I.
Le
ombre della notte
Se
glielo avessero chiesto, Travis avrebbe negato. Non avrebbe ammesso
di aver continuato a frequentare quel diner a Times Square, dove
sovente si
ritrovavano alcuni suoi colleghi di lavoro durante la pausa, nella
speranza di
rivedere quel giovane damerino su cui aveva imprudentemente soffermato
il
proprio sguardo fin troppo a lungo la prima volta che lo aveva visto.
Ancora
non lo aveva ammesso nemmeno a sé stesso. Il solo pensiero
lo
faceva sentire ridicolo, grottesco, come una di quelle volgari
barzellette che
il Mago raccontava a voce fin troppo alta e di cui lui stesso rideva
sguaiatamente, aggiudicandosi i legittimi sguardi infastiditi dalle
cameriere
di turno.
Eppure,
doveva riconoscerlo, Travis si sentiva affascinato da
quell’uomo. E non gli capitava spesso di sentirsi, in qualche
modo, succube di
un certo magnetismo da parte di qualcun altro, non quando passava
intere nottate
a trasportare da una parte all’altra della città
quei rifiuti umani che si
rigettavano in strada come gli scarti organici di un apparato
digerente, le
intestina di New York City. Eppure, accadeva, di tanto in tanto, che
nel bel
mezzo del fiume di melma si trovasse qualcuno in grado di distinguersi.
Qualcuno di diverso, un individuo dotato di fascino e di carisma che
non
strisciava tra la folla, ma camminava a testa alta e si faceva notare.
Travis
si considerava uno di quegli individui e così
l’uomo che guardava con così
tanta ammirazione attraverso il locale.
Non
veniva al diner tutte le notti, perlomeno non sempre allo stesso
orario in cui era circoscritto Travis. Vi erano serate in cui
quest’ultimo si
sedeva, ordinava la solita tazza di caffè e un panino al
bacon e aspettava.
Passava in rassegna i volti di tutti i presenti nel bar a
quell’ora della
notte, con quella un po’ infantile speranza di vederlo
apparire, e a volte i
suoi desideri erano esauditi. C’era sempre un che di regale
nelle sue entrate. Travis
non si sarebbe sorpreso di vedere tutti gli altri clienti
genuflettersi
davanti a lui in un atto di reverenza, nella speranza che lui toccasse
le loro
teste in un gesto di benedizione. Ma ovviamente non succedeva. Si
limitava a
oltrepassare la porta a vetri, fare un cortese cenno di saluto al
tavolo più
vicino all’entrata –una volta era toccato a Travis
e compagnia- e scivolare
solitamente a un tavolo non troppo distante dal bancone. Era
tutt’altro che
alto, eppure il suo portamento e la sua presenza scenica lo facevano
quasi
sembrare un gigante. Travis era certo che fosse un soldato, ma non un marine: la sua
camminata era troppo
militare, troppo subordinata perché fosse di prima linea. I
capelli erano
corvini e luccicanti, quasi sempre pettinati all’indietro
come si portavano
negli anni Quaranta; i tratti del viso erano morbidi e femminei, a
eccezione di
un lungo naso Nubian impossibile da non notare; la pelle perfettamente
levigata
e di uno splendido colore olivastro. Probabilmente si trattava di un
ebreo o di
un italiano.
Veniva
sempre solo e solo restava. Nessuno si univa mai a lui. Parlava
solamente con le cameriere quando ordinava, ogni tanto magari
scambiavano
qualche battuta di cortesia, ma finiva lì, con lui che
rimuginava chissà cosa
di fronte a una tazza di caffè fumante e una fetta di torta
alla melassa. Aveva
occhi scuri e profondi, ma non come i fondi di un pozzo,
perché sembravano
sempre irradiare un certo calore. Travis lo aveva notato la stessa sera
che
aveva salutato lui e i suoi colleghi appena entrato, e aveva continuato
a
notarlo nelle serate in cui era possibile osservarlo in volto a seconda
di come
entrambi erano seduti. Travis aveva notato anche, non senza una piccola
sensazione di fastidio alla bocca dello stomaco, che spesso, mentre
guidava il
suo taxi, lanciava occhiate nervose allo specchietto retrovisore nella
speranza
di vedere quegli occhi che gli restituivano lo sguardo. Ma trovava
solamente i
propri, altrettanto scuri ma velati di malinconia e di ricordi che
Travis avrebbe
di gran lunga preferito dimenticare.
Quella
sera, invece, poteva indugiare sul suo profilo. Tamburellava le
dita sulla superficie del tavolo, come se aspettasse impazientemente
qualcosa,
e sedeva a gambe accavallate sulla sedia, spostata leggermente
più indietro.
Dollaro e Charlie T, gli altri due colleghi che Travis frequentava
durante le
pause, si erano già premurati di fare commenti circa la
posizione adottata dal
giovane che, a sentir loro, tradiva la sua omosessualità
latente. A Travis
aveva sempre fatto ridere come il disprezzo per i finocchi
fosse in grado di mettere d’accordo un uomo bianco come
Dollaro, chiamato così perché si sarebbe venduto
anche la madre per guadagnare
mezza lira in più, e un nero come Charlie T che indossava
occhiali da sole in
piena notte e sudava copiosamente. Il Mago, invece, aveva ribadito come
pensasse che ognuno fosse libero di vivere come meglio credeva,
purché non
tentassero di ammazzarsi sul sedile posteriore del suo taxi come una
coppia che
aveva caricato qualche sera prima e che, a parole sue, si strillavano
addosso
come signorine in sindrome premestruale.
Mentre
rimuginava su come avrebbero reagito i tre uomini se avessero
scoperto che il loro fidato collega più giovane, che a
sentir loro era “pieno
di donne”, rimaneva imbambolato a fissare un altro uomo
più o meno della stessa
età, Travis fu distratto da un colpo di gomito contro il suo
braccio. Tornato
alla realtà, si voltò e incontrò gli
occhi del Mago che lo fissavano interrogatori:
«Ti sei imbambolato? Hai sentito cosa ti ho detto?»
Cercando
di non dare ad intendere il proprio imbarazzo e
costringendosi a non guardare nella direzione che gli interessava,
Travis
scosse la testa. Il Mago, per tutta risposta, grugnì e gli
diede una strizzata
alla base del collo, così forte che Travis temette potesse
avere toccato
qualche nervo in grado di paralizzarlo: la mano del Mago poteva
tranquillamente
stringergli tutta la testa in una morsa.
«Ti
ho chiesto a che ora finisce la tua pausa, ragazzo»
ridacchiò,
strapazzandolo ben bene. Travis rise a sua volta e controllò
il proprio
orologio da polso: «Uhm – tra una ventina di
minuti»
«Splendido.
Ti fai un altro giro di caffè?»
Non
ne aveva bisogno. Intanto non dormiva comunque. Ma stava lo stesso
per accettare, più per cortesia che per altro, quando Travis
notò un movimento
con la coda dell’occhio e vide che il misterioso uomo
solitario si stava
alzando e dirigendo verso l’uscita, mentre cercava qualcosa
nella tasca interna
della giacca di tweed. Il cervello di Travis cominciò a
funzionare più in
fretta del normale.
«Torno
subito» mormorò in risposta, alzandosi a sua volta
e facendo in
fretta il giro del tavolo, «ora che ci penso, devo
controllare una cosa… ».
«Ma
che diavolo-»
Travis
ignorò la voce del Mago e volò fuori dal diner,
sperando che le
sue previsioni fossero azzeccate, che l’altro uomo fosse solo
uscito per una
sigaretta e non si fosse già dileguato nella notte, che non
si fosse
mimetizzato in mezzo all’immondizia umana che vagava per i
marciapiedi di
notte. Il solo pensiero di gente indegna che gli passava accanto, urtandolo, toccandolo, gli fece attorcigliare lo stomaco.
Fu
fortunato. Era lì, a pochi passi da lui, a fumare in piedi
accanto
al parchimetro, proprio davanti al suo taxi giallo con gli scacchi.
Travis
deglutì. Si avvicinò cauto, le mani affondate
nelle tasche del suo giaccone
verde militare. Non si aspettava che quello facesse contatto visivo e
gli
rivolgesse la parola all’improvviso. Tolse la sigaretta dalla
bocca, esalando
sbuffi di fumo, e alzò l’altra mano per indicare
il taxi alle proprie spalle:
«È il suo?»
Travis
annuì, a metà tra il disorientato e il divertito:
si era
aspettato che la sua voce fosse profonda e melodiosa. Invece,
tutt’altro, era
acuta e quasi gracchiante, come se lo avesse colpito un forte mal di
gola.
Probabilmente fumava da quando era in fasce. Eppure, in qualche modo,
gli si
addiceva. Sembrava sposarsi bene con la sua statura.
L’uomo
parlò di nuovo e questa volta Travis notò il
forte accento di
Brooklyn nella sua voce. «Se è in pausa, posso
aspettare» disse.
«No
–no, va bene. Ho appena finito, in
realtà».
Travis
si sentì un idiota a balbettare in quel modo, ma lo aveva
trovato impreparato. Non sapeva cosa si aspettasse quando lo aveva
seguito là
fuori. Tutto, ma non che volesse salire sul suo taxi. Il pensiero quasi
lo
lusingò, prima di rendersi conto che, probabilmente, sapeva
alla perfezione che
quello era un ritrovo dei tassisti notturni quando facevano pausa.
Avrebbe
potuto tranquillamente trattarsi di lui come del Mago, come di Dollaro,
come di
Charlie T. Quell’improvvisa realizzazione gli fece
afflosciare le spalle,
mentre affiancava l’uomo, apriva la portiera del guidatore e
si sedeva al
volante.
Stava
per chiudere la portiera quando una mano la trattenne. Travis si
sporse per incontrare lo sguardo dell’altro: stava sorridendo
educatamente e
quel leggero incurvarsi delle sue labbra carnose gli procurarono un
certo
calore alla base del collo.
«Le
dispiace se finisco di fumare?» domandò, alzando
la sigaretta «Non
ci metterò molto. Preferirei non affumicarle
l’auto».
Travis
si sorprese di cotanta cortesia. A furia di trasportare
drogati, ladri e puttane in giro per la città, anche un
semplice gesto di
educazione lo sbalordiva. Anche se proveniva da un uomo come quello,
uno che
già aveva sospettato ergersi al di sopra del marasma che
abitava New York:
Travis era ben felice di averci visto giusto. Il che rendeva il tutto
più
eccitante.
Si ritrovò a
sorridere in risposta: «Faccia pure. Io
aspetto».
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Sono consapevole del fatto
che, in teoria, questa storia non dovrebbe esattamente trovarsi in
questa sezione: si tratta infatti di una fan fiction crossover tra i
film Taxi Driver
e Il Padrino.
Il motivo di questa mia scelta, tuttavia, é dettato dalla
scarsa attività nella sezione di quest'ultima opera,
perciò preferirei sinceramente che il pubblico vi si
approcciasse come a un'originale. Sono certa che sia comprensibile
anche a chiunque non conosca le opere da cui essa deriva. Avrei potuto
cambiare i nomi dei due personaggi principali, é vero, ma
allora non si sarebbe più trattato della storia che ho in
mente di portare avanti.
Questa é la prima
volta che pubblico un capitolo dopo tre anni di inattività
qui su EFP, perciò mi sento estremamente emozionata. Mi
duole ammettere che i capitoli si manterranno più o meno su
questa lunghezza, dal momento che sto lavorando a un'altra long
(davvero completamente originale, questa volta!), dall'impostazione
corale e quindi più sostanziosa e impegnata. Così
facendo, comunque, conto di essere abbastanza regolare negli
aggiornamenti.
Ringrazio anticipatamente
chiunque mostrerà interesse nei confronti di questa storia,
se recensirà o chi la inserirà nelle
preferite/seguite. Sarebbe un piacere enorme. Se vi interessa, potete
trovare la storia anche su Wattpad.
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