Il diamante del giorno

di princedylan
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Blair Pov’s

 

Arrivai a palazzo puntuale per un pelo, facendomi spazio fra i cortesi servi e quasi scontrandomi con loro. Avrebbero potuto insultarmi ma lo avevano risparmiato, almeno in quel momento. 

 

Era uno di quei giorni in cui la sala del trono era affollata. Forse fin troppo affollata o così la immaginavo io. Quando Uther dava l'ordine di riunire il consiglio, gran parte del popolo era presente e per questo nessuno avrebbe notato il mio ritardo. Purtroppo non andò in quel modo. 

 

Con carica energica continuai a correre sull'ultimo corridoio che delimitava la grande porta in legno con cardini in ferro battuto. Su di essa, ghirigori erano incisi precisamente, emanando la sua raffinatezza. Credetti di riuscire a fermarmi poco prima della porta, per entrare in silenzio, ma calcolai male la distanza e il mio corpo ebbe un brusco impatto con l'ingresso, da spalancarlo e farmi balzare all'interno. 

 

Uther restò sul trono con un mano pensierosa, mentre Artù si destò da ciò che probabilmente stava discutendo con il resto dei cavalieri. 

 

«Scusate il ritardo!» 

Velocemente presi posto alla tavola rotonda accanto a Mordred che trattenne una risata e si beccò una mia occhiataccia. 

 

Anche Merlino di fronte a me si era tappato la bocca, tentando di non farsi scoprire da Gaius, che sicuramente lo avrebbe ripreso. 

 

Nessuno rispose alla mia affermazione, anzi continuarono a discutere sugli affari del regno, impedendomi di seguire il filo logico del discorso. 

 

«L'eredità di Lord Beiard è più pesante di quanto pensassi. Speravo..» 

Cominciò a parlare Artù, ma suo padre lo interruppe. 

 

«Speravamo.» Lo corresse.

 

«Il messaggio di Cenred è comunque chiaro padre. La guerra contro Camelot è vicina e ho una sola scelta.»

 

«No Artù, non è un obbligo e per di più senza l'appoggio di Beiard, non ce la caveremo.»

 

«Ma io..»

 

«Artù non sei un re. Non fino a quando a capo ci sarò io.» Il biondino annuì alle risposte, cercando conforto nei suoi cavalieri, ma sopratutto notai uno sguardo di intesa tra lui e Merlino. Era come se si fossero passati informazioni attraverso gli occhi. 

 

«Quindi la nostra terra è esposta ad ogni brutalità, contando ciò che Cenred vuole.» Mordred attirò l'attenzione su di se e il capo della città mosse la testa. 

 

«Non vincerà. O almeno se solo avessimo l'appoggio di qualche regno della Britannia.»

 

«Non dimentichiamoci di Morgana.» Aggiunse Artù. 

 

La mia vista si incupì leggermente e osservai il terreno sotto i miei stivali. Erano passate poche settimane, da quando ogni singolo abitante del regno, aveva scoperto il tradimento di mia sorella e per me era stato un colpo tosto. Avanzare a testa alta, ferita dopo ferita era quasi diventato un fagotto enorme da sopportare. Non mollavo perché Merlino mi aveva quasi supplicato e lo stesso aveva detto il principe. 

Mordred mi stava vicino, asciugava le mie lacrime, mi rassicurava e cercava di proteggermi. Io e lui avevamo la stessa età, vent'anni di solchi profondi nell'anima ad entrambi e colpi presi per dimostrare quanto valore avessimo. 

 

«No non partirai. Mettitelo in testa, non cambierò idea.» Un tono di voce infuriato seguito da uno sbattere di porta potente, mi riportò alla realtà. Uther aveva lasciato il consiglio e Gaius preoccupato lo aveva seguito.

 

«Cosa è successo?» Chiesi io a quel punto sperando in una risposta. 

 

Artù sospirò più volte prima di riuscire a rispondere in modo concreto. «Pensiamo che una nuova minaccia sia al fronte di Camelot, dobbiamo fermarla. Oggi pomeriggio, solita ora. Non dimenticate l'allenamento.»

 

Detto ciò si allontanò seguito a passo veloce da Merlino, che anche lui sembrava essere pensieroso. Quella mattina non avevo avuto modo di parlare con lui e ancora leggere nella sua mente, non era nelle mie abilità. 

 

«Sbaglio o oggi sei un po' sulle nuvole?» Mordred mi spintonò spaventandomi, mentre mi recavo fuori dal consiglio.

 

«Ehi.» Risi. «Non sbagli, ma sono i soliti pensieri niente di nuovo.»

 

«D'accordo. Farò finta che sia così.» 

Si guardò in giro spensierato e sorridente. «Che ne dici di mangiare insieme? È da parecchio che non lo facciamo.»

 

«Si, così poi possiamo recarci all'allenamento insieme. »

 

Quando il pranzo arrivò nelle nostre stanze, parlammo animatamente dei programmi del regno, anche se dentro di me, la preoccupazione era tanta per le nuove minacce che affiatavano il regno. Al contrario mio il ragazzo dai capelli corvini, sembrava non dargli molta importanza, come un cuore duro di pietra difficile da sciogliere. Eppure in questi anni, l'avevo conosciuto bene. 

 

Finito tutto il pranzo, mi recai nella mia camera lasciando che il cavaliere mi accompagnasse e aspettasse fuori dalla porta, in cui, nel frattempo, avrei indossato la mia totale armatura.

 

«Eccomi qua.» Restò fermò qualche secondo ad osservarmi. «Qualcosa non va? »

 

«Eh? No no tranquilla.» Si grattò la testa. «Andiamo o faremo tardi. Chi arriva ultimo è un cammello.»

 

Cominciò a correre e io scossi la testa intenta a raggiungerlo, per non fargli vincere l'ennesima gara, ma si sapeva lui era molto più veloce di me. Aveva un'agilità che sapeva gestire molto bene, forse più di tutti gli altri cavalieri.





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