Capitolo XVI
Ammissioni e scoperte
Genzo
correva a ritmo sostenuto per le strade di Nankatsu, rischiarate e
scaldate da
un sole ormai quasi estivo.
Passò
davanti al campo di calcio oggetto di tante contese e rivendicazioni
con i suoi
rivali della prima Nankatsu, dove stavano giocando dei bambini che avevano la
loro
stessa età dell'epoca.
In
parte
li invidiava: a dieci anni era tutto più semplice, i
turbamenti sentimentali
erano al di là dal venire e lui era anche riuscito a tenerli
lontani per più
tempo rispetto a molti suoi coetanei.
Si
era
svegliato con in mente il bacio sfiorato la sera prima, tra lui ed
Elena.
Il
freddo,
granitico Genzo Wakabayashi non aveva più saputo resistere,
alla fine.
In
quel
momento c'era solo Elena davanti a sé, nella mente e nei
sensi, aveva
dimenticato completamente la sua situazione e ogni altro legame.
Sentiva
ancora il suo profumo dolce e discreto, vedeva ancora gli occhi azzurri
fissi
nei suoi, per poi chiudersi mentre i loro visi si avvicinavano.
Era
andato
a correre non solo per sua abitudine quotidiana, ma anche per evitare
di
crogiolarsi troppo in quel pensiero.
Tornato
a
casa, si infilò sotto la doccia, con l'intenzione di
dedicare la solita ora
alla navigazione su Internet, controllando la casella di posta
elettronica e
leggendo le notizie delle varie testate giornalistiche.
Ma
un
fuori programma lo costrinse a rinunciare a quella consuetudine.
Dalle
finestre della sua camera da letto vide infatti, il previsto arrivo di
Hiroji,
Annie e i bambini. Ciò che non aveva immaginato, era di
vedere anche la Lexus
della famiglia Ujimori percorrere il vialetto di ghiaia che dal lungo e
pesante
cancello conduceva alla villa. A scenderne però fu soltanto
Asami.
Genzo
lasciò la sua stanza alcuni minuti dopo, quando tutti erano
riuniti nel
salotto.
Non
appena
comparì, la sua ragazza si alzò e andò
ad abbracciarlo, sotto gli occhi
benevoli di Hiroji e quelli indecifrabili di Annie.
«Era
da
tanto tempo che non venivo qui.» disse Asami, seduta sul
divano a dondolo del
salotto all'aperto nel giardino di villa Wakabayashi, dove lei e Genzo
si erano
spostati dopo il pranzo.
Respirò
l'aria salmastra proveniente dalla baia di Suruga, da cui la
città di
Nankatsu distava pochissimi chilometri.
La
ragazza
aveva sempre amato quella zona del Giappone, scenario di tante giornate
felici
della sua infanzia. Il Monte Fuji che a Tokyo le sembrava
così lontano, era
sempre sullo sfondo, a dominare un paesaggio che manteneva intatte
molte delle
sue caratteristiche naturali, non ancora fagocitate da selve di edifici
e
grattacieli.
Genzo
era
in piedi a pochi passi da lei. Contemplò, ammirata come
sempre, la sua figura
statuaria. Indossava dei pantaloni neri e la maglietta bianca si
tendeva sopra
le sue ampie spalle.
«Vieni
a
sederti qui.» lo invitò quasi sussurrando,
sorridendogli con fare suadente.
Lui
si
voltò verso di lei. Fino a non molto tempo prima, quel tono
di voce e
quell'atteggiamento lo avrebbero attirato come il canto di una sirena.
Ma
da un
po' di tempo ormai non era più così.
Il
pensiero di Elena si era fatto sempre più frequente e doveva
fare grossi sforzi
su sé stesso per non concedersi dei momenti in cui chiudere
gli occhi e
lasciare che l'immaginazione corresse a briglie sciolte.
La
chiamata di Kozo Kira era arrivata provvidenziale. Il c.t. gli aveva
comunicato
la convocazione per l'ultima partita contro l'Australia e lui sarebbe
partito
l'indomani, per raggiungere il J-Village.
Era
ormai
completamente guarito dalla frattura allo zigomo, e la maschera
protettiva era
una sorta di precauzione di cui avrebbe fatto definitivamente a meno di
lì a un
paio di settimane.
Era
da
considerarsi un giocatore recuperato e idoneo a difendere i pali se ce
ne fosse
stato bisogno, ma Kira lo aveva chiamato soprattutto per essere di
sostegno ai
suoi compagni.
Il
suo
carisma, la sua forza di carattere, la sua voglia di vincere avrebbero
trasmesso agli altri ragazzi la fiducia indispensabile a battere
l'Australia.
Sapeva
già
quindi che avrebbe visto la gara dalla panchina, ma era felice di poter
condividere quei giorni con i suoi compagni e di avere un'altra
importante
questione cui pensare.
Ciononostante,
sorrise ad Asami di rimando e si sedette accanto a lei.
La
ragazza
sospirò di piacere e gli si accostò, posandogli
la testa su una spalla e la
mano sul petto, accarezzandolo piano con le sue dita sottili.
«Sai
… mi
ricordo ancora benissimo di quando venivo qui a passare le vacanze. Tu
ti
allenavi ogni pomeriggio con il signor Mikami e poi facevamo merenda
insieme,
seduti proprio lì.» disse, indicando il tavolo in
legno bianco poco distante,
attorniato da alcune sedie di vimini.
«Ricordo
un giorno in cui eri arrabbiato perché eri stato sfidato da
un ragazzino appena
arrivato in città e Mikami dovette sgridarti per
costringerti a interrompere
l'allenamento.» aggiunse, non udendo una risposta da parte di
Genzo.
«Già,
Tsubasa … immagino tu sappia che si è sposato con
Anego e aspettano un
bambino.» replicò, infine.
«Anego?
Ah, quel maschiaccio!» rise Asami.
Genzo
annuì con un mezzo sorriso, ricordando la dirompente
capotifosa delle
elementari.
«Crescendo,
è cambiata. È diventata molto femminile. E vuole
essere chiamata Sanae,
altrimenti si arrabbia.»
«Non
l'ho
più vista da allora. E non mi sono più
interessata al calcio, dopo che sei
partito per la Germania. Tranne che per le notizie che Mikami o Hiroji
e i tuoi
genitori ci portavano su di te.» gli confidò,
alzando la testa e guardandolo
con un sorriso, che lui ricambiò, di nuovo senza replicare.
Il
suo bel
viso assunse un'espressione perplessa «Oggi sei
così taciturno … sei
preoccupato per la partita?»
Scosse
piano la testa «Lo ero di più prima, quando
dovevamo sperare in un loro passo
falso. Ora dipende da noi, anche se abbiamo il vincolo dei tre gol da
segnare.»
«Vorrei
tanto venire allo stadio, ma parto per Kyoto proprio domani.»
disse,
stringendosi nelle spalle.
«Per
Kyoto?» chiese il ragazzo, aggrottando le sopracciglia.
«Sì,
te ne
avevo parlato una settimana fa, non ricordi? È un viaggio di
alcuni giorni con
compagni e professori d'università. Visiteremo monumenti,
musei e biblioteche.
Mi servirà per scrivere la mia tesi di laurea.»
rispose, perplessa e un po'
delusa.
Genzo
assentì «Certo, ora ricordo. Scusami, è
che sono settimane particolari.»
La
ragazza
fece un cenno di diniego «Non ti preoccupare. So quanto
queste Olimpiadi siano
importanti per te.»
Lui
abbozzò un sorriso.
«In
bocca
al lupo, Genzo.» gli sussurrò, avvicinandosi e
posandogli un bacio sulle
labbra.
Genzo
aprì
la porta di casa e trovò davanti a sé proprio
l'unica persona che mai si
sarebbe aspettato di vedere in quel momento.
«Elena.»
disse, l'espressione stupita e una scintilla negli occhi neri che le
fece
trattenere il fiato.
«Ciao
Genzo.» rispose lei dal canto suo, gli occhi azzurri che lo
guardavano
leggermente spalancati.
Trasalì,
fortunatamente senza darlo a vedere, quando vide Asami comparire dietro
il
ragazzo e fissarla con la stessa espressione di quando l'aveva
incontrata nella
stanza in cui era stato ricoverato.
La
salutò
facendo un inchino.
L'ereditiera
ricambiò con un cenno del capo e un lieve sorriso.
«Ho
appena
riportato la giacca di tua madre.» disse poi a Genzo,
volgendosi leggermente
verso Hitomi che teneva tra le mani l'indumento perfettamente stirato e
ripiegato.
Il
ragazzo
fece un cenno d'assenso e la ringraziò.
«Vado
… le
mie allieve mi aspettano in palestra.»
Genzo
la
salutò, voltandosi poi a guardarla mentre si avviava verso
il cancello.
Asami
lo
osservò.
Sembrava
essersi rianimato nei pochi minuti in cui aveva visto quella
ragazza.
I
suoi
occhi erano più accesi e sembravano voler trattenere la sua
immagine quanto più a lungo
possibile.
Aveva
alternato lo sguardo dall'uno all'altra durante quel breve dialogo e
aveva
visto una muta complicità che le aveva fatto avvertire un
tuffo al cuore e un
senso d'inquietudine.
Asami
si
congedò da villa Wakabayashi nel tardo pomeriggio, salutando
con un breve
abbraccio e un piccolo bacio Kenichi e Aiko, e dando poi una carezza su
una
guancia a Genzo.
Salita
in
auto, ordinò al suo autista di fermarsi davanti al complesso
sportivo
Shiroyama.
Una
volta
entrata, salutò cortesemente la segretaria, che rispose con
un sorriso
altrettanto cordiale.
«La
signorina Rulli è qui?»
«Sì,
sta
facendo lezione.»
Asami
la
ringraziò e si diresse verso l’area in cui si
tenevano gli allenamenti di
ginnastica artistica.
Elena stava supervisionando e
dando
consigli e indicazioni alle giovanissime atlete, tutte impegnate nella
preparazione alle Nazionali juniores, mostrando la postura da tenere
durante
gli esercizi e correggendo le imperfezioni dei movimenti.
Indossava
dei pantaloncini e una canottiera come le ginnaste, i capelli legati in
una
coda.
Era
bella,
socievole, dal modo di fare deciso come avevano fama di essere le
ragazze di
origine tedesca.
Strinse
le
labbra e ripensò all’incontro tra lei e Genzo.
Doveva
averla vista praticamente ogni giorno, quando si trovava a Nankatsu.
Si
conoscevano abbastanza da chiamarsi per nome, cosa che, lo
ricordava
benissimo, non avevano fatto quel giorno all’ospedale.
Ma
poi
c’era stata quella notte che Genzo aveva ammesso di aver
trascorso per intero
allo Juntendo Hospital, quando lo zio di lei era stato ricoverato per
trauma
cerebrale.
Con
lei …
Girò
sui
tacchi e si incamminò verso l’uscita del centro
sportivo, per poi risalire
sull'auto.
Il
suo
autista ripartì dopo averle lanciato un'occhiata attenta
dallo specchietto
retrovisore, che gli rimandò l'immagine di una ragazza
dall'espressione
turbata.
Era
passata circa un’ora da quando Asami era andata via.
Dopo
essere rimasto seduto sul divano a giocare alla PlayStation con
Hiroji, Genzo
si alzò e andò nella sua stanza per prendere una
giacca.
Il
mattino
dopo avrebbe dovuto alzarsi presto per arrivare al J-Village in tempo.
Troppo
presto … e lui doveva rivederla prima.
Mentre
usciva dalla sua camera, Annie era sul corridoio e lo guardava, attenta.
«Genzo,
hai finito di leggere quel romanzo?»
«No
… mi
mancano gli ultimi capitoli.»
«Sbrigati
a leggerli. Lo dico per te, non per me.» gli disse, con un
lampo esortativo nei
suoi occhi verdi «E poi Genzo … se vuoi parlare,
io sono sempre disposta ad
ascoltarti.» aggiunse.
«Lo
so.
Grazie, Annie.»
La
cognata
gli strizzò un occhio e si diresse verso le scale.
Prima
di
partire per Naraha, avrebbe infilato nel suo trolley anche quel libro
con la
copertina dagli angoli un po' consunti che gli aveva prestato una
settimana
prima.
Elena
alzò
lo sguardo e vide Genzo sulla soglia della porta d'entrata della
palestra e
avvertì un nodo alla gola.
Aveva
pensato spesso alla sera precedente e aveva reagito mettendo ancora
più impegno
nel suo lavoro di quanto non fosse già solita fare.
Mayuko
era
a Tokyo per via di un incontro con i vertici della Federazione
giapponese di
ginnastica artistica e aveva quindi avuto gioco facile nel far credere
alle
ragazze che ciò fosse dovuto alla necessità di
ovviare all'assenza della sua
datrice di lavoro.
Il
ragazzo
sembrava quasi aver pianificato con cura il momento in cui comparire,
visto che avvenne durante una breve pausa concessa alle ragazze da pochi minuti.
Le
fece un
cenno di saluto con la mano, cui rispose di rimando.
Si
avvicinò. Indossava una giacca sopra la maglietta e un paio
di jeans scuri.
Attirò, come al solito, gli sguardi ammirati delle allieve,
cui si aggiunse
presto la curiosità.
«Come
mai
qui?» gli chiese, notando che non aveva il consueto borsone
con sé.
«Sono
solo
passato a salutarvi … domani parto presto. Torno al
J-Village.»
Elena
spalancò gli occhi, piacevolmente sorpresa.
«Giochi
contro l'Australia?»
«No,
andrò
in panchina, pronto a entrare se ce ne sarà bisogno. Il
titolare sarà ancora
Morisaki e io mi fido di lui.»
«Sì,
ha
fatto molto bene nelle ultime due partite.»
«Come
hai
detto tu, la qualificazione è nuovamente nelle nostre
mani.» le ricordò,
sorridendo di sbieco.
«Già
…»
mormorò la giovane, visibilmente imbarazzata per l'allusione
a quella sera e al
gesto che aveva accompagnato quelle parole.
Tacquero
per un momento. Elena sembrava aver assunto di nuovo un atteggiamento
riservato. Genzo maledisse la sua incapacità di evitare
quella provocazione.
«Ormai
manca poco anche per voi.» le disse quindi, cercando di
rimediare.
«Già
…
sono un po' emozionata.» ammise.
«Le
ragazze si stanno allenando con impegno, e con due allenatrici come te
e la
signorina Shiroyama, questa squadra raggiungerà ottimi
risultati. E io sarò
allo Yoyogi Stadium a vedervi.» concluse, con un tono di voce
più affettuoso.
«Grazie,
Genzo.»
I
suoi
occhi si accesero e le labbra si distesero in un sorriso.
Era
nuovamente riuscito a farle abbassare le difese … e proprio
lì dove si sentiva
pressoché invulnerabile.
Rimasero
a
guardarsi.
Come
al
solito, avvertivano la sensazione che altre parole aleggiassero in
sospeso tra
di loro, ma non riuscirono a dirsi nient'altro.
Inoltre
c'erano le ragazze che li fissavano con fin troppo interesse.
«Buongiorno,
Wakabayashi-san!»
Arimi comparve dietro
Elena, agile come un folletto.
«Ciao
Arimi! Sei pronta?»
«Mi
sto
allenando come una matta tutti i giorni, da mesi.» rispose,
con un sorriso
fiero e le mani dietro la schiena.
«Allora
ci
vediamo allo Yoyogi Stadium. Fatevi valere.» rispose prima di
salutarle, stando
bene attento a rivolgere a Elena l'ultimo e il migliore dei suoi
sorrisi,
facendole mancare un battito, per l'ennesima volta.
«Che
gentile Wakabayashi a venire a trovarci!» sorrise Mitsuyo.
«Io
credo
sia venuto soprattutto per la signorina Rulli.»
insinuò Shinobu «Avete visto
come la guarda?» chiese poi, abbassando la voce con occhi
maliziosi.
«Se
è
così, beata lei!» sospirò Hanako.
«Ehi,
ragazze! La pausa è finita. Le chiacchiere non
fanno
vincere medaglie!» gridò Elena battendo le mani
con un'espressione temibile sul
viso, inducendo le sue ginnaste a rimettersi immediatamente al lavoro.
L'unica
che continuava a sorridere era Arimi, al pensiero che forse aveva
agito,
seppure inconsapevolmente, da Cupido.
Quando
Elena uscì dalla palestra, i suoi pensieri tornarono
nuovamente a Genzo.
Estrasse
il cellulare dalla tasca dei jeans e selezionò il nominativo
di Taro dalla
rubrica.
Le
rispose
dopo un paio di squilli … fortunatamente non era impegnato
con l'allenamento.
Il
ragazzo
stava scendendo le scale che portavano all'atrio dell'albergo quando il
suo
cellulare squillò.
Guardò
con
aria interrogativa il nome di Elena campeggiare sullo schermo, per poi
accettare la chiamata.
«Ciao
Elena. Dimmi.»
«Taro
…
dopo la partita ho bisogno di parlarti.» replicò.
«Hai
bisogno … c'è qualche problema?»
«Sì.
Cioè,
non proprio … non so come definirlo. So solo che non
è una cosa di cui
discutere per telefono.» rispose un po' impacciata,
pronunciando l'ultima
frase con un po' di concitazione.
Taro
corrugò le sopracciglia, sempre più perplesso
«Va bene, Elena. Quando esco
dallo stadio mi dirai tutto.» concesse infine, rassicurato
dal fatto che non
era successo nulla di preoccupante.
Dopo
la
cena, i ragazzi si radunarono davanti al televisore per vedere un
film.
Genzo
lo
trovò noioso per i suoi gusti e lanciando un'occhiata a
Misaki, constatò che il
centrocampista doveva essere d'accordo con lui dal momento che
smanettava sul
suo smartphone senza mai alzare gli occhi sulle scene che si susseguivano sul largo schermo.
Si
alzò
così dal suo posto, gli scosse leggermente la spalla con una
mano e gli
bisbigliò qualcosa, in seguito al quale anche Taro si
alzò e lo seguì fuori
dall'albergo.
«Ti
va di
farmi qualche tiro?» gli chiese, ottenendo un cenno d'assenso
dal
centrocampista.
Si
recarono nel campo di calcio pochi metri più avanti.
Accesero i riflettori e presero dei palloni, dopodiché Genzo
si
mise in porta.
Taro
arrivò portando il pallone con il piede, lo
posizionò e poi indietreggiò di
alcuni passi. Dopo una breve rincorsa, calciò con forza, di
sinistro.
Genzo
si
spostò con agilità e tolse il pallone
dall'incrocio dei pali.
Il
portiere aveva dovuto attendere prima di buttarsi, perché il
tiro di Misaki era
ad effetto.
«Bel
tiro,
Misaki.»
«Non
ancora abbastanza da segnare contro di te, Wakabayashi.»
«Renderesti
felice una ragazza di nostra conoscenza.» ironizzò
il portiere, con apparente
noncuranza.
«Non
ne
sono così sicuro.» replicò l'amico, con
un sorriso sornione che gli fece alzare
un sopracciglio.
Si
sedettero sulla panchina.
«Con
Asami? Tutto bene?»
Genzo
strinse le labbra e abbozzò un sorriso.
«Dalla
tua
espressione, non sembrerebbe un sì.»
«Non
mi
sento più coinvolto come all'inizio della nostra
storia.» ammise.
«È
perché
ti sei innamorato di un'altra ragazza di nostra conoscenza?»
insinuò, ripetendo
volutamente le parole usate poco prima dal portiere.
Genzo
spalancò gli occhi, poi li chiuse, con un sorriso obliquo,
come se ancora
faticasse a credere che fosse capitato proprio a lui che fino a quel
periodo
aveva sempre avuto relazioni di scarsa importanza.
«L'ho
notato da un po', sai.»
«È
così
evidente?»
«Sei
un
ragazzo generoso e ti fai in quattro per aiutare gli amici, ma certe
tue
attenzioni per Elena mi sembravano andare oltre il semplice desiderio
di
aiutarla. E quel pomeriggio a Miho …»
«
… ti ha
rivelato tutto.»
Taro
sorrise. Genzo sospirò.
«È
innegabilmente bella, ma non è solo questo. Con lei posso
essere me stesso e
parlare di qualsiasi argomento, ma soprattutto, mi sento attratto dal
suo
entusiasmo, dalla sua determinazione, dalla voglia di riuscire in
quello che
fa, dalla passione che mostra nell'insegnare ciò che sa alle
sue allieve.»
tacque per alcuni secondi. I suoi occhi si erano illuminati
nell'elencare
quelle qualità che tanto apprezzava nell'ex ginnasta. Era
un'espressione che
Taro non aveva mai visto nell'amico, pur conoscendolo da tanti anni.
«Asami
è
una ragazza intelligente, gentile, raffinata. Però
è come … è come se vivesse
soltanto nel suo mondo dorato e non volesse uscirne. Con lei frequento
solo
ristoranti alla moda, compagnie altolocate, discoteche in cui il prezzo
dell'ingresso è così alto che alla fine ci si
ritrova solo la jeunesse
dorée giapponese. E io, forse perché
sono un calciatore e mi sono trasferito in Germania da ragazzino, mi
sento un
estraneo in mezzo a quella gente, sebbene faccia parte del mio ceto
sociale.»
riprese, lo sguardo fattosi serio.
Taro
annuì, mostrando di comprendere.
«E
con
Elena?»
«È
reciproco, Misaki. La sera della partita contro il Vietnam, l'ho
accompagnata a
casa. Non sono riuscito a resistere e mi sono avvicinato per baciarla
… e lei
non si è tirata indietro.»
Taro
lo
guardò, aspettando che fosse lui a proseguire.
«Purtroppo,
il cane del maestro Nerlinger ha abbaiato proprio mentre stava per
succedere.»
confidò, con una smorfia tra il contrariato e il divertito
che fece ridere
Taro.
«Lei
continua a sentirsi in colpa per il suo ex fidanzato.»
riprese, dopo il breve
attimo di ilarità «Se cedesse, penserebbe che in
fondo quello che le aveva
detto era vero, che lei gli era rimasta accanto per compassione e non
perché ne
era innamorata. Teme di essere una persona meschina, invece
è una ragazza
splendida. Vorrei farglielo capire …» disse, con
un tono di voce appassionato
che Taro gli aveva sentito solo quando parlava dei traguardi da
raggiungere
nella sua carriera di calciatore. Un tono che tradiva anche sofferenza,
data
dalla sensazione di dover sconfiggere qualcosa di più
potente di lui.
«Elena
potrebbe anche essere trattenuta dalla tua relazione con Asami. Prima
dovresti
spiegare la situazione a quella che è ancora la tua ragazza,
Wakabayashi. Poi
sarai libero di dichiararti.»
Genzo
strinse le labbra «Credevo che Asami potesse essere la donna
giusta. La conosco
da tanti anni ed era l'unica con cui potevo scambiare più
delle solite frasi.
Finché non ho cominciato a conoscere meglio Elena. E ora mi
ritrovo in questa
situazione … sarebbe bastato aspettare un po'. Vorrei
evitare di farla
soffrire.»
«Purtroppo
è inevitabile.» replicò Taro,
guardandolo con comprensione «Hai seguito i tuoi
sentimenti, Wakabayashi. Proprio perché in quel periodo eri
convinto che Asami
fosse quella giusta, hai cominciato una storia che lei per prima ha
voluto. E
poi …» gli strizzò un occhio
« … è una ragazza talmente bella e
raffinata che
nessuno oserebbe biasimarti per averle ceduto.»
Genzo
abbozzò un sorriso. Taro riprese il filo del discorso.
«A
me è
successo con Azumi … avevamo iniziato una storia che
è finita non appena io mi
sono ripreso dall'infortunio e lei è andata
all'università. Credo che siamo
rimasti tutti un po' suggestionati dalla storia tra Tsubasa e Sanae.
Anche
Misugi e Matsuyama hanno trovato presto la donna della loro vita, e noi
abbiamo
cercato la nostra Sanae, Yayoi o Yoshiko nella ragazza che abbiamo
avuto vicino
da ragazzini. E così io mi sono infatuato di Azumi come tu
di Asami. Per poi
incontrare due donne che hanno scompaginato tutto.»
«Mi
avevi
detto che con Kinuyo è finita … »
«Non
sto
parlando di Kinuyo … cioè, sì, con lei
ho vissuto una storia che è durata poco,
ma è stata molto intensa. Avevo perso la testa per lei
… ma ho finito per
scottarmi.» emise un breve sospiro «In questi mesi
ho conosciuto meglio una
ragazza che è il suo opposto: ha un sogno e si sta
impegnando con tutte le sue
forze e tutto il suo talento per realizzarlo, a costo di litigare con
suo
padre. Non ha la malizia e le sottili arti seduttive di Kinuyo, ma mi
ha
colpito per la sua vivacità e il suo entusiasmo.»
«Stai
parlando di Sugimoto?» chiese Genzo, dando voce a una sua
intuizione.
Taro
annuì.
Genzo
fece
un mezzo sorriso «È un bel peperino.»
commentò, divertito «Hai già fatto la
prima mossa?»
Taro
scosse la testa con un leggero sorriso «Non ancora.»
«Beh,
che
aspetti?»
«Ho
voluto
frequentarla un po', prima. Chissà, forse temo di ricevere
un'altra delusione
come con Kinuyo. Voglio essere sicuro di interessarle sul
serio.»
«Ti
capisco, Misaki. Però bisogna rischiare. Non conosco molto
Sugimoto, ma mi
sembra una ragazza sincera. Non credo ti illuderà,
né giocherà con i tuoi
sentimenti.»
«Siamo
in
due allora, a dover rischiare.» disse, con un'occhiata
significativa.
«Già
… tra
poche settimane Elena tornerà a casa, Misaki. Il pensiero
che potrei non
rivederla più mi tormenta. E passeranno altre settimane,
forse mesi, prima che
possa incontrarla di nuovo. Prima di allora … voglio essere
sicuro che non
uscirà dalla mia vita.»
Il
sole al
tramonto tingeva il cielo di striature color pesca. Su Tokyo spirava
una brezza
calda, rendendo il clima molto simile a quello di un mese prima, a
Sydney.
Il
Giappone era chiamato a ribaltare quel risultato.
I
tifosi
giapponesi avevano gremito il National Stadium di Tokyo, trasformandolo
in una
bolgia come Kozo Kira li aveva esortati a fare nelle sue dichiarazioni
in
conferenza stampa.
Il
c.t.
aveva promesso di lasciare il mondo del calcio in caso di mancata
qualificazione.
Memore
del
3-1 subìto a Sydney contro una squadra che schierava tutti i
giocatori
tesserati per importanti club europei, aveva contattato Tsubasa Oozora
e Kojiro
Hyuga, per richiedere la loro disponibilità a tornare in
Nazionale per la
partita contro l'Australia, cedendo alle pressioni dei mass media e
dell'opinione pubblica e venendo meno al suo stesso proposito, ma
incontrando
il rifiuto dei due campioni.
Tsubasa
e
Kojiro avevano rigettato la convocazione di Kira, riponendo piena
fiducia nei
compagni che fin lì avevano disputato il torneo.
Affidavano
le sorti della Nazionale Under 23 ai giocatori che l'avevano portata a
quello
che era a tutti gli effetti uno spareggio.
Avevano
saputo riprendere il destino nelle loro mani nelle gare precedenti,
potevano
farcela a battere gli australiani con tre gol di scarto.
Elena
si
sentiva tesa, ma nello stesso tempo avvertiva un senso di malinconia,
di
precoce nostalgia.
Era
l'ultima partita della Nazionale che avrebbe visto, almeno in Giappone.
Aveva
seguito il percorso di quei ragazzi, con alcuni dei quali aveva stretto
un
rapporto d'amicizia, con coinvolgimento e passione. E ora voleva
vederli
conquistare la qualificazione.
Prese
posto tra Yukari e Kumi, che quella sera aveva accanto a sé
Madoka, ormai
stabilitasi nella capitale per motivi di studio, che rimase
inizialmente
stupita e delusa per la mancata presenza in campo di Shun, lasciato in
panchina
da Kira.
Non
poteva
credere che, proprio la sera in cui il Giappone doveva vincere con tre
gol di
scarto, il c.t. avesse rinunciato a schierare fin dal primo minuto
proprio
l'attaccante che aveva segnato in quasi tutte le partite fin lì
disputate.
«Misaki,
lei c'è?»
Taro
guardò verso gli spalti, approfittandone per cercare
un'altra presenza che gli
premeva vedere. Individuò entrambe e alzò una
mano in segno di saluto.
«Sì,
Wakabayashi.»
Genzo
annuì e andò a sedersi in panchina, tra Takasugi
e Wakashimazu.
Il
calcio
d'inizio venne assegnato all'Australia.
I
giocatori della squadra ospite stavano semplicemente passandosi il
pallone, con
tutta calma, prendendo tempo. L'obiettivo era preservare le energie per
il
secondo tempo e prevalere così sugli avversari,
innervosendoli nel frattempo
con una avvilente melina.
Elena
strinse le labbra. Sapeva bene chi era Giis Coleman: un allenatore
molto
celebre in Europa, un olandese giramondo, una vecchia volpe.
La
strategia stava dando i suoi frutti. I giocatori nipponici sembravano
essere
caduti nella trappola.
Ma
il selezionatore dell'Australia non aveva fatto i conti con la sagacia di Kozo Kira e con
lo
straordinario spirito di sacrificio dei gemelli Tachibana, che con la
collaborazione di un lancio alto e preciso da parte di Misaki,
permisero al
Giappone di passare in vantaggio.
Lo
sforzo
impiegato nell'esecuzione della loro ultima "catapulta infernale" li
costrinsero a uscire dal campo in barella, sofferenti ma fieri e
orgogliosi del
proposito raggiunto.
Il
Giappone era in vantaggio, a pochi minuti dall'inizio della partita.
Nitta
e
Wakashimazu entrarono al loro posto.
Madoka,
che si era da poco seduta, schizzò nuovamente in piedi, fremente d'entusiasmo.
Taro
ritornò di corsa a centrocampo, con il pallone sotto il
braccio.
Voleva
che
il gioco riprendesse il più rapidamente possibile,
perché mancavano altri due
gol da segnare, che in una partita del genere erano tantissimi; la
difesa dei Socceroos,
composta da calciatori alti e
prestanti, era difficile da superare ed era indispensabile siglare il
secondo
gol entro la mezz'ora.
In
caso
contrario, il sacrificio dei Tachibana sarebbe stato inutile.
I
giocatori australiani ricevettero da Coleman l'ordine di giocare in
modo più
aggressivo, per contrastare il rinnovato vigore giapponese.
Ishizaki
passò a Misaki, che si era portato sulla fascia destra dopo
aver scambiato la
posizione con Misugi.
Avanzò,
saltando due difensori australiani con un salto poderoso, mantenendo il
pallone
incollato al piede.
Si
mise in
posizione di tiro. Il possente difensore Alo Phard cercò di
fermarlo
opponendogli tutto il corpo, ma Taro lo saltò trattenendo il
pallone tra i
piedi e lo lanciò di tacco verso Wakashimazu, che stava
correndo verso la
porta, seguito da Nitta.
Affrontato
da due difensori alti e robusti quanto lui, Ken tirò in
rovesciata verso Shun.
L'attaccante
eseguì un hayabusa
shoot di una
potenza inaudita, che si infilò in rete con un Malic rimasto
immobile, senza
nemmeno aver visto la palla.
Madoka
saltò in piedi e si mise a saltare coinvolgendo Kumi nella
sua gioia sfrenata.
«È
quello
… è il tiro che ha preparato insieme a
Wakashimazu quando sono andati sui Monti
Hida!» spiegò con voce ansante, dopo essersi
ricomposta a fatica.
Elena
e
Yukari batterono le mani, guardandosi divertite.
Dopo
che
un potente rasoterra di Matsuyama era finito fuori sfiorando l'esterno
della
porta, il portiere australiano riuscì a parare il kamisori
shoot di Soda e a togliere dall'incrocio dei pali il flying drive shoot
di Misugi.
Subito
dopo arrivò il duplice fischio dell'arbitro, che
consentì ai Socceroos
di tornare negli spogliatoi senza
subire il terzo gol.
Kira
lasciò la panchina estremamente fiducioso per il secondo
tempo: era certo che
il Giappone avrebbe segnato il gol della vittoria, quello che l'avrebbe
portato
alle Olimpiadi.
I
tifosi
sugli spalti, non erano da meno. L'euforia aleggiava in tutta la larga
frangia
dei supporter nipponici, che pregustavano la gioia della
qualificazione, come
se fosse stata soltanto questione di tempo.
«Siamo
già
avanti di due gol! Dai che ce la facciamo!»
gongolò Manabu.
«Attenzione
però … se segnano un gol tocca farne uno in
più.» avvertì Nishio.
«Non
fare
il gufo!» lo riprese Iwami «Hai visto che facce
avevano i nostri avversari
mentre si avviavano fuori dal campo?»
«Io
ho
visto quella di Coleman ed era sorridente. Quello è un
volpone, sono sicuro che
caricherà i suoi giocatori a dovere.»
replicò l'ex difensore della Ootomo.
Elena
dovette concordare con quest'ultimo. Certo, aver già segnato
due gol era
sicuramente un ottimo viatico per il prosieguo della gara.
Taro
era
stato decisivo in entrambe le reti, con i suoi assist.
La
sua
presenza era stata fondamentale in tutto il torneo … sarebbe
stato bello se
avesse segnato lui il gol risolutivo.
Ma
un'Australia che schierava tutti i giocatori militanti in prestigiose
squadre
europee e quindi mettendo in campo tutto il suo potenziale, avrebbe
certamente
fatto di tutto per non essere battuta da un Giappone che aveva
rinunciato ai
suoi campioni impegnati in Europa.
Alla
mezz'ora del secondo tempo, la qualificazione tornò in
bilico.
Taro
tentò
un'iniziativa personale, cercando con un salto di evitare l'intervento
in
contemporanea di due avversari, ma uno di questi, il centrocampista
Shooker, lo
colpì con i tacchetti sulla caviglia destra e si
impossessò del pallone.
Il
numero
undici cadde a terra con uno strido di dolore, tenendosi la gamba
ferita.
L'arbitro
lasciò proseguire l'azione, lasciando esterrefatti i
giocatori giapponesi che
per un momento rimasero inerti, permettendo così al forte
australiano di
avanzare e ingannare i difensori fingendo un tiro che
trasformò in un passaggio
di tacco a Konwell.
Il
tiro di
quest'ultimo venne deviato in rete dall'inserimento di Duviga.
I
giocatori giapponesi contestarono inutilmente la decisione
dell'arbitro, che
non aveva ritenuto falloso l'intervento del difensore australiano.
Mancava
un
quarto d'ora … e i gol da segnare erano diventati due,
contro una squadra che
aveva ripreso coraggio.
Misaki
infortunato, uscì dal campo per ricevere le cure mediche.
«Non
hai
nessuna distorsione, Misaki. Mi basterà farti una
fasciatura.» gli disse il
giovane infermiere dello staff medico, dopo avergli tastato la caviglia.
«Bene
… ma
per favore, fai in fretta!» lo esortò, con un tono
quasi aggressivo che
solitamente non gli apparteneva, ma la qualificazione stava ora
sfuggendo di
mano, e lui non era in campo a combattere con i suoi compagni.
Genzo
tremò dalla rabbia. I suoi compagni si stavano
demoralizzando, dopo aver
incassato il gol dell'Australia.
Ma
mancava
ancora un quarto d'ora… dovevano segnare due gol invece di
uno.
Quindici
minuti… due gol. Non poteva accettare che finisse
così, senza nemmeno lottare e
sputare sangue se necessario, fino all'ultimo secondo!
Scattò
in
piedi, fino a ritrovarsi poco dietro la linea di bordocampo.
Elena
trattenne il fiato.
Un
ragazzo
con la tuta bianca e blu della Nazionale e un berretto bianco in testa
era
spuntato da sotto la tettoia della panchina.
Genzo
era
in piedi, poco dietro la linea di bordocampo e stava suonando la carica
ai
dieci ragazzi rimasti sul rettangolo di gioco.
«Morisaki,
reagisci! Tocca a te incoraggiare i tuoi compagni! Ragazzi, non
arrendetevi! La
vera partita comincia ora, ORA!» gridò, i pugni
stretti e le gambe divaricate,
il berretto bianco calcato in testa.
Quelle
frasi carpite da quella striscia di campo ebbero in lei l'effetto di
una
scarica di adrenalina.
Serrò
i
pugni e si voltò verso gli altri supporter.
«Genzo
ha
ragione, ragazzi! È in momenti come questo che dobbiamo
farci sentire di più e
tifare per i nostri ragazzi, fino a perdere la voce!»
gridò, incurante di aver
chiamato il portiere per nome davanti a tutti, i pugni ancora
più stretti e
incassando un ulteriore grido di approvazione, per poi riprendere a
incitare la
Nazionale Under 23 con una foga ancora maggiore.
Gli
incitamenti di Wakabayashi sembrarono sortire il loro effetto su
Morisaki, che
compì una parata difficile su un tiro di Shooker.
Il
pallone
rotolò oltre la linea, permettendo a Taro, di nuovo in piedi
dopo la
medicazione, di riprendere la gara.
Il
centrocampista rientrò in campo con fiducia ed energia
rinnovate.
Superò
almeno metà squadra avversaria con una stupenda serie di
dribbling e finte, per
poi lanciare verso Igawa, che con la coda dell'occhio aveva visto
correre lungo
la fascia, spiazzando così i due difensori in stretta
marcatura su Wakashimazu
e Nitta.
Il
difensore segnò in tuffo, di testa il gol del 3-1,
riscattando definitivamente
l'espulsione subita a Sydney.
Mancavano
sette minuti … la speranza era tornata tra i tifosi
giapponesi, ancora più
forte.
E
Il
National Stadium tornò a essere una bolgia.
Coleman
cambiò modulo e schema di gioco e rinforzò la
difesa, lasciando Duviga in
avanti come unica punta e assegnando a Macbeth la marcatura su Misaki.
Kira
rispose alla mossa del collega sostituendo Sawada con Mitsuru Sano, per
avere
una nuova fonte di gioco.
Il
fantasista venne bloccato subito dai giocatori australiani che diedero
vita a
un contropiede cui Ishizaki impedì la rete del 3-2 che
avrebbe stroncato il
loro sogno.
Di
nuovo
in possesso del pallone, Sano attirò su di sé tre
avversari, stordendoli con i
suoi dribbling. Poi passò a Misaki, che a sua volta
lanciò verso Nitta.
Il
tiro
dell'attaccante del Reysol Kashiwa venne respinto con il petto da un
difensore,
ma la sfera tornò verso Misaki, che saltò per
evitare l'intervento del portiere
ed eseguì una splendida rovesciata, segnando il gol del 4-1.
Kumi
e
Madoka si abbracciarono così forte da rischiare di
stritolarsi a vicenda, ma
tutti erano troppo stravolti dalla gioia e impegnati a saltare, urlare
e a
sventolare bandiere per farci caso.
Il
Giappone difese con fermezza e tenacia il risultato per i minuti
restanti e a
nulla valsero gli strenui tentativi della selezione australiana.
Coleman
riconobbe la sconfitta e il valore dell'avversario e si
complimentò con il suo
collega, esortando la sua squadra a vincere una medaglia.
I
giocatori giapponesi festeggiarono inondandosi a vicenda con bottiglie
d'acqua.
Jito,
sceso in campo dalla tribuna con la piccola Lisa Igawa, e Wakashimazu
afferrarono il loro c.t. e con l'aiuto degli altri ragazzi lo
sollevarono e lo
lanciarono più volte in aria, tra grida di esultanza e
risate.
Poi
corsero tutti sotto la curva giapponese, formando una linea quanto
più larga
possibile.
Madoka,
Kumi, Elena e Yukari batterono le mani felici, ognuna con lo sguardo
rivolto
verso un giocatore in particolare, tra legami già ufficiali
e altri che
attendevano la svolta che ne avrebbe sancito la nascita.
«E
così
pur tra mille peripezie ragazzi, alla fine ce l'abbiamo
fatta!» gridò euforico
Makoto Soda, accolto dal boato dei suoi compagni.
La
Nazionale Under 23 al completo stava festeggiando la qualificazione in
una
rinomata pasticceria del quartiere di Shibuya, con una torta gigantesca
e fiumi
di bevande assortite.
Kira
non
era con loro, ligio più che mai alla sua parola d'ordine
"Astinenza"
e aveva preferito una più tranquilla cena con Tatsuo Mikami,
Munemasa Katagiri,
Minato Gamo e gli altri membri del suo staff.
Elena
mise
una mano su un braccio di Taro e gli lanciò un'occhiata
significativa.
Il
centrocampista annuì e si diresse con lei verso l'uscita del
ristorante,
seguiti dai mormorii maliziosi di alcuni tra i ragazzi.
La
scena
non era sfuggita né a Genzo né a Kumi, che li
avevano cercati con gli occhi per
tutto il tempo.
Kumi
non
seppe cosa pensare. Genzo era perplesso.
Entrambi
non riuscirono a trascorrere quella serata di festa con la
spensieratezza
immaginata e voluta.
Si
sedettero nell'unico tavolo rimasto libero nella gelateria, da poco
inaugurata,
che si trovava a pochi metri dalla pasticceria.
Elena
ordinò un'enorme coppa di gelato alla panna e frutti di
bosco, Taro fece
altrettanto con crema pasticcera e cioccolato.
«Hanno
messo anche le amarene … mi fanno impazzire.»
commentò entusiasta l'insegnante
quando il gelato fu finalmente davanti a lei, prima di tuffare il
cucchiaio e
gustarne il primo boccone.
Taro
sorrise e la imitò, poi decise di entrare in argomento.
«Allora,
di cosa devi parlarmi?»
Esitò
un
attimo, indecisa su come cominciare, poi scelse di lasciar perdere i
preamboli.
«Si
tratta
di Genzo.»
Taro
annuì
una volta, con un leggero sorriso.
«Ti
sei
innamorata di lui.»
Elena
per
poco non si strozzò con la panna, provocando una leggera
risata nell'amico.
«La
metti
già in questi termini?» chiese, il viso paonazzo e
la voce indispettita.
«E
che
altro dovrei dire?» ribatté lui tranquillamente.
La
ragazza
strinse le labbra e volse gli occhi verso il basso «Io non so
cosa provo per
lui.»
«Ho
guardato la partita contro il Vietnam a casa sua. Mi ha invitata a
cena, con
noi c'erano anche il signor Mikami e il signor Hoffmann. Alla fine
della
serata, mi ha accompagnata a casa e …» emise un
leggero sospiro «… stavamo per
baciarci. Ma Wilhelm ha abbaiato e ha interrotto tutto.»
disse, divertita suo
malgrado.
Taro
ridacchiò, ricordando quello stesso episodio raccontatogli
da Genzo la sera
prima.
«Lì
per lì
mi ha dato fastidio.» ammise «Poi, a mente fredda,
ho pensato che è stato
meglio così, avevo ceduto a un momento di debolezza di cui
poi mi sarei
pentita. Ma quattro giorni fa l'ho rivisto in palestra e … ormai
succede sempre
così, con lui. Sento il cuore battere più forte,
vederlo mi rende felice.»
«Vedi
che
non sono lontano dalla verità.»
Elena
abbassò gli occhi e fece un lieve sorriso «Lui mi
piace, Taro. È affascinante,
sicuro di sé, determinato … e generoso. Ma
… non è passato neppure un anno e io
mi sento già attratta da un altro uomo. Mi sembra una cosa
… sbagliata, ecco.»
«Diventare
una persona arida e incapace di amare è sbagliato,
Elena.»
Lei
lo
guardò, stringendo le labbra.
«Ho
anche
un altro dubbio … il suo procuratore gli ha detto che ha
sempre ottimi gusti in
fatto di donne, come a dire che ne ha avute tante a scaldargli il
letto. Io non
voglio allungare la sua lista.»
«Wakabayashi
non ti tratterebbe mai come un trofeo di caccia. Ha stima e rispetto
per te,
non sta giocando con i tuoi sentimenti. Posso garantire su
questo.»
Elena
gli
rivolse un'espressione scettica. «Passo parte delle mie
vacanze in Germania e mi
è capitato ogni tanto di sfogliare qualche rivista di gossip
… ho trovato
spesso fotografie di Genzo in compagnia di una bella ragazza, mai la
stessa.
Titoli tipo "Lo charme giapponese del SGGK fa un'altra vittima" e
commenti come "Ad appena vent'anni il SGGK vanta già un
curriculum anche
sentimentale di tutto rispetto" e così via. Non è
che succederà anche con
me? Dopo pochi mesi potrebbe conoscere una ragazza che lo
attrarrà di più e lui
mi metterà da parte.»
«Allora
non ti limitavi a guardare le foto, li leggevi anche gli articoli su
Wakabayashi.» la punzecchiò, e lei per tutta
risposta scosse la testa
sorridendo.
«Comunque
quelli erano dei flirt, Elena. Ragazze più che disponibili,
conosciute e
frequentate nello spazio di poche settimane che poi si vantano di
essere state
a letto con il grande portiere. Wakabayashi si è innamorato
di te proprio
perché ti ha conosciuta e ha capito che non sei come
quelle.»
«Davvero
pensi che sia addirittura innamorato?»
Taro
la
guardò divertito. Aveva sgranato gli occhi, come se
faticasse a rendersi conto
di ciò che era avvenuto in quei mesi … qualcosa
che lei avrebbe certamente
escluso nei suoi primi mesi di permanenza in Giappone.
«Di
certo
è molto preso da te. Non l'ho mai visto
così.»
«E
come
spieghi il fatto che stava per baciarmi, pur essendo legato a un'altra
donna?
Questo denota la sua incostanza!»
A
quel
punto, Taro fu costretto a rivelarle la conversazione avuta con il
portiere al
J-Village. E ciò che Genzo aveva detto di lei, l'ammissione
dei suoi sentimenti
e quando si era reso conto di provarli.
Elena
avvertì una morsa stringerle il petto sempre più,
man mano che Taro le riferiva
quanto confidatogli dall'amico, al punto che smise di mangiare. La
parte finale
del gelato si era sciolta e ora, nella sua coppa, era rimasta soltanto
una
crema bianca striata da rivoli di sciroppo rosso.
Non
poteva
credere che Genzo avesse parlato di lei in termini così
appassionati.
Si
sentiva
orgogliosa di aver suscitato in lui un sentimento tanto fervido, ma nel
contempo era sempre più confusa e combattuta, tra il
desiderio di ricambiarlo e
la difficoltà di andare oltre i suoi sensi di colpa.
«Taro
…
non so, forse sto sbagliando, ma io ancora non riesco a non pensare a
Gianluca
e a quello che gli è accaduto. Non riesco a sentirmi in pace
con la mia
coscienza, è più forte di me. E comunque Genzo
è ancora fidanzato con la
Ujimori. Pochi giorni fa lei era a Nankatsu. Li ho visti
insieme.»
Il
ragazzo
fece un lieve cenno del capo. Sarebbe stato facile dirle che
innamorarsi di
Wakabayashi o di qualcun altro non l'avrebbe certo resa una persona di
poco
valore, ma l'esperienza che Elena aveva vissuto era stata talmente
traumatica
che era impossibile giudicare senza averne sperimentato gli effetti
sulla
propria pelle.
Inoltre
era comprensibile da parte sua l'intenzione di non accettare le
attenzioni del
portiere che evidentemente faticava a troncare la sua relazione,
finché non
sarebbe stato libero.
«Aspetterò.
Tornata in Italia, starò per un po' di tempo senza vedere
Genzo, e allora
vedremo se la mia è solo un'infatuazione o se è
qualcosa di più importante.»
Quella
decisione non avrebbe fatto piacere al suo amico, ma Taro non riusciva a
criticarla,
nonostante il dubbio che Elena, con la scusa di voler fare chiarezza
nel suo
cuore, stesse in realtà cercando di fuggire dai suoi
sentimenti.
Fecero
ritorno al locale con aria rilassata e divertita.
«Ah,
rieccovi! Dove vi eravate nascosti?» li accolse Taki, con un
bicchiere di sake
in una mano e una fetta di torta
nell'altra.
«Siamo
andati nella gelateria qui vicino. Ne avevamo sentito parlare bene ed
eravamo
curiosi.» replicò prontamente Taro.
«E
ne
avete approfittato per un romantico tête à
tête.»
insinuò Ryo con aria maliziosa.
«Hai
poca
fantasia, Ishizaki.» lo liquidò Elena.
«Beh,
siete sgattaiolati via quasi subito, quasi prima che iniziassimo a
festeggiare!» insistette il difensore.
Elena
alzò
gli occhi al cielo, seccata.
Sentiva
gli occhi di Genzo su di sé, ma evitò di
incrociarli.
Ignorando
la parte di torta rimasta sul grande tavolo, si diresse verso il bagno.
Chiuse
il
rubinetto e schiacciò il grosso pulsante dell'erogatore di
aria calda,
stendendo poi le mani sotto il diffusore.
Si
sentì
picchiettare sulla spalla e quando si voltò, si
ritrovò davanti Kumi che la
fissava, seria.
«Elena,
devo chiederti una cosa.» le disse, rispondendo alla sua
occhiata
interrogativa.
«Tu
e
Misaki … che rapporto vi lega veramente?»
L'italiana
aggrottò le sopracciglia, invitando l'amica a spiegarsi meglio.
«Io
e
Madoka ti abbiamo vista tornare a casa con Wakabayashi, la sera della
partita
con il Vietnam.» continuò l'ex manager, senza
badare all'espressione sempre più
stranita dell'amica «Abbiamo anche visto che stavate per
baciarvi. Ma stasera
sei uscita con Misaki, mentre il resto della squadra festeggiava la
qualificazione … non puoi giocare con i sentimenti di due
ragazzi.»
Elena
sgranò gli occhi, poi sorrise e scosse la testa, desiderosa
di chiarire subito
quell'equivoco.
«Taro
è un
mio caro amico … gli ho chiesto come mi devo comportare con
Genzo.»
Kumi
sentì
la tensione in mezzo al petto abbandonarla.
«Sei
innamorata di Wakabayashi?» le chiese, con
spontaneità.
«Non
lo
so. Mi piace molto, questo sì. Ma tu, perché ci
tenevi tanto a sapere di me e
Taro? Non sarà che …»
Kumi
abbassò la testa con un lieve sorriso, un po' impacciata.
«Sì,
ho
una cotta per Misaki. Da qualche mese, ormai. Ma poi sei arrivata tu e
ho visto
che avevate molta confidenza, e ho voluto capire cosa ci fosse
esattamente tra
voi …»
«Quindi
tu, per tutto questo tempo …» replicò
Elena, stupita di come tante cose le
fossero sfuggite e nel rendersi conto di come in quei mesi si fosse
concentrata
quasi esclusivamente su sé stessa.
Scosse
la
testa, con uno sguardo rassicurante «No, siamo soltanto buoni
amici. E lui
conosce da tempo sia me sia Genzo, quindi era il più adatto
a darmi un
consiglio.»
«Bene.
Quindi ora posso confessargli i miei sentimenti … sai, io
sono convinta che
quando una persona ti piace, l'unica cosa da fare è
dirglielo.»
«Hai
ragione, Kumi. Mi piacerebbe vedere Taro con una ragazza come te, credo
che
potreste stare bene insieme.»
Elena
le
sorrise ancora, con affetto.
Sì,
a
ripensarci, c'erano stati dei particolari rivelatori. L'entusiasmo
più
accentuato quando a segnare era il numero undici, lo scambio di sguardi
quella
sera a Sydney, dopo la tentata violenza di quel mascalzone …
che tradivano
qualcosa di più della naturale predisposizione di Taro a
preoccuparsi per gli
altri e ad aiutarli.
Lì
per lì
non ci aveva fatto molto caso, concentrata com'era sul suo lavoro alla
palestra, sulla necessità di tenere a bada i ricordi, la sua
stessa mancanza
d'interesse per la possibilità di innamorarsi di nuovo
… anzi, non l'aveva
minimamente considerata. Finché non aveva cominciato a
conoscere meglio Genzo.
Lui
era
stato la sorpresa, l’imprevisto, la variabile impazzita. Per
lui, era successo
ciò che lei dava per scontato non sarebbe più
potuto avvenire.
«E
tu,
dirai a Wakabayashi quello che provi?» la voce di Kumi
interruppe le sue
congetture.
Elena
alzò
le spalle, dubbiosa «La nostra situazione non è
così semplice. Lui è ancora
impegnato … e io non mi sento pronta per avere una nuova
storia.»
Kumi
increspò le labbra «Rischiate di perdervi,
così. Tu gli piaci sul serio, Elena.
Dopo averti vista uscire con Misaki, è stato di pessimo
umore per tutta la
sera. Era accigliato e ha parlato pochissimo.»
L'italiana
avvertì l'ennesima stretta al cuore. Ma rimaneva sempre un
fatto
incontrovertibile …
«Lui
ancora non lascia la sua ragazza.»
«Se
ti
vuole davvero, lo farà. E tu … amare qualcuno non
può essere una colpa. Non
rinunciarci.»
Un saluto a chi è su questa pagina!
Questo capitolo è un
po' di transizione, con più
dialoghi e introspezione psicologica che azione e fa da preludio al
prossimo,
in cui tutti i protagonisti della storia saranno chiamati ad affrontare
i loro
sentimenti.
Grazie a tutti coloro che stanno
seguendo le vicende
di Genzo, Taro, Elena e Kumi! :-*
Sandie