Erano
passati appena tre giorni da quando, riportata Jamie a casa, le
ragazze avevano scoperto che Rhea Gand e il Generale Zod, pur facendo
parte della stessa organizzazione, si dovevano trovare ai due vertici
opposti. Charlie Kweskill
si era infiltrato nel gruppo di poliziotti che cospirava contro
Maggie e Alex per farsi notare da Rhea; Faora Hui doveva averli
convinti che la donna potesse iniziarli, come una di loro aveva detto
ad Alex. Anche Grace, colei che aveva preso Jamie dalla babysitter,
aveva spiegato a Maggie che lo aveva fatto solo per poter entrare a
farne parte. Peccato che non avessero spiccicato parola quando erano
stati interrogati dall'FBI, insediato nel distretto dopo il fatto.
Avevano interrogato tutti i poliziotti in cerca di altre mele marce e
subentrati con la forza per dare un contributo generale in centrale
in mancanza di agenti e, ovviamente, per lavorare fianco a fianco nel
caso della morte del senatore Gand. Dapprima per niente entusiasta,
Maggie notò in fretta un cambiamento in Zod, adoperandosi
per
collaborare. Come se niente avesse potuto piegarlo e, certo, questo
aveva contribuito ad avvalorare la teoria secondo cui fosse il nuovo
presidente. Se ciò era vero, forse Zod avrebbe fatto di
tutto per
far arrestare Rhea e, al tempo stesso, la donna avrebbe fatto tutto
quello in suo potere per buttarlo giù dal trono che voleva
per sé.
Intanto, proprio come non era passata neanche una volta a trovare
Faora in ospedale, Rhea non si era nemmeno avvicinata ai poliziotti
che, per lei, avrebbero fatto di tutto. Chissà che ci
fossero
rimasti male.
Kara
odiava restare con le mani in mano. Potendo riabbracciare Jamie e
vederla insieme a sua sorella e Maggie, di nuovo al sicuro, le aveva
smosso dentro qualcosa. Si chiese spesso cosa sarebbe successo se non
fossero arrivate in tempo. Quella situazione stava diventando troppo
grande per loro, per lei. Prima Rhea che mandava qualcuno a ucciderla
e salvata, chissà, solo grazie all'intervento di Alex. Poi
tutti che
le nascondevano qualcosa, da sua sorella a John, a Lillian. A Lena. E
gli agenti del D.A.O che le facevano ancora da scorta; riusciva a
seminarli se voleva, e Alex la sgridava. I Luthor che, da presidenti
dell'organizzazione, avrebbero potuto salvare la sua famiglia, in
passato, e non l'avevano fatto. A Rhea che li aveva uccisi e che non
si sarebbe arresa per salire al potere. Kara sentiva che stava per
perdere il controllo. Era troppo. Era troppo tutto insieme, troppo.
Stava cedendo. Era seduta sul letto in camera al dormitorio e
alzò
lo sguardo verso l'armadio davanti. Mettendo a fuoco un'anta, nel
buio. Sapeva che stava cedendo. Perfino sua zia Astra la stava
mettendo in crisi. Era convinta che l'organizzazione potesse fare
cose buone, non nascondendole il fatto di farne ancora parte, seppure
in prigione. Era andata a trovarla di nuovo, da sola, ma le avevano
detto che era indisponibile. Le aveva detto che non sarebbe
più
dovuta andare a trovarla, ma davvero non credeva che le avrebbe
negato la visita. Per quale ragione lo avrebbe fatto? Sperava che
l'avrebbe aiutata a trovare qualcosa contro Rhea, accidenti. Non
poteva semplicemente aspettare che il Generale vincesse la guerra
contro quella donna. Se non altro, perché in quel caso il
detto
sbagliava e il nemico del suo nemico non era affatto un amico, ma un
altro nemico, forse addirittura più subdolo.
L'organizzazione tutta
era sua nemica. L'importante ora era tenersi impegnata. Restare
concentrata sull'obiettivo e non permettere alla sua testa di cedere.
Riguardò l'anta dell'armadio e scosse la testa. Non doveva
davvero
cedere. E poi, beh, ogni tanto le riusciva anche di studiare per gli
esami. Era
indietro, accidenti.
Mike
si girò di nuovo, grattandosi un fianco. Non riusciva a
dormire, si
muoveva di continuo e Kara cercava di ignorarlo. Il ragazzo era sul
pavimento, tra il letto di Megan e il suo, sdraiato su un materassino
da divano che alcune studentesse del complesso avevano prestato alle
loro giocatrici di lacrosse preferite. Sentiva caldo e tirava
giù la
coperta. Poi freddo e la tirava su. E si girava. Kara non lo
ricordava così fastidioso. Sul letto, aveva acceso una
piccola
lucetta da lettura e portato dall'armadio la vecchia scatola che
conteneva alcune delle lettere che le aveva spedito sua zia da Fort
Rozz in quegli anni. Se non poteva aiutarla faccia a faccia, forse
poteva farlo da quelle. Finalmente aveva il coraggio che le serviva
per aprirle.
Piccola
mia, oggi è il grande giorno: finalmente sedici anni! Tanti
auguri!
Come festeggerai il tuo compleanno? Ti porteranno fuori in un locale?
Attenta ai ragazzi, so già che sbaveranno tutti per te.
Kara
ansimò, ricordando il suo sedicesimo compleanno: Jeremiah
aveva
invitato lei e Alex a stare da lui nella sua seconda casa a National
City dal divorzio con Eliza; aveva preparato tutto l'occorrente,
dalle candeline ai cupcake, dai palloncini appesi sul soffitto alla
tovaglia colorata, poi però aveva lasciato la torta nel
forno troppo
a lungo e si era bruciata, la casa si era riempita di fumo e le aveva
portate fuori al fast food. Le aveva detto che le avrebbe voluto fare
qualcosa di speciale e che forse era troppo grande per una festa di
quel tipo, il che era indubbiamente vero, eppure era stata una delle
giornate più belle e divertenti trascorse con lui. Era
andata avanti
con la sua vita mentre sua zia si perdeva tutto, di lei. E avrebbe
continuato a perdere ogni cosa se fosse rimasta in
quell'organizzazione. Per un attimo, si chiese come lo avrebbe
trascorso se ci fosse stata lei o, meglio ancora, se ci fossero stati
i suoi genitori. Era quasi tentata di non leggere più, ma
doveva
capire. Così ne aprì un'altra.
Kara,
devi venirmi a trovare perché devo parlarti. È
davvero importante,
troppo urgente! I giornali scrivono che la tua madre adottiva si
è
fidanzata con Lillian Luthor. La conosco, Kara, devi sapere alcune
cose che non posso scriverti. Quindi ti prego, vienimi a trovare se
stai leggendo questa lettera. Ho bisogno di vederti. Ti voglio bene.
Kara
la rimise all'interno della busta, rificcandola nella scatola e
tirandone fuori altre, a caso.
E
così Lillian Luthor ha sponsorizzato una mostra di
fotografia sulle
barriere architettoniche. Mi fa piacere saperlo; quando ero in
servizio, ho avuto a che fare con molti progetti del genere. Non per
la polizia. Alcuni amici ed io abbiamo devoluto dei fondi per
costruire strutture di ricerca, al tempo. E ci dedicavamo a rendere
più sicure le nostre strade. Sapevi che tuo padre lavorava
con tuo
zio a qualcosa di simile?
Kara
si accigliò, stringendo la lettera. Di cosa parlava?
Era
un progetto che a me e questi amici interessava molto, volevamo
finanziarli, ma le cose sono andate male, a un certo punto. Non posso
parlartene per lettera, è una cosa delicata, Kara. Ma devi
saperlo,
anche se non sono certa che capirai queste parole: c'era un'altra
strada, un caro amico ci teneva molto ad entrare in affari con loro,
ma le cose sono andate male. E questo lo sai anche tu.
Te
lo scrivo nel caso mai leggessi, anche se, dopotutto tutti questi
anni, ho i miei dubbi. Magari le getti nella spazzatura e non ci
pensi più. Ma io ci riprovo perché credo in
quello che ho fatto e
sono pentita di ciò che non ho potuto fare e vorrei che tu
sapessi
quanto ti ho voluto bene allora e te ne voglia ancora. Sei l'unica
famiglia che mi è rimasta.
Kara
restò a bocca aperta e le si seccò la gola. Era
un po' infastidita
che lei la considerasse la sua famiglia nonostante tutto, ma
ciò che
disse su suo padre e suo zio le interessava. Prese il cellulare e
scrisse un lungo messaggio a Lena, citandole alcune parti della
lettera. Ma, appena prima di inviare, ci ripensò.
Restò con il
pollice a mezz'aria e, stringendo le labbra, lo archiviò,
accanto
agli altri messaggi scritti per lei. All'inizio erano loro due, ma
adesso non aveva più la stretta necessità di
confidarsi con lei,
dopotutto. E no, stupidi
pensieri,
non aveva a che fare col perché Lena le aveva tenuto
nascosto dei
Luthor, ma perché… Sbuffò. Forse era
così. Forse era ancora
arrabbiata. Forse non le sarebbe passata. Rimise la lettera nella
busta. Forse… Riguardò l'anta dell'armadio e
strinse la busta
della lettera. Sapeva solo che le cose erano cambiate e che non
sarebbe riuscita a inviare quel messaggio né gli altri.
«Smettila
di sbuffare, ti sento e non riesco a dormire»,
borbottò lui
all'improvviso.
«Smettila
tu di muoverti, fai venire il mal di mare. Mica ci saranno le
pulci».
«Non
sono tanto sicuro che questo materasso non le abbia… Ed
è
scomodo».
«Non
dormirai qui con me».
Lui
si zittì, girandosi di nuovo. «Hai trovato
qualcosa che possiamo
usare contro mia madre?».
«No…»,
ansimò, «Mia zia sta ben attenta a non nominarla
mai, non nomina
nemmeno mai l'organizzazione, si riferisce solo ad amici, lavori
extra, cose di questo genere». Ne sfogliò alcune e
infine mise
tutto via, di nuovo dentro la scatola, piegandole per farcele stare.
«Pensavi a qualcosa?». Lasciò la scatola
ai piedi del letto e si
portò sotto le coperte, mettendo occhiali e cellulare sulla
mensola.
«Se
abbiamo l'arma del delitto, per esempio…?».
«Cosa?».
Kara si scoprì di nuovo e abbassò la testa.
«Sai dov'è?».
«Mia
madre ha una pistola, certo che so dov'è! È nel
salotto a fianco
alla camera da letto, nella cassaforte incastonata nel muro, dietro
un quadro. Ci nascondeva anche dei soldi e andavo a fare
rifornimento».
«E
me lo dici adesso? Sei qui da giorni, accidenti»,
gettò una mano
sotto al letto e picchiettò a caso, mentre lui si riparava
la
faccia; all'inizio infastidito e dopo mettendosi a ridere.
«E
scusa», sorrise, guardandola. «Sempre
così tra noi, eh?».
Il
sorriso di Kara, invece, si spense, ritornando a mettersi comoda sul
materasso. Gli diede la buonanotte a breve, mentre riprendeva il
cellulare e inviava un messaggio a Selina Kyle: non sapeva bene
perché, o forse lo sapeva, ma era certa che se avrebbe
voluto
compiere un'effrazione, lei avrebbe saputo darle dei consigli. Ne
inviò uno anche a Kal con gli aggiornamenti su sua zia e
dicendogli
che forse sarebbe riuscita ad avere l'arma che aveva ucciso Lar Gand.
«Ma
fa sempre così? Sono certo di averla sentita anche
ieri».
Kara
si voltò, ascoltando Megan: «I bianchi…
arrivano. No, bastardo,
arrivano».
Si
accigliò, annuendo. «Yep.
Ma credo che il bastardo
non sia casuale». Chiusero gli occhi, mettendosi a dormire.
Con
grandi probabilità, Kara aveva ragione: Megan aveva lasciato
John
quando lui le disse del suo reale lavoro. Si era sentita presa in
giro e questo stava influenzando sul suo rendimento sul campo di
lacrosse, non accettando i suoi suggerimenti e finendo per perdere
l'ultima partita giocata il giorno prima. Era contenta che finalmente
stesse per finire la sospensione di Kara, così sarebbe
tornata lei a
essere capitano.
«I
bianchi… Ci uccideranno tutti».
Kara
riaprì gli occhi di scatto. No, non erano state le parole di
Megan:
il cellulare vibrò e lo riprese con uno sbadiglio, pensando
a chi
mai avrebbe potuto risponderle a quell'ora.
Da
RagazzaGatto a Me
Un'effrazione,
eh? Questo è interessante, kryptoniana, considerando che
volevo
proportene una.
«Cos-?»,
alzò le sopracciglia e, confusa, le inviò subito
una risposta.
Da
RagazzaGatto a Me
Possiamo
parlarne anche adesso, se è urgente. Tanto sono qui!
«Qui…?
Q-u-i-d-o-v-e»,
le scrisse, stringendo gli occhi.
Poi
un rumore. La finestra scattò. «Qui».
Kara
balzò seduta con un urlo e Mike fece lo stesso, scattando e
coprendosi il petto nudo. Strabuzzarono gli occhi, osservando la
ragazza che portava dentro una gamba, tenuta alla finestra. Si tolse
gli occhialetti da aviatore dalla faccia e, guardando lui, gli fece
l'occhiolino. Un movimento e un brusio dall'altra parte della stanza
li fece voltare tutti, ma Megan ancora dormiva e parlava nel sonno:
«I
bianchi stanno arrivando, svelti… Tu sei un ba…
bastardo».
Dormiva, decisamente.
«Un'effrazione
alla Lord Technologies? E perché no alla Casa
Bianca?», tuonò Kara
dopo aver ascoltato cosa voleva proporle, per poi coprirsi la bocca.
Selina Kyle doveva essere completamente impazzita. Non ci sarebbe
stato modo di entrare là dentro.
«Come
sai, la Green
Caravel
ha riaperto i battenti, ci sono stata e… non mi convince,
c'è
qualcosa che non va. Scoppiano sempre più risse; la gente
non si
comporta normalmente, quando è lì. Alcuni dei
miei compari si sono
sentiti strani. Non voglio che certa roba giri per Gotham»,
le
disse. Era arrivata a National City con quello in mente e, solo una
volta lì, aveva pensato di chiederle se volesse partecipare.
Kara
abbassò lo sguardo e deglutì, lanciando
un'occhiata sola, di
sfuggita, all'anta del suo armadio. «Sarebbe un suicidio: non
posso
farmi trovare là dentro, ne andrebbe della mia
carriera», deglutì.
Selina
ansimò, scrollando le spalle. «Capisco il tuo
punto di vista, vuoi
fare la giornalista… Se ti beccano sei fregata e
c'è una grande
possibilità di essere beccati, Supergirl. Fai come se non te
l'avessi chiesto, ci proverò da sola».
Kara
la capiva: al suo posto, avrebbe fatto lo stesso. Sembrava che Lord
stesse perdendo il controllo sulla sua creatura, dopotutto, e che
allo stesso tempo non fosse abbastanza furbo da porvi rimedio. O
forse non voleva. Ma cosa ci avrebbe guadagnato nel far sentire male
le persone? Rischiava di perdere clienti, non aveva molto senso.
D'altronde, con lui era sempre tutto molto strano. Erano quelle
pillole a rendere la gente aggressiva? Deglutì di nuovo.
«Ivy e
Harley non ti aiuterebbero?».
«Non
gliel'ho chiesto. Ivy ha trovato un lavoretto di recente, in una
serra. Ama le piante», sospirò. «Vuole
guadagnare abbastanza per
chiedere ad Harley di andare a vivere insieme. Mi secca metterle nei
casini, capisci?». La vide annuire e sospirò di
nuovo. «Piuttosto,
ho provato a chiederlo al mio nuovo partner del crimine, ma pensa che
non sia una buona idea», sbuffò e roteò
gli occhi, pensando a
Bruce Wayne. «Credo abbia altro per la testa».
«Ti
piace, eh?».
«Cosa?»,
sobbalzò, arrossendo di colpo.
«Bruce
Wayne».
«Ah!
A
me? Wayne? Se potessi accalappiarlo, saprei cosa fare con i suoi
miliardi in banca, krypton, te lo dico io, ma non esagerare».
Kara
sorrise, pensando che non lo avrebbe mai ammesso.
«Oh,
è l'angolo rosa delle chiacchierate intime tra amiche? Posso
unirmi
anch'io?».
Kara
si accigliò. «Sei ancora sveglio?».
«Non
riesco a dormire sentendo voi che parlate». Mike si era
sporto sul
bordo del materasso mettendo le braccia a conserte, così
guardò
Kara, sfoggiando un sorriso. «Sapete chi ha altro per la
testa? Il
sottoscritto. Sì, pensare alla mia madre assassina mi riempe
la
testa per la maggior parte del tempo, ma la mia ragazza che se la fa
con la sorellastra tenendomi nascosto tutto mi tiene, diciamo,
impegnato».
Selina
guardò Kara mentre si portava una mano sulla fronte.
«Stavi con lui
quando tu e Lena…?».
«Ah,
lei lo sa? Fantastico», la indicò,
«Notare che non ha mosso un
sopracciglio quando ho nominato la mia madre assassina».
«Per
l'ultima volta, Mike», strinse i denti. «Non
stavamo insieme quando
io e Lena… beh, q-quando io e Lena abbiamo iniziato a
sentire-».
«I
vostri corpi caldi che si chiamavano?», alzò le
sopracciglia.
«Chiamalo
così».
Lui
ansimò, seccato. «Non posso nemmeno prendermela
con lei, dai, è
una ragazza… Quando ci siamo ritrovati a cena insieme, avevo
provato a chiederle consigli per riconquistarti-».
«Volevi
riconquistarla?», lo interruppe Selina, facendosi curiosa,
mettendosi più comoda.
«Non
sai cosa passa per la testa di un ragazzo innamorato. Avevo provato a
chiedere consigli a Lena Luthor perché erano molto vicine e
lei mi
aveva risposto con quella faccia», provò a
mimarla, tenendo
contratte le labbra e bassi gli occhi, fingendo di prendere un
bicchiere invisibile: «Oh,
Kara potrebbe non essere più disponibile.
Bella faccia tosta. Non eri più disponibile
perché stavi con lei,
certo, scemo io a sperare ancora in un noi».
Selina
lanciò uno sguardo a Kara che teneva gli occhi bassi, di
nuovo
improvvisamente triste.
«E
alla fine ti sei lasciata, ma è normale, tra ragazze non
funziona, o
meglio…», cercò di correggersi Mike,
«non funziona con tutte. Tu
sei abituata a un uomo, non può darti lo stesso una
ragazza». Stava
per aprire bocca di nuovo che Selina gliela tappò con una
calza.
«Pluah,
che schifo! Perché lo hai-», si zittì
quando le indicò Kara,
estraniata da entrambi, sola con i suoi pensieri.
«Hai
la sensibilità della carta vetrata, Gand», gli
mormorò.
«Forse,
ma è vero», Kara rialzò gli occhi,
piano. «Non quello che…
i-insomma», le sua guance si colorarono in un attimo,
«b-beh, non
la parte… Emh, Lena ed io ci soddisfacevamo
benissimo», riuscì a
dire diventando color pomodoro, mentre Mike girava lo sguardo.
«Però
è vero che ci siamo lasciate. C-Che forse non ha
funzionato».
A
quel punto, Mike decise di provare a dormire. Oh, quella discussione
aveva preso una brutta piega e non voleva sentirla parlare di Lena
Luthor. Era geloso e non credeva lo sarebbe mai stato di una ragazza.
«Dillo,
Kara», aveva scrollato le spalle Selina. «La
sentivi di nuovo
vicina, me lo hai detto, ma la confessione sui Luthor ti è
rimasta
sullo stomaco».
«Ma
no, è che…», fece una smorfia, portando
gli occhi da una parte
all'altra, pensando. «Io capisco perché Lena lo ha
fatto. Non
voglio avercela con lei».
«Però
ce l'hai con lei», la guardò negli occhi,
togliendosi un ricciolo
dal viso. «Ti senti tradita e prima lo confesserai a te
stessa,
prima riuscirai a superarlo. Sempre che tu lo voglia».
Kara
sfogliò Instagram e le sue foto, prima di dormire, facendo
una
smorfia ogni volta che incontrava il volto di Lillian. Era la grande
verità: ciò che sentiva contro Lillian era forte
e provava rabbia,
ma con Lena… la capiva e ciò la portava ad avere
un comportamento
più passivo; avrebbe voluto solo rimettersi con lei, amarsi,
e ora
non riusciva. Aveva un blocco e non sapeva come sarebbe riuscita a
combatterlo. Né se, come le aveva detto l'amica, lo volesse.
Forse…
Forse non le sarebbe mai passata ed era finita così.
Avevano
dormito poco, quella notte. Selina si era coricata ai suoi piedi,
Mike aveva russato, a un certo punto, e Megan aveva smesso di parlare
nel sonno sempre troppo tardi. Però fu la prima a svegliarsi
e
rimase immobile e con gli occhi a pesce per un po', seduta sul letto,
fino a quando non si svegliò la compagna di stanza.
«E quella?»,
la indicò. «Cos'è, miagolava fuori
dalla finestra?».
La
loro camera stava diventando decisamente stretta. Selina
andò a
farsi una doccia quando a loro il bagno non serviva più.
Megan
rimetteva in ordine alcuni libri e Kara la scatola con le lettere di
sua zia nell'armadio. Così si svegliò Mike,
mettendosi in piedi e
sbadigliando. Diede loro il buongiorno e si grattò,
girandosi. Megan
si tappò gli occhi con orrore e anche Kara, alla sua
reazione, si
voltò dopo aver guardato.
«Hai
mezza chiappa di fuori, depravato», gli urlò la
prima.
Lui
rise, tirando su i boxer. «Ammettilo! Cosa daresti per farci
un
giro», ridacchiò, camminando verso il bagno.
«Neanche
se fossimo gli unici due esseri umani rimasti e Dio in persona mi
pregasse di farlo per ripopolare la Terra», sbottò
di rimando.
Lui
scosse la testa e sorrise a Kara, prima di aprire. Non fecero in
tempo ad avvertirlo e, appena chiuse la porta del bagno, si
sollevarono le urla di entrambi. Mike si ricacciò fuori,
pallido,
ammettendo con il fiatone di essersi dimenticato di Selina Kyle.
Se
la convivenza in quello spazio angusto cominciava a essere un
problema, dalla finestra intuirono che ne sarebbero presto arrivati
altri: «Ehi, ragazza? Ti ha scritto Maggie, per caso?
C'è la
polizia, qua sotto».
Appena
Megan finì di parlare, sia Mike, che si stava vestendo, che
Kara,
sbiancarono. «Vai», la ragazza lo spinse verso il
bagno, «Stanno
arrivando». Aveva infilato mezzo pantalone e gli
lanciò dietro le
scarpe.
Selina
sorrise facendogli cenno di tacere, avvolta in un asciugamano,
laddove lui si appiattiva al muro.
Kara
e Megan nascosero il materassino sotto il letto di quest'ultima e
gettarono le cose di Mike sotto quello dell'altra, senza cura,
facendo più in fretta possibile. Neanche un secondo di
respiro che
bussarono alla porta e si guardarono. Quella situazione non era una
novità: altre volte era venuta la polizia per sapere se
avevano
visto il ragazzo o a ispezionare il posto per essere sicuri che non
lo stessero nascondendo ma, a dispetto delle altre volte, Mike c'era
davvero.
«Questa
è persecuzione», esclamò Megan,
sbuffando intanto che il
poliziotto apriva gli armadi e frugava in mezzo ai vestiti.
«Sappiamo
che lo state cercando: appena lo vediamo, vi faremo sapere».
Kara
si sforzò per non sorridere: la sua amica era scettica a
nasconderlo, all'inizio, ma da quando John le disse di essere del
D.A.O., prese in antipatia tutti i poliziotti e quella come una
missione personale. Non si lasciarono sfuggire il fatto che il
poliziotto non era accompagnato da un collega, bensì da un
agente
dell'FBI. Kara lo vide, più composto e faccia pulita,
curiosando
dove gli capitava: lanciò un'occhiata sulle sue foto e su
quelle di
Megan dall'altra parte, che aveva l'abitudine di immortalare dei
fiori.
Poi,
dopo tanto silenzio, parlò: «Ci hanno segnalato un
ragazzo in
questo dormitorio».
«Il
dormitorio è grande, va da
sé…», rispose Megan, incrociando le
braccia al petto.
Kara
scambiò uno sguardo con lei. «Il dormitorio
è sempre pieno di
ragazzi».
«Ci
hanno anche segnalato chiasso e che proveniva da questa
stanza»,
rispose allora il poliziotto.
«Oh,
è perché a noi piace cantare»,
annuì Kara e Megan l'appoggiò:
«E
ballare». Iniziò a schioccare le dita e a
muoversi, così l'altra
fece lo stesso, osservate dai due.
«Di
notte»,
precisò lui.
«Beh,
c-ci sta giudicando, per caso?», le mostrò una
smorfia, gonfiando
gli occhi. Appena l'agente dell'FBI si avvicinò al bagno,
però,
Kara corse defilata e si mise in mezzo, cominciando a bofonchiare le
prime scuse a venirle in mente come la privacy, la biancheria intima
che asciugava sullo stendino, o il disordine, perfino il calore del
vapore che aprendo la porta sarebbe uscito.
Il
poliziotto però la spostò e l'altro
alzò la mano per girare la
maniglia, quando la porta si aprì da sola ed entrambi gli
uomini
diventarono rossi, perfino le due ragazze. L'agente dell'FBI si
voltò
imbarazzato e l'altro lasciò la bocca aperta, tanto che
Megan ebbe
quasi la tentazione di chiudergliela. Selina era ancora involta
nell'asciugamano, nuda e scalza. «Ops»,
sorrise. «Dovete scusarle, maschioni in divisa, tentavano di
nascondermi. Sapete, nella mia camera non vuole proprio scendere
l'acqua calda», gesticolò con una mano, mentre con
l'altra si
copriva.
Riuscì
a convincerli. Il poliziotto costrinse quello dell'FBI a disagio a
entrare in bagno e dare un'occhiata, ma sembrava tutto a posto: il
vapore, la doccia con i vetri appannati, la cesta degli indumenti
sporchi in disordine, così se ne andarono, senza aggiungere
una
parola. L'avevano scampata per poco e Mike uscì dalla cesta
dove si
era rannicchiato, lamentando di puzzare di piedi.
Quella
situazione era ufficialmente diventata ingestibile. Non potevano
continuare a rischiare intrusioni della polizia, né potevano
stare
semplicemente fermi a guardare. Così Kara convinse Selina ad
aiutarla a entrare in casa Gand e Mike le istruì sulle cose
utili.
Uscirono quello stesso pomeriggio, approfittando degli impegni di
Rhea: sarebbe stata via con la domestica Joyce per il club del libro.
«Ma
no, non mi scoprirà», rispose in videochiamata a
suo cugino Kal
mentre, a piedi, si avvicinavano alla casa. «Ho aiuto, non
sono
sola», lo fece salutare da Selina, mostrandole lo schermo.
«Lei sa
quel che fa. Certo che è la prima volta che mi introduco in
casa di
qualcuno».
«Sì,
ma urlalo tranquillamente», la sgridò lei e Kara
si guardò
intorno, stringendo i denti.
«È
per una buona causa, Kal. Mi avevi chiesto di tenerti informato, non
farmene pentire. Oh, ciao, Lois», salutò la nuova
arrivata. Vide
Clark dirle tutto e lei guardare lo schermo e di nuovo lui, facendosi
seria.
«Controlla
che non abbia telecamere all'ingresso sul retro».
«Che
fai, l'aiuti?».
«Quelle
fregano sempre».
«In
quante case sei entrata?».
Kara
sorrise, pensando che fossero teneri. «Non preoccuparti, so
come
entrare in sicurezza».
«Perfetto.
Allora in bocca al lupo, Kara».
Lois le mostrò il pollice e, annuendo, chiuse la chiamata.
Non
persero tempo. Lei e Selina si nascosero dietro il muro di cinta e
dopo si avvicinarono alla casa, osservandola dietro le finestre: Rhea
urlava alla domestica e la poverina correva da una parte all'altra
senza un attimo di tregua. Mike non voleva confessare convinto che lo
avrebbe fatto Joyce, ma Kara non ne era tanto sicura: era pur sempre
lì con visto scaduto e, pur di non passare dei guai e
mantenere il
lavoro, sopportava di tutto. Restarono nascoste per un po', Selina si
fece un giro in ricognizione e, quando la videro infilarsi il
giaccone insieme a Joyce, si tennero pronte. Mike disse loro che non
avrebbe fatto tardi, dunque ogni minuto era importante. Loro
uscirono, videro Rhea sistemare l'allarme e allontanarsi insieme,
così corsero. Selina svitò il coperchio della
centralina
dell'allarme, mettendosi al lavoro per disabilitarlo; nel frattempo,
Kara adocchiò la finestra del bagno al primo piano,
iniziando a
capire come scalare il muro. Appena riuscì nell'intento,
Selina
rimise il coperchio e si arrampicò per prima, passandole
davanti e
facendole cenno di aspettare, reggendosi sui cornicioni e sui mattoni
del muro più esposti. La finestra del bagno aveva
difficoltà a
chiudersi del tutto, ricordò Mike, che le bastò
una piccola spinta
all'angolo alto per aprirla e, così, Selina entrò
dentro senza
sforzo. L'altra suonò il campanello e attese, poi il portone
si
aprì.
«Sì?
Vende qualcosa porta a porta, signorina?», scherzò
e la fece
entrare.
Quella
casa odorava di stantio, ora che Kara ci faceva caso. Era vecchia,
piena di soprammobili e quadri di dubbio gusto. Perfino Selina
aggiunse che non avrebbe saputo cosa rubare. Diedero solo un'occhiata
veloce al piano terra, al salone dove c'era ancora la scrivania di
Lar, rimasta immutata. Poi salirono di sopra. Dov'era stato ucciso
avevano pulito e non era rimasto neanche un segno del suo corpo steso
a terra, eppure entrambe avvertirono i brividi. Entrarono nel
salottino a fianco, spaesate.
«Non
avranno già controllato questa casa da cima a fondo? La
polizia,
intendo», le domandò Selina, mettendo mano a un
servizio da tè
antico sopra il tavolo tondo al centro. «Questo
varrà qualcosa?»,
ridacchiò dopo, fingendo di bere da una tazzina.
«Maggie
mi ha detto che hanno ispezionato, quando è successo, ma ora
non è
più sicura che i suoi colleghi l'avessero fatto con
l'intenzione di
trovare davvero qualcosa». O almeno lo pensava prima; ora
come ora,
sapevano che se Zod avesse voluto arrestarla lo avrebbe fatto
controllare come si doveva e forse erano lì per niente. Ma
se non
altro si sarebbe distratta, ciò che le serviva. Doveva
provarci.
Guardò attentamente il quadro di famiglia sulla parete,
grande,
dipinto a mano, loro erano più giovani e Mike bambino.
Oggettivamente bruttino, ma… Lo tolse facendo attenzione,
poggiandolo a terra. Si infilò i guanti, come le
ricordò l'altra
mentre ancora giocherellava con la tazzina, e iniziò a
digitare la
chiave di sicurezza che le aveva fatto memorizzare il ragazzo.
Sperava non l'avesse cambiata. La cassaforte si aprì, ma il
sorriso
delle due non durò a lungo: c'erano documenti, un sacco di
scartoffie impilate, ma nessuna pistola. «Non
c'è», sibilò Kara,
prendendo fiato. «Non c'è, Selina. Cosa
facciamo?».
Forse
guardare altrove, un po' ovunque, sarebbe stato auspicabile se non
avessero sentito, dalla finestra del bagno aperta, la voce di Rhea
urlare alla domestica dalla strada. Selina Kyle la guardò:
«Ce ne
andiamo».
Come
poteva già essere di ritorno? E il club del libro? Andarsene
a mani
vuote, proprio ora, era una scelta sofferta. Kara prese alcuni dei
documenti impilati in alto e lesse, sperando di trovare qualcosa che
la incastrasse, mentre l'altra le metteva fretta. C'erano nomi,
numeri, loghi di banche, qualcosa che non poteva sapere se le sarebbe
servito senza avere il tempo di leggere. Sentirono la sua voce
davanti al portone e dopo la serratura di casa: il tempo era scaduto.
Lei e Selina cercarono di risistemare i fogli sugli altri, ascoltando
la voce dal piano terra che chiamava il figlio: doveva essersi
accorta che qualcuno era in casa per via del sistema di allarme
spento, accidenti. Rimettendo i documenti al loro posto,
scivolò
dalla cassaforte un foglietto a quadretti scritto a penna: Kara lo
acciuffò prima che cadesse a terra schiaffandolo tra le
mani, ma
fece rumore. La donna continuava a cercare Mike, poi sentirono i suoi
passi sulle scale.
«Mike,
sei tu? Sei a casa?», manteneva un tono di voce dolce, non
poteva
significare niente di buono.
Sentirono
altri passi sulle scale e si nascosero dietro due mobili nel
salottino che Selina si accorse, sgranando gli occhi, di avere ancora
la tazzina in mano. Kara mimò dei gesti per convincerla a
riporla
sul tavolo, ma non c'era tempo: sentirono i passi vicini e restarono
immobili. La donna si voltò all'interno del salotto,
restò
all'ingresso, guardò appena per notare se era tutto in
ordine, e poi
tornò a uscire. Kara era più vicina al tavolo,
così Selina le fece
un gesto e lanciò la tazzina; lei la acchiappò al
volo, la riportò
sul tavolo e si nascose di nuovo. La donna tornò indietro di
corsa,
le sembrò di sentire qualcosa ma per fortuna, quando
arrivò, la
tazzina aveva già smesso di tintinnare sul piattino.
Seccata,
Rhea tornò al piano di sotto e chiamò la
domestica con un urlo,
così le due ne approfittarono per sgusciare in silenzio
dalla loro
posizione e andare verso il bagno, la loro via di fuga. Selina si
infilò dentro in fretta ma a Kara vibrò il
telefono e le scivolò
da una tasca. Il rumore attirò Joyce che usciva da una
stanza. Oh,
era tardi. L'aveva sorpresa. Le due si guardarono e Kara smise di
respirare. La domestica spalancò gli occhi. Rhea
urlò di nuovo e
sobbalzarono entrambe. «No, signora Gand», le
rispose dopo mentre
tremava, adocchiando quell'altra ragazza che, dietro la porta del
bagno, prendeva Kara per una manica in modo da trascinarla via.
«Non
c'è nessuno… signora Gand».
Joyce
aveva mentito a Rhea. Anche Kara spalancò gli occhi, di
riflesso:
quella ragazza aveva disobbedito per la prima volta. Le
sussurrò
grazie
e si arrampicò sulla finestra dopo Selina Kyle, andando via.
Le
aveva mentito. L'aveva aiutata, rischiando conseguenze. Kara pensava
che nulla avrebbe potuto farle riflettere come quel gesto, ma quel
foglietto che era uscito dalla cassaforte e si era portata dietro,
andava al di là delle sue aspettative. Kara lo
consegnò a Mike
quando tornò al campus. Megan era uscita e Selina non
tornò con
lei, dicendo che sarebbe passata per la notte, se avesse avuto uno
spazietto libero dove dormire. Così, soli, si presero del
tempo. Ne
avevano bisogno.
Dopo
averlo letto, Mike si paralizzò, riguardando lei.
«Ha confessato»,
sussurrò con un filo di voce.
«Voleva
farlo», annuì. «È la bozza
dell'intervista che voleva
rilasciarmi. Parla dei miei genitori. Ma dà a se stesso
tutta la
responsabilità», aggiunse con amarezza, abbassando
gli occhi.
«Possiamo usarlo contro tua madre per il suo assassinio, ma
non per
quello dei miei genitori… l-la esclude».
Mike
deglutì, pensando che quella era l'ultima cosa che suo padre
aveva
scritto prima di morire. Lo lasciò sopra il letto di Kara
per non
sgualcirlo e poi le si avvicinò. Si strinsero l'una
all'altro,
consci di quanto si fosse intrecciato il loro destino. Dopo, Mike le
passò una mano sul viso e le asciugò una lacrima,
così si
guardarono negli occhi, ritrovando quella complicità perduta
da
tempo.
Alex
e Maggie erano ancora scosse da quanto accaduto a Jamie con quei
poliziotti. Si erano prese due giornate libere, le avevano trascorse
tra loro, in casa, solo per riappropriarsi un po' della loro
libertà
e normalità. Prima di prendere quella decisione.
Maggie
batté le unghie sul bracciolo che la divideva da Alex alla
guida, in
macchina. Diede uno sguardo a Jamie sul seggiolino dietro che ancora
dormiva. Poi la strada, sorridendo. «Sai… fino a
non molto tempo
fa, sognavo di guidare questa strada a bordo di una moto. Jamie era
una nana avvolta in una copertina, pensavo sarebbe bastato un sidecar
per portarmela dietro».
Alex
rise, mani sul volante. «Avevo una moto, prima»,
confessò, «L'ho
venduta per pagarmi l'affitto».
«Ouh»,
fece una smorfia e dopo rise. «Peccato. Beh, potremo
comprarne una
un giorno, abbiamo due stipendi e potremo…
sì», si morse un
labbro, inclinando la testa, «andare a vivere insieme,
risparmiando
sull'affitto».
Alex
le lanciò un'occhiata e si guardarono, pochi secondi.
«Mi sembra
un'ottima idea».
Risero
come due bambine e Maggie riprese il suo telefono dal cruscotto,
chiedendosi se avesse avvertito Kara in tempo e fosse riuscita a
evitare che i suoi colleghi trovassero Mike nella sua stanza. Era un
caos da quando l'FBI arrivò in centrale, eppure, una parte
di sé si
sentiva sollevata dalla loro presenza. D'altronde, quei giorni erano
stati come una corsa sulle montagne russe e sarebbe stato almeno un
po' più facile se sua figlia non continuasse a chiederle che
fine
avesse fatto l'amica che l'aveva portata al parco divertimenti e
quando l'avrebbe potuta rivedere. L'indomani ci sarebbe stato il loro
processo, finalmente, e poteva almeno togliersi un pensiero dalla
testa. Per il resto, lei e Alex avevano deciso di portare Jamie dai
suoi in modo da tenerla distante fino a quando la situazione contro
Rhea Gand non sarebbe stata sistemata. Era la cosa migliore,
continuavano a ripeterselo. Jamie sarebbe stata al sicuro, anche se
farla stare con loro per un tempo indefinito le metteva angoscia. Era
stata una decisione difficile, ma ben ponderata. Senza contare che
lei e Alex si stavano presentando in casa loro insieme e si sarebbero
conosciuti. Poteva ammettere che cercasse di distrarsi per non farsi
mangiare dall'ansia. Alex aveva accettato di andare e ne era fiera,
soprattutto per via delle cose che le aveva raccontato su di loro, ed
era fiera della sua vita, ma la paura che provava all'altezza della
bocca dello stomaco era quasi più forte di lei.
«Sei
ancora in tempo a scappare, Danvers», le ricordò a
un certo punto.
Erano vicine. Le disse dove svoltare, stavano entrando in paese.
«Andiamo,
non sarà così male».
«Per
questo ti amo: non ti arrendi di fronte a un pericolo».
Alex
deglutì. Restò quanto più ferma
possibile; i suoi occhi fissi
sulla strada. Bene. Stava per conoscere i genitori di Maggie, andava
tutto bene. Tutto bene. Tutto be- oh, no, non sarebbe andato tutto
bene solo perché continuava a ripeterselo, aveva una paura
matta,
non sapeva in che dosi erano cambiati nel tempo ma erano stati
omofobi fino a poco tempo fa, insomma, e se poi non fosse piaciuta?
Era una donna, non sarebbe piaciuta a prescindere, ma se non piaceva
almeno il minimo sindacabile per vedersi alle feste programmate
avrebbe rischiato di compromettere il rapporto già in bilico
di
Maggie con loro. Ora volevano andare a vivere insieme, non poteva
permetterselo. Non poteva. Forse avrebbe dovuto portare qualcosa da
bere per fare bella impressione, perché non ci aveva pensato
prima?
O dei cioccolatini. No, cioccolatini, che idea stupida. Ma dei fiori,
forse. No, i fiori sarebbero stati troppo banali. Ma effettivamente,
dai racconti di lei, i due sembravano essere piuttosto all'antica e i
fiori… No, l'avrebbero comunque vista con sospetto
perché aveva
una vagina, dunque che avesse un regalo o meno faceva poca
differenza. E andava lì per Jamie, non per loro. Non per
loro. Non
per loro.
«Danvers,
devi girare. Alex?».
«Non
per loro»,
ripeté a voce e l'altra alzò un sopracciglio.
«Girare? Girare,
subito». Rumoreggiò con la gola e fece finta di
niente. Accidenti,
non sapeva nemmeno dove avrebbe potuto comprare dei fiori,
lì.
Jamie
si svegliò quando stavano parcheggiando di fronte alla casa.
Felice,
gridò che venisse slacciata dal seggiolino perché
da sola non
riusciva. Maggie stava per voltarsi indietro che scorse il volto
pallido della compagna, bloccandosi: «Ti senti
bene?». Le poggiò
una mano contro il braccio e la avvertì sussultare.
«Sì.
Certo. Una cosa veloce, andrà tutto bene, io sto bene, forse
sei tu
quella nervosa».
«Ssì»,
Maggie sorrise, arrossendo. «Vedi il lato positivo: non
è più lo
sceriffo e non potrà arrestarti».
«Confortante».
«Ma
ha ancora la sua pistola», piegò il collo da un
lato, stringendo le
labbra.
Alex
annuì lentamente, pensandoci. «Anche
noi».
«Ottima
osservazione», sorrise. Si avvicinò e si
scambiarono un bacio,
sentendo Jamie lamentarsi:
«Anche
io voglio un bacio, anche io lo voglio», provò a
spingersi in
avanti, «Voglio esshere libera, uffi».
Vorrei
scappare:
era l'unico pensiero di entrambe. Si presero per mano, dandosi forza
a vicenda. La serratura scattò, la porta cigolò,
Jamie si gettò
verso l'interno e la spalancò, saltando sulla gonna della
nonna. La
donna sorrise entusiasta e l'abbracciò, quando il suo
sguardo planò
su Maggie, Alex, Maggie, Alex, le loro mani unite, di nuovo Maggie,
di nuovo Alex, poi Jamie. «Ben…
Benvenute», forzò un sorriso e
si spostò dall'ingresso, con la bimba attaccata a una gamba,
per
farle entrare.
Beh,
non era poi tanto male. Sì, si percepiva un certo non so che
di
disagio nell'aria e, a parte Jamie, nessuno parlava, ma tutto sommato
poteva andare peggio. Lui strinse la mano a entrambe, con distanza,
mentre lei chiese se la bambina avesse già mangiato. Poi di
nuovo
silenzio.
«Devo
sistemare la camera per Jamie…», sibilò
Maggie dopo aver
rumoreggiato con la gola e interrompendo il silenzio imbarazzante. La
madre annuì, passandole una mano su un braccio.
«Sì,
certo, sali pure. Siamo contenti di averla con noi per qualche
giorno», si voltò verso il marito, che fissava
Alex, che fissava
lui. «Vero, caro, che lo siamo?». Dovette ripetere
per farsi
sentire ma, nonostante le rispose, lui continuò a guardare
la
ragazza.
«Così
è qui che sei cresciuta», Alex sorrise,
guardandosi intorno. Decise
di ignorarlo, di comportarsi normalmente. La struttura della casa era
vecchio stile, ma sembrava accogliente; c'era un camino, una poltrona
in pelle un po' macchiata dal tempo, tutti i mobili in legno, il
pavimento scricchiolava sotto i loro passi, la testa mozzata di un
cervo sopra una lampada, un cesto pieno di riviste, cosa…?
La testa mozzata di un cervo? Strabuzzò gli occhi,
accorgendosi che
c'era la testa di un altro animale, più avanti nel salone.
«Ti
interessi di caccia?», ridacchiò lui.
«Un uomo deve avere i suoi
passatempi. È più per uomini, no?». La
fissò di nuovo e Alex
cominciò a sudare. «Passano gli anni, ma la mia
mira non fa che
migliorare».
Lei
aprì la bocca a più riprese, pensando a cosa
dire, con sconcerto,
che Maggie la fermò, avvolgendole un braccio in vita.
«Non possiamo
trattenerci, papi, proprio un peccato non poter discutere
di… mh,
mira».
«Già.
E la tua camera? Non posso andarmene senza vederla».
«Ah»,
lei abbassò la testa e suo padre la scosse appena.
«È-È una
camera degli ospiti, veramente, adesso. La sistemo per Jamie, ma la
mia non c'è… più», si tolse
un capello dalla bocca e fece finta
di niente, mantenendo un forzato sorriso e così tornando
verso la
piccola che era rimasta con la nonna.
Alex
prese un bel respiro e strinse le labbra, ricordando ora, tutto
insieme, le angherie che aveva dovuto sopportare da loro solo
perché
gay. L'avevano cancellata dalla loro vita, per un breve periodo e, a
quanto pareva, la sua stanza ne aveva subito le conseguenze. Stava
per avvicinarsi di nuovo all'uomo che la donna si mise in mezzo per
chiederle se favoriva da bere qualcosa. Erano stati così
ingiusti
con Maggie che ora si vergognò un po' di aver pensato di
cercare di
fare semplicemente bella figura con loro.
«E
così vi siete conosciute per lavoro?»,
domandò lei, tornando con
due bicchieri mezzi pieni di birra fredda. Ne passò uno a
lei e uno
al marito, che guardò la ragazza con sfida. Di nuovo.
«Sei anche tu
una poliziotta».
«Lavoro
per il D.A.O., veramente», ringraziò e bevve il
primo sorso. Vide
Maggie salire al piano di sopra, con la bambina e una valigia,
lanciarle un lungo sguardo preoccupato: oh, i suoi genitori erano in
buone mani.
Lui
sghignazzò, spalle larghe, avvicinandosi con il bicchiere in
mano.
«Si dice che una certa indagine sia a un punto
morto», bevve un
sorso, «Forse dovrebbero lasciar fare ai
professionisti».
«Oh.
Ne conosce qualcuno?». Bevve di nuovo anche lei e l'uomo
assottigliò
gli occhi.
«Vi
fanno ancora tenere in mano le pistole, a proposito? So che fate
molto lavoro d'ufficio, ci sarà da annoiarsi».
Non
le avrebbe lasciato vincere quello scontro. Alex alzò le
spalle.
«Pare. Purtroppo, a noi arrivano poche ciambelle e spariamo
ai
bersagli per passare il tempo».
Lui
la fissò e si avvicinò ancora. Era alto, grosso,
ma Alex non si
sarebbe mossa di un centimetro. Qualche altra battuta, due sguardi e
uno strano silenzio, poi fu Maggie a tirarla indietro, cingendole un
fianco. «State andando d'accordo? Papi?».
«Naturale,
mija. Stiamo imparando a conoscerci».
«Sì»,
rispose anche Alex, «Hai finito di sopra?». La vide
annuire e poi
sussurrare, solo per lei, che era meglio andare. Guardarono Jamie
che, con la madre della ragazza, giocava a farle il solletico. Se non
altro, quello sarebbe stato il posto più giusto dove
lasciarla.
«Non
mi piace», brontolò a bassa voce lui sull'orecchio
della moglie,
adocchiando la loro figlia e Alex che salutavano la bambina.
«Risponde a tono, è sfrontata».
«Allora
potrebbe essere perfetta», rispose lei di rimando, facendo
storcere
il naso al marito. «Chiunque arrivasse, non ti piacerebbe per
tua
figlia. Almeno lei non si fa mettere i piedi in testa da te».
Jamie
abbracciò entrambe, promettendo di fare da brava. Maggie
faticò a
lasciarla, anche quando la piccola provò a scansarsi. Era
difficile,
dopo quello che avevano passato. Aveva avuto così paura di
perderla,
così paura che separarsene, anche se a fin di bene, era
davvero
dura.
«Solo
pochi giorni, okay?», le disse Alex alla sua altezza, quando
Maggie
riuscì a lasciarla e prese un grosso respiro. «Il
tempo di
sistemare una cosa molto importante e torniamo a prenderti. Ti
divertirai, qui?».
Jamie
annuì. «Ho un shaaacco di coshe da fare,
perché anche qui ho delle
amiche mie, lo shapevi? Lo shapevi che ho amiche qui? Allora, lo
shapevi? Ci vediamo poco però shono amiche mie anche loro e
giochiamo inshieme». Le passò una mano sul volto,
per vederla negli
occhi. «Mamma, shtai piangendo?».
Maggie
sorrise e Alex scosse la testa, scambiando uno sguardo con lei. Oh,
gli occhi di entrambe si erano fatti lucidi.
«Mamma?»,
la signora aveva esclamato sorpresa, dietro di loro. Sia lei che il
marito le guardarono ipnotizzati e confusi, ma le ragazze sorrisero e
li ignorarono, riabbracciando Jamie.
«La
faccia di tuo padre», rise Alex, una volta in macchina.
«Credo che
non la dimenticherò mai».
«Non
erano pronti a sentire la loro nipotina considerare entrambe come sue
madri», rispose Maggie in una risata, girando il volante per
uscire
da una strada, per poi tirare su con il naso. Avevano ancora gli
occhi lucidi, ma sapevano di aver fatto la scelta giusta. Ne erano
convinte. «Pochi giorni, giusto?», le
domandò e Alex sospirò.
«Riusciremo ad arrestare Rhea Gand e
poi…».
«Beh»,
Alex guardò fuori dal finestrino, pensando. «Forse
Zod non è un
pericolo per Jamie».
Maggie
la guardò di straforo, aggrottando la fronte. «Chi
sei tu, devo
aver lasciato Alex a casa dai miei», la fece sorridere.
«Sei la
prima ad attaccarlo, e ora pensi che non possa essere un
pericolo?».
«Non
lo so», scosse la testa, «La verità
è che non so più cosa
pensare. Jamie era in pericolo perché quei pazzi che
volevano farsi
grandi agli occhi di quell'altra pazza pensavano fosse una grande
idea rapirla e darla a un'altra famiglia, mentre Zod aveva mandato
quel Kwel…
Kwez-».
«Kweskill.
Charlie Kweskill».
Alex
roteò gli occhi. «Può una persona
chiamarsi in questo modo?»,
sbottò. «Aveva mandato lui per recuperarla. Voleva
aiutarci. Questo
non significa che mi piaccia e non cambio idea: dobbiamo trovare un
modo per incastrarlo e arrestarlo, come tutti quelli
dell'organizzazione. Però dico che forse, forse,
non è una minaccia per lei». Vibrò un
telefono, pensò subito
potesse essere Kara e così lo prese dal cruscotto, ma non
era il
suo, era quello di Maggie. «Parli del
diavolo…», bofonchiò,
rendendo l'altra curiosa. Le mostrò lo schermo: il nome Kweskill
in bella mostra. «Hai il suo numero?».
Maggie
sospirò. «E adesso che vuole? Devo tornare in
servizio, domani, ma…
Lascialo, lascialo, rispondo da qui», indicò il
sistema dell'auto.
«Sì, lui me lo ha chiesto e ho
accettato», la guardò, «Pensavo
sarebbe tornato utile». Vide la ragazza annuire e
cliccò un
pulsante sullo schermo del computer della macchina, accettando la
chiamata. «Kweskill. Dimmi».
«Ehi,
Sawyer, brutto momento?».
«No.
Sto guidando».
«Sei
sola?».
«Sì»,
lanciò uno sguardo a Alex, che annuiva,
«Sì, sono sola, dimmi».
«Sono
contento che domani torni in centrale, sai, non ci siamo conosciuti a
dovere a causa di quei simpaticoni. Ti chiedo scusa, a proposito:
dovevo prenderti di mira se volevo essere uno di loro,
capisci?».
«Nessun
rancore», ansimò. Alex fece una smorfia e sorrise.
«Bene,
mi fa piacere sentirlo. Sei la mia partner fissa, adesso! Lo avresti
scoperto domani, ma mi piace rovinare le sorprese»,
lo sentirono ridacchiare, «Mi
sarebbe seccato se ci fosse stato del livore per quello che
è
successo. Come sta la bambina?».
«Bene.
Sta bene».
«Ottimo»,
era come vederlo sorridere. «Volevo
anche parlarti… di un'altra cosa. Chiederti scusa, a nome
nostro».
Le
ragazze si scambiarono uno sguardo per un momento. Alex si
portò una
mano alla bocca, non poteva farsi sentire, e Maggie incurvò
la
testa, sospirando. «Vostro?
Di cosa stai parlando?».
Anche
lui prese fiato. «Non facciamo questo gioco, Maggie, su.
Sappiamo
che sai. E la tua ragazza sta indagando su di noi, quindi…
Volevo
chiederti scusa a nome di tutti. A nome del Generale». Il
ragazzo
scese dalla scrivania su cui si era appoggiato, guardando il suo
superiore accanto a lui, seduto sulla sedia. Charlie sorrise.
«Vogliamo parlarti, se sei d'accordo. Ci dirai tu quando
sarai
pronta e fissiamo un appuntamento, senza fretta»,
annuì a Zod, che
lo fissava. «Vorremmo che conoscessi ciò che
è davvero
l'organizzazione, non quello che fa sembrare Rhea Gand».
«Ti
rendi conto che stai confessando di farne parte? Che stai facendo dei
nomi?».
«Certo»,
sorrise ancora, camminando per l'ufficio in modo scanzonato.
«Presto
capirai che dovrai schierarti e che noi siamo la risposta. Ci fidiamo
di te, Maggie Sawyer», si portò una mano sul
petto, girandosi e
camminando in direzione opposta. «Ti stiamo accogliendo a
braccia
aperte, ma spetta a te. Volevo solo dirti questo. Domani ne
riparliamo, se sei d'accordo, non voglio farti pressioni. Vorrei che
mi considerassi un amico. Puoi contare su di me». Chiusero la
telefonata e il ragazzo, una mano sulla tasca del pantalone della
divisa e l'altra col cellulare in alto, come se avesse voluto
festeggiare, si girò a un Dru Zod pensieroso.
«È fatta», rise.
«Non
l'hai spaventata, vero, Charlie?».
«No»,
aggrottò la fronte, tirando le spalle indietro.
«Sono un ragazzo
adorabile, nessuno si spaventerebbe. Domani vorrà riparlarne
a voce
e avrò modo di… sa», strinse gli occhi,
passandosi una mano sul
petto, «creare un legame».
Zod
alzò gli occhi al soffitto, portandosi una mano sulla
tempia. «È
importante che Sawyer si fidi di noi, vedi di non fare il
pagliaccio».
«Sì,
sì, lo so, Generale», annuì.
«E se lei diventa dei nostri, anche
la sua ragazza lo sarà presto».
Dru
Zod gli intimò di stare attento e dopo lo
congedò. Rimasto solo in
ufficio, si alzò e guardò verso i vetri i suoi
agenti e quelli
dell'FBI lavorare insieme. Era grato di avere ancora Charlie al suo
fianco, dopo aver perso Faora a causa di Rhea. Gliel'aveva messa
contro, aveva superato ogni limite, ma sentiva che la resa dei conti
era vicina. Bussarono alla porta e diede l'ordine di entrare, vedendo
l'uomo sistemarsi la cravatta.
«Abbiamo
una pista su Mike Gand?», domandò, ma vide l'altro
scuotere la
testa. «Deve essere un testimone. I miei uomini lavorano
assiduamente per trovarlo, Zod, ma sembra che non stiamo facendo
abbastanza». Poi deglutì e sorrise con enfasi.
«Non vorrei
chiedertelo, ma sai, se potessi usare le risorse che sappiamo
avere…
Che ne so, qualche telefonata, se gli omega potessero scendere in
campo per scandagliare le strade ci farebbero risparmiare del tempo.
Non può essere andato lontano, è un ragazzino
viziato».
Zod
gli riservò un'occhiataccia, mettendo le mani dietro la
schiena,
riguardando attraverso un vetro. Ma
guarda!,
esclamò per sé, sapeva da ieri che era il
presidente
dell'organizzazione e ora parlava con lui come se ne fosse sempre
stato coinvolto. Gli aveva promesso collaborazione e un posto caldo
se le cose fossero andate bene, ma non amava che gli si dicesse cosa
avrebbe dovuto fare né che qualcuno potesse pensare di dare
ordini
ai suoi omega per lui. Non lo avrebbe concesso a nessuno, tantomeno
all'FBI. «No», chiosò con voce
autoritaria.
«Ma
non c'è più tempo».
«So
io quando c'è o non c'è tempo», si
risedette davanti alla
scrivania e l'altro impallidì, abbassando gli occhi.
«E adesso
esci». Lo vide annuire tiepidamente e richiudere la porta
dietro di
lui.
Invece,
Lena aveva trascorso quei tre giorni dal rapimento di Jamie in villa,
a studiare, diceva, ma per lo più a pensare a come
incastrare o
ferire metaforicamente Rhea Gand. Nemmeno lei aveva intenzione di
lasciar fare a Zod. Aveva promesso a Kara che sarebbe riuscita a
trovare un modo e non voleva venire a meno alla parola data. Forse
era la parte di lei che si sentiva in colpa a farlo, ma ci avrebbe
messo tutta se stessa per mostrarle che poteva davvero fidarsi di
lei, che poteva contare su di lei, che poteva amarla come fino a quel
momento prima di dirle della propria famiglia che non aveva salvato
la sua. Sapeva di non avere colpe in quello, che non poteva realmente
pensare una cosa simile, ma Kara era distante, adesso, e sentiva la
sua mancanza come un macigno pesantissimo. Molto più pesante
di
quello che aveva portato per quel segreto. Si era liberata di uno,
come avrebbe fatto a liberarsi del secondo? Giocherellò col
bracciale che le aveva regalato a Natale, sul polso sinistro. Era
così bello. Oddio, quanto l'amava… Non poteva
crederci di essersi
innamorata di Kara così tanto da stare male, adesso. Quanto
poteva
fare male, l'amore? Era la sua sorellastra, una ragazzina che metteva
su il broncio quando si arrabbiava, che a volte si mangiava le parole
e si imbarazzava facilmente, che era incredibilmente sicura di
sé
quando scendeva sul campo di lacrosse, comprensiva, a volte
infantile, il suo sorriso era quanto di più bello ci fosse
nel
mondo, anche quando rideva con voce nasale. Era forte e nemmeno lei
sapeva quanto. Sapeva di amarla, ormai era chiaro da tempo, ma tanto
da pensare che avrebbe voluto passare tutta la vita al suo fianco
era… Oh, accidenti, si sentiva uno straccio,
perché si stavano
riavvicinando e aveva mandato tutto all'aria. Non c'erano
più mi
manchi;
non più un solo accenno alla loro relazione. Ma non ci
sarebbe stato
un momento migliore per farlo e doveva
farlo. Era la cosa giusta, a prescindere da tutto. Forse doveva solo
aspettare che Kara digerisse cosa era successo. Diede uno sguardo al
telefono, ma di lei niente. Poi i passi affrettati avvicinarsi nel
vicolo e Lena si appoggiò alla parete per riflesso.
«Si…
Signorina Luthor, è lei?».
La
sua voce bassa e terrorizzata le suggeriva che, se non doveva essere
uscita di nascosto, di sicuro aveva i minuti contati. Guardò
l'orologio e si avvicinò alla luce. «Non ero
sicura che saresti
venuta».
Joyce
si torse le mani più volte, in ansia. Si riguardò
indietro e decise
di mettersi di più nell'ombra, con paura. «Non
v-volevo. Ma lei non
mi lascia scelta, signorina Luthor».
«Ammetto
di essere stata un po' sfrontata a indagare su di te e minacciarti di
denuncia, ma siamo con le spalle al muro e devo giocare tutte le mie
carte».
Joyce
prese fiato e si toccò i capelli, sistemandoli dietro le
orecchie.
«Lei vuole che testimoni, vero?».
Lena
annuì. «Sì»,
ribadì a voce. «So di chiederti molto, ma quella
donna è pericolosa-».
Joyce
la interruppe con la propria voce, attenta a riguardarsi intorno:
«Pensa che non lo sappia? La notte non dormo, da quando il
signor
Gand è morto. Rivedo il suo corpo quando chiudo gli
occhi», prese
fiato e Lena si zittì, riguardando l'ora. «I-Il
signor Gand ha
dovuto far partire la sua segretaria dall'altra parte del mondo e-e
la signora Gand la sta ancora cercando. N-Non voglio essere la
prossima, signorina Luthor. Non voglio morire
così… e-e se
testimonierò, sarò come già
morta».
«Se
testimoni, lei finirà in carcere».
«No»,
scosse la testa, «Quelle come lei vincono sempre, non restano
in
carcere tanto tempo, signorina».
Finalmente
Lena sentì un'automobile avvicinarsi e dovette calmare Joyce
per non
farla scappare, dicendole che aspettavano qualcuno. I passi sicuri
sui tacchi si avvicinavano in fretta. «Se decidi di
testimoniare,
lei potrà aiutarti», le sussurrò,
sentendola lamentarsi del luogo
dell'incontro.
«È
notte e questo è il vicolo più buio e sporco che
sei riuscita a
trovare, suppongo. Ho paura di aver calpestato un eroinomane, in quel
punto», indicò velocemente, con faccia schifata.
«Perché qui e
non direttamente nelle fogne, Luthor? Indosso le scarpe buone
apposta». Si fermò, quando capì che non
era sola: «Ah, è già
qui, bene». Le mostrò la mano e Joyce
spalancò la bocca:
«Lei
è la donna della televisione».
Si
diedero la mano e Cat Grant gliela strinse con calore.
«Ragazza mia,
la signorina Luthor mi ha spiegato la tua situazione e posso
aiutarti. Conosco le persone giuste-».
«Ne-Nessuno
può aiutarmi».
«Non
dire queste cose», le strinse la mano con più
forza. «Lei ti ha
messo in testa che nessuno può farlo, ma non è
vero, Estella», la
vide spalancare gli occhi castani nel sentirla chiamare col suo vero
nome, «E la schiavitù è stata abolita
da tempo. Conosco persone
che possono aiutarti a ottenere un permesso e a sistemarti. Possono
aiutarti a trovare lavoro e-».
La
giovane domestica sfilò la mano e si riguardò
intorno, deglutendo.
«Voi non capite: questo è tutto bello, ma non
servirà se sarò
morta».
Lena
e Cat Grant si scambiarono un'occhiata nel buio e la prima rispose:
«Faremo in modo che Rhea Gand resti in prigione, stavolta.
Faremo
qualsiasi cosa per trattenerla lì fino alla sua
morte».
Quando
tornò a casa, aveva la testa pesante. Sì, forse
era stato un colpo
basso minacciare quella che chiamavano Joyce di denunciarla per
clandestinità, ma non aveva avuto idee migliori e senza non
l'avrebbe ascoltata. E Cat Grant avrebbe potuto davvero aiutarla, se
lo avesse permesso. Le chiedevano solo di testimoniare e, forse, Kara
sarebbe riuscita a convincere Mike. Ignorò il silenzio che
riecheggiava per la villa e si chiuse in camera sua per ricominciare
a lavorare su Rhea Gand.
X:
Non trovo molto altro anche nei siti esteri.
Le
fece sapere Indigo e Lena aggrottò la fronte. Dopo aver
collaborato
per riportare Jamie a casa, le cose erano cambiate tra loro e si
sentiva più sicura nel lavorare insieme. Era davvero brava,
sarebbe
stata sciocca a non servirsi di lei se voleva risolvere qualcosa.
Sì,
ancora non sapeva cosa volesse con precisione Indigo da lei, ma si
era fatta qualche idea, trovando informazioni sul suo conto.
Z:
Grazie, quello che abbiamo trovato ci aiuta comunque a farci un
quadro più preciso su quella donna.
X:
Non devi ringraziarmi. Te lo avevo detto che avresti potuto fidarti
di me.
Prima
di sposare Larson Gand, Rhea faceva Taylor di cognome e abitava con
la famiglia a due isolati di dove abitava ora. I suoi genitori erano
benestanti: lui era il direttore di un'acciaieria a sud della
città
e lei aveva aperto un negozio di profumi artigianali nella zona buona
di National City. Rhea aveva anche una sorella maggiore, Petra. Oh,
era deceduta in seguito a un'incidente domestico quasi quarant'anni
fa, aveva solo ventiquattro anni. Caduta dalle scale. Vide diverse
foto scattate al funerale di Petra: Rhea aveva quindici anni, in ogni
scatto aveva la testa bassa. E quello, invece…
Caricò la foto
sulla chat con una freccia puntata sul ragazzino più alto e
robusto
che le stava a fianco e non dovette attendere per una risposta:
X:
È proprio lui, come stai pensando: un giovane Lar Gand. Si
erano
conosciuti al liceo, a quanto pare. Devi dare un'occhiata ai file
della quarta cartella: ci sono foto del periodo, Lena.
Oh,
scoprì che non era pronta a vedere una Rhea quindicenne e
brufolosa.
Non poteva crederci che stavano insieme da allora: alcune foto e
pagine erano state prese dagli annuari di quegli anni; lei era stata
capoclasse per tre anni di fila e lui capo degli studenti, vincendo
diversi dibattiti e portando la scuola alle manifestazioni. Non c'era
altro da dire: la politica era sempre stata una parte di loro.
Trovò
anche una foto di Petra e Rhea, abbracciate e sorridenti. Si
domandò
quanto avesse sofferto nel perdere la sorella. Ne sfogliò
diverse,
sembravano unite nonostante l'evidente differenza di età,
proprio
quella che c'era tra lei e Lex. Poi un'altra foto attirò la
sua
attenzione: riconosceva Petra, aveva un anello al dito e stava con un
ragazzo; sembravano intimi. Una foto scattata proprio da Rhea, al
tempo. Erano fidanzati, come diceva la didascalia: lui ne
uscì
distrutto dalla sua morte, stavano preparando le nozze. Il ragazzo
sembrava avere una faccia già vista, accidenti. Chi le
ricordava?
Gli occhi scuri, il viso severo, le labbra fini, magrolino e alto.
Capelli lunghi, come suggeriva la moda del periodo. Era felice e
quella felicità la confondeva, una volta inquadrato chi era:
Adrian
Zod. Il Generale stava per diventare il cognato di Rhea Gand?
Scrisse
subito un messaggio a Kara per dirle di aver trovato qualcosa, col
cuore agitato. Quei due si conoscevano davvero da tantissimo tempo e
non poteva essere una coincidenza che facessero parte entrambi,
meglio ancora contando Lar, dell'organizzazione. Quando era nata?
Anche loro erano tra i fondatori?
Z:
Grazie di nuovo. Continuerò a leggere, ma ho già
trovato cose molto
utili.
X:
A tua disposizione.
Lena
accese lo schermo del telefono, ma Kara non aveva ancora risposto.
Riguardò la chat e aggrottò la fronte,
deglutendo, pensando che
avrebbe potuto abbattere un muro.
Z:
Per fidarmi davvero di te, potremo cominciare con l'essere sincere.
Sai chi sono, e anch'io so chi sei tu.
X:
Non lo sai.
Z:
L'ho scoperto. Hai scritto un tema sulla mia famiglia al liceo,
quando avevi sedici anni. Mio padre aveva pagato per la
ristrutturazione di alcuni palazzi che stavano crollando nella zona
delle case popolari: abitavi lì con la tua famiglia, Indigo.
Inviò
e tenne d'occhio il cerchio in basso a destra che girava, segno che
scriveva. Poi sparì. Riapparse. Lena si passò una
mano sulla
fronte, riguardando il cellulare e la chat: che avesse rovinato le
cose anche con lei?
X:
Non sai niente.
Quella
era una notte strana. Lena temette di aver fatto il passo
più lungo
della gamba con il profilo misterioso e sperava di non averla messa
nei guai con il suo garante, chiunque fosse. Le mancava Kara in un
modo che non credeva possibile mancarle qualcuno e, aspettando con la
tachicardia una sua risposta, continuava a leggere i documenti e
guardare le foto che facevano parte del passato di Rhea Gand. E forse
non solo il suo. A casa di Maggie, lei e Alex iniziarono a discutere
animatamente sulla proposta di Charlie Kweskill. Stavano mettendo in
conto tutte le possibilità e ogni rischio. Alex era
fortemente
contraria, ma solo perché il rischio lo avrebbe corso
Maggie.
Difatti, lei non voleva sentir ragioni.
«Potrebbe
essere la svolta che aspettavi».
«Non
è più solo un caso, Mags: è la tua
vita».
Lei
incurvò la testa, estraendo un sorriso. «Non
possiamo lasciarci
sfuggire l'occasione e lo sai anche tu! Fammi andare come spia per il
D.A.O.».
Alex
ebbe come un déjà-vu: non era così che
aveva iniziato Astra Inze?
Al
campus, Kara non prendeva sonno. Megan e Mike si erano addormentati
da qualche minuto e lei ripensava al foglietto con la confessione di
Lar Gand. Non sapeva che Selina non era ancora arrivata
perché,
fuori dalla Lord Technologies, studiava il perimetro.
Da
L! A Me
Kara,
è importante. Ho in mano cose molto interessanti sul passato
di Rhea
Gand, dobbiamo parlarne.
Rilesse
il messaggio più volte e si alzò dal letto,
scalza, attenta a non
calpestare il ragazzo. Altro su Rhea. Come lo avrebbe gestito? Il
cuore saltò un battito e si avvicinò all'armadio,
aprendolo e
piegandosi sulle ginocchia. Non voleva cedere, ma la tentazione era
troppo forte, adesso.
Da
Me a L!
Avverto
Alex e Maggie. Ci vediamo domani?
Appoggiò
il cellulare sul pavimento e frugò all'interno dell'armadio,
sotto
le gonnelline. Tirò fuori un barattolino e si
rialzò in piedi,
mostrandolo davanti alla luce emessa da quella da lettura sul letto.
Le pillole rosse risaltavano attraverso il vetro. Lo aprì e
ne prese
una, sorpassando Mike a terra e avvicinandosi al tavolo per una
bottiglietta d'acqua. Doveva essere lucida; non poteva lasciarsi
prendere dalle emozioni. Come avrebbe superato la tensione? In quel
modo: si portò la pillola sulla lingua e la mandò
giù con l'acqua,
prendendo dopo un bel respiro.
Nemmeno
Rhea sarebbe riuscita a dormire. Joyce era andata a letto e lei era
rimasta sola in sala da pranzo, davanti alla televisione che mostrava
un servizio su suo marito, omaggiandone la brillante carriera.
Qualcuno si era introdotto in casa ma non mancava niente e non poteva
chiamare la polizia. Zod aveva mandato qualcuno a cercare la pistola?
Allora era arrivato il momento. Si morse un labbro con fastidio e,
recuperando la borsa appoggiata all'ingresso, la aprì per
cercare il
suo secondo cellulare, spostando la pistola. Dunque compose un numero
e attese. «Qualcuno è entrato in casa mia,
oggi», mormorò,
«Radunali. È ora di dare inizio
all'operazione».
Lo
so, lo so, ho cercato di stringere ma questo è uno dei
capitoli più
lunghi e ci ho potuto fare poco XD Spero non abbia annoiato!
Da
una parte abbiamo seguito Kara: lei e Megan ospitano Mike nella loro
stanza al dormitorio e mandano avanti una strana convivenza, tra
Megan che parla nel sonno, ospiti notturni improvvisi e piani per
entrare senza invito in case altrui. E non solo case! A quanto pare,
Selina Kyle si è messa in testa di entrare alla Lord
Technologies e
dare un'occhiata al lavoro di Maxwell Lord. Ha parlato del suo locale
a Kara senza sapere che, ops,
lei ha delle pillole rosse con sé. Questa ve l'aspettavate?
La
ragazza è andata nel pallone, diciamolo, ha iniziato a
pensare di
non riuscire più a gestire la situazione e le manca Lena, lo
sa, non
per niente le scrive dei messaggi che poi non invia, ma non riesce a
non avercela con lei, anche se non vorrebbe. Intanto, Mike pensa alla
loro relazione ed è seccato e Kara e Selina hanno preso quel
foglietto con la confessione di Lar da casa Gand. Rhea, capendo che
qualcuno si è introdotto, ha fatto una telefonata per dare
il via
all'operazione.
Cosa sarà? Cosa vi aspettate?
Poi
abbiamo seguito Alex e Maggie: hanno portato Jamie dai nonni per
tenerla lontano e al sicuro fino a quando non avranno risolto questa
faccenda con Rhea Gand, non sapendo bene come comportarsi invece con
il capitano della polizia Zod. Charlie Kweskill ha praticamente
confessato, invitando Maggie a dare uno sguardo all'organizzazione.
Sembra che lui e Zod abbiano dei progetti, in questo senso.
Infine,
abbiamo seguito Lena: si è fatta avvicinare da Joyce, la
domestica
dei Gand, minacciandola di denuncia e vuole che testimoni contro
Rhea, mettendola in contatto con Cat Grant, disposta ad aiutarla per
la sua situazione. Come Lena manca a Kara, Kara manca a lei e in un
modo che non credeva possibile, ma non saprebbe come fare a
riavvicinarsi se non aspettare l'altra. Nel frattempo, ha ormai
stretto una collaborazione con Indigo che le sta facendo avere tutto
ciò che trova su quella donna, scoprendo il suo passato: lei
e Lar
si conoscevano dal liceo, una sorella maggiore morta tempo fa e il
futuro marito di questa, Dru Zod. Rhea e Zod si conoscono da tanto
tempo, quindi: avranno avuto qualcosa a che fare con la fondazione
dell'organizzazione?
Piccola
nota:
Non
ho idea se, anche nel canon, Rhea abbia o avesse una sorella. Ma non
importa XD Ero indecisa fino all'ultimo sul nome da darle: prima
Petra,
poi Gaia,
sono tornata a Petra,
che mi convince di più.
Siamo
vicini all'operazione,
siamo vicini a un punto importantissimo per questa fan fiction! Il
capitolo 43 Anime
rotte
sarà pubblicato qui, alla solita ora, venerdì 29 ~
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