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meglio crede)
Titolo:
Childhood's
End
Autore: pabbeyrene
Traduttore: _Madame_
Fandom: Bloodborne
(Videogioco)
Data di
pubblicazione: 19/10/2017 su Archive of Our Own (Ao3)
Rating: Arancione
Genere: Angst,
Drammatico, Malinconico
Tipo di coppia:
Note: Alternative
Universe (AU)-Canon Divergence, Canon-Typical Violence, Traduzione,
What if? (Fix-it of Sorts)
Avvertimenti:
Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Personaggi: Altri,
Djura, Eileen il Corvo, Figlie di Gascoigne
Trama: Un tempo i
cacciatori erano un fiero gruppo di fratelli d’arme; un tempo
la
piaga sembrava contrastabile. Quei giorni sono passati da tempo,
ormai. Nel caos di una città collassata su se stessa, due
bambine
sono state lasciate sole e spaventate. Ma due degli ultimi cacciatori
rimasti cono decisi a salvarle – a consegnarle alla luce del
sole
prima che la putrefazione e la rovina di Yharnam inghiottano tutti
loro.
Note
dell’autrice
(pebbeyrene)
Se presumete che
Henryk sia il “Nonno” delle bambine –
cosa che io credo –
senza tuttavia essere un parente biologico – cosa che io
credo pure
– allora perché anche gli altri cacciatori non
avrebbero dovuto
essersi guadagnati un ruolo all’interno della famiglia
Gascoigne?
Non penso vi sia
molto materiale nel gioco a supportare la mia versione sul passato
dei cacciatori, ma nemmeno che possa demolirla. Nel mettere insieme
la fic ho mantenuto le parti della lore di mio interesse, riducendo
quelle che non lo erano. Non credo, perciò, che questo sia
il modo
“corretto” né il più
supportato di interpretarla; si tratta
solamente di una lettura a mio parere interessante che mi è
stata
d’aiuto nel raccontare questa storia in particolare.
Aggiornamenti
mensili.
Note
della
traduttrice (_Madame_)
Inizio col
ringraziare di cuore tutti voi che avete deciso di dare una
possibilità a questa splendida fanfic. Si tratta della mia
prima
traduzione in assoluto, perciò se pensate che qualcosa
strida non
fatevi problemi a riferirmelo, anzi! Tutti i consigli sono
(più che)
ben accetti!
Vi avverto fin da
subito che la pubblicazione dei vari capitoli potrebbe risultare un
po’ (tanto) lenta,
poiché tra impegni vari e le
mie strambe pignolerie ne uscirà fuori una quaresima
– ergo,
rispetto a quanto affermato da pabbeyrene, non aspettatevi
aggiornamenti mensili.
Per il resto, vi
auguro una buona lettura. Spero che questa storia possa intrigarvi
tanto quanto ha intrigato me.
Qui il link della
storia in lingua originale https://archiveofourown.org/works/12404403
e quello del profilo
dell’autrice
https://archiveofourown.org/users/pabbeyrene/pseuds/babbeyrene
Se siete iscritti su
Ao3, vi invito caldamente a leggere, commentare e supportare la
storia.
Childhood’s
End di pebbeyrene
Traduzione
a cura di _Madame_
Capitolo
1:
Crepuscolo
Il
sole
non era ancora tramontato, eppure era come se la notte fosse
già
iniziata: l’aria era pregna della morbosa energia che
caratterizzava la caccia.
E
ciò
che Eileen aveva udito sgattaiolare dietro l’angolo non era
una
belva.
L’età
non aveva ancora attenuato il suo udito, e il suo istinto era ben
affinato. Sapeva come distinguere le belve dagli uomini. Le porte
intorno a lei erano già serrate strette, tutte le persone
rispettabili si erano arroccate al sicuro nelle loro case,
così
Eileen snudò le sue lame; ma lentamente, con cautela,
ricordò a se
stessa. Non sarebbe stata la prima volta che una povera anima
indifesa si ritrovava intrappolata sulla strada con la notte ormai
prossima.
Girò
l’angolo. Vuoto: un vicolo cieco, con alte bare accatastate
disordinatamente, che proiettavano le loro larghe ombre nella pallida
luce. Nessuno in vista. Uno dei feretri era accasciato sul lato,
quasi in orizzontale, e non era chiuso.
«Ah,
in tal caso» disse Eileen. «Vieni fuori, adesso:
non ti farò del male se tu non cercherai
di farne
a me.»
Non
diede alla sua preda il tempo di coglierla di sorpresa.
Spalancò il
coperchio, trovando due spaventati occhi marroni che la fissavano da
un visetto familiare.
Le
ci volle un attimo
per superare
lo
sbigottimento.
«Di
tutte le
cose che si potrebbero
trovare in una bara» riuscì finalmente a dire.
«Adele Gascoigne,
che diamine hai combinato?»
«Zietta
Eileen!» La voce della bambina s’incrinò
di sollievo. «Non
sapevo chi stesse arrivando. Ero così spaventata –»
Si
arrampicò
affannosamente
fuori dalla bara vuota, aggrappandosi alle braccia di Eileen in cerca
d’equilibrio; la
cacciatrice
si premurò
di tenere le sue lame a
distanza.
Una volta che
Adele si fu messa in piedi, le rinfoderò stringendo
il polso
della
bambina.
«Ovvio
non sapessi chi stesse arrivando. Che ti
è saltato in mente,
ragazzina, uscire da sola nella notte della caccia?
Dov’è tuo
padre?»
«Non
lo so,» rispose
Adele. Allungò
la mano libera aggrappandosi al mantello di piume di Eileen, quasi
temesse di vederla volare via. «Non
è rincasato,
e Mamma
è uscita a cercarlo, però non è
più tornata, ed
è ormai passato un
secolo –
temevamo
si fosse persa da qualche parte, chiusa fuori, stavo andando a
chiedere ai nostri vicini se l’avessero vista, sentire
se stesse tornando indietro
–
o
vedere se riuscivo a trovare il Nonno
–
o
–
o
–»
Gli
occhi le si
riempirono di lacrime mentre gli spaventi della serata emergevano in
lei.
Eileen
a malapena se ne accorse. Gascoigne
scomparso – non poteva
significare nulla di buono, non
con
la piega che aveva preso in
quegli
ultimi mesi.
Provò
a pensare
se avesse visto
qualche traccia di lui, ma quella sera era concentrata su altre
prede.
Un
cacciatore delirante
era un
pericolo per se stesso, ma
per Viola che era andata a cercarlo – doveva
esser stata veramente sconvolta,
tanto
sconvolta
da abbandonare il suo solito buonsenso. La
donna sapeva come usare un’arma da fuoco, ma
si era sempre rifiutata di farsi insegnare altro dagli amici di suo
marito, non volendo essere
coinvolta
oltre nel
mondo della caccia. Eileen
ne aveva rispettato la decisione, a patto che Viola imparasse
abbastanza da tenersi lontana dal pericolo. Ma ora…
Gascoigne
svanito,
probabilmente mutato, sua moglie sola e quasi del tutto indifesa con
la notte della caccia alle porte: e due bambine lasciate
indietro.
«Calmati,
adesso,»
disse Eileen dando ad Adele una gentile scrollata. «Calma.
Dov’è tua sorella?»
«A-a
casa. Le ho detto di a-aspettare, di non far entrare
nessuno.» Adele
tirò più volte su col naso.
«D’accordo.
Torniamo
a casa e vedremo cosa potrà essere fatto. Andiamo, adesso. Non
aggrapparti a me in questo modo – Non sarò in
grado di raggiungere
le mie lame.»
Ma
lì
le
strade erano abbastanza tranquille, a
quell’ora,
e la casa era vicina. Solo
in
un’occasione,
in un vicolo, videro muoversi qualcosa e sentirono ansare,
un inumano
respiro,
ma sgusciando
via
velocemente la
cosa
non le seguì. Adele le
veniva dietro tenendo di
nascosto
un lembo del suo
mantello. Ad Eileen non piaceva essere
impacciata,
seppur così lievemente,
ma tenne a freno la lingua.
Adele
la spinse via dalla porta principale una volta che ebbero raggiunto
la casa della sua famiglia.
«Ho
detto a Laure di non lasciare entrare nessuno che bussi alla
porta»
disse. La condusse invece ad una finestra laterale, e
picchiettò sul
vetro.
Laure
doveva esser rimasta in attesa lì vicino, perché
le rispose quasi
subito.
«Addie?»
«Sono
io, Laure. Ho trovato Zia Eileen. Apri la porta.»
Poterono
sentire la sedia raschiare
sul pavimento appena
Laure si
precipitò
fuori
dalla stanza. La ritrovarono alla porta
e Adele si preoccupò di richiudere tutte le serrature
non appena furono scivolate all’interno.
«Zietta
Eileen!» esclamò Laure cercando le mani della
cacciatrice per
aggrapparvisi.
«Ciao,
piccolina. Lasciami togliere la maschera.» Le
bambine si erano preoccupate d’aver cura dei bastoncini
d’incenso
nell’ingresso e la casa era piena del suo intenso profumo; avrebbe
potuto fare a meno della protezione della sua maschera per qualche
istante.
«Tu
sai dove sono Mamma e Papà?» chiese Laure.
«No,
Laure. Non sapevo nemmeno che fossero scomparsi. Quando li avete
visti per l’ultima volta?»
Adele
serrò
l’ultimo chiavistello, alzandosi in punta dei piedi per
raggiungerlo. «Papà se
ne è andato per
l’ultima
caccia e non è
più tornato. Mamma è uscita questa mattina, dicendo
che ci avrebbe contattato per l’ora di pranzo. Ma non
l’ha fatto,
e tutti
i servitori
se ne sono andati, e
loro
ci avevano assicurato che
ci
avrebbero informate
qualora
avessero saputo
qualcosa, ma non abbiamo ricevuto notizie
da nessuno per
tutto il
giorno.»
«Capisco.»
Il cipiglio di Eileen s’incupì ulteriormente. «E
come vi
è sembrato
vostro padre, in questi ultimi giorni?»
Entrambe
le bambine rimasero per un po’ in silenzio, prima che Laure
dicesse
finalmente: «Strano.»
Adele
andò dalla sorella prendendola per mano. «Zia
Eileen, cosa dovremmo
fare? La casa è sigillata ma abbiamo già usato un
sacco d’incenso.
E le belve si sono fatte così vicine, l’ultima
volta, e ce n’erano
così tante...»
Eileen
guardò le due bambine, una di fianco all’altra, i loro
volti pallidi e supplicanti: Adele con i suoi capelli chiari
e il
vestito
in ordine, e Laure, luminosi boccoli castani ad incorniciarle le
guance paffute. Sembravano
le santerelle
protagoniste di una
qualche storia per ragazzini
ostinati,
le bambine
ubbidienti
con i
genitori e che
recitavano le loro
preghiere
e
per questo venivano ricompensate, mentre Wicked Winifred1
si rimpinzava di dolcetti morendo per il sangue cinereo.
Non
poteva lasciarle lì. Sarebbero
potute star bene,
rannicchiate per tutta la notte e lì
a togliere
i catenacci
dalle
porte al sorgere
del
sole; ma
se fosse
successo qualcosa, se
l’incenso si fosse esaurito, se le belve si fossero fatte
più
audaci… Adele aveva appena undici anni, Laure non
ancora
otto. Non
ci si poteva aspettare che fossero
in grado di
difendersi
da sole o
saper
far fronte ad
una qualche
emergenza.
Ma
Eileen aveva del lavoro da svolgere
quella notte.
Poteva quasi sentire il sole strisciare più in basso nel
cielo,
assaporare la crescente follia nell’aria. Aveva un
bersaglio
– forse due, adesso – e in
una notte già così problematica, sicuramente ne
sarebbero
spuntati
altri.
Non
poteva tenere le
bambine
con sé.
«Avete
dei vestiti più scuri?» Chiese, osservando il
vestito bianco di
Laure e quello grigio pallido
di Adele. «Quelli rifletterebbero la luce.»
«Abbiamo
i nostri abiti da lutto, quelli del funerale di nostro
nonno», disse
Laure. «Il nostro vero nonno, non il Nonno»
chiarì, come se Eileen
potesse altrimenti convincersi che Henryk fosse morto da oltre un
anno.
Se
solo.
«Indossateli,
veloci. Pettinatevi i capelli all’indietro e vedete se
riuscite a
trovare della cenere per sporcarvi il viso.»
Laure
si avviò verso le scale, stringendo ancora la mano della
sorella, ma
Adele si
voltò.
«Stiamo uscendo di casa?» Chiese. «Dove
stiamo andando?»
«Non
ho ancora deciso. Andate, adesso.»
Sparirono
su per le scale ed Eileen si mise al lavoro.
Spalancò
le porte del salotto. Una piccola lanterna bruciava vicino alla
finestra, il posto di guardia di Laure; Eileen la spense gettando la
stanza nelle ombre nere e oro del crepuscolo. L’aria era
densa e
pesante poiché porte
e finestre erano state serrate,
ma tutto era pulito,
ricoperto solamente da un sottile strato di polvere, e le ricordava
molto gli anni in cui quella casa era stata un vivace luogo di
ritrovo notturno per ogni
genere
di cacciatore.
Viola
aveva sempre accolto di
buon grado il
costante
flusso di cacciatori nella sua piccola fortezza ordinata, lasciandosi
sfuggire un sospiro solamente quando questi le si sedevano sulla
mobilia con gli abiti insanguinati. Nelle notti della caccia spesso
congedava i servi restando ad aspettare da sola per tutta
la notte,
facendosi
trovare con
un buon
stufato denso
pronto all’alba.
Partecipava
a tutti i
loro incontri, ascoltava attentamente, facendo domande e discutendo
con il resto di loro. Sebbene si fosse rifiutata di prender parte
alla caccia, aveva insistito sul fatto che lei avrebbe saputo cosa
faceva
suo marito e avrebbe avuto voce in capitolo.
La
casa dei Gascoigne non era l’opzione
più ovvia
per un punto
di raduno.
L’imponente prete dava sovente
l’impressione
d’essere
nient’altro che un bruto. Eileen
stessa era
rimasta
spesso sorpresa
quando invitata
nella
casa
l’aveva trovato
concentrato sulle sue scritture,
il libro sacro come
rimpicciolito
tra le sue gigantesche
mani. Ma
le
riunioni
avevano
dimostrato come
lui fosse un
uomo di
vivaci opinioni.
Ricordava
bene una notte – una notte all’inizio
della fine, ripensandoci
a posteriori – quando il rispettoso dibattito sulla
piaga dilagante
si era
trasformato in un infiammato
litigio,
come
sempre più spesso era solito succedere in quel periodo. Gascoigne,
furioso, quasi ruggendo,
aveva brandito il suo testo sacro; Djura, parimenti irritato, già
ben oltre il
baratro
della
sua stessa
follia,
glielo
l’aveva
schiaffeggiato
via di mano.
Per un
attimo era
sembrato stessero
per
venire alle mani – poi la porta della cucina si era
spalancata, e
lì vi
era
la piccola Laure Gascoigne. Una
mano sull’uscio,
l’altra sul fianco, aveva
freddamente
ispezionato
la
stanza piena di
assassini sanguinari e
detto,
con l’innocente audacia
propria di un bambino che ha
trovato una solida scusa per rimproverare i grandi: «Potreste
voi
tutti abbassare la voce? Adele non riesce a dormire, e mi farete
venire gli incubi.»
Gascoigne
si era affrettato a riportare la figlia a letto, mentre Djura era
sgattaiolato fuori dalla porta sul retro prima che lui tornasse. Ma,
da allora, se
il tono delle voci si era abbassato, i conflitti tra loro non avevano
fatto
che crescere.
La piaga
si diffondeva
rapidamente, le bestie crescevano in audacia e mostruosità;
le cacce
erano più frequenti e le notti più lunghe. Sempre
più cacciatori
si erano arresi al richiamo del sangue. Ad
ogni nuovo raduno,
Eileen
poteva
sentire su
di sé le
occhiate
diffidenti
degli altri cacciatori, fissarla
quando convinti che il suo sguardo fosse altrove, quasi
si aspettassero di vedere il sangue dei loro compagni grondare ancora
dai suoi vestiti. Gli
incontri a tarda notte, un tempo fonte
di faticato
cameratismo, si
diradarono,
diventarono meno frequenti, più rabbiosi. Finché
non cessarono
definitivamente.
Eileen
poteva sentire i passi di Laure e Adele al piano di sopra. Dove
portarle? Chi era rimasto? Di chi poteva fidarsi?
Andò
in cucina, ricordando la notte in cui una bambina in camicia da notte
li aveva involontariamente salvati da uno spargimento di sangue. Non
aveva più visto Djura da che era scomparso dentro Old
Yharnam, anche
se le era capitato d’udirlo, una volta o due, mentre
inseguiva i
suoi bersagli attraverso il quartiere abbandonato. Quella
sua torre poteva essere uno dei luoghi più sicuri della
città, a
patto che tu riuscissi a raggiungerla; e
poi lui aveva
conosciuto
le
bambine, si era
preso cura di
loro, come
tutti loro
del
resto. Non
aveva tenuto
troppo in conto il
vecchio
pazzo, ma poteva
fidarsi
di lui? Suppose
in un certo senso di
sì.
Si
fidava di lui quanto ci
si sarebbe potuti fidare di un orologio guasto: lei
non aveva mai controllato
il suo
orologio interiore,
ma sapeva esattamente cosa voleva
fare,
quando e perché.
Eileen
sentì dei passi scendere le scale, e tornò
nell’ingresso per
riunirsi alle bambine. Chiaramente erano riuscite a trovare i loro
abiti da lutto, sebbene i vestiti vecchi di un anno sembrassero
stretti per entrambe, e gli orli più corti del dovuto
– tuttavia,
perlomeno, si sarebbero potuti rivelare una benedizione qualora
avessero dovuto muoversi velocemente. Si erano legate i capelli e
sporcate il viso di cenere, come da istruzioni, sebbene Laure
sembrasse aver preso l’incarico con più entusiasmo
della sorella,
e si fosse sporcata con più cura: aveva le mani ancora nere.
Eileen
si sfilò i guanti, grattò via un po’ di
cenere dalle mani della
bambina passandone in buona misura sui lunghi capelli chiari di
Adele.
«Ecco,
fatto. Sarai più difficile da individuare in questo modo. Vi
ricordate di Djura? Stiamo andando nella parte vecchia della
città,
per trovarlo. Sarete al sicuro con lui finché non
sarà mattino.»
«Zio
Djura?» chiese Adele. Il suo viso
s’illuminò per un attimo, a
buona ragione: Djura
non era
riuscito
a rovinare le due giovani Gascoigne corrompendole durante de sue
visite, ma certo non era stato per mancanza di tentativi.
«Ha
costruito il suo covo in un’alta, vecchia torre orologiaia
nel
quartiere vecchio,» disse Eileen. Si rimise la maschera,
stringendola bene. «Statemi accanto, bambine, e fate
silenzio.»
«E tu
cercherai Mamma e Papà, non è vero, Zietta
Eileen?» chiese Laure.
«Lo
farò.
Lo prometto.» Eileen aprì i chiavistelli e le
serrature della
porta, accompagnando le bambine fuori sui gradini. Adele
agguantò
nuovamente il suo mantello; Laure le si accoccolò contro.
«Papà ha
detto che Zio Djura è impazzito,» disse Laure, con
la stessa
limpidezza con cui avrebbe potuto dire, Papà ha
detto che Zio
Djura è partito per un lungo viaggio ai tropici.
«Sì,
beh,» disse Eileen, «Tutti indossiamo la follia in
modi diversi.
Non avete nulla da temere da lui.»
«Lo
so,» disse Laure, suonando leggermente offesa.
«Venite,
allora.» Eileen prese ciascuna bambina per le spalle,
conducendole
nell’oscurità.
Eileen
udì la belva appena in tempo. Spinse le ragazze dietro di
sé con
una mano mentre con l’altra fendeva l’aria con la
lama. Parò
l’attacco della belva, affondando nella pelle e nei muscoli
appena
sotto la sua gola e facendola cadere all’indietro. Una
piccola parte allertata
della sua coscienza sentì le bambine sbattere
contro la soglia
alle sue
spalle: quindi salve, per il momento, perciò
scattò in
avanti attaccando prima che la cosa potesse trovare un punto
d’appoggio. Tre tagli netti sul collo: e poi ci fu silenzio.
Rimase
immobile, ansando, tutti i sensi allerta. Solo adesso riconosceva
esattamente cosa le avesse attaccate: una delle enormi creature-lupo,
il tipo che era solito muoversi in branco. C’erano diversi
vicoli
scuri che si connettevano al cortiletto che stavano percorrendo,
offrendo molti punti bui nei quali un’altra belva avrebbe
potuto
nascondersi. Aspettò, orecchie tese, ma non udì
nessun altro
movimento, ed infine tornò dalle bambine.
Erano
rannicchiate sulla veranda, gli occhi sbarrati, strette l’una
nelle
braccia dell’altra.
«È
morto?» sussurrò Laure.
«Sì.
È morto.»
«Ti
ha morsa?»
Un
attimo di confusione: poi Eileen ricordò che la cosa aveva
cercato
di chiudere i denti attorno al suo braccio, mentre la stava finendo.
Nella foga del momento non ci aveva fatto caso. Esaminò
l’arto
sinistro: la manica era strappata e zuppa di bava, ma poteva
affermare con certezza che la belva non aveva scalfito la pelle.
«No.
So bene. E anche fosse ho sangue a sufficienza per rimediare al
peggio,» disse, toccando le fiale che aveva allacciate in
vita.
Lo
sguardo di Adele era fisso sul cadavere. «È
arrivato così
velocemente,» sussurrò. Si rimise lentamente in
piedi tirando sua
sorella su con sé. «Ce ne sono altri?»
«A
Yharnam? Sì, molti.» Eileen
sapeva non essere
ciò che Adele stava chiedendo, ma era turbata.
Le
creature-lupo erano semplici animali, al di sotto degli effetti della
piaga; non era solita vederle per le strade prima della mezzanotte
–
non lì nel distretto centrale, e certamente non con il sole
ancora
alto nel cielo. Negli ultimi tempi le cacce si erano fatte sempre
più
caotiche ed imprevedibili, ma non aveva mai visto nulla del genere.
Avvertì il gelo attanagliarle il petto e lottò
per scacciarlo.
«Non
ne avverto altri in giro,» disse ad Adele, «ma
dovremo stare molto
più attente proseguendo.»
«Quanto
lontano?» chiese Laure.
«Tanto
ancora. Tuttavia –» Eileen si fermò,
riflettendo «– potrebbe
esserci una via più veloce. Venite, adesso, veloci, prima
che ne
arrivino altri.»
Adele
stava ancora fissando la belva maciullata con repulsione mista a
fascino; la sua faccia era pallida sotto la cenere. Era certamente
uno spettacolo orribile – i denti digrignati
in un ringhio e viscidi del sangue della creatura, gli squarci nella
sua gola divelti a rivelare strati di carne e scorci di osso bianco e
rosa. Queste cose
avevano smesso da
tempo di disturbare Eileen, o anche solo di attirarne
l’attenzione;
ma le
sembrò di rivedersi attraverso gli occhi di Adele. Non
aveva alcun senso coccolare
le bambine, ovviamente, eppure…
«Adele,»
disse più bruscamente di quanto intendesse «vieni,
andiamocene.»
Laure
era già accanto ad Eileen cercando di
afferrarle il braccio
– ma lei
sfilò via
la mano, velocemente,
guardando la striscia di sangue sul suo
palmo.
«Oh,»
mormorò.
«Sì,»
disse Eileen, «è sangue, mi aspetto
d’esserne ben ricoperta; sii contenta che si tratti del suo e
non
del mio. Questo è ciò che fanno i cacciatori,
piccola, incluso tuo
padre. È un lavoro spietato, ma dev’essere fatto.»
«Lo
so» disse coraggiosamente Laure.
«Silenzio,
allora, entrambe, e seguitemi.»
Le
bambine avevano
avuto ben
poco di che rallegrarsi in precedenza, ma in quel momento
il
loro silenzio aveva acquistato una sbalorditiva solennità.
Eileen le
guidò fuori dal cortile, attraverso una piazza e
giù per una rampa
di scale, i suoi sensi si sforzavano di rilevare il minimo rumore o
movimento tra le ombre. Arrivarono ad un cancello arrugginito
incassato in un muro, abbastanza largo perché un adulto
potesse
attraversarlo solamente stando a carponi. C’era un lucchetto,
ma
Eileen lo sapeva da tempo arrugginito e rotto; aprì il
cancello
ottenendo ben poca resistenza.
«Passeremo
attraverso le fogne,» disse. «In questo modo
possiamo accorciare un
percorso altrimenti più lungo. State vicine e seguitemi,
adesso.»
Era una scommessa, ma Eileen si sentiva sicura delle
probabilità: se
disgustose belve suppuravano in alcuni degli angoli più
oscuri
dell’elaborato sistema fognario di Yharnam, i percorsi
principali
erano generalmente tenuti puliti dai cacciatori che li usavano per
muoversi rapidamente attraverso la città. C’era un
tratto che
avrebbe permesso loro di tagliare dritto attraverso le altrimenti
labirintiche strade soprastanti. Avrebbero potuto dimezzare il loro
tempo di viaggio e concedere meno opportunità alle belve di
sorprenderle.
Eileen
accese un fiammifero, e illuminò la lanterna fissandosela
con cura
alla cintura. Poi si accovacciò attraverso il cancello e
prese a
gattonare.
«Le
fogne?» disse Adele dietro di lei. Eileen poteva quasi
sentire in
suo naso storcersi.
«Le
fogne!» disse Laure, entusiasta per l’avventura,
correndole
dietro.
Arrancarono
per un breve tratto attraverso i liquami fangosi dell’ultimo
temporale, finché Eileen non si diresse ad una scala
scendendo. Si
erano calate non più della metà quando Laure
sopra di lei
improvvisamente sibilò: «Oh! Che puzza!»
«È
una fogna, Laure,» disse Eileen, quasi divertita.
«Non ci si svuota
l’acqua di rose.»
L’incenso
e le erbe presenti nella sua maschera la proteggevano
dall’odore
peggiore, ma quando i suoi stivali calpestarono il miscuglio paludoso
sottostante, persino lei sentì qualcosa di pesante, umido e
nauseante premerle contro il naso.
«Vieni
avanti, Laure,» disse Eileen con impazienza; Laure si era
fermata
sul gradino più basso, con una mano premuta su naso e bocca,
ovviamente riluttante ad addentrarsi nella melma.
«Vai
avanti, Laure,» sussurrò Adele
dall’alto, che aveva usato la
pausa per tappasti il naso.
Laure
chiuse gli occhi e saltò giù dalla scala,
emettendo un piccolo
lamento infelice mentre i suoi stivali affondavano. Adele la
seguì.
Entrambe le bambine ora stavano in piedi con le mani strette sui loro
volti, gli occhi pieni di lacrime; improvvisamente Eileen si
sentì
leggermente in colpa per il fatto d’essere l’unica
ad indossare
una maschera.
«Non
è così brutto una volta che ci si è
abituati,» improvvisò,
piuttosto scettica riguardo la veridicità della cosa. Le
spinse in
avanti lasciando il riparo del vicoletto cieco dov’erano
scese ed
entrando in uno spazio sorprendentemente alto lì avanti. Una
volta
Eileen aveva conosciuto un paio di cacciatori che sia erano allenati
con gli studenti di Byrgenwerth prima d’aver capito di
preferire il
brivido della caccia; non erano riusciti a lasciarsi alle spalle il
mondo accademico, e Eileen ricordava vagamente il loro vaneggiamenti
sul come le fogne fossero un eccellente esempio della stratificazione
archeologica di Yharnam, essendo state catacombe un tempo, e forse
ancor prima luoghi rituali sacri. Eileen non aveva prestato molta
attenzione. Quei due non erano durati molto a lungo.
Se
quella parte delle fogne era fortunatamente aperta, con pochi angoli
bui nei quali avrebbero potuto annidarsi delle belve, l’odore
non
era migliore, e Laure
aveva
preso
a piagnucolare man mano che s’immergevano sempre
più nelle
profondità di Yharnam.
«Non
potremmo...» iniziò col dire, quando
improvvisamente emise un verso
strozzato, in preda al panico perdendo l’equilibrio. Adele
allungò
una mano per afferrarla iniziando a tirare – ad Eileen ci
volle un
istante per distinguere la figura ricoperta di fanghiglia di un ghoul
di fogna con le sue disgustose dita avvolte attorno alla caviglia di
Laure. Si lanciò in avanti, estrasse le sue lame e
tagliò via la
mano dal polso senza pensarci; una volta riacquistati tutti i sensi,
guidò il pugnale nella gola della cosa per precauzione. La
lama si
conficcò ed Eileen fece lefa col suo piede calciando via la
cosa;
questa volò all’indietro, la testa mezza mozzata
dondolava
grottescamente.
«Sangue
divino,» imprecò Eileen,
«maledizione...».
Occhi
spalancati, mani premute sulla sua bocca, Laure respirava
affannosamente, in preda al panico, inalando maggior aria viziata, la
quale non faceva che farla stare peggio – Adele, stretta a
sua
sorella, le braccia attorno alla vita, guardava disperatamente
Eileen. La cacciatrice non si diede il tempo di pensare. Le sue dita
corsero alle chiusure della sua maschera, strappandosela via dalla
faccia. Il tanfo le fece lacrimare gli occhi, ma la tenne sul viso di
Laure – «Ecco, Laure, respira questo,
respira» – iniziando ad
allacciarla.
«Ne
ho solo una –» iniziò a dire ad Adele.
«Dalla
a lei,» disse coraggiosamente Adele, «va bene
così, Zia Eileen.»
Naturalmente,
la maschera era troppo grande, ma Eileen
l’allacciò il più
stretto possibile tenendola in posizione. Il fetore del liquame era
quasi insopportabile, ma alla cacciatrice parve di sentire anche
l’odore di qualcos’altro, sotto di esso, qualcosa
di rancido e
aspro: l’odore della belva.
Te
lo stai immaginando, te lo stai solamente immaginando, vecchia
stupida, si disse Eileen, cercando
d’imbrigliare il
crescente terrore. Non ti metterai a ringhiare e sbavare sopo
soli
pochi minuti.
Tenendo
la bocca ben chiusa, Eileen fece un cenno ad Adele ed
agguantò
Laure; un
po’ trascinandola
e un po’ portandola, scattò in avanti, Adele al
suo fianco, e le
tre si misero a correre fuggendo.
1
Wicked
Winifred: è
un personaggio negativo,
incarnazione di tutti i difetti umani, tipico
del folklore anglosassone. Agli
inizi del XIX secolo nel Regno Unito era comune la
letteratura
per bambini di
tipo moralistico e didattico. L’autrice (pabbeyrene) ha
immaginato
che anche a Yharnam potessero esserci dei libri scritti per insegnare
l’educazione ai bambini, con personaggi positivi, premiati
per la
loro bontà o negativi che alla fine vengono
puniti per i loro crimini. Wicked Winifred è un esempio di
quest’ultima categoria di
figure narrative.
Note
di fine capitolo (di
pabbeyrene)
So
esserci del dibattito sulla sorella Gascoigne più anziana a
causa
della sua inquietante linea di dialogo finale. Per quel che vale,
penso lei sia chi afferma di essere e non credo volesse realmente che
sua sorella si facesse del male. Onestamente non amo particolarmente
quest’ultima battuta (penso complichi solamente la storia
senza
arricchirla). Preferisco leggerla come l’effetto della luna
di
sangue su di una bambina terrorizzata e segnata dal dolore, e non
come l’indice di qualcosa di più sinistro.
Un’argomentazione un
po’ debole, forse, ma sentitevi liberi di considerarlo un AU
se non
vi trovate d’accordo. (Beh, un AU più d quello che
è già). Ho
inserito alcune implicazioni di quella particolare lettura nella mia
caratterizzazione di Adele, ma non entreranno in gioco se non un
po’
più in là nella storia.
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