Nora, Susan e l'ambiguità

di Atenah
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Questo brevissimo testo è ispirato al dramma borghese “Casa di bambola” di Henrik Ibsen, immagina ciò che potrebbe accadere alla protagonista femminile Nora un anno dopo la rottura con suo marito.

Nora, Susan e l’ambiguità
Sospirando legge le ultime parole e chiude il libricino dalla copertina rovinata che ha in mano. “Medea” recita il titolo. Per un attimo si lascia trasportare da quel sentimento irreale che c’è nell’aria quando una storia si conclude.
Come spesso avviene il suo pensiero vola ai suoi bambini nella “casa di bambola” a Tromsø. Sono due, come i figli di Medea, ma lei aveva già deciso a metà libro che la protagonista è una cattiva madre e ora si spaventa perché non può fare a meno di equipararsi a quella terribile donna del mito. Certo, i suoi bambini sono ancora vivi, ma soli e lei non sa se potranno vivere la loro vita veramente in quella “casa di bambola”, li ha lasciati soli con il padre, come Medea li ha lasciati soli con la morte.
Poi però scuote la testa, lei non è stata tradita, è lei la traditrice e in fondo non ha fatto nulla di male. Si alza dalla panchina e si liscia il suo vestito color ocra, poi si incammina verso la piazzetta della chiesa.
Londra è una città moderna, le avevano detto, ma lei si accorge che è così solo fino ad un certo punto, anche qui gli uomini la guardano strana perché non è accompagnata dal marito.
Si ferma davanti ad una vetrina di the, ma non osserva l’interno. Osserva se stessa, il suo riflesso. Davanti a sé vede una donna né bella, né brutta, né vecchia, né giovane, né ricca, né povera. Al momento non è né Nora, né Susan, si rende conto.
Non è Nora perché la Nora libera, la Nora Donna che si era immaginata, è morta prima ancora di essere concepita, dopo che aveva sbattuto quella porta.
Non è Susan perché Susan è nata dalla necessità di abbandonare Nora e quindi Susan non ha ancora vissuto.
Si chiede se vivrà per sempre in questa ambiguità.




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