Indiana Jones - Quell’estate del ‘57

di IndianaJones25
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EPILOGO
«QUANTO DELLA VITA UMANA VA PERDUTO NELL’ATTESA»

   Charlie era in ritardo. Proprio quella mattina la sua macchina aveva dovuto decidere di fare i capricci, costringendolo ad arrivare in Università a piedi! Ma non avrebbero mai potuto svolgere la cerimonia senza utilizzare quel libro, il messale che era appartenuto a Marcus Brody e che lui conservava come un cimelio nel cassetto della sua scrivania: il vecchio curatore del museo ci sarebbe rimasto troppo male.
   Ansando e sbuffando, mentre correva attraverso i corridoi con il cappello in mano, diede un’occhiata all’orologio che portava al polso: ancora pochi minuti e la sposa sarebbe arrivata. Doveva sbrigarsi senza perdere altro tempo. Tuttavia, nel passare davanti all’ufficio di Indy, non poté non fermarsi per ammirare il lavoro che uno dei tecnici del personale universitario stava terminando di compiere: sulla porta a vetri, adesso, in lettere maiuscole ben scritte a vernice a piombo, capeggiava la scritta «Professor Henry Jones, Jr. - Associate Dean». Del resto, al nuovo vicerettore era stato assegnato un nuovo ufficio, più arioso e spazioso del precedente, gli era parsa la cosa più giusta ed appropriata al suo ruolo.
   «Meraviglioso! Perfetto!» esclamò in preda all’entusiasmo, dando una pacca sulla spalla dell’uomo, a cui scivolò il pennello, facendo sbavare proprio l’ultima lettera. «Rifaccia le lettere più grandi, molto più grandi!»
   Al poveraccio non restò che fare una faccia paziente e trattenere un sospiro di rassegnazione, mentre il rettore schizzava di nuovo via, facendo risuonare i suoi passi pesanti nel corridoio.

«Henry Jones Junior e Marion Ravenwood» lesse il prete, tenendo tra le mani il libro che uno Stanforth accaldato ma compiaciuto gli aveva portato appena in tempo, osservando le due persone in piedi davanti a sé, che si guardavano con sguardi innamorati e persi. «Poiché voi avete acconsentito a vivere insieme nel santo matrimonio e vi siete promessi amore reciproco con questi voti…»
   Il sorriso si allargò sulle labbra di Marion, trasformandosi quasi in un riso e anche Mutt, in piedi alle spalle di suo padre con le mani incrociate dietro la schiena, non riuscì quasi a trattenere una risata.
   «…avete congiunto le mani e vi siete scambiati gli anelli, ora io vi dichiaro marito e moglie.»
   Marion sorrise di nuovo, bloccando a stento una nuova risata di gioia, che pareva risalirle direttamente dal cuore. Ed anche Indy, di fronte a lei, sorrise, con uno di quei soliti ghigni sghembi; solo che, questa volta, non c’era alcuna traccia della solita ironia in quel gesto, ma solo sincera felicità. In quel preciso momento, anni di lotte, di litigi, di fraintendimenti e di divisioni cessarono in un solo istante, vennero meno per sempre, cedendo il posto a quella dolce armonia di cui soltanto il misterioso ed inspiegabile sentimento dell’amore sa farsi portavoce.
   «Che nessuno osi dividere coloro che Dio ha unito.»
   Seduto accanto a Stanforth, che assieme alla moglie Deirdre guardava con un sorriso pieno di soddisfazione i due sposi, Oxley gongolò dalla felicità. Chi avrebbe mai pensato che, un giorno o l’altro, avrebbe assistito ad una scena del genere? Quella mattina, per l’eccitazione, si era persino dimenticato di radersi, tanto che adesso un’ombra scura di barba gli copriva il mento. Ma non ci aveva fatto alcun caso, perché quello era un giorno speciale, probabilmente il più speciale della sua vita, proprio come lo era per i suoi grandi amici di sempre: finalmente, la sua piccola sorellina Marion ed il suo miglior amico Indy erano convolati a nozze, come avrebbero dovuto fare tantissimi anni prima. Ora, avrebbero di certo dovuto darsi ampiamente da fare per recuperare tutto il tempo che avevano perduto, in ogni senso.
   Non riuscendo a trattenersi, mormorò, rivolto a Charlie: «Quanto della vita umana va perduto nell’attesa.»
   Il rettore si volse verso di lui ed annuì, prima di tornare a guardare di nuovo verso i due neosposi, sentendosi quasi commosso.
   «Congratulazioni!» disse, intanto, il baffuto sacerdote, rivolgendosi verso Marion. Poi, spostato lo sguardo ammiccante su Indy, soggiunse: «Ora può baciare la sposa.»
   Marion non se lo fece di certo ripetere due volte. Liberatasi in fretta del bouquet di fiori che stringeva tra le mani - e che finì tra quelle stupefatte del prete - si avventò su Indy e vi si avvinghiò come una cozza al palo, tra le risate generali di tutti i presenti.
   Tra le grida di auguri e di felicità, e sotto lo sguardo a metà tra l’indispettito ed il divertito di Mutt, tutti gli invitati si alzarono in piedi, applaudendo festosi; ed i due sposi, terminato quel bacio appassionato, si volsero verso di loro, tenendosi sotto braccio. Il ragazzo, come sempre, avrebbe preferito di gran lunga defilarsi alla svelta - non vedeva l’ora di andarsene, dato che fuori dalla chiesa di St. Martin lo attendeva la sua motocicletta nuova fiammante, che i genitori gli avevano regalato per l’occasione e che lui era stato talmente gongolante nel ricevere da spingersi addirittura a promettere che avrebbe riflettuto seriamente sull’idea di tornare a scuola per prendere almeno un diploma - ma suo padre non gliene diede la possibilità: afferratolo per il braccio, lo trascinò verso di sé e lo costrinse a scendere insieme a loro dall’altare.
   «Ben fatto, Henry!» si congratulò Harold, ormai quasi commosso proprio come Charlie.
   «Grazie, Oxley» rispose all’unisono padre e figlio, prima di guardarsi e scoppiare di nuovo a ridere. Jones diede una pacca affettuosa sulla nuca del figlio, poi si voltò per stringere le mani a tutti gli amici che venivano a salutare i due nuovi sposi e ad augurare loro tanta serenità per l’avvenire.
   Il ragazzo si allontanò un poco dal gruppo, per scattare alcune fotografie, ma in quel momento un colpo di vento improvviso fece spalancare le porte della chiesa e staccò il cappello di suo padre dall’attaccapanni su cui era stato appoggiato, gettandoglielo ai piedi. Con aria assente, dopo aver appoggiato di nuovo la macchina fotografica sopra la panca, si chinò a raccogliere il copricapo, guardandolo con indecisione. Chissà che cosa sarebbe successo se avesse provato ad indossarlo? Il matusa lo portava sempre, nelle risse ed in quelle altre cose lì, magari gli avrebbe trasmesso un poco della sua energia…
   Stava per posarselo sulla testa, quando se lo sentì strappare di mano. Interdetto, si vide passare davanti sua madre e suo padre, che lo guardavano divertiti; il vecchio si era ripreso il cappello e, adesso, mentre se lo rimetteva, sembrava quasi sfidarlo con quell’accento ironico che era nuovamente ritornato nel suo sguardo. Del resto, Indiana Jones aveva affrontato tutte le sue avventure tenendo il capo coperto con quel vecchio cappello di feltro marrone e non poteva certo permettersi di affrontare questa ennesima e straordinaria impresa senza di esso: si sarebbe sentito praticamente nudo. In quanto a Junior, avrebbe dovuto aspettare che venisse il momento giusto, per poterselo mettere a propria volta. Forse quel momento sarebbe arrivato presto, forse più tardi, magari proprio mai, chi avrebbe potuto dirlo? In fondo, per ogni grande avventura che finisce, ce n’è sempre una ancora più straordinaria pronta per cominciare.
   Mutt sorrise di rimando a mamma e papà che uscivano dalla chiesa, seguiti a ruota dal sempre presente Oxley, da Charlie e da Deirdre, che camminavano abbracciati come due sposini, e da tutti gli altri ospiti; per ultimo, venne anche il prete, che in effetti cominciava ad avere un certo languorino e non vedeva l’ora di scoprire che cosa prevedesse il pranzo.
   Rimasto solo, si diede una pettinata ai capelli, poi afferrò il suo giubbotto di pelle - scordandosi, però, la macchina fotografica, che rimase abbandonata sul pianale della panca - se lo gettò sulla spalla e, infilata una mano in tasca in un gesto che ricordava immensamente quello che faceva sempre Indiana Jones, si avviò a sua volta a grandi passi verso quella nuova e strana avventura.


 [scritto: dicembre 2018 - aprile 2019]





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