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PARTENZA
Stefano, Annamaria e due dei loro figli: Flavia e Giulio, i più grandi, salirono
sull'aereo per raggiungere il luogo dove sarebbe avvenuto il distacco e il
pensiero li rendeva tristi.
Il rapporto creatosi con il comandante extraterrestre era davvero straordinario
e questo era un altro motivo che incupiva il cuore e l'animo di Heron. Non li
avrebbe dimenticati. Mai più.
Il grosso veicolo stazionava sulla larga piana all'interno del recinto che
chiudeva la base.
L'aereo su cui Stefano e i suoi familiari avevano raggiunto l'Area 51 planò
docile ed in diagonale su una pista a lato dell'astronave, poco più lontano.
Il Sole stava sorgendo e i suoi caldi raggi si allungavano dorati sull'ampia
superficie sabbiosa e rocciosa della zona.
Heron e soci stavano armeggiando intorno al maestoso velivolo spaziale.
Quando Stefano e famiglia scesero dall'aereo, Heron mosse verso di loro a passo
veloce e, raggiuntili, abbracciò prima Stefano e poi Annamaria, salutando i due
ragazzi con molto calore, elargendo loro carezze su capelli e viso.
Stefano ed Heron fecero incontrare i loro sguardi, fissandoli l'uno sull'altro,
quindi si scambiarono amichevoli pacche sulle spalle.
Finito di armeggiare sul veicolo, questo si aprì lentamente come se avesse
un'enorme bocca in attesa spasmodica di essere riempita; come fosse quella di un
terribile mostro affamato di carne umana. Metteva paura, ma i quattro non si
lasciarono spaventare, tanto più che Heron li invitò ad entrare per visitarne
l'interno. I ragazzi erano emozionatissimi.
Non sarebbe loro capitato mai più di vedere l'interno di un'astronave pronta per
partire nello spazio e Flavia chiese di poter fotografare qualcosa. Permesso
accordato a condizione che gli scatti fossero rimasti segreti. Giunto in quel
momento, Forrest chiese a Flavia di consegnarle la scheda della fotocamera,
promettendole che quelle immagini sarebbero rimaste per sempre nell'archivio
della base, con il suo nome. La ragazzina capì e, un pò a malincuore, gli
consegnò la scheda.
Forrest si diresse verso l'edificio, entrò, e ne uscì dopo pochi minuti,
restituendo la scheda a Flavia.
"Tranquilla, - la rassicurò con un sorriso accattivante - Hai un posto nella
storia dell'astronautica".
Flavia stirò le labbra rosa in un sorriso poco convinto, ma abbozzò,
incoraggiata dal padre.
A quel punto fu dato il via ai saluti.
Poche parole e occhi lucidi.
L'immenso veicolo spaziale pareva attendere paziente di ingurgitare l'equipaggio
per poi "digerirlo" nel corso del lungo tragitto fino ad Ariel. Anche gli altri
membri salutarono i quattro terrestri rinnovando i ringraziamenti per essere
ancora al mondo dopodiché salirono a bordo, tranne l'ufficiale Addok. I due si
fermarono pochi altri minuti con i loro salvatori poi voltarono loro le spalle e
si avviarono, mano nella mano, verso l'astronave. Vedendoli così, Annamaria
sentì lo stomaco stringersi a pugno. Non avrebbero potuto più neppure compiere
quel bel semplice gesto di prendersi per mano. Ad un tratto però, Heron si
bloccò, parlottò con Addok, si girò e tornò indietro, sorprendendo Stefano e i
suoi familiari.
"Ci stai ripensando, comandante?" lo apostrofò Stefano, buttandola
sull'umorismo, cercando di non lasciarsi travolgere dall'emozione.
"No. - rispose Heron, guardando l'amico terrestre dritto negli occhi. Si era
ricordato di ciò che gli aveva detto l'uomo, conosciuto alla base siberiana - Ho
un messaggio per voi". E riferì il messaggio di Wichinskji.
"Vaticano?" ripeté Stefano, stupito.
"Si. - confermò Heron - Vaticano. Si trova in una città che si chiama Roma, mi
pare".
"Certo. - confermò Stefano - Va bene. Ci andremo. Grazie".
"Quell'uomo mi ha detto che lì troverete le risposte alle vostre domande " finì
Heron.
Stefano e Annamaria annuirono in silenzio.
Un ultimo lungo caldo abbraccio sancì definitivamente la separazione fra loro e
l'alieno.
"Abbi cura di te, comandante" si raccomandò Stefano.
"Anche tu, - disse Heron - capitano Aloisi". Abbracciò anche Annamaria e regalò
un sorriso ai ragazzi dopo il quale girò i tacchi e si diresse verso l'ingresso
del velivolo.
Gli occhi di tutti pizzicavano per le lacrime che volevano uscire.
Stefano, Annamaria e i loro due figli seguirono l'uomo che entrò nel veicolo
spaziale, senza voltarsi. Ma loro erano sicuri che anche Heron stava sentendo
bruciare gli occhi.
Oltre a Forrest, sul luogo della partenza, sopraggiunsero anche Hardings,
Edwards e Weaver, gli altri tre pilastri della base americana dell'Area 51. Ed
anche loro non riuscivano molto bene a contenere la commozione per quel
distacco.
L'enorme bocca dell'astronave cominciò a chiudersi lentamente fino a sigillare
chi era dentro per proteggerlo dalle insidie esterne. Contrariamente a quanto ci
si sarebbe potuto aspettare, il decollo della macchina fu rapido e poco
rumoroso. L'astronave si alzò in verticale emettendo uno strano rombo sordo che
non infastidì troppo l'udito entrando in compenso nello stomaco dei presenti,
scuotendone gli organismi in modalità piuttosto consistente. Il veicolo si alzò
di molto dalla pista e quando raggiunse una data altezza si mosse in
orizzontale, schizzando via ad altissima velocità, scomparendo rapidamente alla
vista degli astanti che restarono sul posto qualche altro minuto, senza
profferir parola, ancora scossi dall'emozione.
Area 51, qualche
minuto dopo
Elaborato il distacco, Forrest invitò tutti ad entrare nell'edificio con
l'intenzione di seguire il volo dell'astronave almeno per una manciata di
minuti, fino a che il telescopio avesse loro consentito di seguirlo.
E con grande sorpresa, sui monitor , il gruppo vide l'astronave volare
bassissima sulla superficie terrestre mentre, alla poppa del veicolo, una grossa
apertura circolare, come la bocca del tubo di un gigantesco aspirapolvere,
risucchiava all'interno dell'apparecchio i detriti metallici, e di altri
materiali di cui tutte le zone desertiche della Terra erano state tristemente
cosparse negli ultimi dieci, vent'anni, ossia, da quando la Terra era stata
erroneamente considerata un pianeta disabitato, dunque perfetto per diventare
una discarica universale.
"Chi aveva detto che gli alieni erano cattivi e da combattere?" esordì Hardings.
"Non tutti" osservò Forrest.
"Il Bene e il Male sono ovunque" sentenziò Weaver con studiata solennità.
"Questa l' ho già sentita, - commentò Forrest, smorzando l'enfasi del giovane
studioso con la sua solita ironia realistica - ma è sempre valida".
La battuta fu seguita da una sommessa sghignazzata generale.
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