Il
vento aveva sbattuto violentemente contro le finestre, quel
pomeriggio. Era una giornata scura, fuori. Tutti avevano preso posto
intorno a un lungo tavolo.
Rhea
Gand si era messa in piedi e aveva alzato la voce, sbattendo i pugni
davanti a sé. «Non possiamo
permettercelo», aveva sottolineato con
voce dura. «Se lasciamo che la giudice El lo condanni,
sarà
l'inizio della nostra fine», aveva guardato una per una
più facce
possibili, ritrovando volti spaventati e altri perplessi. Suo marito
Lar era seduto alla sua sinistra e aveva la schiena contro lo
schienale e una mano sulla fronte, come amareggiato e pensieroso. Non
avrebbe osato aggiungere nulla.
«Tu
sei matta da legare», si era levata alta un'altra voce.
«Astra»,
l'aveva chiamata Rhea, «La tua opinione non dovrebbe contare
come
quella di chiunque altro in questa stanza. Non oggi».
«Sì,
certo», aveva detto freneticamente lei, alzandosi in piedi.
Quasi
aveva tremato, ma probabilmente dalla rabbia.
«Perché è di mia
sorella, che state parlando. Le cose tra me e Alura non vanno bene da
anni, ma è pur sempre mia sorella».
«E
allora cosa proponi?», l'aveva guardata con sfida.
«Vorresti
lasciarla fare?». Si erano alzate più voci del
dovuto, creando
brusio; nessuno sarebbe stato felice di quella scelta.
«No»,
si era difesa lei, guardando gli altri, cercando di farli smettere.
«No! Ma voglio parlarle. Forse-», si era azzardata
a dire, «riesco
a farle cambiare idea». Aveva visto Rhea Gand ridere e altri
seguire
il suo esempio. «Forse riesco a metterla dalla nostra parte,
abbiamo
uno spiraglio-».
Rhea
l'aveva interrotta, ribattendo con la voce sulla sua: «Tu
vivi in un
mondo di fiabe». Aveva sorriso guardando altri, cercando
appoggio.
«Non permetterò che una giudice mini il nostro
lavoro lungo anni.
Michaels sa troppe cose», aveva ringhiato, riferendosi al
commercialista, «E potremmo davvero essere certi che non
parli, una
volta in tribunale?».
«Lascia
che corrompi la giuria».
«La
giuria sì, va bene, ma non è
abbastanza», aveva urlato, «La
giudice El ci sta dichiarando guerra e io non intendo
perderla», si
era portata una mano contro il petto, ricercando negli altri
consenso. «Preferite dare ascolto a me, una
beta,
o a una
delta
che ha per famiglia il nemico?», la indicò e molti
avevano
applaudito, mentre altri erano rimasti in silenzio e nell'ombra,
più
incerti su come muoversi.
A
un certo punto, la porta si era aperta con uno scatto fulmineo e un
Dru Zod in divisa da sergente era entrato quasi senza guardarli negli
occhi, palesemente infuriato. «I Luthor stanno
arrivando», aveva
dichiarato, camminando fino a una sedia vuota, alla sinistra di
quella vuota del capotavola. Ma non si era seduto. Era rimasto in
piedi a fissarli, lanciando uno sguardo indispettito a Rhea.
«Hai
deliberatamente indetto una riunione senza avvertire i
presidenti».
Lei
aveva sorriso, preferendo non rispondere.
Nel
presente, Lillian Luthor non chiuse occhio per tutta la notte. Era
rimasta in biblioteca, a camminare. Poi si era rimessa a letto solo
per non far preoccupare Eliza. Ora più che mai sapeva di
aver
sbagliato in passato a non punire Rhea come avrebbe dovuto. Era una
questione di classe:
avevano giurato di proteggerli, allora, ma quella donna stava
diventando un problema enorme e in fondo lo era sempre stata. Avrebbe
dovuto occuparsene undici anni prima, pur dovendo infrangere quella
promessa. A un certo punto allungò un braccio e, arrivando
al
comodino, afferrò il suo cellulare.
Te
ne devi occupare.
Inviò.
Di certo non si aspettava una risposta alle quattro e mezza del
mattino:
Ho
giurato.
Lillian
strinse le labbra e ingurgitò saliva, cercando di non
agitarsi.
Dunque Zod non avrebbe fatto niente? Se fosse, avrebbe commesso il
suo stesso errore del passato.
Era
troppo nervosa per provare ad addormentarsi, ma a un certo punto gli
occhi le si chiusero per inerzia. Rivide Lena e Kara suonare al piano
e cantare, scambiarsi un bacio, dire a Eliza che avevano intenzione
di sposarsi. Oh, no, non lo avrebbe mai accettato. Si sarebbe opposta
con tutte le sue forze a quell'unione.
«È
perché sono una Luthor?», sentì
chiederle Lena.
«È
perché sono una El?», sentì rincarare
Kara.
Sì.
Sì, era così. Non potevano stare insieme
perché i Luthor non
avevano salvato gli El. Perché Rhea Gand li aveva fatti
uccidere e
loro non avevano mosso un dito per aiutarli. Perché non era
colpa di
Lena, ma era la sua eredità. Levi, Lionel, lei. Sicuramente
Lex.
Lena ce lo aveva nel sangue. Lena non era colpevole, ma lo sarebbe
stata di qualcosa, prima o poi. Gli El erano morti e Lillian non
aveva fatto niente. Rhea Gand avrebbe ucciso Kara e Lena non avrebbe
mosso un dito. Era colpevole. Colpevole come lei.
«Lillian».
La voce era distante. «Lillian. Svegliati, ti stai
agitando».
Aprì
gli occhi pian piano, mettendo a fuoco il volto di Eliza.
«Un
brutto sogno, non è vero?!», le sorrise con
amarezza e le sfiorò
il viso in una carezza, prima di portarsi una mano sulla fronte e
rigettare la testa sul cuscino. «Anche io avevo il sonno
agitato»,
confessò la donna, «Non riesco a fare a meno di
pensare a ciò che
ha rischiato Kara… e a ciò che Alex ha fatto.
Capisco volesse
proteggerla, ma…», ansimò.
«Quando l'abbiamo adottata, pensavamo
che non avrebbe mai dovuto correre rischi del genere,
capisci?».
Lillian
le prese una mano sotto le coperte e gliela strinse forte, cercando
di trasmetterle come poteva il suo conforto. «Kara
è una ragazza
forte».
«Sì,
questo è vero… Sono entrambe molto forti. Ma
saprai anche tu, come
madre, quanto ci si senta impotenti di fronte a tutto
questo».
Lillian non rispose. «Fortunatamente si hanno a
vicenda», si sforzò
per sorridere. «Alex e Kara. Kara e Lena. Ieri si sono tenute
per
mano di fronte a noi, ci hai fatto caso?», a quel punto rise
un
poco, scuotendo la testa. «Ce lo diranno e potremo godere
della loro
faccetta sconvolta quando diremo loro che già sapevamo che
stavano
insieme».
Lillian
deglutì e, lentamente, abbassò gli occhi.
«È a proposito di
questo che… credo che dovremo parlare». Prese
coraggio e non si
sarebbe più tirata indietro, ritrovando quando chiudeva gli
occhi le
immagini apparse nel suo sogno.
Eliza
si accigliò, voltandosi di nuovo verso di lei. «Di
cosa?».
«Anche
a luce di ciò che sta succedendo… non penso che
debbano stare
insieme».
«Ma-»,
Eliza trattenne il fiato, «Dici sul serio? Proprio alla luce
di ciò
che succedendo, penso che sia un bene che stiano vicine».
«Oh,
Eliza…», Lillian alzò lo sguardo.
«Comprendo bene il tuo punto
di vista, mia cara, ma sono sorellastre e sono ancora così
giovani».
«L'amore
non dipende dall'età», ribatté,
«Potrebbero anche stare insieme
per tutta la vita. A quante coppie-».
«Non
a noi», la interruppe l'altra. «Ho sposato Lionel a
diciott'anni,
tu stavi con Jeremiah dall'università, e guarda dove queste
relazioni ci hanno portato. Hanno ancora tutta la vita davanti e
vogliono legarsi adesso? Noi per prime dovremmo sapere a cosa vanno
incontro».
Eliza
scosse la testa, arricciando le labbra. «Le nostre relazioni
con
Jeremiah e Lionel ci hanno portato ad avere i nostri figli! Non penso
che sia stato un errore legare la mia vita a lui».
«Io
forse sì», ammise con durezza. «Avrei
voluto conoscerti molto
prima».
«Questo
lo capisco, ma… è diverso, Lillian. È
diverso», replicò,
stringendo forte la mano che aveva unita alla sua. «A loro
potrebbe
non succedere. Non possiamo lasciarci oscurare dalla nostra
esperienza personale. Kara e Lena hanno diritto a crescere e
sbagliare, e ad amare, come tutti. Devono fare le loro
esperienze».
«Ma
sono le nostre figlie».
«Lo
so, è strano, ma-».
«Ma
non sono adatte per stare insieme», ribadì
Lillian, chiudendo la
questione. «Non potrò mai accettare che Kara possa
avere una
relazione con Lena».
Eliza
si zittì. Riascoltando quelle parole nella sua testa,
intuì che ci
fosse un motivo ben preciso perché non accettava il rapporto
delle
loro figlie e che fino a quel momento aveva solo cercato di trovare
una scusa. «Non pensi che Kara possa essere alla sua
altezza?».
«Come?».
Eliza
le lasciò la mano, tirandosi indietro. «Non
è all'altezza di una
Luthor?».
«No»,
rispose prontamente e si scoperchiò, vedendo la moglie che
si alzava
e copriva con una vestaglia. «No, non intendevo di certo
questo!
Stai… Stai totalmente fraintendendo».
Alzò la voce quando la vide
sulla soglia della porta, infilando le ciabatte ai piedi.
«Allora
ti lascio il tempo di pensarci», chiosò Eliza,
aprendo e chiudendo
la porta alle sue spalle.
Intanto
a qualche porta più avanti, in camera di Lena, quest'ultima
era
seduta sul letto con il portatile sulle gambe e una mano contro il
labbro inferiore, pensando. Riguardò Kara al suo fianco che
dormiva,
la sua mano destra appoggiata sul proprio bacino, ricercando
contatto. Le sfiorò il taglio sopra l'occhio destro, ancora
visibile. Sapeva che Kara aveva la pellaccia dura, lo aveva
dimostrato più volte, ma… i suoi occhi chiari
planarono di nuovo
sullo schermo del laptop, guardando con attenzione e rabbia il video
con protagonista Rhea Gand che veniva scarcerata, pubblicato su un
blog di divulgazione. Quella donna aveva mandato qualcuno a uccidere
Kara e non poteva provarlo. Non le restava altra scelta…
Z:
Volevi che avessi bisogno di te? Ne ho bisogno ora. Davvero bisogno.
Inviò
il testo sulla chat con sfondo nero e tenne d'occhio la barra a
intermittenza che anticipava il prossimo messaggio, ma non c'era
riscontro.
Z:
Se stai tenendo d'occhio le news, sai che Rhea Gand era agli arresti
ma è già stata rilasciata. Ho bisogno di prove
concrete che sia
stata lei a uccidere suo marito. Devi sapere come posso trovarle.
Contattami al più presto.
Inviò
di nuovo e abbassò lo schermo del laptop, prendendo un gran
respiro.
Era abituata a vedere il profilo misterioso, o meglio ancora quella
Indigo, rispondere subito, ma ora non aveva neppure visualizzato.
Proprio ora che aveva più bisogno di lei. Lasciò
il portatile sul
comodino e si stese di nuovo, sollevando la mano che Kara aveva sul
suo bacino, rimettendogliela accanto. La vide mentre apriva le dita e
la cercava, borbottando qualcosa, corrucciando lo sguardo. Si
domandò
cosa stesse sognando e, piano, intrecciò le dita con le sue,
chiudendo gli occhi.
Non
erano state le uniche a passare una notte agitata. Dopo aver lasciato
Kara in villa, Alex si era ritrovata in ospedale per accertarsi delle
condizioni di Faora Hui, scoprendo che era stata operata d'urgenza e
che non era in pericolo di vita, ma era entrata in coma. Non si era
più svegliata. John Jonzz l'aveva chiamata per farle sapere
che
poteva tornare a casa a riposarsi, ma che gli affari interni erano
già stati avvertiti e che le avrebbero parlato l'indomani.
Aveva
sbuffato e si era tenuta la fronte al sol pensiero di dover dare
spiegazioni sul perché aveva sparato a una poliziotta per
proteggere
sua sorella. Non vedeva l'ora. Inoltre, da quel momento, la sua
copertura era ufficialmente saltata e, con lei, la loro operazione
contro l'organizzazione non era più nascosta. Maggie le
aveva
inviato un messaggio per sapere come mai non fosse ancora tornata e,
accidenti, aveva sospirato al pensiero di dover raccontare tutto
anche a lei. Così aveva abbandonato la cuccetta di Faora
Hui,
incrociando il medico che se ne occupava:
«Voglio
essere chiamata all'istante se la paziente si risveglia o se cambiano
le sue condizioni. Mi ha capito bene?», gli aveva puntato un
dito,
«Ho lasciato il mio numero». Lo aveva visto annuire
ed era uscita.
Prima
di tornare a casa, però, era passata di nuovo in villa:
voleva
accertarsi che Kara stesse bene ma Eliza l'aveva attaccata, come
aveva immaginato. Sia sua madre che sua sorella si erano comportate
con lei come se, a conti fatti, si fosse in un qualche modo divertita
a tenere nascosta una parte così importante della sua vita
come il
suo reale lavoro. O a mentire a entrambe. Alla fine non aveva visto
Kara, aveva pensato che stesse con Lena in quel momento,
così era
andata via, lasciando Eliza ancora arrabbiata.
Presentarsi
a casa di Maggie e abbracciarla tanto forte come se fosse appena
tornata da un lungo viaggio, non aveva prezzo. Aveva sentito il forte
bisogno della sua presenza, del suo calore. La piccola Jamie era
già
a letto da tanto e così avevano aperto due birre e si erano
sedute
su un divanetto, parlando di ciò che era successo. Maggie
era
rimasta a bocca aperta e, al momento in cui le aveva raccontato di
Faora Hui, si era portata una mano per coprirsela. Era una sua
collega, non poteva crederci che aveva tentato di uccidere Kara.
Tuttavia, aveva preso molto peggio un'altra notizia: grazie alle
registrazioni che Lena e Winn erano riusciti a salvare dalla
microspia, ora avevano le prove che Zod fosse coinvolto. Non che a
quel punto aveva continuato a negare, ma era rimasta molto sorpresa e
infastidita, quasi tradita.
«Io…
credo di averlo sempre saputo, ma non volevo accettarlo»,
aveva
confessato con amarezza. «Zod sembra un brav'uomo, mi ha
aiutato per
cercare di integrarmi in questi mesi, e a volte fa certi discorsi
motivazionali che… non ci volevo credere», aveva
scosso la testa e
poi appoggiata sul divanetto, chiudendo gli occhi.
«È così dedito
al suo lavoro. Voi non lo conoscete, ma è davvero l'ultima
persona
che mi sarei sognata di pensare coinvolta in tutto questo».
«A
volte non conosciamo mai bene a fondo qualcuno», le aveva
risposto
Alex, avvicinandosi.
Allora
Maggie aveva rialzato la testa e sorriso mentre la abbassava da un
lato. «Ascoltami: voglio dargli il beneficio del dubbio. Non
che lui
ne faccia parte, ormai lo sappiamo, ma se è vero che non
conosciamo
mai bene a fondo qualcuno, è anche vero che le persone
possono
cambiare, col tempo. So che sembra sciocco», aveva stretto le
labbra, «Ma voglio davvero pensare che ci sia dell'altro e
sentire
la sua campana».
Aveva
detto che se lo meritava e Alex di tenerlo d'occhio. Non potevano far
altro. Allora si erano coricate, vicine, stanche e pensierose,
nessuna delle due aveva dormito bene né a lungo.
La
notizia della scarcerazione di Rhea Gand arrivò quasi in
diretta:
Alex controllava le news da cellulare e Maggie ricevette un messaggio
da un collega: il capitano Zod stesso ne aveva ordinato la
scarcerazione.
«Non
ci posso credere», sibilò, portandosi una mano
contro la bocca.
«Credici»,
rispose Alex di fretta mentre, già in piedi sulla soglia del
letto,
si infilava i jeans. «L'avrà aiutata».
«In
ogni caso, non abbiamo ancora prove concrete contro di lei»,
sospirò
e si resse le braccia scoperte come se avesse sentito un'improvvisa
ventata di freddo. «Si è comportato da
poliziotto».
Alex
alzò gli occhi al soffitto e udì dei veloci
piccoli passi urtare
contro la porta. «Mamma!». Scalza e in mutandine,
Jamie saltò sul
letto e girò su se stessa fino a che non cadde di schiena
sul
materasso per poi cercare di rimettersi su come una tartaruga.
«Voglio i cereali buoni! Quelli buoni, hai capito quali?
Quelli
rosshi che shembrano shangue come-come si mettono collatte»,
disse tutto d'un fiato, guardando una e poi l'altra con occhi
sgranati. «Una mia amica non ci crede che diventa rossho il
latte,
devi fare la foto così li vede. Hai capito? Non ci crede
che-».
Alex
finì di infilarsi un maglioncino e tese la mano alla
bambina, per
poi interromperla, prima che ripetesse tutto per almeno altre tre
volte: «Dai, la faccio io la foto col telefono; andiamo a
mangiare i
cereali rossi».
«Sì».
Lei annuì e, prendendole la mano, balzò dal
materasso, tirandola
dietro di lei fino a uscire dalla camera. Appena le due furono fuori,
Maggie sospirò, riguardando il messaggio del suo collega sul
cellulare.
Le
cose avevano iniziato a diventare parecchio strane, dopotutto. Faora
Hui era in coma e gli agenti non erano gli stessi da un giorno
all'altro. Una buona parte di loro la guardò male da appena
si
presentò a lavoro, erano tutti più tesi del
normale e Maggie era
certa di aver sentito qualcuno parlare male alle sue spalle.
«Perché
fanno così?», chiese a una collega, Grace,
entrambe con una tazzina
di caffè bollente in mano, appoggiate contro una scrivania.
«Siamo
tutti turbati da ciò che voleva fare Faora, ma è
come se…».
L'altra
la guardò, increspando le labbra. Voleva provare a prendere
tempo
bevendo il caffè, ma le prese fuoco la lingua e
cercò di spegnere
l'incendio boccheggiando come un pesce e sventolando una mano.
«Emh…
L'agente del D.A.O. che ha sparato… emh».
Maggie
aggrottò la fronte, guardando con attenzione l'altra
poliziotta che
cercava di non fissarla negli occhi. «È la mia
ragazza, Grace, lo
so, ma-».
«Appunto»,
scrollò le spalle. «Ho sentito alcune voci
stamattina: pensano che
tu possa essere una spia del D.A.O.».
«Cosa?»,
alzò le sopracciglia.
«È
una specie di noi
contro loro.
Una di loro ha sparato a una dei nostri e tu non fraternizzi
semplicemente col nemico… ci vai a letto».
«È
una cosa terribilmente infantile», sentenziò,
lanciando un'occhiata
all'ufficio di Zod con le tapparelle abbassate. «E siamo due
corpi
differenti, non nemici».
Grace
increspò le labbra. «Sappiamo che avremo gli
Affari Interni, questa
mattina. Devono parlare col capitano per Faora», le fece
sapere.
«Quell'uomo è già abbastanza nervoso,
non vorrei essere in loro».
Intanto,
gli Affari Interni erano impegnati alla base nascosta del D.A.O. a
National City, in quel preciso momento. Si trovavano all'interno di
una luminosa saletta per le conferenze. Erano in due, da un lato del
tavolo ovale, dall'altro Alex, seduta davanti a loro, e John Jonzz in
piedi, poggiato con le spalle al muro, vicino alla sua agente.
«Da
quanto tempo fa pedinare Kara Danvers, sua sorella?».
«I-Io
non faccio sempre pedinare Kara, ma-».
«Risponda
alla domanda».
«Da
qualche mese».
John
alzò gli occhi, infastidito, rimettendo le braccia a
conserte. «È
tutto parte della nostra indagine», borbottò,
«Come documentato».
Il suo sguardo indicò le scartoffie che avevano sottomano,
ma loro
riguardarono Alex con insistenza, di fatto ignorandolo.
«Ha
visto la poliziotta alzare la pistola contro sua sorella e non ha
provato, prima di sparare a sua volta, a identificarsi?».
«Non
c'era tempo, l'ho già spiegato», alzò
le spalle, guardando
entrambi.
«Ha
sparato per uccidere, agente Danvers?», le domandò
uno dei due.
«Solo perché c'era sua sorella, là
sotto?».
«No»,
aggrottò la fronte. «Ho sparato perché
non avevo altra scelta».
«Poteva
mirare alle gambe», rispose saccente lo stesso uomo, annuendo
allo
sguardo del collega al suo fianco. «È sicura che
sua sorella non
fosse armata? Che l'agente Hui abbia provato a intimidirla e poi a
spararle perché le avesse dato un'impressione sbagliata,
qualcosa
che la facesse temere per le persone in stazione? È stato
segnalato
un allarme bomba», spiegò, leggiucchiando alcuni
dei fogli con
loro.
«Non
c'era nessuna bomba, era un diversivo: quella poliziotta era
lì per
uccidere Kara», strinse a pugno le mani sul bancone e John le
passò
una mano sulla spalla sinistra, probabilmente per cercare di
calmarla.
«Ha
una prova, per dire questo?», la guardò torvo
l'altro collega. «È
un'accusa piuttosto pesante, agente Danvers: l'agente Hui si
è
diplomata col massimo dei voti, ha dato prove eccellenti e si
è
sempre comportata da poliziotta responsabile. E non devo ricordarle
che ora è in coma perché lei le ha sparato. Anche
lei è la sorella
di qualcuno, agente Danvers».
Alex
strinse le labbra e John intervenne per lei. «Kara Danvers
era
pedinata per una ragione ben precisa, signori, è tutto
scritto lì.
La nostra operazione-».
«Non
ha portato ad alcun frutto», scrollò le spalle uno
dei due. «Ad
anni che ci state dietro, ancora nessun risultato. State rincorrendo
un fantasma, signor Jonzz. State solo sperperando i soldi dei
contribuenti. Per quanto ne sappiamo, l'organizzazione è
stata
smantellata anni fa e Kara Danvers avrebbe potuto apparire minacciosa
agli occhi di un'agente che cercava di salvare delle vite,
là sotto,
nel caos scoppiato a seguito dell'allarme bomba».
Alex
deglutì e fermò il suo sguardo altrove,
emotivamente sconfitta.
L'interrogatorio durò qualche altro minuto. L'agente Danvers
non
sarebbe stata punita, accettarono che avesse sparato a Faora Hui
perché non c'era altro modo di intervenire, ma avrebbe
dovuto
compilare parecchie documentazioni e, non di meno, avevano scartato a
priori che la poliziotta si fosse trovata lì per compiere un
omicidio. Lei e John Jonzz si erano fermati fuori dalla saletta, in
corridoio, per chiacchierare a bassa voce e lontano da orecchie
indiscrete. Entrambi concordavano nel pensare che, dopo questo,
avrebbero avuto i giorni contati prima che qualcuno ai piani alti si
sarebbe interessato alla loro indagine che non portava risultati.
«Adesso
pensa a tua sorella: portala qui; magari avremo modo di velocizzare
il nostro lavoro prima che ci impongano di chiudere baracca e
burattini». Le ordinò e Alex annuì.
Alex
e Maggie non erano le uniche cui quella giornata era iniziata col
piede sbagliato: Kara restò agghiacciata davanti alla
televisione
quando scoprì del rilascio di Rhea Gand. La polizia non
concesse
dichiarazioni e Maggie, per telefono, le scrisse che il capitano Zod
voleva concentrarsi sulla scomparsa di Mike. Anche Alex le
inviò un
messaggio, ma Kara lo ignorò. Sapeva che non le avrebbe
tenuto il
broncio a lungo, ma in fondo era ancora molto arrabbiata con lei.
Come aveva potuto? Non le aveva solo nascosto cosa faceva per lei, ma
le aveva anche privato di una parte importante della sua vita.
L'aveva perfino consolata quando il D.A.O. aveva rifiutato la sua
domanda, e invece… Non poteva non esserne arrabbiata.
Intanto,
suo cugino Kal aveva mantenuto la parola data. Durante le prime ore
del mattino, si videro arrivare in villa Kal, Lois e anche James.
Avevano viaggiato durante la notte per essere lì il prima
possibile
e poi si erano persi, ma arrivarono giusto una mezzora prima che
tornasse Alex accompagnata da due agenti del D.A.O. per portare Kara
alla base. Kal andò con lei, naturalmente. Lois e James,
invece,
restarono vicini.
«Gran
bella casa, davvero», sorrise lei, acchiappando il ragazzo
per una
manica, in modo che si abbassasse alla sua altezza: «Guardala
bene,
Jimmy», lanciò un'occhiata a Lillian, che andava
verso la cucina
con sdegno.
«Mi
sembra normale».
«Sì…
È proprio questo il punto», strinse gli occhi.
I
tre, in compagnia dei due agenti, entrarono in banca e poi presero
l'ascensore.
«Kara…»,
Alex la guardò con la coda dell'occhio come cercava di
ignorarla,
girando altrove lo sguardo.
«Lo
senti anche tu questo brusio?», si rivolse a Clark, al suo
fianco.
Il ragazzo lanciò uno sguardo ad Alex e riguardò
di nuovo lei,
provando a sorridere.
«Kara-».
«È
fastidioso».
«Dovrai
rivolgermi-».
«Proprio
fastidioso».
«La
parola-».
«Accidenti,
non smette».
«Prima
o poi», riuscì a dire, in uno sbuffo. Per un
attimo si zittirono
entrambe, mentre i due agenti del D.A.O. dietro di loro facevano
finta di nulla. «Devi parlare-».
«Oh,
no: rieccolo», Kara gesticolò, gonfiando le
guance.
«Con
me». Allora anche Alex gonfiò le sue, intanto che
le porte si
aprivano.
Alex
e gli agenti li guidarono lungo il corridoio fino al salone, dove ad
attenderli c'era una figura in piedi. Il passo di Kara si
bloccò
appena lo vide; le si irrigidirono i muscoli e si inarcarono le
narici. Quello era decisamente troppo.
«Oh,
ma fantastico», sbottò, avvicinandosi a John
Jonzz, spalancando le
braccia. «Qualcun altro deve svelarmi il suo reale lavoro?
Per caso,
anche Megan è un'agente sotto copertura?».
Lui
sospirò appena, guardandosi intorno. «No, e ti
sarei pregato se non
le dicessi niente».
«Anche
Eliza lavora qui?», proseguì indispettita.
«Jeremiah non lavora al
D.A.O. a Metropolis ma in realtà porta le pizze a
domicilio?».
«Hai
diritto a essere arrabbiata, ma-».
«Oh,
ho diritto a essere arrabbiata? Davvero?», scrollò
le spalle ed
entrò nella sala prima che lui o chiunque altro la guidasse,
portando in alto il mento, spalancando gli occhi: c'erano agenti
operativi e grandi schermi ovunque si posasse il suo sguardo, il
soffitto era molto alto, dietro una porta a vetri lontana si
intravedevano delle armi appese al muro. Sua sorella aveva a che fare
con quello. E anche il suo coach. Era impensabile.
Fecero
fare ai ragazzi un breve giro e li fecero strada fino a un tavolo, ma
Kara né Clark avevano voglia di sedersi.
«Quindi
voi avevate il caso aperto da tutto questo tempo?»,
domandò il
ragazzo, accigliandosi. Braccia incrociate poggiato contro una sedia,
occhi fissi su John. «Noi pensavamo che la cosa fosse finita
con gli
arresti di undici anni fa, di essere soli in tutto questo, e invece
voi…», scosse un poco la testa e Kara
annuì, concorde. «Siamo i
sopravvissuti alla nostra famiglia, dovevamo essere informati per
primi! Abbiamo finito per cercare risposte per conto
nostro-».
«È
pericoloso», per poco John non gli parlò sopra.
«Proprio per
questo non potevamo dirvi come stavano le cose: siete troppo
coinvolti».
«Certo
che lo siamo! Invece ci avete fatto spiare»,
borbottò Kara,
inacidita.
«Per
il vostro bene», annuì.
«Potevamo
esservi d'aiuto», continuò Clark.
«Siete
dei civili, non addestrati per-».
«Ma
adesso siamo qui», lo interruppe glaciale.
«No?».
John
scosse la testa, ma a quel punto non ebbe da ribattere. Fu Alex, che
fino a quel momento era rimasta in disparte, ad avvicinarsi e a
parlare per lui: «Abbiamo fatto del nostro meglio per tenervi
al
sicuro finché abbiamo potuto-».
Clark
si gettò in avanti. «Hanno cercato di uccidere
Kara».
Lei
non disse niente, ma guardò entrambi, per un momento. Vide
Alex
chiudere gli occhi e prendere fiato, guardarla e allontanare lo
sguardo subito dopo. Fino a ora, Kara aveva tentanto così a
lungo di
ignorarla da non aver minimamente fatto caso alla stanchezza del suo
volto o alle occhiaie.
«Beh…
Per fortuna sono arrivata in tempo».
«Ma
com'è potuto succedere?», chiese lui,
«Non era per quello che
alcuni agenti la seguivano?».
«C'era
un allarme bomba e-».
«L'hanno
lasciata sola», chiosò e Alex strinse le labbra.
John
poggiò una mano su una spalla della ragazza e si scambiarono
uno
sguardo d'intesa. «Abbiamo sottovalutato la
minaccia», ammise e non
con cuore leggero. «Rhea Gand era in prigione e-».
«E
adesso cosa pensate di fare? Quella donna è di nuovo
libera».
«Pensiamo
che non riproverà a minacciare la vita di Kara, adesso. Ha
gli occhi
della polizia puntati addosso, non oserà fare qualcosa di
sbagliato».
Lui
scrollò le spalle. «Come pensavate che non avrebbe
tentato alla sua
vita perché era in prigione?».
John,
Alex e Clark stavano per aprire bocca di nuovo, ma Kara ne aveva
abbastanza: sbatté le mani contro il tavolo e tutti la
fissarono,
sorpresi. «Adesso basta! Da tutte e due le parti! Parlate di
me come
se non fossi presente e, accidenti», aggrottò la
fronte, guardando
John e Alex, «finora non avete fatto altro che tenermi
all'oscuro di
tutto ciò che riguardava la mia vita, mi avete fatta spiare,
mi
avete nascosto chi eravate, avete lasciato che credessi che era Rhea
a tenermi d'occhio. Io cercavo risposte a ciò che era
successo e voi
lo sapevate ma, invece di includermi, mi guardavate come dall'esterno
di una bolla di vetro che voi chiamate protezione.
Dovete capire una cosa, tutti quanti», prese fiato,
guardandoli uno
per uno. «Io non sono una vittima»,
scandì per bene. «Non mi
sento una vittima e non voglio essere trattata da tale. Ho avuto la
sfortuna di aver perso la mia famiglia e attirato le ire di una donna
che, probabilmente, si sente minacciata da me in qualche modo, ma non
per questo sono una vittima. Voglio solo fare giustizia e combattere
affinché sia fatta. Voglio collaborare! Non mi interessa
altro».
Nessuno
si azzardò a dire qualcosa, a quel punto. Kara
scambiò un'occhiata
con Alex e, dopo, John la accompagnò in una stanza in modo
che
potesse dirgli in privato tutto ciò che sapeva su Rhea Gand,
il
senatore e chiaramente Mike. Nel frattempo, Alex scambiò due
parole
con Clark, accennandogli di Dru Zod. Sapevano che lasciar fare alla
polizia sarebbe stato rischioso, ma la microspia in quella casa non
era una missione del D.A.O., era illegale, e non potevano far nulla
se non tenere d'occhio la situazione e fingere di non sapere su
quell'uomo.
Non
si stupirono di certo quando Clark Kent ebbe l'idea di passare per la
centrale di polizia prima di tornare in villa, lasciando che
andassero senza di lui. Ciò che non si aspettavano era che
conoscesse Zod.
«Lois
mi aveva detto che lo teneva d'occhio da quando ancora lavorava a
Metropolis», si lasciò sfuggire Kara, in macchina.
Aveva chiesto a
suo cugino di accompagnarlo, ma era voluto andare da solo.
«Comunque,
alla centrale c'è Maggie. Nel caso avesse bisogno di
appoggio: l'ho
avvertita», rispose Alex, riguardando sua sorella di sbieco.
Era
ancora arrabbiata, ma se non altro le rivolgeva la parola.
«Maggie
crede ancora nella sua innocenza?».
«Maggie
sa delle registrazioni, ma vuole ancora dargli una chance»,
scosse
la testa. «Lo tiene d'occhio: poco fa mi ha scritto di aver
saputo
che Faora Hui era una sua allieva e che lo aveva seguito da
Matropolis con il trasferimento. E anche che…»,
scosse la testa di
nuovo, formando un piccolo sorriso incerto, «I colleghi la
trattano
diversamente ora che ho sparato a quella poliziotta».
Kara
guardò fuori dal finestrino e riabbassò gli occhi
lentamente, dando
una nuova occhiata a sua sorella. «Faora Hui è
collegata a Zod,
Rhea spinge Faora Hui a uccidermi, i Gand e Zod facevano parte
dell'organizzazione… Lui doveva esserne al
corrente». Alex non
rispose e Kara si accigliò. «E accidenti!
Perché prendersela con
Maggie se Faora Hui è in coma? Ha tentato di uccidermi,
è
responsabile delle sue azioni».
Alex
formò un sorriso, annuendo. «Kara, per quello che
hai detto alla
base…», si guardarono, «Pensavo di fare
la cosa giusta. Non
credevo che…».
«Lo
so», sibilò Kara con un sospiro, rivolgendo gli
occhi all'altro
lato del finestrino. Doveva tenersi calma. Sapeva perché
Alex lo
aveva fatto, e anche John, per quanto la cosa le desse fastidio.
Doveva solo tenersi calma, concentrata, non lasciarsi prendere dalla
rabbia proprio ora che Rhea Gand era di nuovo libera dopo aver
tentato di farla uccidere. Non poteva permettersi di perdere di vista
l'obiettivo. Doveva solo mandare giù tutto il resto.
Ingoiarlo e
digerirlo. E smetterla di pensare alla pillola che le aveva dato
Roulette al locale. Poteva farne a meno: dopotutto, era riuscita a
salvarsi da Faora. Deglutì. No, forse c'era riuscita solo
perché
era intervenuta Alex. Forse, senza di lei, ora non si farebbe questi
pensieri.
Nel
frattempo, Dru Zod era chiuso nel suo ufficio; tapparelle abbassate,
finestre chiuse. Anche lui non aveva dormito quella notte, tormentato
dal pensiero di aver dovuto rilasciare Rhea Gand. Oltre al
giuramento, era vero che non avevano ancora prove concrete che la
incastrassero e sapere che era stata lei per certo non lo aiutavano,
se non voleva che la donna lo trascinasse giù con
sé.
«Hai
mandato Faora», si era trattenuto dal non urlare, furioso,
davanti
alle sbarre che la dividevano da lui, quella notte. «Hai
mandato
Faora a uccidere la ragazza e ora in ospedale che lotta tra la vita e
la morte».
«Avrebbe
dovuto indossare il giubbotto», aveva replicato lei, con
sufficienza. «Quale poliziotta va in missione senza giubbotto
antiproiettile? E l'avresti addestrata tu?».
«Non
è questo il punto, Rhea», aveva stretto i denti,
formando un pugno,
gesticolando. «Quella non era una missione, ma una spedizione
punitiva personale».
«È
sempre personale».
«Le
avevi promesso di salire classe. Lo so», aveva stretto una
sbarra,
digrignando i denti, «Non spetta a te. Non sei al comando,
Rhea. Non
sei la presidente».
«Non
ancora», aveva alzato il mento, fiera.
«È solo questione di tempo,
Dru. Sono stufi dei tuoi tempi: avevi promesso un'ascesa, un ritorno
alle origini, ma siamo ancora confinati come topi da troppi anni.
Qualcuno, come quello sfortunato di mio marito, pensa davvero che
abbiamo chiuso, che ognuno sia per sé. Ecco cosa succede
quando al
comando c'è un inetto come te. Tanto valeva che
continuassimo a
stare sotto la guida dei Luthor», si era presa una pausa,
«Se non
si fossero tarpati le ali da soli, s'intende». Allora aveva
sorriso,
soddisfatta.
Zod
deglutì e strinse i pugni con rabbia, sulla scrivania del
suo
ufficio. Li nascose quando sentì bussare e sgranò
gli occhi quando
vide entrare Clark Kent. Si sarebbe aspettato tutto, ma non lui.
«Si
era fatto vivo quando Clark era tornato a Metropolis dopo un periodo
a National City, in cerca della sua memoria»,
spiegò Lois, sul
divano di villa Luthor-Danvers. Sia Lillian che Eliza erano uscite
per andare alla Luthor Corp, Lex era fuori, e mentre Lena teneva
d'occhio il cellulare in attesa di una notifica da parte di Indigo,
lei, Kara, James e Alex, che era rimasta dopo averla riaccompagnata,
si erano seduti insieme in salone. «Si era presentato in
università
per dirgli che conosceva suo padre». Le ragazze la guardarono
aggrottando la fronte, mentre James annuiva, conoscendo anche lui i
fatti. «Si era offerto di raccontargli cose su di lui e Clark
gli
era stato a sentire. Era vero. Abbiamo controllato il passato di
quell'uomo e, prima di entrare nelle forze dell'ordine, è
stato un
insegnante: era professore di inglese al liceo e uno dei suoi
studenti era Jor El».
«Il
padre di Clark», aggiunse James, abbassandosi e intrecciando
le dita
delle mani. «Ma credetemi se vi dico che quel tipo era
strano: Clark
pendeva dalle sue labbra, ma come lo guardava… C'era
qualcosa che
non andava».
«Abbiamo
provato a metterlo in guardia su quell'uomo, ma lui… Beh,
fortunatamente dopo un po' mi ha dato ascolto, Zod lo stava
trascinando in un tunnel di angosce ed era sempre di malumore e
aveva…», si bloccò, deglutì,
e proseguì a raccontare. «Dopo
averlo allontanato, ha cominciato a frequentare un corso per chi
riportava amnesie come la sua a seguito di incidenti ed è
migliorato, è potuto andare avanti con la sua vita. Ma di
certo non
è stato questo a mettermi in guardia su quell'uomo: sapete
cos'è
stato?».
Kara
annuì. «Il tempismo».
Lois
la indicò, annuendo a sua volta. «Il tempismo. Dru
Zod abitava a
Metropolis e non si era mai interessato a Clark. Cosa gli costava
andarlo a trovare una volta? Lo ha cercato solo dopo essere tornato
da National City, dopo aver tentato di fare chiarezza sul suo passato
ed essere stato in prigione a trovare Astra. Coda di
paglia?»,
scrollò le spalle. «Voleva assicurarsi di
qualcosa?».
Casa
Gand non era più transennata. Il corpo senza vita del
senatore si
trovava ancora sotto custodia del coroner in attesa che la polizia
scientifica desse il via per restituirlo alla famiglia. Rhea Gand si
era assicurata di passare a trovarli prima di tornare a casa e
continuare la preparazione della cerimonia di commemorazione per il
suo amato marito. In televisione, ora si parlava molto meno del
matrimonio tra Luthor e Danvers, tutti affranti per la perdita del
senatore, piangendo il politico e l'uomo. Rhea chiamò suo
figlio più
volte per sapere che fine avesse fatto, lasciandogli messaggi in
segreteria per spingerlo a tornare a casa prima che lo trovasse la
polizia, ma lui non rispondeva. Da quando era andato al campus per
sistemare quella faccenda per quella stupida ragazzina e alcuni suoi
amici, non aveva più fatto ritorno e a quel punto temette
potesse
sapere qualcosa ed essere scappato di proposito. Aveva telefonato al
campus, ma lui non era rimasto per la notte. Non averlo al suo fianco
in quel momento tanto delicato era controproducente. E, per di
più,
Faora Hui non era riuscita a uccidere Kara. Aveva perso un'occasione
e ora doveva stare attenta a come muoversi, sapendo che Dru era
contrario. Se la voleva morta, doveva farlo bene. Dopo lei, sarebbe
toccato a quella sfrontata della Smythe, che sapeva della sua
pistola, e poi l'altro ragazzino El, Lena Luthor sarebbe stata subito
la prossima. Si sarebbe lasciata Leslie Willis per ultima, invece.
Per lei, doveva fare qualcosa di speciale. Una volta presidente,
sarebbe stato più semplice.
E
lo sarebbe stata presto.
Gridò
a Joyce di muoversi, mentre con altri addetti ultimava il lavoro,
disponendo mazzi di fiori intorno alle foto di Lar su un tavolino.
Presto quel posto si sarebbe riempito di gente e tutto doveva essere
perfetto.
Quando
Kal tornò in villa, Lois si premunì di chiedergli
come stesse e, se
Kara non fosse stata troppo presa da altri pensieri, avrebbe notato
come temesse che il ragazzo cadesse in una qualche ricaduta.
«Non
ti ha risposto?».
Lena
scosse la testa. «Non capisco… Non si sarebbe
lasciata scappare
un'occasione come questa». Ricontrollò la chat con
sfondo nero dal
portatile, ma Indigo non aveva ancora visualizzato il messaggio.
«È
come se fosse scomparsa».
Kara
sbuffò. «Preoccupiamoci di una persona scomparsa
per volta, okay?»,
la indicò. Lanciò uno sguardo a suo cugino mentre
parlava di Zod
con Lois e James, prima di rivolgersi di nuovo a lei: «Senti,
voglio…», si morse un labbro, «Voglio
andare alla commemorazione
del senatore, adesso».
Lena
spalancò gli occhi. «Ti serve
compagnia?». Chiuse lo schermo del
laptop ma Kara la fermò.
«No,
ho mandato un messaggio a Megan, mi farà compagnia
lei», la guardò
negli occhi e Lena annuì lentamente, soprappensiero.
«Voglio
guardare in faccia Rhea. Voglio che capisca che non ho paura di lei.
Tu mi faresti», riguardò di nuovo i tre,
«un favore?». Lena planò
lo sguardo nella sua stessa direzione e Kara le sorrise.
«Voglio
solo assicurarmi che stia bene. E forse parlerà del
Generale,
quindi…».
«Non
lo mollerò un attimo».
Pranzarono
con qualcosa di veloce e Kara le sorrise ancora, prima di andare via.
Le cose tra loro erano ancora strane, eppure sentiva di non esserle
mai stata tanto vicina. Pensò che avrebbe dovuto avere paura
di Rhea
a un certo punto, ma si risparmiò dal dirlo. Gli agenti del
D.A.O.
le stavano ancora dietro e non avevano bisogno di nascondersi: era
protetta e doveva esserlo davvero, stavolta. Dalla finestra, la vide
entrare direttamente nella volante degli agenti, probabilmente per
rubare loro un passaggio, considerando che dovevano andare nella
stessa direzione.
«Perché
non ha voluto che l'accompagnassi?», si chiese Clark.
Alex
sospirò. «Non ha voluto nemmeno me, se
è per questo. Vuole
dimostrarci che non è una vittima».
Lena
si avvicinò, chiedendo a tutti se favorivano da bere
qualcosa.
Nessuno, nemmeno Alex. Scorse James guardarsi intorno in cagnesco,
Lois cercava dettagli e il suo sguardo si fermava spesso, Clark
teneva a freno un crescente disagio e la sua sorellastra era persa
nei suoi pensieri, in un angolo del divano. Lena prese fiato.
«Tu
non l'hai voluta quando sei andato a parlare con Zod», lo
guardò e
Clark si sforzò per sorridere.
«No,
ma… Era una cosa diversa».
«Diversa
perché eri tu?», domandò glaciale.
«Non so se lo hai notato, ma
Kara non è solo più la tua cuginetta:
è una donna adulta che sa
badare a se stessa e prendere le sue decisioni. Proprio come Zod non
avrebbe fatto del male a te perché in una centrale piena di
poliziotti, Gand non ne farà a lei durante la funzione di
suo
marito».
«Fai
la voce grossa, eh?», borbottò James a un certo
punto.
«Come,
prego?».
«Fai
la voce grossa», ribadì, guardandola negli occhi.
«Come Luthor,
proprio tu dovresti startene in silenzio e chinare la testa».
Alex
guardò lui e poi Lena, aggrottando la fronte. «Di
cosa sta
parlando?».
Lena
prese fiato e non mosse il suo sguardo nemmeno per un attimo, intanto
che Lois guardò torva James e Clark gli poggiò la
mano su una
spalla, per fermarlo o, forse, appoggiarlo. «James Olsen si
riferisce alla convinzione che lui, Clark Kent e Lois Lane hanno
sulla famiglia Luthor come membri dell'organizzazione quanto Zod e i
Gand. Qualcuno ha detto loro che erano coinvolti, dopotutto».
Alex
non trattenne un sorriso, trovando la cosa per un attimo divertente:
«Ma è assurdo! Se Lillian ne avesse fatto parte,
non avrebbe
sposato mia madre». Ricercò consensi, ma Lena
fissava ancora James.
Alex
non percepì il sussulto che ebbe provato a quelle parole.
«Quello
che James Olsen e i suoi amici non vogliono capire è che se
anche
questo dovrebbe rivelarsi vero, perché non metto in dubbio
che la
mia famiglia, in passato, possa aver fatto qualcosa di sconveniente,
non è un cognome a definire qualcuno e che, come Luthor,
posso
essere una brava persona quanto loro. Inutile che vi giriate attorno
in cerca di qualcosa che lo confermi: non troverete un singolo
quadretto con su scritto I
Luthor sono criminali»,
alzò il mento, mentre Lois le sorrideva con sfida.
«Ora. Volete
ancora restare per le vostre e fingere che non parliate della mia
famiglia alle mie spalle o provare a ricominciare daccapo e bere
qualcosa?».
Lois
Lane alzò una mano e si portò in piedi.
«Vediamo cosa offri, Lena
Luthor», la seguì in cucina e così fece
Alex, scuotendo la testa e
sbuffando: avrebbe dovuto bere parecchio, se voleva sopravvivere
anche a quella giornata. Rimasti soli in soggiorno, sia Clark che
James si scambiarono uno sguardo, rimuginando.
Nel
frattempo, la volante degli agenti del D.A.O. restò
parcheggiata
davanti a casa Gand. Avevano dovuto fare il giro tre volte per
trovare un punto libero dove farlo, considerando quante automobili
avevano circondato la struttura e quante persone, anche a piedi,
andavano e venivano dall'interno della casa. La porta era aperta e
Rhea accoglieva tutti con modi di fare garbati. Vestita con un
completo nero, singhiozzava e si stringeva a chiunque le portasse le
sue condoglianze: politici, commercianti, vecchi colleghi del marito
e amici, vicini di casa, sconosciuti che erano rimasti colpiti dalla
sua improvvisa scomparsa, elettori. Di tanto in tanto, la si poteva
scorgere a fare una smorfia con le labbra e asciugarsi delle lacrime
fantasma con un fazzoletto che si portava dietro; prima che si
fermasse a fissare in malo modo gli agenti di polizia che giravano
per le stanze, per lo meno. Le avevano detto che erano lì
nel caso
si fosse ripresentato suo figlio, ma non riusciva a fare a meno di
pensare che fossero spie di Dru Zod inviate per controllarla e non
aveva tempo, né l'occasione, per parlare a quattrocchi con
almeno
uno solo di loro.
Si
riavvicinò al tavolino con le foto del defunto marito e i
fiori,
toccandone una e singhiozzando, facendosi consolare dalle persone
intorno. Tutto stava procedendo bene. O così credeva:
spalancò gli
occhi e il corpo non riuscì a muoversi quando scorse Kara
Danvers
camminare in mezzo alla gente, sul suo salone. Cosa faceva
lì? Come
osava? Si mosse spedita verso di lei e, trovandola davanti,
improvvisamente la abbracciò. Kara e Megan spalancarono gli
occhi e
si guardarono, mentre la donna la stringeva tra i singhiozzi.
«Kara,
non credevo che ti avrei trovato qui. Sono così dispiaciuta
di aver
fatto il tuo nome, quando è successo. Sono stata
un'imprudente, ma
devi capire il mio stato d'animo… Volevo solo trovare un
responsabile, qualcuno da incolpare per avermelo portato
via».
Kara
manteneva gli occhi spalancati, ferma come una scultura di pietra.
Invece, Megan iniziò a trovare la cosa divertente e a
sorridere in
silenzio, indicando la donna agli occhi spiritati dell'amica:
«Dopo
fatti una doccia», ridacchiò e smise subito quando
il suo sguardo
incrociò quello di una vecchina in lacrime. «No,
io… emh. Scusi».
Si era completamente dimenticata di dove si trovasse e che non era il
caso di ridere.
«Qualcuno
da incolpare è piuttosto facile da trovare», emise
Kara a bassa
voce, mentre la donna prendeva le distanze.
«Basterà guardarsi allo
specchio».
«Tu
stai davvero suggerendo che possa essere stata io? Per quale mostro
mi dipingi», sorrise anche solo per un attimo,
«… stupida
ragazzina?».
«Lo
ha ucciso perché voleva confessare?».
«Era
diventato un ostacolo. Tu me lo hai messo contro»,
ringhiò,
singhiozzando di nuovo e portandosi il fazzoletto sul naso,
incontrando gli sguardi di altre persone e quello di un poliziotto,
che salutò con un movimento del capo.
Kara
guardò lo strano gesto con sospetto. «Oh,
dà a me la colpa? Crede
che ogni cosa che non le piaccia sia colpa mia? Dovrebbe andare in
psicoanalisi», scrollò le spalle, «Dopo
la galera, chiaramente.
Suo marito era una persona molto diversa da lei».
«Sì»,
annuì, «E tra i due, è lui a essere
morto», sibilò a denti
stretti. «Non paga di avermi messo contro mio marito, ti sei
presa
anche mio figlio?», la guardò di sbieco.
Megan
scambiò lo sguardo con l'amica, accigliandosi.
«Non sa dov'è?».
Lei
la guardò di malo modo, come se si fosse azzardata a parlare
senza
averne diritto. «Se lo sapessi, non avrei posto la
domanda».
«Non
l'ha digerita, non è vero?», riprese parola Kara e
la donna la
fissò. «Non le piace come sia riuscita a sfuggire
a quella
poliziotta. Aveva organizzato tutto in ogni dettaglio, fingendosi un
mio amico al cellulare. Ma le è andata male. Sono ancora
qui». Vide
Rhea Gand serrare con forza le labbra e Kara annuì.
«Sì, non l'ha
proprio digerita. Sappia che sarò pronta! Per qualsiasi
cosa, io ci
sarò».
Rhea
sorrise, passandosi il fazzoletto appallottolato sul naso un'altra
volta. «Sono felice che tu sia passata per portarmi le
condoglianze,
non lo dimenticherò».
Kara
annuì e lei e Megan si girarono per andarsene. Si fermarono
solo
un'ultima volta per guardare Lar Gand in foto e ricordare la sua
voce.
Lillian
era di cattivo umore. Il suo sogno, o meglio ancora incubo,
poi la sua discussione con Eliza, ora sua moglie non era passata nel
suo ufficio per pranzare insieme e, quando era andata a trovarla, le
aveva rivolto la parola appena. Eliza non conosceva le sue ragioni,
non poteva capire il motivo del suo rifiuto, e quel che era peggio,
era che non poteva fargliene parola. Era sua moglie, adesso, ma
avrebbe dovuto mantenere per sé quel segreto. Lo avrebbe
portato
nella tomba. Per di più, invece di essere alla Luthor Corp,
in quel
momento sarebbe stata in viaggio di nozze in costume da bagno e a
bere champagne se non fosse stato per quella donna. Era incredibile
come Rhea Gand riuscisse sempre a rovinare tutto. Ma non le avrebbe
toccato di nuovo la sua famiglia: quella era una certezza e si
sarebbe assicurata che lo capisse.
Per
questo aveva lasciato detto alla sua nuova segretaria di recapitare
per lei un messaggio a Eliza e, verso sera, era uscita dalla Luthor
Corp con tutta l'intenzione di fare una sosta prima di tornare in
villa. Casa Gand era ancora piena di persone: non avrebbe chiuso
quello sciocco teatrino che aveva allestito per almeno un'altra
mezzora. Povera Rhea, pensò Lillian, così stanca
da tutto quel via
vai. Quanti sacrifici per apparire agli occhi della gente come se
avesse dei sentimenti. La vide che scuoteva la testa, in un angolo
del soggiorno, parlando con alcuni uomini in giacca e cravatta.
Quante persone che volevano farle sentire il suo appoggio, a lei, che
era il male. A un certo punto pensò di cominciare ad
applaudire,
piano, godendo della sua espressione sorpresa. Le alzò gli
occhi e
li spalancò; le labbra le si irrigidirono. Era il momento di
calare
il sipario. Lillian sorrise, abbassando le mani.
«Congratulazioni,
Rhea», le disse, mentre molti si girarono per guardarla
allibiti.
«Sei sempre un passo avanti».
«Come
osi?!», starnazzò con odio, mostrando il suo vero
volto per pochi,
fugaci istanti. Riportò il fazzoletto sul viso e con sguardo
intristito si voltò verso gli uomini intorno a lei,
stringendo il
braccio di uno e sorpassandolo. Le riservò un'occhiataccia,
prima di
mettersi al centro del salone, accanto alle foto di suo marito, e
richiamare i presenti. «Sono molto stanca e ringrazio tutti
per
essere venuti a salutare accanto a me quel grand'uomo che era mio
marito, Larson Gand. Vi sono davvero grata per la compagnia, non lo
dimenticherò mai».
«Oh»,
borbottò Lillian, intanto che le persone si riunivano
intorno alla
donna per darle un ultimo, compianto saluto prima di uscire.
«Non
vorrei essere io la causa della chiusura. Mi sarebbe piaciuto
esprimere cordoglio di fronte a tutti». Alcuni si
avvicinarono anche
per salutare lei e si assicurò di essere gentile.
«Bastava
una letterina con un fiore, Luthor», le brontolò
di rimando a denti
stretti, «Senza il bisogno di precipitarti fin
qui».
«Giusto.
Perché tu sei qualcuno che ama fare le cose con basso
profilo,
dimenticavo. Per questo quando hai mandato qualcuno a uccidere la mia
figliastra, hai creato il panico in una stazione».
Rhea
deglutì e sbiancò. Con la paura che qualcuno
l'avesse potuta
sentire e perché si spingesse oltre, accelerò
l'uscita degli
ospiti, tirandoli verso il portone e ringraziando tutti, dicendo di
avere fretta. Lillian le sorrise compiaciuta, era impossibile non
notarlo. Appena la donna riuscì a far uscire tutti, perfino
l'ultima
vecchina che ancora stringeva in lacrime una foto di Lar che alla
fine le regalò, chiuse e si precipitò da lei
indicandola con il
dito indice destro, furiosa. Davvero furiosa. «Come osi
venire qui
con quella faccia tosta a rovinare la commemorazione per mio marito?!
Come osi accusarmi di fronte a tutte le persone che lui amava?! Con
che coraggio ti presenti qui e-».
«Toglimi
quel dito dalla faccia, Rhea», esclamò con calma,
interrompendola,
iniziando a fare un giro per il salone e guardando con dovizia i
fiori e le foto, prendendone una in mano: Lar Gand stringeva la mano
al sindaco, entrambi con un gran sorriso. «Era un uomo d'un
pezzo.
Ho sempre pensato che avesse dei ferrei principi, in fondo. Ma con
moglie te che riuscivi sempre a mettergli il bastone tra le ruote,
non è potuto emergere».
«Che
cosa vuoi, Lillian?». Prese fiato, fissandola con occhi
iniettati di
sangue.
«Siamo
entrambe vedove, adesso. Beh, io ho trovato la mia metà, se
non
altro», rimise la foto sul suo posto, senza degnarla di
sguardo.
Sentì i passi di qualcuno e poi Rhea Gand girarsi
velocemente verso
la porta e gridare:
«Esci
velocemente da qui, Joyce! Non ti ho chiesto di entrare, sparisci, ti
voglio fuori. Fuori». La ragazza scattò e
sentirono i passi correre
per il corridoio, sbandare, forse urtare qualcosa, ma correre fino a
sparire. Così si voltò di nuovo a lei:
«Ti avevo detto che non eri
capace di pensare alla tua famiglia».
Allora
anche Lillian si girò, passando le dita su alcuni fiori e
gettando
uno dei vasetti a terra, su un tappeto. Sapeva che avrebbe mandato
Rhea su tutte le furie e non per niente la fissò in
cagnesco, ma
senza aprire bocca. «Ricorderai… Quando Lionel
morì, ti
presentasti a casa mia. Lex era a Metropolis e Lena fuori con il suo
fidanzato o chissà con chi altro. Io ero da sola, con
Marielle. Ti
presentasti per sequestrare i computer, per controllare i documenti,
per mettere naso in ogni buco della mia casa. I tuoi uomini erano
ovunque». Diede un calcio al vasetto a terra, camminando sul
tappeto, facendolo rotolare gocciolante d'acqua fino al pavimento di
parquet.
«Tuo
marito voleva incastrarci tutti», si difese, ringhiando.
«Non
hai trovato nulla», sibilò stringendo i denti,
guardandola con
odio. «Ti chiesi se eri stata tu a ucciderlo».
«Non
ho ucciso io il tuo stupido marito», gracchiò,
stringendo i pugni
e, per un attimo, indicarla di nuovo. «Lo ribadisco. Se le
voci che
avrebbe fatto il traditore mi sarebbero arrivate prima, non ci avrei
pensato due volte a toglierlo di mezzo io stessa. Ma così
non è
stato. Si tratta solo di proteggere i propri interessi, lo sai, lo
hai fatto tu stessa. Ora ti ergi su un piedistallo come se fossi
superiore, ma non sei diversa da me, Lillian. Ti sei occupata
dell'autopsia, d'altronde. Perché sai che dev'essere stato
uno di
noi e hai dovuto proteggere te stessa di riflesso. Siamo due facce
della stessa medaglia».
Lillian
abbassò una mano e capovolse il tavolino, gettando a terra
fiori,
acqua, vetri rotti e foto. Ne calpestò una e Rhea la
guardò
immobile, forse troppo a lungo. «Non mi paragonare a te,
vigliacca:
hai ucciso l'unica persona sulla faccia della Terra che probabilmente
ti amava davvero. Per questo resterai sola con te stessa,
Rhea». Si
avvicinò a lei e la guardò negli occhi.
«Ti chiesi se eri stata tu
a ucciderlo, mi dicesti che non sapevi chi fosse stato e che saresti
stata felice di ucciderlo tu stessa se fosse stato un traditore,
sì.
Mi dicesti che non godevamo più della protezione
dell'organizzazione. Perché ci eravamo tirati fuori. Non
eravamo più
i presidenti, ma estranei. Ora ti dico una cosa, Rhea». La
prese per
il colletto e la donna alzò le mani, ma non provò
a sfiorarla.
«Avevi ragione: sono fuori dall'organizzazione, non sono
più la
presidente e non devo prendermi cura della classe beta. Avvicinati
anche solo di pochi metri di nuovo alla mia figliastra e ti
ucciderò.
Invia qualcuno a farlo per te e ti ucciderò. Tocca o manda
qualcuno
a farlo per te un membro qualsiasi
della mia famiglia e ti ucciderò. Dovunque tu sia, ti
troverò e
dovranno raccoglierti con un cucchiaino». La
lasciò e prese passo
per uscire.
Rhea
trattenne il fiato per un po' e, quando riuscì a respirare
di nuovo,
la fermò. Non gridò né alzò
affatto la voce, in effetti, ma si
fece sentire piuttosto chiaramente: «Kara Zor El era riuscita
a
convincere mio marito a rilasciare un'intervista in cui si prendeva
carico della morte dei suoi genitori biologici».
«Non
sarebbe la verità?», la guardò di
nuovo. «Anche se di certo
l'idea non era stata sua…».
«La
tua dolce figliastra sta scavando, Lillian. Se arriva a me, arriva a
te. Salteranno fuori i nomi di tutti e finirai in prigione. Dalle
spazio e un giorno, forse, condivideremo la stessa cella a Fort
Rozz».
Lillian
non rispose. Preferì andarsene e lasciarla alle sue
farneticazioni.
Ferdinand l'autista le aprì la portiera dell'auto scura e si
accomodò, accavallando le gambe. Farneticazioni,
già. Ma i Luthor
non erano riusciti a salvare gli El, né forse ci avevano
provato
abbastanza. Erano colpevoli. Se Kara era arrivata a loro, presto
sarebbe arrivata a lei e al suo segreto, e così la sua
famiglia, la
sua vita… tutto sarebbe stato distrutto.
Era
stata una lunga giornata. Clark Kent aveva raccontato di come Zod
riuscisse a catturare il suo interesse quando parlava di suo padre,
di come lo dipingeva un ragazzo in gamba, intelligente e forte. Di
come lui glielo ricordasse, per certi aspetti. Kara volle sapere di
cos'era andato a parlare con lui in centrale e Kal scrollò
le
spalle, dicendogli che lo aveva accolto come un vecchio amico, che lo
aveva fatto accomodare e che, alla sua domanda se faceva parte
dell'organizzazione che aveva assassinato i suoi genitori, aveva
risposto in un modo che forse avrebbe dovuto aspettarsi: Non
avrei mai fatto del male a Jor e a suo fratello.
«Quindi
è colpevole come i Gand», disse Kara, a quel
punto.
«No.
O meglio, non ne possiamo essere sicuri»,
controbatté Lois. «Ha
implicitamente detto che ne faceva parte, che ne fa parte tuttora e
questo già lo sapevamo, ma che lui non lo avrebbe fatto.
Mettiamo
che dica la verità e che tutte le storielle strappalacrime
che ha
raccontato a Clark siano reali: voleva bene al suo studente, allora
forse i Gand, i nostri maggiori sospettati-».
Lena
deglutì, a quelle parole, abbassando lo sguardo. Lei sapeva
per
certo che erano stati i Gand: suo padre lo aveva detto a Lex.
Però
non poteva dirlo o avrebbero voluto sapere come aveva avuto
quell'informazione e non era il momento, pensò, lanciando un
veloce
sguardo a Kara. Era già abbastanza grata che nessuno dei tre
avesse
detto a voce alta che Lex aveva rivelato il coinvolgimento sicuro
della sua famiglia, lasciando il dubbio.
«Li
hanno uccisi per lui», continuò Lois,
«perché non poteva farlo di
persona oppure,
come meglio lascia intendere, non lo sapeva», li
guardò uno per uno
e Lena annuì, mentre Alex sospirò e poi prese
parola:
«Non
conosciamo che tipo di ordine abbiano o avessero allora le persone
che ne facevano e ne fanno tuttora parte. Zod poteva essere un pesce
piccolo a cui non dicevano tutto, o lo avevano scavalcato».
«Giusto»,
annuì a sua volta Lois e Kara aggrottò la fronte.
«Faora
Hui parlava di salire
classe»,
disse, ricordando il breve dialogo con lei prima degli spari.
«Se mi
avesse ucciso, qualcuno l'avrebbe fatta salire di classe. Come un
premio. Era lì solo per quello».
«Dunque
la loro organizzazione si basa su classi?!»,
domandò Alex.
«È
stata Rhea», rispose e Clark la guardò,
prendendole una mano. «Rhea
le aveva promesso questa cosa. Dobbiamo incastrarla».
Verso
tardi, Alex tornò da Maggie che non vedeva l'ora di sfogarsi
sulla
sua giornata in centrale, mentre Lena e Kara accompagnarono Kal, Lois
e James in albergo. Lena aveva provato a invitarli a stare in villa,
ma loro avevano già prenotato per quella notte e l'indomani
sarebbero partiti presto per Metropolis; dovevano tornare al lavoro.
«Per
qualsiasi cosa, Kara. Qualsiasi», Kal l'aveva stretta a
sé, «Mi
devi chiamare».
«Anche
se scopro come sbattere in prigione Rhea Gand?», gli sorrise.
«Pensavo volessi restarne fuori».
«Lo
volevo», confessò, guardando Lois al suo fianco.
«Volevo andare
avanti con la mia vita, poi ho conosciuto Zod… Quell'uomo mi
era
entrato nella testa e-», la scosse, «Ed ero ancora
più sicuro di
voler andare avanti e lasciami tutto alle spalle. Ma questo riguarda
anche te, Kara. Non voglio interessarmi per Zod o per i miei genitori
che ricordo appena, ma per te. Voglio esserci per te».
Kara
lo strinse più forte e dopo abbracciò anche Lois.
Vicino
a loro, nel frattempo, James protese una mano verso Lena che
aspettava l'altra vicino alla porta della camera. Lei guardò
la mano
e dopo lui, così sciolse la posizione rigida e gliela
strinse,
intanto che il ragazzo sorrideva. «Volevo chiedetti
scusa».
«Uh»,
sforzò un sorriso, «Immagino non sia facile, per
te».
«No,
non lo è», ridacchiò. «Mi
sono comportato da scemo. Non penso che
tu sia solo il tuo cognome, voglio che tu lo sappia».
«Lieta
di sentirtelo dire».
Clark
li raggiunse per salutare Lena e così, rimaste sole, Kara
iniziò a
ridacchiare e si dondolò sui talloni solo un attimo,
guardando Lois
di straforo. «A-A proposito di Zod… Mi chiedevo,
giusto per
curiosità, se potessi dare-».
«No»,
rispose glaciale e Kara si corrucciò.
«Oh,
eddai, non avevo neanche finito».
«Non
ti lascerò dare uno sguardo alla mia lista sui possibili
membri
dell'organizzazione. Kara, potrebbe essere sbagliata e fare dei
danni. Non voglio influenzarti e…», prese fiato,
bloccandosi,
«Onestamente è giusto che tu segua una tua pista,
non la mia».
Uscirono
dall'hotel con Kara che continuava a sbuffare, in direzione del
parcheggio. Il profilo misterioso o Indigo che fosse non aveva ancora
visualizzato il messaggio, scoprì Lena dal cellulare,
così stava
per sospirare che un altro pesante sbuffo di Kara glielo
soffocò sul
nascere. «Non ha lasciato che vedessi la sua lista,
vero?».
«Devo
riuscire a convincerla», brontolò, guardandosi
intorno in cerca
dell'auto. «Ha ragione quando dice che dovrei trovare una
pista mia,
ma potrei… beh, potrei iniziare a creane una dalla sua.
Dopotutto,
aveva ragione su Zod».
Lena
la guardò furtivamente, poco avanti a lei. «Non ti
lascerà mai
vedere quella lista», sibilò nel silenzio del
parcheggio,
avvicinandosi alla macchina.
Kara
scrollò le spalle. «E perché mai? Ho
capito, non vuole
influenzarmi eccetera, però-».
Lena
la interruppe, fermandosi, diventando di colpo molto seria.
«Perché
sopra ci troveresti il nome dei Luthor».
Kara
si fermò a sua volta e, in un primo momento seria, poi
formò un
incerto sorriso. «Che vuoi dire? Lois sospetta dei
Luthor?». Il suo
sguardo era così fermo, notò. Non stava
scherzando? La vide
tremare, per un secondo. Diceva sul serio?
Lena
deglutì. «Perché è vero,
Kara», la guardò negli occhi. «I
Luthor ne facevano parte».
E
così… uno dei momenti più attesi di
questa storia è arrivato…
e io ve lo taglio tra un capitolo e l'altro :D Aemh,
perdonatemi, ma era d'obbligo!
Questo
è un capitolo pieno, tanti avvenimenti e anche qualche
chiarezza.
Per prima cosa: il rilascio di Rhea. Davvero Zod non aveva altra
scelta? Maggie vuole ancora credere in quell'uomo, nonostante ora
sappiano per certo che è parte dell'organizzazione. Abbiamo
scoperto
che Clark lo conosce: gli parlava di suo padre tempo fa
perché era
stato un suo insegnante e, per questa ragione, era entrato nel
“libro
nero” di Lois. Nel flashback d'inizio, vediamo Rhea scaldare
gli
animi nel gruppo e Astra attaccarla, convinta che potesse davvero
parlare con la sorella e farle cambiare idea, mentre Zod entra per
ultimo, arrabbiato, e fa notare alla prima di non aver avvertito i
presidenti della riunione. I presidenti erano nientepopodimeno che i
Luthor! Ve l'aspettavate? A confermarlo le stesse Rhea e Lillian nel
loro confronto. Le loro discussioni sempre sul filo del rasoio, eh XD
Anche grazie a loro abbiamo qualche informazione importante sulle
classi citate nel flashback e da Faora nel capitolo prima. Vi siete
fatti un'idea?
Intanto,
con la scoperta del lavoro di Alex, salta anche la copertura di John.
Kara è arrabbiata, ma se non altro ha ripreso a parlare con
la
sorella. Nel frattempo, gli Affari Interni hanno parlato con Alex e
John di Faora Hui e pare che ora siano preoccupati che li costringano
a chiudere la loro indagine contro l'organizzazione. Sta passando dei
guai anche Maggie perché la sua ragazza ha sparato a
un'agente!
E
non dimentichiamo della discussione tra Lillian ed Eliza:
c'è stato
un piccolo fraintendimento, ma dopotutto, Lillian non può
spiegarsi
meglio di così. Quella donna non accetta davvero che le loro
figlie
possano stare insieme!
E
ora… sì, finalmente Lena sta vuotando il sacco
con Kara. Se solo
Clark, Lois o James avessero detto, a voce alta, quando tutti erano
presenti, che era stato Lex a dire al primo dei Luthor che al tempo
erano coinvolti, sarebbe stata la fine. Lena ci ha provato e avrebbe
potuto insistere che era ancora tutto da dimostrare, ma era davvero
sollevata che non avessero continuato perché, a quel punto,
la
discussione sarebbe degenerata e non sarebbe finita bene. Ora ha il
tempo di dire tutto a Kara, da sole. Ma come la prenderà la
ragazza?
Con
questo capitolo, festeggiamo il compleanno di questa storia su EFP!!
Esattamente un anno fa, pubblicai il prologo e, senza dubbi, non mi
aspettavo che a distanza di un anno sarei stata ancora appresso a
questa fan fiction (ma quanto sono lenta D:)!
Piccole
curiosità ~
-
Quanto è cambiata questa storia da quando l'avevo in mente
un anno
fa ad oggi? Tantissimo. Avevo in mente delle linee base, dei punti
“focali” per orientarmi, un'idea di alcuni
personaggi da inserire
e quando, ma la verità è che la cosa si sta
trasformando tantissimo
intanto che vado avanti nella scrittura e nello sviluppo mentale. Mi
sono più chiare alcune cose che prima avevo solo abbozzato e
altre
si spiegano, ho dovuto aggiungere personaggi che all'inizio non mi
aspettavo (perfino Zod che ha ricoperto un vuoto, diventando
importante ai fini della trama), e mi sono resa conto, da sola, di
quanto sia grande, in un certo senso, l'intreccio all'interno della
storia e quanto curioso il rapporto causa/effetto degli eventi che mi
portano ad altri eventi. Che poi l'idea di base è
banalissima XD
-
Ebbene, lo confesso: quando ho iniziato a scrivere questa storia
c'erano due possibili svolgimenti e tutto partiva dalla morte di
Lionel Luthor. La sua morte è il centro della fan fiction.
Da
quello, c'erano due strade:
- non
investigare sulla sua morte, percorrere i punti focali comuni (uno dei
quali, era la separazione di Kara e Lena), qualche grattacapo (Rhea, ad
esempio) e andare dritti all'obiettivo sul finale
- investigare
sulla sua morte, percorrere i punti focali in comune e avere problemi
grossi, scoprire l'assassino, dare potere all'organizzazione (che,
nella prima strada, sarebbe stata solo di sfondo e non trattata) e
andare dritti verso l'obiettivo sul finale
Indovinate
quale ho scelto? XD I primi capitoli erano in comune a entrambi,
dall'ottavo avevo già scelto la mia strada (se ricordate, a
un certo
punto nelle note vi avevo chiesto cosa ne avreste pensato del cambio
di rating da giallo ad arancio: ora non ricordo quando esattamente
l'avevo chiesto, ma lì avevo già scelto quale
strada percorrere),
contando sulla morte dei genitori di Kara che, nella prima strada,
non sarebbe stata quasi affrontata. Cosa mi ha fatto scegliere? Una
serie di elementi: i vostri commenti a proposito sulla morte di
Lionel, il fatto che la seconda strada sarebbe stata una sfida
personale più ampia e la mia ispirazione, senza dubbio, mi
ha
portato lì. Sapete il sesto senso? Quello. Come se i
personaggi
nella mia testa avessero voluto approfondire e percorrere per bene
ogni passo di questa storia. Ho capito di aver preso la strada giusta
quando la mia mente ha cominciato ad aprirsi a tantissimi scenari in
cui sarei arrivata. L'assassino di Lionel Luthor solo nella seconda
strada sarebbe saltato fuori: merita di essere scoperto e di poter
raccontare la sua versione, perché è successo.
C'è
solo una “piccolissima”, anzi
tre,
cosette che mi fanno temere ogni volta per aver scelto questa strada.
Non che comunque me ne penta, sia chiaro, sono felice di poter
esplorare meglio e nel dettaglio ciò che avevo in mente,
perché
nella prima strada questo mi sarebbe stato impossibile,
però… La
prima è la paura di essere meno seguita: se è pur
vero che scrivo
per me stessa, ricevere i vostri pareri è importantissimo
che non ne
avete idea e pensare che possa annoiarvi, beh, mi mette un po'
“paura”. La seconda è la paura di non
riuscire a realizzare per
bene ciò che ho nella testa. E la terza
è… ma
porca miseria
quanto sto scrivendo; è OVVIO che, con la prima strada,
avrei
concluso molto prima, ahah! La lunghezza di questa fan fiction mi
preoccupa.
-
Giusto, per l'appunto, quante pagine di LibreOffice ho scritto
finora? Dopo un po' che il file dei capitoli diventa troppo pesante,
ne devo aprire uno nuovo. Due settimane fa ho iniziato il terzo file.
Per ora, sommando quelle scritte nei tre file, sono 542
pagine… Ed
è in corso!
-
Quanti capitoli saranno in tutto? Non ne ho idea! Che meraviglia
(a-i-u-t-o).
-
Dall'inizio, scrivo in un foglio di Blocco Note sul pc le linee base
per i capitoli a seguire fino a un certo punto. Man mano che vado
avanti nella scrittura, mi tocca rifare quella sul Blocco Note
perché
non va già più bene, diventa obsoleta in poco
tempo. Quindi potete
immaginare quanto tutto cambi durante la stesura da capitolo a
capitolo.
-
Una cosa curiosa che sarebbe dovuta accadere e che invece non
accadrà
mai: Lena avrebbe dovuto avere una mezza storia con James Olsen. Non
accadrà mai perché Lena a un certo punto si
è scoperta gay
(grazie, Leslie) e no, non era una cosa programmata ma è
successa e
basta. E sta bene così.
-
Un'altra cosa curiosa che non avevo programmato dall'inizio ma che,
alla fine, si è rivelato necessario perché mi
aiuta tantissimo ad
approfondire e fare il punto della questione sulla trama sono i
capitoli stand alone. L'unico che avevo seriamente programmato
dall'inizio è stato il capitolo quattro, quello di Lillian
ed Eliza,
perché mi sembrava doveroso far capire ai lettori come le
due erano
finite assieme o ci sarebbe stato un buco. E da lì ho
iniziato a
programmare gli altri, come ad esempio quello su Kara e Alex che
diventano sorelle, che è stato uno dei primi a venirmi in
mente.
Ancora
adesso non so bene quali saranno i prossimi stand alone, lo
capirò
dallo svolgimento della trama quale personaggio, o rapporto, merita
di essere approfondito in quel preciso momento.
-
Una piccola curiosità che riguarda me e il mio legame con la
fan fiction (e lo so, non ve ne
frega una
cipolla): sono
dislessica.
Amo scrivere e non è stato così da sempre, anzi,
un giorno ho
semplicemente iniziato e non ho più smesso, nonostante
tutto. Ho
scoperto di esserlo circa due anni fa, quando volevo diventare
scrittrice e provai a pubblicare. Ricevetti una recensione
così
brutta che mi buttò giù per diverso tempo.
È grazie a quella
brutta recensione, dopo una vita di non fai abbastanza,
non
ci sei ancora, sei bravina ma, potresti
fare di più
e via discorrendo, che cercai risposte sulla mia incapacità
di
emergere. È stato “bello” scoprire di
esserlo, perché aveva
tutto senso, compresi alcuni comportamenti, ma
“brutto” perché
dovevo accettare che non sarei mai stata davvero brava. Questo mi
aveva portato a non scrivere più, e così
è stato per quasi un
anno. Sapete qual è stato il mio nuovo inizio? Esatto,
questa fan
fiction.
Ho ripreso a scrivere da qui; era un esperimento, una sfida contro me
stessa.
Dopo
tutta questa marea di informazioni non richieste, vi propongo, se vi
va, di rispondere a una mia domanda, ora che siamo arrivati fin qui: secondo
te, chi ha ucciso Lionel Luthor? Domanda
di riserva se non vi piace l'altra o non sapete che dire: secondo
te, chi si nasconde dietro l'identità di X?
Sono
giusto curiosa di leggere le vostre idee, se ve le siete fatte! Non
abbiate
paura di dire "castronerie", tanto non risponderò a
nessuno con sì,
è giusto, o no, è sbagliato
XD E anche perché, ora come
ora, potete solo formulare ipotesi. Se, al contrario, avete voi una
domanda da fare a me, sono a vostra disposizione ;)
Bene.
E dopo aver scritto tante note quasi quanto è lungo il
capitolo, vi
lascio! L'appuntamento è per sabato 16 con il capitolo 39, Smettere
di scappare.
Avete idea di cosa accadrà?
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