Sottile
come un filo di cotone
La
prima volta che
la vide, Klaus aveva cinque anni, eppure non ne ebbe paura. Fu grato,
anzi, che
almeno lei fosse una compagna silenziosa, in mezzo a tutto quel chiasso
assordante.
I morti urlavano continuamente, nella sua testa; quella nenia sempre
uguale
– ti prego, aiutami -
aveva ben
presto sostituito la ninna nanna di Grace, cullandolo ogni notte nel
più
tormentato dei sogni.
Si sarebbe aspettato che anche la Morte in persona causasse un
altrettanto
lancinante dolore; ma quando la scorse al suo fianco, coi capelli e il
vestito
della stessa punta di bianco verginale, si sorprese della
serenità che gli
infuse nel cuore.
«Sei bellissima», le sussurrò,
dimenticandosi per una volta dell’uomo dal
volto aggrinzito che, spaesato, gli domandava dove si trovasse,
inginocchiato
ai piedi del suo letto.
La Morte non rispose a quell’osservazione; osservò
per qualche istante il
vecchio che stava loro di fronte, ridotto a un gomitolo di ossa e
sudore, e
sfiorò la mano sinistra di Klaus. Prima che il bambino
potesse esaminarsi il
palmo, il viso anziano dell’uomo si sgretolò
davanti ai suoi occhi; Klaus pensò
che fosse curioso che lembi di pelle, che un tempo avevano raccontato
la
storia di un essere umano attraverso un complesso puzzle di rughe e
cicatrici,
potessero ridursi in granelli di polvere con tanta facilità.
La Morte assistette, muta testimone, a quello spettacolo di
putrefazione;
tra le mani stringeva un tessuto nero in cotone, da cui lentamente
sfilacciava
un’estremità. Klaus studiò con
attenzione quel rituale: a ogni filo che la
Morte tirava da quella sciarpa funesta, il vecchio
s’allontanava d’un passo dal
regno dei vivi. Quando
dell’uomo non rimase
che cenere, la Morte scomparve, con la medesima grazia con cui
s’era
manifestata.
«E crudele», aggiunse Klaus, accovacciandosi al
suolo e raccogliendo una
manciata di quel pulviscolo grigiastro. Ne fece scivolare una parte
dalle dita,
osservando quanto quel flusso di decadenza assomigliasse a quello della
sabbia
in una clessidra. Solo allora si ricordò del gesto che la
Morte aveva compiuto
prima d’imporre la sua sentenza, e spostò lo
sguardo sulla propria mano.
Sul palmo che la Morte aveva accarezzato, una sola parola a marchiargli
l’epidermide:
addio.
♠♠♠
Klaus
se li era tatuati entrambi – salute
e addio – per una questione di
semplicità. Ogni volta che la Morte era
indecisa sul destino da attribuire a qualcuno, tornava a fargli visita,
l’ennesima sciarpa nera tra le dita ossute.
«Fa’ presto, questo tizio non ne vuole sapere di
stare zitto», la pregò
Klaus, la testa fra le mani e le ginocchia strette al petto.
La Morte si guardò attorno per qualche momento; erano anni
che mancava da
quella cameretta nella mansione degli Hargreeves. Riconobbe subito,
però, le
ante spalancate dell’armadio e la massa di vestiti in
disordine che vi faceva
capolino, gli scarabocchi sulle pareti e le cianfrusaglie sparse sul
tappeto,
le lenzuola sfatte e le candele sul comodino. La Morte riconobbe ogni
dettaglio, e sorrise.
«Allora?», la incalzò ancora Klaus,
sollevando finalmente lo sguardo e
intrecciandolo al suo. La Morte piegò appena il viso sulla
destra e inarcò un
sopracciglio, serrando le labbra sottili; le occhiaie del Numero
Quattro erano
più profonde del solito, i solchi violacei si confondevano
con le tracce
sbavate del kajal nero. Anche i capelli erano più in
disordine di quanto si
aspettasse, e la barba pareva meno curata.
Klaus notò quel tacito rimprovero e si fece scappare un
risolino amaro; gli
unici ad accorgersi di quei lievi mutamenti erano un fratello defunto e
la
Morte. Non male, pensò,
considerando
che forse un tossico come lui non potesse meritare altra forma
d’amore.
Il lamento incomprensibile dell’uomo tedesco che camminava
inquieto per la
stanza interruppe quel pensiero, tornando a sottoporgli, con urgenza,
la
necessità di alleviare il mal di testa.
«Ti spiace?», domandò alla Morte,
porgendole i palmi. «Vorrei tornare al
mio sonnellino pomeridiano».
Allora, la Morte si voltò verso il tedesco, sottoponendolo
al più
indagatore degli sguardi; ci mise meno tempo del previsto per
destinarlo al
regno degli inferi. Con un cenno del capo, indicò la mano
sinistra – addio –
e l’uomo si frantumò, quasi
fosse uno specchio che andava in mille pezzi.
«Alla prossima», sospirò finalmente
Klaus, massaggiandosi la tempia e
socchiudendo gli occhi. La Morte incurvò appena le labbra
all’insù e si
accomiatò dal suo figlioccio mortale.
Nella
camera tornò il silenzio, e Klaus desiderò avere
una pasticca.
♠♠♠
Credeva
di aver già affrontato l’inferno, Klaus,
in molteplici forme; si
era sentito ardere dalle fiamme dell’Ade quando suo padre lo
rinchiudeva per
ore al buio in compagnia dei defunti, ed era ugualmente certo di aver
valicato
il confine quando ogni nuova siringa gli bucava le vene.
Ciò che non sapeva è che l’inferno
bruciasse in eterno, per quelli come
lui.
«Voi
nascete oggi», tuonò il comandante della 173esima
brigata,
«dimenticate chi eravate ieri: non siete più
figli, né mariti, né padri». Klaus
aggiunse nella sua testa: né
fratelli.
«L’unica altra esistenza di cui dovrete
preoccuparvi è quella dell’uomo al
vostro fianco». E Klaus avvertì il dorso della
mano di Dave che sfiorava la sua
mano destra – salute.
«Voi siete nati insieme, e insieme starete per
sempre», continuò il
comandante degli Sky Soldiers, mentre scrutava quei volti incerti,
tentando
d’indovinare quanti di loro sarebbero stati uniti dallo
stesso funesto fato. Gli
sembrarono tutti ugualmente fragili, quei militari di cartapesta,
pronti a
sfaldarsi alla prima pioggia.
Klaus
non poté vederla, ma la Morte
vegliava su di loro; in mano aveva già centoquarantadue
sciarpe [1].
♠♠♠
Dalla
brandina di Dave non proveniva alcun fiato.
Di
solito, a quell’ora, lui e Klaus combattevano l’afa
– e l’olezzo del
sangue – raccontandosi storie su quelli che erano un tempo,
prima di rinascere
soldati. Klaus non amava parlare di Reginald, o di Five e della sua
apocalisse,
o della faida infinita tra Luther e Diego. Ben sì, gli
mancava; nel Vietnam del
1968 lui non era ancora nato – non era ancora morto
– e Klaus non poteva vederlo.
«È l’unico a cui importi davvero
qualcosa di me», ricordava Klaus,
solleticandosi il tatuaggio dell’Accademia sul polso.
«L’unico per cui faccia
davvero la differenza che io viva o muoia».
«Andremmo d’accordo, allora», lo
rasserenava Dave, disegnando costellazioni
sulle guance arrossate di Klaus. «Per me fa tutta la
differenza del mondo».
E, in quelle mani gentili che risvegliavano le cellule morte, Klaus
ritrovava la pace.
Ma,
quella notte, i loro racconti s’erano messi in pausa. Dave
era
taciturno: si tormentava le medagliette che portava al collo, incurante
delle
gocce di sudore che gli colavano fino al mento. Il volto era pallido e
smunto,
il sorriso dolce incrinato in una smorfia di dolore.
Klaus era inginocchiato alla sua sinistra, le mani giunte e la fronte
poggiata sul materasso sudicio. Non sapeva pregare, Klaus; non Dio,
perlomeno.
Allora, pregò la Morte, sua madrina e prima compagna d'armi;
poteva già sentirlo, il
fruscio del filo che si srotolava, ma non voleva sollevare il capo,
né
rivolgerle i palmi.
«Ti prego, non ancora, ti preg-», la voce gli si
strozzò in gola, quando
avvertì il braccio della Morte avvicinarsi alla mano
sinistra – addio. Ma
Klaus non poteva dire addio,
non a Dave, non all’unica versione di se stesso che non
detestasse.
Avvenne nel tempo di un battito di ciglia: Klaus roteò su se
stesso, e la
Morte gli toccò la destra – salute.
Vivi, Dave, vivi.
La
Morte si sentì imbrogliata, ma Klaus non se ne accorse; le
sue labbra
stavano già risanando quelle di Dave.
♠♠♠
C’era
sempre un prezzo da pagare, la Morte lo sapeva bene. Il tempo preso
in prestito porta con sé un’implacabile data di
scadenza.
Klaus, però, non lo sapeva, e quando Dave cadde oltre la
barricata, la sua
bocca non poté far altro che disegnare una o
di stupore – e orrore.
In mezzo allo sfrigolio delle granate, la Morte gli si
avvicinò.
«Voi siete nati insieme», gli ricordò la
Morte, ma Klaus non poteva
sentirla. Era la prima volta che gli rivolgeva la parola, eppure le
orecchie di
Klaus avevano annullato ogni suono, ogni sparo e ogni urla di dolore.
Le
orecchie di Klaus avevano bloccato ogni rumore che non fosse il battito
cardiaco di Dave, che sentiva scivolargli via dalle dita, come quei
granelli di
polvere di uomo di tanti anni prima.
«E
insieme starete per sempre», sentenziò la Morte,
srotolando l’ultimo filo
nero.
La
vita di Dave si spezzò, così.
Sottile come un filo di cotone.
Anch’egli
era caduto nelle mani della Morte.
fine
***
Note
Autrice:
[1]
142 furono i soldati Americani morti nella battaglia della Valle di
Shau, Vietnam, 1968.
La
storia è stata scritta per il contest Lavoratori
allo sbaraglio di Laodamia94: uno dei punti del
mio pacchetto
prevedeva di inserire una ripresa di una fiaba. Ho scelto di scrivere
un adattamento
di Comare morte – Der Gevatter Tod,
dei Fratelli Grimm: nella fiaba, un ragazzo ha per madrina la morte in
persona,
la quale gli facilita la carriera da medico, indicandogli, davanti a un
infermo, se egli sia destinato a vivere o a morire, semplicemente
posizionandosi ai piedi o alla testa del letto. Il ragazzo,
però, tenta
d’imbrogliare la morte quando a essere malata è la
principessa di cui è
innamorato: vedendo la morte posizionarsi alla testa del letto della
ragazza,
sceglie di spostare la posizione del corpo di lei, in modo da invertire
il
messaggio della morte. Con questo stratagemma, la ragazza è
salva. Tuttavia, la
morte è infuriata: per vendetta, fa cadere la candela che
simboleggia la
lunghezza della vita del ragazzo. Cadendo a terra, la candela si spegne
e il
ragazzo muore. Per maggiori informazioni, qui si può leggere
una traduzione in
italiano della fiaba: Comare
morte.
Spero
che sia chiara l’interpretazione che ho voluto dare nella mia
storia:
ho preso spunto dai tatuaggi di Klaus (hello/goodbye –
salute/addio) – che
sono, canonicamente, una tavola ouija – e li ho resi lo
strumento con cui la
morte gli comunica il destino degli uomini. Anche Klaus tenta
d’ingannare la
morte per salvare Dave, ma il destino a cui lui e Dave vanno incontro
nella mia
storia è diametralmente opposto a quella della fiaba
originale. La vendetta
della morte cala su Dave, non su Klaus. Ho dovuto poi sostituire la
candela
della fiaba originale con una sciarpa, che era il prompt del mio
pacchetto ^^
L’ultima frase della mia storia, a destra, è anche
l’ultima frase della fiaba.
L’altro
prompt è la citazione: “Voi siete nati insieme, e
insieme starete
per sempre”, i cui credits vanno al suo autore, Kahlil Gibran.
Insomma,
non è stato facile far quadrare il tutto e, al contempo,
essere
fedele a Klaus, Dave e alla loro straziante storia d’amore,
cui spero d’aver
reso giustizia.
graciousghost
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