Lo
zaino tenuto malamente su una spalla sola, pareva sul punto di
abbandonarsi alla forza di gravità una volta per tutte, le mani
ficcate a forza nelle tasche dei Levis sdruciti ad arte, il passo
strascicato, di chi di reggersi sulle gambe proprio non aveva voglia.
Lo
sguardo chiaro ed annoiato di Filippo Parini vagliò la numerosa e
variegata fauna umana, che bazzicava di prima mattina davanti alla
biblioteca.
Era
un luogo, quello, che non era abituato a frequentare, di certo non
rientrava nella sua top five di posti in cui potersi rilassare o
dedicarsi ad una qualsiasi delle sue attività preferite, ma era la
sua ultima spiaggia. Spense la sigaretta, ormai consumata, nel
cestino, si stropicciò i capelli biondo rame nervosamente,
decidendosi poi ad entrare.
Filippo
prese posto in uno dei lunghi tavoli scuri accanto alla finestra, da
cui penetrava qualche tiepido raggio solare; gettò malamente sul
banco il volume di Fisica tecnica con annessi appunti; non poteva
permettersi un’altra bocciatura in quell’esame, o i suoi genitori
non avrebbero perso tempo a rinfacciargli di aver preferito,
erroneamente a parer loro, Architettura a Giurisprudenza.
«Questo
posto è libero?» la voce bassa e delicata lo distrasse appena,
tanto che annuì senza nemmeno alzare lo sguardo; la sedia
scricchiolò debolmente, un fruscio di fogli e il grattare morbido di
una penna furono gli unici rumori che si udirono per diverso tempo.
Avrebbe
voluto piantare la testa dritta nel libro Filippo, magari sarebbe
entrata qualche nozione nella sua testa con un contatto più “diretto
e violento”, invece si limitò ad alzare la testa verso il soffitto
e sgranchirsi platealmente le spalle. Alla disperata ricerca di
qualcosa con cui distrarsi, i suoi occhi vagarono dapprima sugli
appunti di chi gli stava davanti, attratto dalla calligrafia asciutta
ma estremamente elegante, con le “l”
belle
allungate e il tratto deciso arricciato dolcemente al termine della
“t”.
Sollevò lo sguardo incuriosito e lo puntò sulla persona
proprietaria di quella grafia.
Una
ragazza, dall’aspetto alquanto comune: il volto era regolare,
lineamenti dolci certo ma nulla all’infuori dell’ordinario; il
suo colorito era pallido, forse troppo, gli occhi castani non
possedevano alcuna sfumatura. I lunghi boccoli cadevano selvaggi,
indisciplinati sulle spalle minute, il mascara sbavato macchiava
appena il contorno dei suoi occhi e le labbra erano tese naturalmente
all’ingiù, in una sorta di broncio infantile. Era ben lontano dal
genere di ragazza che lo attirava e da cui si faceva coinvolgere,
eppure…
Eppure
qualcosa in lei gli impediva di distogliere lo sguardo per dedicarsi
ad altro.
Forse
il suo volto poteva apparire ordinario ad un primo sguardo, ma il suo
profilo era distinto, solenne quasi nobile; anche la sua postura era
ben dritta, per nulla ingobbita come ogni buon studente, le spalle
aperte quasi stesse sfidando il libro stesso a piegarla.
La
sua attenzione scivolò sulle mani: affusolate, si muovevano sicure,
i suoi gesti erano armoniosi, le eleganti dita raccolsero i capelli
fermandoli con una matita, qualche ciocca ribelle accarezzò
impertinente il suo viso, creando giochi d’ombra inediti.
Ma
fu il suo sguardo che lo catturò: intenso, profondo, sognante; anche
lei aveva smesso di studiare e guardava fuori, oltre la finestra,
forse osservando qualcosa che poteva vedere solo lei. Non era uno
sguardo vacuo ma vivo e luminoso, traboccante di cose inespresse; ciò
donava al suo volto una bellezza malinconica.
La
sua bellezza, comprese, era sottile, nascosta, che non andava
sperperata ma protetta; un fiore notturno che si schiudeva quando
nessuno guardava.
Improvvisamente
lei si voltò, i suoi occhi cercarono i suoi senza paura e gli
sorrise.
Filippo
aprì la bocca e la richiuse imbarazzato di essere stato colto in
flagrante.
Il
suo sorriso era aperto, vistoso e pieno di calore con una pennellata
di irriverenza sulle labbra ben disegnate. Stese anche lui le labbra,
gli era impossibile non ricambiare un sorriso come quello, era quasi
certo di non averne mai ricevuto uno.
Quello
sprazzo di sole scomparve fin troppo rapidamente e lui per un attimo
si sentì perso.
Lei
raccolse le sue cose, mentre una sua probabile amica l’attendeva
poco distante. Scomparve dalla sua vista con grazia e in un punta di
piedi così com’era arrivata.
“Credo
proprio che verrò anche domani”.
"Shibumi: Bellezza poco appariscente. Si tratta della grande raffinatezza che si nasconde dietro un aspetto ordinario e comune."
______________________________________________________________________________________________
Buonasera a chiunque si fermerà a leggere fino a qui! Come avete visto dall'intro questa raccolta partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP.
Ogni capitolo si sviluppa attorno ad una parola da me scelta
dall'elenco fornito da Soly Dea, per questo primo capitolo ho scelto la
parola giapponese Shibumi.
Ogni
capitolo tratterà personaggi nati dalla mia fantasia, mi riservo
di riutilizzarli per eventuali long semmai mi venisse una buona idea
per il contesto e lo sviluppo della trama.
Fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto e se i personaggi vi hanno intrigato!
Ringrazio chiunque leggerà e chiunque vorrà recensire!
Al prossimo capitolo! Un bacio!