d
DEVE ESSERCI UNA SPIEGAZIONE
Un
animale indomabile
Di
tutti gli universi possibili, e dio solo sapeva quanti ce ne fossero,
quello in cui gli era capitato di nascere doveva essere stato per forza
generato dal caos. Non poteva esserci altra spiegazione.
Era una vera e propria assurdità che si potessero percorrere
distanze interstellari in pochi secondi, che si potesse addirittura
viaggiare nel tempo e cambiare il destino del cosmo con un solo gesto;
quando un individuo che aveva bramato conquistarlo, quell'universo, non
riusciva ad allontanarsi
da un piccolo, insignificante pianeta ai
confini del mondo conosciuto nel corso di un'intera vita. Pazzesco che
si potesse desiderare l'immortalità, ottenerla; e mettere in
gioco la propria esistenza mortale
per qualcosa di completamente
diverso. Eppure era possibile morire e tornare in vita con la stessa
facilità, in quell'universo... Interi pianeti venivano
distrutti e rigenerati con la stessa arbitrarietà, e intere
civiltà morivano e rinascevano per un singolo capriccio;
perché l'imposizione di un solo dito era in grado di
estinguere un popolo le cui origini si perdevano in tempi remotissimi,
mentre l'energia di miliardi di creature poteva a malapena essere
sufficiente ad estinguere un singolo essere.
E queste erano solo alcune delle cose illogiche che poteva capitarti di
vedere in una vita, o due... o magari tre. Tutto e il contrario di
tutto sembrava possibile. In quell'universo ogni leggenda poteva
divenire realtà... al pari di ogni incubo. E un membro di
rango nobiliare poteva sedersi e banchettare al fianco di una terza
classe senza esserne disgustato; perché alla fine quello era
un universo dove un guerriero di sangue reale, il discendente
privilegiato di una stirpe di combattenti le cui origini si perdevano
in tempi remotissimi, poteva essere più... debole di un
guerriero di terza classe.
Quell'ultima considerazione produsse una smorfia sprezzante sul suo
volto, mentre schivava con un movimento fluido e rapidissimo un raggio
di energia, che gli sfiorò pericolosamente una guancia.
In fin dei conti c'era qualcosa di rassicurante nel pensare che quella
che un tempo aveva considerato una maledizione poteva essere adesso
ciò che lo rendeva più forte. E come a dare
dimostrazione di quella forza, neutralizzò con un ki blast
un altro fascio di energia che si scagliò dritto contro di
lui ad una velocità impressionante. L'esplosione fulminea
con cui sprigionò quel ki e lo diresse con precisione, il
modo in cui lo dosò accuratamente per non danneggiare il
drone e l'estrema rapidità con cui rispose al colpo
schivando gli altri attacchi denotavano una concentrazione che
contrastava palesemente con l'espressione impassibile, quasi rilassata,
con cui eseguiva invece ogni movimento, e ancor di più con
la pacatezza con cui quei pensieri si avvicendavano senza meta nella
sua mente, seguendo un vago, contorto ragionamento. Persino lui dovette
impiegare un certo lasso di tempo per rendersi conto che continuava ad
allenarsi ormai da un po' con movimenti fin troppo automatici. Si mosse
ad una velocità a stento percepibile e, con un evidente moto
di stizza, diede un lieve colpetto sul retro di ognuno dei droni, che
continuavano a roteare intorno a lui sparando proiettili energetici.
Quasi all'unisono, i piccoli robot si fermarono a mezz'aria e planarono
lentamente sul pavimento laccato di bianco. Così fece anche
Vegeta.
Proprio
in quel momento, mentre raccoglieva da terra un asciugamano e se lo
passava svogliatamente sul volto, la luce sul soffitto della gravity
room cominciò a lampeggiare, la gravità si
abbassò fino a raggiungere quella terrestre e una donna
sulla trentina, pettinata accuratamente e vestita con un completo
scuro, fece il suo ingresso con passo spedito, reggendo una cartellina
fra le mani.
“Buongiorno Signor Vegeta” salutò
candidamente. “La signora Bulma mi manda a chiederle se
è così gentile da unirsi a lei per la cena,
questa sera.”
Benché pronunciata col più formale dei toni, la
domanda dissimulò malamente il sarcasmo con cui la diretta
interessata l'aveva formulata in origine, e l'espressione seccata del
saiyan lasciò intuire che ne aveva colto ogni sfumatura.
“No!” sentenziò brusco.
“No,
non è così gentile o No, non si
unirà a sua moglie?” insistette la donna.
Vegeta fremette impercettibilmente. “Fuori di qui!”
inveì con aria minacciosa.
“Bene, informerò la Signora Bulma.”
La donna girò i tacchi guadagnando la porta, prendendo
l'uscita poco cortese del saiyan come una risposta implicita alla sua
ultima domanda, e lui si ritrovò spiazzato per un istante,
nel tentativo di riguadagnare un contegno. La seguì con lo
sguardo mentre si chiudeva la porta alle spalle e finì per
deglutire sonoramente al pensiero che quella maledetta, efficientissima
assistente l'avrebbe informata
di certo, sua moglie. Era ovvio che
Bulma doveva aver condotto personalmente una selezione impareggiabile
per scovare una tale scocciatrice. In certi momenti aveva l'impressione
che fosse solo un altro dei suoi innumerevoli robot tuttofare; ma
provare a disintegrarla, come aveva fatto con l'ultimo che si era
infilato in bagno, finora non gli era sembrata un'idea brillante.
Mentre cercava di ritrovare a fatica un briciolo di concentrazione per
riprendere l'allenamento, cominciò a rendersi conto di avere
una certa fame. Il riferimento alla cena probabilmente aveva
risvegliato in lui quell'unica caratteristica che non si era mai
preoccupato di avere in comune con Kakaroth; il suo formidabile
appetito. E pregustando già quello che avrebbe potuto
trovare nel frigo a misura saiyan di cui era dotata la Capsule,
gettò l'asciugamano a terra e uscì con passo
deciso dalla gravity room, dirigendosi verso la cucina.
Non
era passato molto tempo da che aveva imboccato il corridoio con un
incedere a dir poco marziale, quando si accorse con serio disappunto
che il suo imperturbabile cipiglio era riflesso su ogni superficie
metallica tutto intorno e lo scrutava bieco. Quel posto era talmente
pulito che poteva specchiarsi sulle pareti... letteralmente. Un'altra
assurdità. Per un saiyan cresciuto impastandosi le mani con
terra bruciata e sangue, a imbrattarsi gli stivali di fango nelle
paludi più putride della galassia, l'ultima mania di sua
moglie di ottimizzare l'efficienza dei robot delle pulizie,
sparpagliandone a frotte in ogni dove, non poteva che essere tanto
fuori luogo quanto irritante.
A distrarlo di nuovo, o quantomeno a provarci, il
dott. Brief
spuntò in quell'istante dal fondo del corridoio, un po'
troppo allegramente. Aveva svoltato ad una notevole velocità
e spingeva, o meglio si faceva trascinare alla cieca da un enorme
carrello pieno di bottiglie e contenitori vari che sembrava molto
pesante e senza controllo. Vegeta lo schivò con un gesto
naturale e rapidissimo che riuscì a malapena ad interrompere
i suoi pensieri e, prima che lo scienziato e il suo voluminoso
equipaggiamento si schiantassero contro il muro opposto da dove erano
sbucati, aggiustò la traiettoria del trabiccolo con un
calcetto ben assestato sulla ruota anteriore destra.
Il carrello rallentò considerevolmente
e il vecchio
scienziato riguadagnò in un attimo una posizione
più stabile. “Oh, ciao Vegeta!” lo
salutò allegramente fermandosi del tutto. Il gatto nero
sulla sua spalla riservò al saiyan uno sguardo altrettanto
eloquente, ma nessuno dei due venne ricambiato. Il grugnito che si
udì a malapena, emesso già da una certa distanza,
sembrò tuttavia una risposta soddisfacente e il baffuto
ometto tornò ad ignorare l'uomo che gli aveva appena
raddrizzato
la giornata. Si chinò a raccogliere alcune
bottiglie di plastica colorata finite in terra e ne studiò
per un momento il contenuto, poi si aggiustò il camice e
proseguì per la sua strada, quando il principe dei saiyan
era oramai a un paio di corridoi di distanza.
Entrando in cucina, Vegeta pareva averne avuto abbastanza di
convenevoli terrestri e si sforzò di ignorare del tutto
l'ennesimo robot che si occupava di ordinare il piano di lavoro accanto
ai fornelli. Si diresse senza indugi verso il frigorifero,
spalancò l'enorme sportello e cominciò a
studiarne l'interno. Afferrò subito dopo il gigantesco
cosciotto arrostito di un qualche volatile e una bottiglia di plastica
verde che era finita sul fondo del ripiano, dopo averla individuata con
la coda dell'occhio in mezzo agli intrugli dimagranti di Bulma.
Addentò l'animale senza troppe formalità, mentre
faceva saltare il tappo della bottiglia sul pavimento e richiudeva il
frigorifero, accompagnando gentilmente lo sportello con una pedata.
Mandò giù il primo, succulento boccone assieme ad
una lunga sorsata e la sua espressione corrucciata sembrò
per un momento distendersi notevolmente.
Sentendosi rinfrancato dalla bibita fredda,
pensò con un
certo sollievo che forse, dopo essersi riempito a sufficienza lo
stomaco, tornare a concentrarsi sull'allenamento non sarebbe stato poi
così difficile. Riprese quindi ad azzannare il povero
animale con rinnovato appetito, ma non poté fare a meno di
notare che il robot si era voltato a scrutare il pavimento con un
movimento inequivocabile.
La macchina soffermò a lungo lo
sguardo digitale sul tappo
che continuava a rotolare e che, essendo di un bel verde brillante, non
faceva che spiccare di più sulle mattonelle chiare.
Sembrò paralizzarsi per un momento, poi alcuni circuiti
cominciarono a ronzare all'interno del corpo metallico, che
iniziò a muoversi. Vegeta si affrettò a mandare
giù il boccone con l'aiuto di un altro sorso, mentre la
bevanda cominciava già pericolosamente a scaldarsi nella sua
mano. Ma prima che il contenuto della bottiglia finisse per andare in
ebollizione, il principe convenne saggiamente che fosse il caso di
controllarsi e si limitò a gettare uno sguardo seccato
all'intero pianeta Terra.
“Maledetta ferraglia!”
mormorò a denti
stretti.
Il robot attraversò lentamente la
cucina dirigendosi verso
il tappo, poco lontano da Vegeta, che non poté fare a meno
di rilevare che quella specie di servitore metallico emetteva un ronzio
del tutto simile a quello dei computer nei laboratori al piano
interrato. Il perché avesse notato questo particolare fu
qualcosa di cui non si preoccupò minimamente;
sembrò preoccuparsi invece di decidere se farlo saltare in
aria con un ki blast oppure distruggerlo semplicemente sbattendolo al
muro con un calcio. Finì tuttavia per posare il cosciotto e
la bottiglia sul tavolo, nel mezzo della stanza. Incrociò le
braccia al petto e si fermò curioso ad osservare il robot
che si bloccava a metà strada, analizzava attentamente il
tavolo accanto a lui e tornava indietro, nella sua direzione.
Certo era strano; il criterio con cui agivano
queste macchine sembrava
sfuggirgli. Perché a quel maledetto robot ora non importava
più del tappo per terra? Forse aveva trovato un modo per
confonderlo? Forse invece erano i suoi pensieri che si erano fatti
davvero strani... e confusi, sembrò comunicare l'espressione
attonita che si impresse sul suo volto per pochi secondi.
Continuò a seguire il robot che era intento a riordinare per
qualche altro lunghissimo istante, poi convenne con se stesso che era
lui che si sentiva decisamente in modo strano, e con la coda
dell'occhio scorse un'ombra scura sfrecciargli di fianco.
***
Il
pavimento della stanza era disseminato di indumenti di varie fogge e
colori, alcune borse vuote e un numero imprecisato di scarpe, di cui
almeno quattro apparivano spaiate. Un certo numero di asciugamani
bagnati invece era buttato senza ritegno sul letto, rigorosamente
disfatto. I cuscini erano disposti casualmente lungo un lato del
suddetto letto, quello sbagliato, ma uno di essi faceva bella mostra di
sé sotto la finestra, impegnato a ribadire la propria
indipendenza. Sul tavolino da tè erano ammassati un discreto
numero di fogli, sparpagliati con un criterio che sfuggiva ad ogni
interpretazione; e un computer portatile semi aperto, abbandonato su
una delle sedie, dava l'impressione di aver bisogno urgentemente di
essere collegato alla corrente. Dell'altra sedia, oltretutto, non c'era
traccia. L'armadio era aperto per due terzi e da esso, nel bel mezzo di
un traboccante ammasso di stoffa e altri materiali non meglio
identificabili, faceva capolino un lungo vestito scuro, elegante
abbastanza per spiccare in mezzo a tutto quel caos, assicurato ad
un'anta da una stampella in velluto.
Dalla vicina stanza da bagno, nel frattempo, proveniva il frastuono di
un asciugacapelli a massima potenza, che sembrava stesse per soccombere
da un momento all'altro ed esalare letteralmente
il suo ultimo respiro.
Quando il rumore cessò, tuttavia, fu Bulma ad esalare un
profondo sospiro scocciato, facendo il suo ingresso nella camera da
letto con un completo intimo grigio scuro. Il suo sguardo febbrile
passò in rassegna l'eccidio dei suoi indumenti dispersi per
la stanza, in cerca di qualcosa da mettersi, mentre l'espressione
insofferente che aveva stampata in volto si incupiva di minuto in
minuto in preda a certe riflessioni.
Vegeta come al solito aveva trovato molto più divertente
mandare al diavolo la sua segretaria piuttosto che sforzarsi di mettere
in fila due parole e formulare una semplice risposta. Era chiaro che
doveva trovarci qualcosa di spassoso, nel farle saltare i nervi.
Perché lui
poteva passare la mattinata nella gravity room ad
allenarsi e non doveva essere disturbato, certo. Invece lei, che aveva
passato la notte e la mattina in laboratorio a perfezionare i suoi
maledetti droni, non aveva il diritto di andare a cena fuori con suo
marito, nemmeno dopo aver appena comprato un vestito stupendo che le
stava stra-maledettamente bene.
Dopo aver gettato un'occhiata compiaciuta al vestito in questione, si
affrettò ad indossare qualcosa di comodo e
soppesò, subito dopo, uno sguardo altrettanto compiaciuto
alla sua immagine riflessa nello specchio, beatamente incurante delle
scarpe spaiate, dei vestiti sgualciti, lenzuola, asciugamani e borsette
ricolme di trucchi e gioielli che facevano da cornice e da sfondo a
tanta grazia.
In quella stanza, era tassativo, i robot delle pulizie entravano
soltanto una volta a settimana, anche se normalmente Bulma impiegava
poco più di mezza giornata per ridurre i loro sforzi ad un
nulla di fatto, se proprio si fosse voluto badare ai dettagli. La
realtà era che, per quanto potesse sembrare assurdo, di
certo un saiyan, soprattutto uno di sua conoscenza, sarebbe stato molto
più ordinato di lei, se solo non fosse stato anche l'ultimo
essere nell'universo ad avere un qualche interesse nelle faccende
domestiche.
Il pensiero di quel particolare saiyan, per l'appunto, che le era
tornato alla mente quasi a tradimento, sembrò ricordarle con
rinnovato entusiasmo per quale motivo fosse tanto arrabbiata e, mentre
guadagnava l'uscita con passo risoluto, una scarpa particolarmente
sfortunata si trovò a farne le spese e finì
contro il muro a una velocità supersonica. Ormai era decisa
a cercare Vegeta nella gravity room e a costringerlo ad accettare un
invito a cena, pena la morte. E certo quelle minacce non erano state
formulate a vuoto, nei suoi pensieri, perché l'espressione
che sfoderava come un'arma mentre procedeva lungo il corridoio era
abbastanza eloquente da meritarsi il rispetto del più bieco
degli assassini.
Quella
espressione irremovibile e il suo incedere militaresco contrastavano
piuttosto visibilmente con il caos che si era lasciata alle spalle, ma
a dirla tutta, una volta abbandonata la stanza da letto padronale, un
certo contrasto con quel caos lo si sarebbe notato anche dal pianeta
dei Kaioh, data l'estrema pulizia e l'estremo rigore di ogni altro
altro ambiente della Capsule Corporation. Dovette notarlo ben presto
anche Bulma, accorgendosi che poteva ammirare chiaramente la sua
graziosa figura persino sulle pareti metalliche del corridoio contiguo
alla gravity room. Non ebbe tempo di compiacersi anche per quest'ultimo
successo, tuttavia, perché trovando la stanza gravitazionale
desolatamente vuota rimase piuttosto sconcertata.
Era strano che Vegeta non fosse lì ad allenarsi a quell'ora,
soprattutto dopo aver liquidato la sua segretaria così in
fretta; cosa che, nel linguaggio dei saiyan, significava che doveva
completare la sessione di allenamento e che nessuno, nemmeno Kaiohshin
il Sommo venuto ad annunciare la fine dell'universo, aveva il diritto
di disturbarlo. Di sicuro però, se Vegeta non si stava
allenando, molto probabilmente c'era solo un altro posto dove poteva
andarlo a cercare in quel momento; e l'andatura con cui
tornò sui suoi passi e si diresse verso quel luogo fu la
conferma definitiva che Bulma non avrebbe mai rinunciato alla sua cena,
nemmeno se Kaiohshin il Sommo fosse venuto ad annunciare la fine
dell'universo. Ormai era diventata una questione di principio.
Vegeta
aveva torto su tutta la linea, tanto per cambiare. Non era affatto vero
che i suoi robot delle pulizie fossero invadenti! Aveva attraversato
due interi corridoi, su due piani diversi, e non ne aveva incontrato
nemmeno uno! L'indignazione sembrò fare di nuovo capolino
sul suo volto e si produsse nell'ennesimo sbuffo scocciato. Quel saiyan
ne aveva addirittura fatto esplodere uno la settimana prima,
perché quel poveretto aveva osato entrare in bagno e
porgergli un asciugamano. Che cosa aveva detto? Già, che
erano troppo efficienti... come se l'essere efficienti fosse un
difetto! E guarda caso, aveva detto che pure la sua segretaria era
troppo efficiente...
La smorfia sarcastica con cui aveva sottolineato quell'ultimo pensiero
l'aveva accompagnata per diversi passi, assieme ad uno sguardo omicida,
finché non giunse a pochi metri dalla cucina.
Notò con piacere, però, a quel punto della
giornata e dei suoi ragionamenti, che uno dei suoi robot stava
effettivamente svolgendo il proprio lavoro con un contegno invidiabile,
appena fuori dalla stanza verso cui era diretta. Il piccolo domestico
metallico era tutto intento a spazzare qualcosa, ma da dove si era
soffermata ad osservare non riusciva a scorgere cosa fosse. Solo quando
fu abbastanza vicina e si chinò ad esaminare con attenzione
l'ammasso di ferraglia, spinta dalla curiosità e da uno
spaventoso, terribile dubbio, ebbe l'atroce certezza: quello che veniva
raccolto e gettato in un contenitore per il riciclo dei componenti
meccanici era proprio un altro dei suoi robot, o ciò che ne
rimaneva.
Dopo un secondo di sgomento e di incredulità, le sue
emozioni si attestarono prevalentemente sulla furia cieca. Raggiunse la
cucina in appena due falcate sicura ormai di trovare lì suo
marito, mentre passava in rassegna più volte, nel giro di
pochi millesimi di secondo, alcuni metodi efficaci per riuscire a
disintegrarlo; e oltrepassò la soglia della porta con la
fermezza di un intero esercito saiyan, assumendo una posa intimidatoria
che avrebbe fatto tremare perfino Freezer.
Dopo appena una frazione di secondo si bloccò. Tutta la sua
determinazione svanì in una bolla di sapone e si
tramutò in un'espressione esitante e vagamente confusa.
Strizzò gli occhi un paio di volte, come a sincerarsi di
aver visto esattamente ciò che aveva visto, ma questo
sembrò paradossalmente confonderla ancora di più.
“Vegeta?” mormorò con un tono incredulo
e quasi intimorito. La sua voce tradì un'evidente
incertezza. “Che stai facendo?”
Il
principe dei saiyan sedeva su una delle sedie accanto al tavolo,
davanti a sé un cosciotto ora ridotto all'osso e una
bottiglietta di plastica verde, il cui contenuto era stato svuotato
della metà. Lo sguardo era fisso al suolo, dove un tappo
dello stesso colore della bottiglia giaceva al momento immobile. Non
era il solo a studiare l'oggetto, una palla di pelo dal manto nero lo
stava fissando con altrettanta concentrazione.
Tama, il gatto di casa, allungò una zampa e toccò
il tappo, per osservarlo muoversi. Gli diede poi un altro piccolo
colpetto, facendolo scivolare accanto al piede di Vegeta. Questi
osservò la scena in silenzio e con un piccolo gesto fece
slittare il tappo verso il felino, che lo seguì con i suoi
grandi occhi vispi. Come aveva fatto la prima volta, Tama
allungò la zampina per verificare le capacità
motorie dell'oggetto. “Non lo vedi da sola?” disse
il principe rivolto alla moglie, senza guardarla. Il tappo
tornò accanto alla punta della sua scarpa appena un secondo
dopo e Vegeta gli diede un nuovo colpetto, osservando per l'ennesima
volta la reazione del gatto.
La reazione di Bulma fu, per certi versi, simile a quella del gatto.
Restò ammutolita qualche momento osservando la scena e, dopo
aver appurato quello che stava realmente guardando, la sua mente
brillante cominciò a passare in rassegna ogni possibile
scenario in cui Vegeta, il principe dei guerrieri saiyan, avrebbe
potuto intrattenere un animale domestico senza che questo
preannunciasse come minimo la fine del mondo o una disgrazia peggiore.
Non ne trovò alcuno.
“Ehm...” si schiarì la voce prendendo
tempo e cercando di scegliere le parole con cura. “Scusami...
ma stai...” non poteva credere che gli stesse davvero facendo
quella domanda. “giocando
con Tama?”
Il gatto, sentendo il proprio nome e interpretando la cosa come un
invito ad unirsi alla conversazione, miagolò convinto delle
sue
idee e colpì il tappo con una zampata più
vigorosa,
mandandolo a finire sotto il tavolo. Il principe ne seguì la
traiettoria con lo sguardo, chinando il capo per osservare il punto
esatto in cui era finito. Tama miagolò una seconda volta,
come
fosse un invito a rimediare al problema, e Vegeta studiò
ancora
una volta il felino, per poi tornare a concentrarsi sul tappo.
“È ovvio” rispose vago, dando un
ennesimo calcio al giocattolo,
che slittò sul pavimento fin troppo lucido e raggiunse e
superò l'ingresso della cucina. Saiyan e gatto non
distolsero
mai lo sguardo, mentre Bulma cominciò a chiedersi dove e
quando
aveva sbattuto la testa così violentemente da aver perso i
sensi. Perché non poteva esserci altra spiegazione.
CONTINUA…
Storia scritta a quattro mani in anni di lavoro (sì... anni!)
e finalmente abbiamo deciso di pubblicarla.
Nel ringraziarvi per aver letto il primo capitolo ci auguriamo che
vogliate seguire anche i prossimi. (non temete saranno pochi, non ci
vorranno anni per leggerli! XD)
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