Pomeriggio al
parco
Guardai
fuori dalla finestra.
Anche quel giorno c'era il sole. Sentii gli schiamazzi dei bambini che
correvano lungo il corridoio. Sarebbero andati al parco.
Chissà se quel giorno
sarei andato con loro. Anche il giorno prima c'era il sole e anche
quello prima
ancora, ma io non ero ancora uscito di casa.
Vincenzo
mi passò velocemente
davanti, così cercai di farmi notare. Non che fosse una cosa
facile. Mi agitai
un po', ma alla fine non riuscii a muovervi più di tanto.
Vincenzo raccolse da
terra la sciarpa e scappò fuori dalla porta senza neanche
degnarmi di
un'occhiata.
Uffa.
Un altro pomeriggio in
casa. Poi, dalla porta vidi entrare Linna, la piccola di casa. La
sorellina di
Vincenzo aveva grandi occhi scuri e manine perennemente occupate, e mi
piaceva.
Tanto.
Lei
si avvicinò e mi guardò.
Qualcuno gridò il suo nome sulle scale, ma Linna non vi
prestò attenzione: mi
stava ancora studiando. Poi, con quel suo sguardo furbetto,
avvicinò una sedia
al muro e vi si arrampicò sopra.
Continuai
a guardarla inerme.
D'altronde che avrei potuto fare? Quando le sue manine si sporsero
verso di me
e mi afferrarono, esultai: finalmente si usciva! Ce l'avevo fatta.
Vincenzo
entrò in camera, un po'
arrabbiato: "Marilena, quante volte devo chiamarti?" poi mi
guardò e
i suoi occhi si spalancarono "Cosa stai facendo?" la piccola rise
mentre mi stringeva al petto.
"Voglio
portarlo al
parco" Vincenzo sbuffò "È mio. Non puoi
prenderlo" la bambina
sbatté un piede per terra e pensai che mi avrebbe fatto
cadere. "Tu non lo
usi mai!"
Seguì
una discussione fra i due
fratelli, ma non prestai attenzione: l'importante era uscire di casa. E
loro
volevano andare al parco. A me piaceva il parco. Cercai di resistere e
non
strapparmi quando due paia di mani si litigarono il mio possesso, ma
persi una
coda gialla, che cadde ai piedi del ragazzino.
"Guarda
cosa hai fatto,
stupida!" Linna scoppiò a piangere dicendo che non era stata
lei ed
effettivamente, aveva ragione: era stato Vincenzo a tirare quella coda.
"Dai,
smettila di frignare!
Prendilo su e andiamo" il fratello più grande
girò sui tacchi ed uscì
dalla porta, diretto verso le scale.
Linna
sorrise e io dubitai che
stesse veramente piangendo prima, ma quando corse dietro al fratello
non me ne
preoccupai più. Stava correndo. Stavamo correndo. Insieme.
Verso il parco.
La
giornata doveva essere
freschina, perché i bambini avevano tutti la giacca addosso,
e io iniziai a
sperare che si alzasse un po' di vento.
Una
volta al parco, passai la
prima mezz'ora sdraiato sulla coperta posata per terra, insieme agli
altri: Zoe
la mucca di pezza, la palla e i pattini con le ruote. Eravamo tutti
giocattoli
abbandonati, mentre i bambini giocano a nascondino fra gli alberi, ma
stavamo
bene. Finalmente le giornate erano diventate belle e anche noi potevamo
passare
un po' di tempo fuori.
Quando
Linna si ricordò di me,
gridò correndo verso la coperta e si inginocchiò
prima di prendermi. Avevate
guance arrossate, possibile che ci fosse un po' d'aria? Che finalmente
anch'io
potessi giocare?
Le
sue manine mi presero e lei,
alzandosi, gridò verso il fratello: "Vincenzo mi aiuti?" ma
suo
fratello era ancora arrabbiato: io ero una sua proprietà in
fondo. "Fallo
da sola. L'hai voluto portare tu, no?"
Ma
Linna era sì la più piccola,
ma anche la più cocciuta della famiglia, così si
tirò su e borbottò sottovoce:
"Lo faccio da sola, allora." Due delle mie code strisciarono per
terra perché lei si era scordata di raccoglierle e io sperai
solo che non le
pestasse, altrimenti sarei rimasto senza prima di sera.
Ad
un certo punto, alzò le manine
verso il cielo e mi guardò, stringendomi ai lati.. Se mi
avesse lasciato andare
in quel preciso istante, sarei potuto cadere e avrei potuto rompermi.
Mmm.
Speravo vivamente che sapesse quello che faceva.
Poi
staccò una mano da me e si
chinò a raccogliere un mio pezzo da terra. Pensai che mi si
fosse staccata
un'altra coda e invece raccolse il pezzo di plastica. Tornò
a guardarmi
sorridente e, provò a farmi giocare, ma non ci
riuscì subito: le prime tre
volte caddi, per fortuna senza rompermi, e alla quarta scappai dalla
sua mano
ma rimasi a rasoterra, sbattendo contro il terreno più
volte. Lì si che pensai
di rompermi. E invece, dopo tre rimbalzi, ci riuscimmo e, grazie a una
folata
di vento più giusta delle altre, iniziai a giocare.
Era
fantastico. Avrei gridato.
Gridato di piacere. Gridato come gridava Linna mentre mi contemplava
con gli
occhi colmi di gioia. Guardai intorno a me, era tutto azzurro, il cielo
era
azzurro e il vento faceva oscillare le chiome degli alberi. Il vento
agitava
anche tutto il mio corpo e le mie code svolazzavano libere e
lunghissime. Ero
contentissimo. Stavo giocando, finalmente. Stavo volando.
"Linna!
Sei riuscita a far
volare l'aquilone!" un bambino che non distinguevo, da
lassù, si avvicinò
a Linna per farle i complimenti e guardarmi, ma la bambina si distrasse
e il
suo braccio si piegò, così io mi spostai,
prendendo in pieno una corrente
d'aria. Il filo che mi teneva ancorato a Linna si tese e il vento si
fece più
forte, facendomi strattonare più volte. Sapevo che il mio
filo non si sarebbe
spezzato, quindi risi felice, quasi invogliato da quel gioco pericoloso
e
cominciai a salire sempre più in alto, quando i bambini
iniziarono a gridare
dal prato.
"Vincenzo,
Vincenzo!
Aiuto, tengo paura!"
gridò Linna. Riuscii a sentirla
anch'io.
Mi
affacciai giù per vederli
sempre più piccolini, che cercavano di tenermi e riprendersi
il filo che nel
frattempo si era fatto sempre più lungo. Quando vidi la
piccola Linna correre
dietro di me mentre mi lasciavo andare alla brezza, un po' mi spaventai
e
quando i suoi piccoli piedi iniziarono a staccarsi da terra, venni
preso dal
panico.
Vincenzo
arrivò di corsa e
abbracciò la sorella da dietro. Quando notai che anche il
fratello faceva
fatica a rimanere con i piedi per terra, lo sentii dire di lasciarmi
andare
altrimenti sarebbero volati via e la sorellina rispondergli che
piuttosto
sarebbe volata via con me, feci una cosa che non avevo mai avuto il
coraggio di
fare: cambiai direzione per pochi istanti e poi, tirai un forte
strattone e
strappai il filo.
I
bambini dal prato guardavano
tutti in alto, increduli. Guardavano tutti me, soprattutto Vincenzo e
Linna
che, nel colpo subito, erano caduti sul prato. Girai su me stesso
più volte e,
all'ennesimo colpo di vento, iniziai a volare lontano. Risi forte. Era
bellissimo. Ero libero e stavo giocando.
L'ultima
cosa che vidi del parco
furono le mani dei bambini che si alzarono per salutarmi quando volai
via.
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