Titolo
storia:
La promessa infranta
Fandom:
Prince
of tennis
Personaggi:
Atobe
Keigo, Tezuka Kunimitsu
Introduzione
storia:
Dopo due mesi dalla loro ultima email, Tezuka si domanda cosa possa
essere successo ad Atobe, visto che in tutto il tempo non ha mai
risposto e la cosa lo preoccupa.
Note
dell'autore: La
storia mi era venuta in mente qualche mese fa, nonostante,
così ho
incominciato ad abbozzarla poi ho notato il contesti di
Emanuela.Emy.79 e ho avuto l’imput giusto per terminarla,
altrimenti non so se l’avrei portata a conclusione. Voglio
ringraziare anche Missdelight per averla sostituita del contest visto
che la giudice è stata costretta ad abbandonarlo.
Per
quanto riguarda la storia in se mi sento soddisfatta per
metà e ho
avuto anche difficoltà a scrivere tutta la storia dal punto
di vista
di Tezuka, non mi è mai capitato prima però in
questa fanfiction è
stata davvero tosta e sono sicura che non è perfettamente
IC, ma ci
ho provato con tutta me stessa.
Spero
che la mia oneshot vi sia piaccia.
Storia
partecipante al contest ‘With or Without you -Con o senza di
te-‘
indetto da Emanuela.Emy79 sul forum di Efp e
giudicato da missredlights
La
promessa infranta
Ero
perfettamente consapevole che, con gli impegni che avevamo io e
Atobe, potevano trascorrere giorni fra un’email e
l’altra. Per
non parlare delle nostre video-chiamate che diventavano sempre
più
rare, però mi sembrava quasi assurdo che per più
di due mesi non
avesse ancora risposto al mio ultimo messaggio.
Non
era mai stato un ragazzo da lasciarmi troppo sulle spine, anzi,
più
volte mi aveva detto quanto ci tenesse a rispondermi il più
in
fretta possibile, ma allora perché non mi aveva ancora
contattato?
Il
fatto era che ero perfettamente conscio che i suoi silenzi erano
qualcosa di più di quanto io stesso potessi immaginare e, il
non
sapere cosa fosse, faceva aumentare in me un presentimento
così
orribile che provavo ansia al solo pensiero d’immaginare che
sorte
avesse potuto subire Atobe.
Possibile
che stesse così male da non riuscire nemmeno a prendere in
mano un
telefono o avvicinarsi a un computer? Sapevo di dover escludere
questa possibilità, perché, se davvero fosse
accaduto qualcosa di
fatale, ero certo che qualcuno mi avrebbe avvertito. Una chiamata da
Fuji forse? Magari un’email di Oishi? O una qualsiasi cosa
per
farmi sapere cosa gli fosse accaduto in realtà. Nonostante
nessuno
dei miei compagni mi aveva mai fatto sapere nulla, significava che
Atobe stesse bene, no? Io però non riuscivo a darmi pace
temendo un
qualcosa che probabilmente non era mai avvenuto.
Di
fronte ai miei conoscenti tedeschi, riuscivo a far finta di nulla,
d’altronde ero sempre stato un tipo di poche parole e di
certo non
andavo a raccontare i fatti miei a persone che per me erano ancora
degli estranei. Ero comunque certo che nessuno di loro fosse riuscito
a scorgere la mia angoscia, perché ero certo di esserla
riuscita a
mascherare per bene, cosa che tra l’altro non mi riusciva
nemmeno
difficile visto che fin da bambino ero sempre stato in grado di
nascondere i miei stati d’animo.
I
miei problemi cominciavano quando rientravo nel mio umile
appartamento: per me era impossibile smettere di pensare ad Atobe!
Ero come ossessionato da lui e, più il tempo passava,
più la mia
inquietudine aumentava e il timore che gli fosse successo qualcosa
diventava sempre più concreto.
La
cosa che però facevo più difficoltà a
realizzare, era che ormai
fossi arrivato al punto di non ritorno: dovevo sapere cosa fosse
accaduto di tanto grave ad Atobe.
Ogni
sera, prima di andare a letto, ero solito prendere il mio cellulare
aspettando di ricevere anche un semplicissimo “Sto
bene”, perché
a me sarebbe bastato solamente questo, non è che chiedessi
quali
giustificazioni o frasi altisonanti, mi sarebbe bastato solo che lui
finalmente mi contattasse, ma continuavo a non ricevere sue notizie.
Io
non ero mai riuscito a prendere l’iniziativa, non
è che non fossi
in grado d’inviargli un messaggio ma semplicemente non volevo
che
capisse quanto mi ossessionassero i suoi silenzi. Cosa sarebbe
successo se, una volta inviata una seconda email, Atobe non mi
avrebbe risposto? E se non mi sarebbe bastato? Magari mi sarei
ritrovato inconsapevolmente a inviargli centinaia di email e non
volevo di certo finire con l’esasperarlo. Non ero mai stato
quel
tipo di persona, ma ero così disperato che avrei potuto
diventarlo
e, per evitare questo, non sono mai riuscito a fare il primo passo.
Avrei
anche potuto ricorrere ai miei compagni della Seigaku, ma che idee
avrei dato loro? Avrei mostrato un lato di me che non mi era mai
appartenuto prima di allora, e sicuramente sarei potuto sembrare
assillante.
Più
il tempo passava e tanto più mi rendevo conto di quanto in
realtà
stessi cadendo in basso, mi stavo trasformando in un ragazzo che non
conoscevo e che nemmeno riuscivo a concepire. Proprio per questo io
cercavo di pormi un freno e non lasciare il nuovo me predominare sul
mio vecchio io.
Doveva
essere lui a contattarmi, ma per quanto tempo avrei ancora potuto
resistere?
Ormai
ero arrivato al punto che ogni sera osservavo insistentemente lo
schermo nella speranza di ricevere una qualche notifica, ma
l’unica
che era in evidenza era quello del gruppo del circolo che frequentavo
in Germania nel quale avvertirono che l’indomani il sarebbe
stato
chiuso per dei lavori di manutenzione, seguite da vari chiacchiere di
cui a me poco interessava.
Alla
fine a me interessava solo di Atobe, ma ero ancora importante per
lui? Era brutto da pensare, ma avevo la sensazione che non volesse
più saperne niente di me.
«Stai
cercando di dirmi che hai un altro?»
Quel
pensiero era quanto più ridicolo io avessi mai elaborato:
Atobe non
era mai stato il tipo da tradirmi in quel modo!
Il
fatto era che io fossi semplicemente esasperato e la mia
immaginazione era arrivata al punto di farmi brutti scherzi, ma
ciò
non toglieva il fatto che qualcosa di strano in quella situazione ci
fosse, ma ormai per me accettare i suoi silenzi era diventato
impossibile.
Ero
davvero tentato d’inviargli un’email, chiedendogli
una qualche
ragione per il suo comportamento, perché, per quanto potessi
sembrare calmo, anche la pazienza aveva un limite e la mia
l’avevo
appena superata.
Atobe
si credeva che per me fosse facile? Eravamo distanti quasi novemila
chilometri, ma le sue email e video-chiamate facevano avvertire meno
il nostro distacco, però quella situazione stava
completamente
rovinato l’equilibrio che avevamo trovato: una relazione di
certo
non funzionava così!
«Ormai
è troppo!»
Nonostante
fossi completamente su di giri per la rabbia, la mia
razionalità
riuscì a mettermi freno.
Non
volevo mostrare la mia insistenza ad Atobe, ma, se gli fosse accaduto
qualcosa d’inesorabile che aveva impedito di scrivermi per
due
mesi, avevo il diritto saperlo cosa fosse: ero o non ero il suo
ragazzo?
Non
è che dovevo tornare fino in Giappone per avere sue notizie?
Ormai
sentivo di essere arrivato al punto di pensare cose estreme, ma come
potevo restarmene con le mani in mano?
Dovevo
chiamarlo, mi sembrava l’unica opzione plausibile, ma la
razionalità m’impedì di premere il dito
sull’icona della
chiamata.
Ormai
non era insolito che, prima di riuscire a prendere sonno, i miei
pensieri erano completamente rivolti ad Atobe, ma quella era la prima
volta che mi addormentai con il telefono ancora fra le mani,
però
non avrei mai immaginato di ripetere quel gesto per tutta la
successiva settimana.
Alla
fine ero proprio caduto in basso.
*~~~*
Un’altra
settimana era passata e nemmeno un accenno di Atobe, sinceramente mi
domandavo come io potessi ancora resistere senza avere sue notizie,
ma alla fine forse la mia pazienza era più vigorosa di
quanto io
stesso potessi realmente immaginare.
La
sera precedente ero andato a dormire seguendo la mia nuova routine e
mi addormentai nuovamente osservando con insistenza il display del
mio telefono.
La
mattina seguente, però, non fui svegliato dalla solita
sveglia
impostate per le 07:30, qualcuno mi stava chiamando da un bel
po’
di secondi.
La
mia vista era ancora leggermente sfocata, sia perché non
avevo
ancora indossato i miei occhiali e soprattutto perché avevo
ancora
la vista annebbiata dal sonno, così non riuscii a
distinguere il
nome.
«Pronto.»
«Scusa, stavi
ancora dormendo?»
Ecco
una novità! Non solo non venivo contattato da Atobe, ma
adesso ci si
mettevano anche delle illusioni, non è che stavo rasentando
la
follia?
No,
non stavo impazzendo, solamente mi mancava più di quanto
avessi mai
immaginato.
«Atobe…»
Recuperai
gli occhiali che disposti sul piccolo comò a fianco del mio
letto, e
solo dopo mi resi conto che effettivamente avevo proprio ricevuto una
sua chiamata, dopo ben dieci settimane.
«Buongiorno,
Tezuka.»
So
di aver detto che mi sarebbe bastato anche solo un semplice
“Sto
bene”, ma mi dovevo rimangiare tutte le mie precedenti
affermazioni.
Con
che coraggio mi chiamava e se ne usciva solamente con un
“Buongiorno,
Tezuka”? Per mesi mi sono sentito inquieto e quella era
l’unica
cosa in grado di dirmi? Ci avrei pensato io a dargli la lezione che
si meritava!
«Dopo
tutto questo tempo sai dirmi solo questo?! Piuttosto dimmi
perché
non ti sei fatto vivo per mesi?! Non pensi che io meriti una
spiegazione?»
«Sono
successe delle cose…»
«Cosa
può essere successo di così tanto funesto per non
avermi contattato
per mesi?»
«Dirtele
per telefono mi sembra poco delicato.»
Non
avevo mai sentito Atobe con un tono così serio e, udendolo,
mi
sembrava ormai ovvio che gli fosse accaduto davvero qualcosa. Alla
fine il mio brutto presentimento era un allarme concreto che non
avrei dovuto sottovalutare, ma ero stato così cieco nelle
mie
convinzioni da non aver avuto davvero il coraggio di espormi troppo,
però con molta probabilità avrei dovuto essergli
vicino, come lui
lo era stato con me quand’ero ricoverato a Kyushu.
«E
cosa dovrei fare, allora? Venire fino a Tokyo con il teletrasporto?
Non dire cazzate e dimmi cosa ti è successo.»
«Venire
fino a Tokyo no, anzi mi basterebbe solo che tu venissi ad aprirmi la
porta. Sai, qui fuori si gela.»
Ero
stato sarcastico solo perché non mi sarei aspettato un gesto
simile
da Atobe, conoscendolo però sapevo quanto fosse plausibile,
però
per tutto il periodo che mi aveva ignorato era qualcosa che non mi
sarei mai immaginato.
Mi
alzai dal letto per andare ad aprirlo incurante del fatto che stessi
ancora indossando il pigiama, dopotutto per me in
quell’istante
l’unica cosa che contava era sapere cosa gli fosse accaduto:
alla
fine cosa importava cosa indossavo? Anche lui presumevo non ne
avrebbe fatto tutta questa tragedia.
*~~~*
«Alla
buon ora.»
Mi
ci volle un solo momento per notare che quegli occhi erano diversi da
quelli che lasciai in Giappone.
Non
sembravano quelli del ragazzo che mi aveva promesso di seguirmi e
prendere le redini degli u17. Quello sguardo sembrava appartenere a
qualcuno che avesse perso tutte le speranze.
Come
potevo accettare di non essergli stato vicino? Era evidente che
avesse avuto bisogni di me, ma ero stato così ottuso da non
aver mai
premuto quell’icona Il senso di colpa
m’incominciò completamente
a divorare, soprattutto dopo aver notato quanto Atobe sembrasse
bisognoso di un mio abbraccio, ma alla fine anche io avvertivo la
necessità di sentire il suo calore.
Fu
dal modo i cui ricambiò la mia stretta che capii quanto in
realtà
gli fossi mancato, avvolse così saldamente le sue braccia a
punto da
temere che lui non avesse nessuna intenzione di lasciarmi andare.
Perché,
se sembrava aver bisogno di me, non mi aveva contattato fino quel
giorno? Come avrei potuto rispondermi da solo? Ma fra un po’
avrebbe finalmente chiarito tutti i miei dubbi, ma per ora volevo
solo perdermi un po’ in quell’abbraccio.
«Mi
sei mancato, Tezuka.»
*~~~*
Avevo
fatto accomodare Atobe nel piccolo soggiorno del mio appartamento con
tutta l’intenzione di offrirgli qualcosa che potesse
riscaldarlo un
po’, d'altronde era rimasto fuori al freddo e il clima rigido
di
quell’inverno non era una cosa con cui scherzare.
Non
è che io lo stessi facendo solo per educazione: al mio posto
qualcun
altro avrebbe mai accolto qualcuno che l’aveva fatto soffrire
in
quel modo?
Io
non ero qualcuno solito portare rancore, ma ammetto che, nonostante
tutte le mie precedenti riflessioni, ero ancora leggermente
arrabbiato: come potevo non esserlo? Io però non avrei mai
permesso
a certi istinti di prendere il sopravvento su di me, dovevo
trattenere tutta l’ostilità che provavo, ma
stavolta non sapevo se
ci sarei riuscito.
«So
che non è l’orario cui sei abituato a bere
tè, ma spero ti possa
andare bene comunque perché ho solo questo da
offrirti.»
«Va
benissimo, non preoccuparti.»
Speravo
che potesse servigli ad aiutarlo ad aprirsi, perché mi
sembrava che
avesse quasi difficoltà ad iniziare il discorso e, la cosa,
senza
che nemmeno io capissi il motivo, mi faceva infuriare. Non sapevo
quanto la mia irritazione potesse essere percettibile, ma a giudicare
dall’espressione che aveva, pareva che Atobe stesse di nuovo
usato
insight
su di me, che, a quanto sembrava, funzionava anche fuori dal campo di
tennis.
«Vedo
che qui qualcuno è arrabbiato: sai che non pensavo di
trovarti così
alterato.»
«Credi
che dovrei fare i salti di gioia? Dicendoti frasi smielate?
È già
tanto se ti ho preparato del tè, quindi ora bevi.»
«Non
ne saresti mai il tipo.»
«Allora
cosa ti è successo? Non ti sembra arrivata l’ora
di raccontarmelo,
due mesi e mezzo mi sembrano più che sufficienti per
ottenere
finalmente una risposta.»
«Anche
tu non ti sei fatto mai sentire, mi aspettavo almeno un’email
in
cui mi chiedevi io come stessi.»
«Quindi
stai cercando d darmi la colpa di tutto?»
«No,
solo mi avrebbe fatto piacere.»
Se
l’obbiettivo di Atobe era quello di farmi sentire in colpa,
allora
avrei fatto di tutto per eliminarlo da me.
«Comunque
non mi è difficile capire tu cos’abbia
provato.» mi disse
sorseggiando la fumante tazza di tè che ancora non aveva
terminato.
«Secondo
te cos’avrei provato?»
«Temevi
che io ti avessi tradito.»
Con
che coraggio avrei potuto ammetterglielo? Perché dirgli di
aver
avuto quei dubbi significava ammettere che io non mi fidassi della
sua lealtà nei miei confronti e l’avevo sempre
reputato una
persona incapace di compiere degli adulteri. Proprio per questo io
avevo subito capito quanto fossero insulsi i miei pensieri, lui non
mi avrebbe mai tradito e questa per me era più di una comune
certezza.
«Oppure
che io non ti amassi più? Temevi che avrei voluto lasciarti,
vero
Tezuka?»
Lo
sapeva che a me non piacesse che usasse l’insight,
e tutte le sue evoluzioni, almeno non nella nostra sfera privata,
eppure da come aveva messo la mano di fronte al viso sembrava che mi
stesse analizzando per leggere le mie reazioni.
«Vorrei
che tu sappia che io ho piena fiducia in te e che non ho mai messo, e
mai metterò, dubbio sulla tua buona fede.»
«So
quanto io sia importante per te e anche tu per me lo sei, e vorrei
farti sapere che in questi mesi nei miei pensieri ci sei sempre stato
solo tu.»
«Se
è così, perché non mi hai
né scritto e né chiamato?»
Era
normale, no, che iniziassi ulteriormente a preoccuparmi?
L’espressione di Atobe stava diventando così cupa
da farmi
realizzare quante serie stessero diventando le cose. Che dovevo dire,
fino alla fine avevo sperato che fosse tutto frutto della mia
fantasia, ma ormai avevo la completa certezza, che, qualsiasi cosa
gli fosse accaduta, tutto andava oltre la mia comune immaginazione.
Ero
stato un idiota a non aver mai avuto il coraggio di fare il primo
passo, ma orma il dato era tratto e l’unica cosa che potevo
fare
era ascoltare cosa avrebbe avuto da dirmi.
«Io
ho infranto la nostra promessa: Tezuka! Non potrò
più raggiungerti
perché non potrò mai più giocare a
tennis.»
“ Cosa!!!
Perché?!” dissi fra me e me.
Scommetto
che nemmeno la mia espressione stesse tradendo il mio stato
d’animo.
D'altronde come avrei potuto mascherare uno shock simile? Il mio lato
stoico non sarebbe mai riuscito ad avere la meglio su quello che
stavo provando.
Mi
sentii quasi investire da quelle parole, che, come una bomba esplosa
all’improvviso, avessero travolto ogni angolo di me.
«Cosa
ti è successo?»
Avevo
notato che, per tutto il tempo, Atobe non si fosse rimosso i guanti
dalle mani, e, soprattutto, che aveva tenuto quella destra nella
tasca del giaccone. La cosa non mi aveva insospettito più di
tanto
visto che fuori faceva così freddo da aver creduto che
semplicemente
fossero gelate, ma mai avrei immaginato che mi nascondesse qualcosa
di simile.
Un
volta sfilati, per me fu impossibile non notare tutte le cicatrici
che ricoprivano la mano destra.
«Danni
irreversibili, non potrò più impugnare una
racchetta.»
Mi
sembrava tutto così assurdo, anzi, pareva di vivere in un
brutto
sogno. Quella però era la realtà,
perché mai i miei incubi erano
stati così vividi e realistici.
Non
potevo credere quanto quella mano fosse messa male. Tutte quelle
ferite erano così recenti che ancora non erano sbiadite, ma
forse
c’era dell’altro. Delle semplici cicatrici come
avrebbero potuto
rendere impossibile a un tennista di impugnare la racchetta? Mi era
chiaro che tutto fosse più grave di quanto in
realtà potesse
sembrare.
«Come
te lo sei fatto?»
«Ho
avuto un incidente d’auto, sono stato ferito in varie parti
del
corpo ma la mano è quella messa peggio. I danni sono stati
così
ingenti, che pur essendo stato operato dai migliori chirurghi di
tutto il Sol Levante, non sono riusciti a far molto. Ho fatto anche
la riabilitazione ma ha migliorato solo in parte la mia
mobilità.»
Atobe
incominciò a mostrarmi quanto riuscisse a flettere le dita,
ma era
così minimo che non sembrava potesse nemmeno piegarle a
pugno.
«Come
vedi mi sarà impossibile continuare a giocare.»
«Lo
vedo!»
Perché
non mi aveva detto nulla? Cosa costava mandarmi un’email nel
quale
mi spiegava cosa fosse accaduto? Per tutto il tempo io sono stato a
struggermi mentre lui aveva dovuto rinunciare al tennis, ma almeno
avrebbe potuto accennarmelo, no?
Cos’ero
io per lui alla fine? Contavo davvero qualcosa? Se ero davvero
importante per lui, aveva il diritto di dirmi delle sue condizioni.
Non
ero una persona qualsiasi che s’incontrava di sfuggita e ci
si
dimenticava della sua esistenza dopo pochi istanti. Non ero nemmeno
un semplice conoscente o di quei rivali che pensavano solo a
competere: noi avevamo superato da un pezzo quest’ultimo
rapporto.
Io ero il suo ragazzo e proprio per questo motivo non avrebbe dovuto
tenermi all'oscuro di niente, o forse per lui ero semplicemente un
passatempo?
«Ah,
vedo che continui a essere arrabbiato con me: non ti è
bastata la
mia spiegazione?»
«Ovvio
che no! Dovevi dirmelo prima! Ho passato nottate intere senza avere
tue notizie e adesso mi dici questo, come potrei non essere
arrabbiato? Se sono stato davvero nei tuoi pensieri, allora non
dovevi ignorarmi in questo modo.»
«Credi
che per me sia stato facile? Sai quant’è stato
difficile accettare
che io, il re della Hyotei, fossi costretto a perdere l’uso
della
mano? Hai idea di questo cosa significasse? Rinunciare alla mia
squadra e team degli u17 è stato qualcosa che mi ha
letteralmente
devastato. Scommetto che tu non potrai mai capirlo, perché
tu sei
guarito alla spalla e ora stai diventando un professionista. Ti rendi
conto che io non potrò mai raggiungere la vetta? Proprio io
che sono
nato per regnare!». Notavo dal tono quanto Atobe fosse
ferito, ma io
non stavo a giudicarlo per questo, ma per il fatto che non avesse
detto nulla condividendo con me il suo cruccio: in due sarebbe stato
sicuramente meno difficile da affrontare. «Sai, Tezuka, non
so
quante volte avrei voluto chiamarti, averti al fianco, ma non volevo
permettere alla nostra storia d’influire sulla tua carriera,
non
volevo importi di ritornare a Tokyo e perdere così questa
grande
opportunità. Ho preferito affrontare tutto da solo piuttosto
che
coinvolgerti, tu non avresti fatto lo stesso?»
Era
così allora? Lui per tutto il tempo ha pensato questo? Ha
preferito
soffrire da solo per non pesare su di me?
«Rinunciare
a qualche torneo, non mi avrebbe precluso la carriera.»
«Pensi
davvero che io avrei potuto chiamarti o inviarti un’email
dicendoti
cose come “Ho avuto un incidente e non potrò
più giocare a
tennis”. Ti sembra davvero qualcosa che avrei potuto dirti in
maniera così superficiale? Anche se gli altri mi avevano
criticato
per questa scelta, io li ho convinti a non dirti nulla,
perché io
dovevo guardati negli occhi, proprio come sto facendo ora. Essere
faccia a faccia con te, parlarti chiaro e tondo, perché
così mi
sarei sentito meno in colpa nei tuoi confronti» fece una
pausa e poi
continuò il discorso. «Ti rendi conto che io ho
infranto la nostra
promessa? Non potrò più più essere il
pilastro degli u17 e questo
non me lo perdonerò mai.»
Come
poteva solo pensare una cosa simile? Lui non aveva nessuna colpa,
dopotutto era stato solo una fatalità!
Atobe
non meritava di soffrire in quel modo, avrei dovuto essergli vicino
ma, non avendone avuto possibilità, sentivo di aver il
bisogno di
rimediare.
Così,
dopo essermi seduto al suo fianco sul divano, lo abbracciai
cercandogli di dare il giusto conforto.
«Non
hai nulla per cui tu debba sentirti in colpa.»
«Lo
so, ma spiegalo tu al mio senso di colpa.»
In
quell’istante sentii un bisogno viscerale di baciarlo, magari
l’avrei spinto sul serio ad accettare quello che gli fosse
successo
senza che si sentisse responsabile di nulla.
A
quanto sembrò, la mia idea sembrò funzionare
perché Atobe mi
accarezzò il viso usando proprio la sua mano destra.
«A
quanto sembra con questa mano posso ancora far qualcosa di
utile.»
Era
un buon segno che scherzasse sulla cosa, no? Sembrava che la mia
presenza gli stesse facendo bene e ancora non riuscivo a comprendere
del perché avesse deciso di affrontare tutto da solo.
«Mi
giudichi?»
«Perché
dovrei farlo? Non è stata minimamente colpa tua, non te
l’ho già
detto prima?»
Sembrava
quasi che le mie parole stessero finalmente spingendo Atobe a
rilassarsi, ma dubito che avrebbe accettato tanto facilmente la
situazione, ma lentamente avrebbe capito che io non potevo
più
avercela con lui.
«Ho
sempre avuto paura che tu potessi farlo, ma sono stato un idiota,
vero Tezuka?»
«Non
lo sei affatto.»
«Invece
sì, tu non sei mai stato il tipo da avere un comportamento
simile.
Avrei dovuto immaginarlo fin dall’inizio.»
Lentamente
afferrai la sua mano, che ancora mi stava accarezzando, e iniziai a
osservando minuziosamente tutte le ferite perfettamente suturate.
«Queste
ferite sono a dir poco inguardabili.»
«No,
Atobe, non lo sono.»
Sinceramente
non capivo nemmeno io del perché avessi preso la mano di
Atobe
baciando praticamente a uno a uno tutti gli sfregi. Forse volevo
togliere tutto il dolore che aveva provato? O volevo dimostrargli che
non la trovavo affatto disgustosa? O probabilmente tutte e due? Io la
trovavo comunque bellissima, perché quella, pur danneggiata,
apparteneva al ragazzo che, con tutto il brutto carattere, avevo
imparato ad amare e nulla in lui mi avrebbe mai fatto provare
repulsione.
«Grazie,
Tezuka, e scusami per tutto quello che ti ho fatto passare in questi
mesi.»
«Scuse
accettate, ma la prossima che succederà qualcosa di simile,
ricordati Atobe, che te le farò pagare»
«Vedremo»
Sapevamo
quanto questa separazione potesse essere difficile, essere lontani
era particolarmente difficile per me quanto per Atobe stesso.
Entrambi
avevamo un sogno e nonostante la piega presa dalla vita per lui, ero
certo che avrebbe comunque rispettato il mio e per quanto dentro di
me avessi voluto restare con lui, il tennis ci avrebbe sempre divisi.
Alla
fine dovevo ammettere che nonostante il poco tempo che avremmo potuto
trascorrere assieme, per me sarebbero stati momenti preziosi e avrei
voluto viverli appieno. In fondo, stavo molto meglio con lui al io
fianco, ma non avrei rinunciato al tennis per i sentimenti che ci
legavano ed ero convinto che mai Atobe mi avrebbe impedito di
giocare, anzi, mi avrebbe aspettato perché i miei sogni
sarebbero
stati importanti anche per lui.
«Ora
che ne dici di recuperare un po’ il tempo perso?»
«Mi
sembra davvero una buona idea.»
Fine
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