘Cause
everybody’s gonna die sometime
But
baby don’t cry
You had my heart...
L’Heaven era sempre stato l’orfanotrofio
più rinomato di
tutta Berlino. Le grandi mura arancioni si estendevano per un centinaio
di
metri quadrati per ognuno dei tre piani, senza contare il giardino sul
retro
che comprendeva anche un laghetto ed una piscina, per far giocare i
bambini.
La direttrice, la signora Mayer, era la donna più severa
che i bambini e ragazzi che abitavano lì avessero mai
conosciuto; non che
avessero conosciuto molte donne in vita loro, ma certamente la signora
Mayer
era molto più severa delle operatrici che li aiutavano nei
compiti o li
accompagnavano a fare le gite.
Tutti avevano una divisa, nell’Heaven. La direttrice
portava sempre una giacca blu scuro, una camicia celeste e dei
pantaloni blu,
con le scarpe nere. Camminava impettita per i corridoi
dell’Heaven,
rimproverando chi non rispettava le regole dell’orfanotrofio,
e salutando le
operatrici con aria superiore ma sempre elegante. Le operatrici,
invece,
avevano una specie di camicione bianco, fino alle scarpe da ginnastica,
sempre
bianche.
Per i bambini, era diverso. Erano divise in due fasce
d’età, da quando si nasceva a quando si compivano
i dieci anni, e dai dieci
anni fino a che non si veniva adottati.
La prima fascia aveva gonna celeste e camicetta bianca, la
seconda gonna nera e camicetta azzurra.
Il 31 luglio del 1994, Elizabeth stava guardando il muro
della sua camera, come ormai faceva sempre. Non le interessava andare a
giocare
con gli altri bambini, almeno, non il giorno del suo quarto compleanno.
Nell’aria dell’orfanotrofio si sentiva odore di
novità: lei lo sentiva
prepotente. Non aveva neanche assaggiato il dolcetto che una delle
operatrici
le aveva dato, cantandole la canzoncina di tanti auguri. Non le era
importato,
ormai sapeva la data del suo compleanno anche se aveva solo quattro
anni. Ormai
si sentiva grande.
Scese dal suo piccolo letto e si accovacciò sul tavolino,
fissando intensamente il dolcetto con i suoi grandi occhi verdi. Dopo
poco,
decise che non doveva mangiarlo. Lo incartò e ci fece un
fiocchetto sopra,
sorridendo poco dopo soddisfatta del suo lavoro.
<< Lizzie, vieni... devi scendere in salone!
C’è una
famiglia! >> le annunciò
un’operatrice, entrando nella stanza.
Elizabeth non rispose, come sempre del resto, e prese in
mano il pacchetto col dolcetto, dando poi l’altra mano
all’operatrice.
Entrarono nel grande salone, dove tutti gli orfani stavano chi
giocando, chi
parlando per i fatti propri. Elizabeth si sedette su una seggiola e
cominciò a
dondolare le gambe tranquillamente, tenendo con entrambe le mani il
pacchetto e
sorridendo di tanto in tanto.
Non le importava se tutti i bambini e ragazzi venivano
messi in fila e fatti vedere alla nuova famiglia che aveva deciso di
adottarne
uno.
All’improvviso sentì una presenza accanto a
sé, così si
voltò di scatto, sgranando gli occhi verdi.
<< Ciao, io sono Bill! Tu come ti chiami?
>>
si presentò un bambino circa della sua età, con
gli occhi castano scuro e i
capelli biondi, come quelli della bambina.
Elizabeth inclinò la testa di lato, incuriosita. Non le
avevano mai rivolto la parola così allegramente... le
operatrici erano sempre
così serie, ed i bambini volevano qualcuno con cui giocare,
non qualcuno con
cui stare in silenzio.
Bill fece una smorfia confusa, guardandola. << Non
parli? >> chiese nuovamente, incrociando le braccia al
petto.
Elizabeth rimase in silenzio. Qualcosa le diceva che era
arrivato il momento di mangiare il dolcetto. << Vuoi
assaggiare? >>
chiese, scartando la carta azzurra e staccando un pezzo del dolcetto.
Il bambino annuì e le prese il pezzo dalle mani,
mettendolo subito in bocca. << È buono!
>> sorrise allegramente,
assaporando quel pezzetto al cioccolato.
<< Io mi chiamo Elizabeth. >> rispose la
bambina, assaggiando anche lei un pezzo del dolcetto.
<< E quanti anni hai? >>
<< Quattro! >> rispose orgogliosa.
<<
Oggi quattro! >> ribadì, sorridendo.
<< Tu? >>
Il bambino gonfiò il petto e fece un sorriso ancora
più
largo della bambina. << Io ne ho cinque! >>
annunciò, annuendo.
<< Davvero? E quando li hai fatti? >>
chiese
Elizabeth stupita.
<< Devo farli l’1 settembre! >>
ridacchiò il
bambino, guardandola intensamente negli occhi.
<< Allora anche tu hai quattro anni! >>
constatò Elizabeth, sorridendo radiosa.
Bill la fissò un attimo, studiando i contorni del suo
viso. I capelli biondo cenere le cadevano lunghi sulle spalle, mentre
gli occhi
verdi erano brillanti, ma anche stanchi di brillare. <<
Tu ce l’hai una
mamma? >> le chiese, interessato.
Elizabeth scosse la testa, tranquilla. << Non lo
so…
io vivo qui, non ce l’ho una mamma! >>
spiegò, come se fosse la cosa più
ovvia del mondo.
Ma Bill non la capiva. << E un papà? Ce
l’ha un
papà? >>
<< No, non ho un papà! Non ho mai visto i miei
mamma
e papà. >> sorrise e si strinse nelle spalle,
appoggiandosi allo
schienale della sedia.
<< Io ce li ho… sono quelli lì!
>> indicò la
coppia che stava passando in rassegna i bambini più piccoli,
evidentemente dopo
aver lasciato da parte i più grandi.
<< E chi è lui? >> Elizabeth
indicò un bambino
che sembrava la fotocopia di Bill. Stava attaccato alla gonna della
madre, e
sembrava dare un valido aiuto nella scelta del nuovo fratellino.
<< Lui è Tom!! Siamo gemelli, lo sai?
>>
disse, sorridendo orgoglioso.
<< Anche io voglio un gemello!!! >>
dichiarò
Elizabeth, battendo i piedi a terra.
<< Vieni con me! >> Bill scese dalla sedia
e
prese la mano della bambina, portandola davanti alla coppia di adulti.
<<
Mamma!!! Può venire lei? >>
chiese, facendo ricadere su di sé
l’attenzione dei genitori.
La donna si inginocchiò davanti ad Elizabeth e la
osservò
attentamente. << Come ti chiami, piccola?
>> chiese dolcemente.
Elizabeth rimase in silenzio, ricambiando lo sguardo
interessato della donna.
<< Si chiama Elizabeth!! Mi ha dato un pezzo di
dolce!! >> spiegò il bambino, sempre tenendo
per mano Elizabeth.
<< Anche io voglio un pezzo di dolce!! >>
si
lamentò Tom, tirando la manica della madre.
Elizabeth lasciò la mano del bambino e aprì il
pacchetto
col dolcetto, prendendone un pezzetto e dandolo in mano a Tom.
<< Me
l’hanno dato oggi, per il mio compleanno! >>
spiegò ridacchiando, mentre
Tom saltellava sul posto col pezzo di dolce tra le manine.
<< Allora parli! >> si stupì la
donna,
sorridendo.
<< Elizabeth!!! Perché non lasci che i signori
finiscano il giro? >> la signora Mayer sbucò
all’improvviso, prendendo
per mano Elizabeth e allontanandola dal piccolo nucleo famigliare.
<< Oh no, Elizabeth ci stava parlando! Non si
preoccupi! >> provò la donna,usando il tono
più dolce che aveva.
La signora Mayer lanciò uno sguardo alla bambina, che
cominciava ad avere gli occhi lucidi. << Elizabeth non
parla… non ha mai
parlato per quattro anni. >> rispose tranquillamente la
direttrice,
strattonando leggermente la mano della bambina.
Bill e Tom la guardarono incuriositi. Eppure loro
l’avevano sentita parlare! << Ma lei parla!
L’ho sentita io! >>
disse convinto Bill, annuendo.
<< Anche io!!! >> gli diede manforte Tom.
La signora Mayer fece una smorfia. << In ogni caso,
nella descrizione voi volevate un bambino, non una bambina. E lo
volevate
loquace, allegro e vispo. Elizabeth non è nulla di questi.
>> indicò
Elizabeth, che stava con la testa bassa, facendo cerchietti col piede.
<<
Forza, vai a giocare adesso… i signori devono scegliere il
bambino! >>
disse, lasciando la mano di Elizabeth.
Questa tirò su col naso e si allontanò,
strofinandosi gli
occhi con i pugni chiusi. Guardò il dolcetto del suo
compleanno e tornò a
sedersi su una seggiola, a mangiarlo.
<< Possiamo darti una mano? >> si
avvicinarono
nuovamente Bill e Tom, sedendosi ai suoi due lati.
Elizabeth annuì e staccò altri due pezzetti di
dolce,
dandoli ad ognuno dei due gemelli. << Grazie.
>> sussurrò, tirando
nuovamente su col naso.
<< Non piangere… la mamma ha deciso che vuole
te!
>>
<< Papà non è molto
d’accordo… però la mamma alla
fine vince sempre! >>
Elizabeth passò lo sguardo sui due gemelli e sorrise
debolmente. << Grazie… >>
ringraziò nuovamente, abbassando il capo.
Bill e Tom si lanciarono uno sguardo d’intesa e
l’abbracciarono insieme, facendola rimanere di sasso.
<< Sarai la terza
gemella, sei contenta? >> le disse Bill, facendola
semplicemente annuire.
Dopo poco, la madre dei due bambini tornò da loro e
annunciò che Elizabeth sarebbe venuta a casa con loro. Il
padre non era per
nulla d’accordo, tanto che non aveva parlato, ma i due
gemelli erano entusiasti
della notizia.
Un’operatrice andò a prendere Elizabeth, la
portò in
camera sua e cominciò a fare le valige, che alla fine erano
solo due paia di
divise, qualche pupazzo e le scarpette eleganti per le gite.
Scesero di nuovo, la bambina sempre col fedele pacchetto
col dolcetto sotto braccio, e l’operatrice diede in consegna
Elizabeth Moore
alla nuova famiglia, con insieme anche
la cartella con i dati della bambina.
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