Non appena
lo vede, gli pianta una pallottola in testa. Non c'è tempo
per parlare, i giorni del dialogo sono passati da fin troppo tempo.
L'altro cade a terra, un terzo occhio nella maschera a forma di teschio
che indossa. Non ha neanche bisogno di toglierla per sapere che
è un ragazzino: solo loro credono che mascherarsi serva a
qualcosa, loro nati in quest'età che ancora non hanno capito
come funziona il nuovo mondo. Non c'è più alcuna
identità da nascondere, banalità come quelle non
servono più nulla. Sopravvivere è ciò
che importa. Ma i giovani sono idealisti. L'idealismo, di questi tempi,
non ti fa tornare a casa.
DEATH
AGE
Estrae il
caricatore e conta i proiettili. Ancora nove. Ricarica e scarrella per
mettere il colpo in canna. Ne ha abbastanza per un paio di giorni, se
non incontra un branco.
Scavalca
il corpo e va avanti.
La
casa è in un quartiere residenziale di Boston. Non si
aspetta chissà cosa, ma magari, con un po' di fortuna,
potrebbe trovare un po' di cibo dimenticato nella fretta. Rimane
deluso: la cucina è già stata saccheggiata.
Sospira, sconsolato, e torna verso il corpo del giovane. Lo gira e
comincia a esaminarne le tasche. Trova un paio di cartucce per fucile
vuote e un dollaro legato con un pezzetto di spago. Lascia tutto
dov'è ed esce dalla piccola villetta rossa con i muri
anneriti dalla muffa e coperti dall'edera.
Il
sole sta calando, illuminando alcune zone di luce arancione, rendendone
altre oscure e pericolose. Anche una sola ombra permette la Loro
sopravvivenza. Entrare in un luogo chiuso è sempre un
rischio in più di essere attaccati.
Comincia
a camminare, a passo lento e con la mano accanto alla nove millimetri.
Il suo rifugio si trova a pochi isolati di distanza, in una casa color
crema dalla vernice scrostata e con alcuni mattoni divelti. Entra,
chiude la porta e riabbassa la sbarra di metallo. Scende le scale fino
alla cantina e attraversa la porta di metallo, richiudendosela alle
spalle. Non sa chi fossero i precedenti proprietari, ma ringrazia la
paranoia americana che li ha spinti a fornirsi di un ampio rifugio
sotterraneo. Non sa neanche se fosse legale costruirsi qualcosa di
tanto spazioso sotto una zona abitata, ma meglio per lui.
Pareti
di metallo e rifornimenti. Era stato la sua salvezza e gli aveva
concesso un mese di piena tranquillità. Tuttavia, il cibo
era terminato fin troppo presto e aveva dovuto ricominciare a cacciare.
A breve, tutto il cibo nella zona sarà finito e lui
avrà bisogno di cercare un'altra base. Pensa di andare a
vivere nei boschi, sempre che gli animali non siano già
estinti. È da così tanto che non ne vede uno. Uno
sano, almeno.
Entra
nel sacco a pelo dopo aver mangiucchiato un pacchetto di patatine
stantie che sanno di carta. Si addormenta dopo qualche minuto. Non
c'è neanche bisogno di spegnere la luce: le centrali
elettriche sono ferme da tempo.
*
Sfondano
la porta d'ingresso. Li sente ringhiare. Decine di esseri hanno fatto
breccia nelle sue difese. Distruggono tutto, la casa viene fatta a
pezzi, come tutto ciò che incrociano durante la Loro
avanzata. Sente che lo cercano, attirati dall'odore. Alcuni sibilano,
altri schioccano le mandibole, altri ancora emettono suoni gutturali
che risuonano come una lingua strana e sconosciuta. Passa poco tempo
prima che comincino a grattare sulla porta. Si prepara, in un angolo,
puntando la pistola. Si fa il segno della croce. Non è mai
stato un tipo religioso, ma ne aveva bisogno. Accanto a sé
tiene un winchester con soli tre colpi.
Un
braccio sfonda la porta. Lo vede ritirarsi. Un altro spacca il metallo,
più in basso, ma quello non è più un
braccio, è mutato in una lama di carne e ossa. La porta
viene, infine, fatta a pezzi. Entra il primo. Uno sparo. Cade a terra,
con il sangue che sgorga da un foro nella testa, gli occhi bianchi e
ciechi fissi su di lui. Ne entra un altro che subito cade a terra.
Entra un terzo, quello con il braccio deforme. È
più veloce: il colpo che gli sfonda il cranio è
quasi a bruciapelo. BANG. BANG. BANG. BANG. Sette colpi, sette di Loro
morti. Gli restano due colpi. Ne entra un altro. Dalla testa, due
protuberanze simili a corna ricurve lo rendono più
imponente, le due braccia sono sottili e affilate come la lama di uno
stocco. È rapido. Schiva il primo colpo e lo trafigge,
passando il ventre da parte a parte. Sta per finirlo ma gli ficca la
pistola in bocca e preme il grilletto. Morto.
Si
tiene il ventre sanguinante e si trascina verso l'uscita. Ha
abbandonato la pistola e tiene il fucile. Sale le scale, scansando i
Loro cadaveri putridi. Il terreno trema e l'ultimo gli si presenta di
fronte. Aveva sperato non ci fosse. È insolito trovare un
capobranco con così poche creature sotto il suo comando. Ma
si è solo illuso. L'essere gli è davanti,
l'avambraccio destro mutato in quella che la mente di un essere umano
interpreta come un'ascia bipenne. È acefalo e il suo corpo
è grande il doppio dell'uomo. Lui alza il fucile, l'Altro
alza l'ascia. L'Altro è più rapido. Il braccio
gli viene mozzato di netto e l'arma cade a terra con un tonfo. La
disperazione non gli lascia sentire il dolore.
"Merda",
pensa con semplicità. La mente va al ragazzo che ha ucciso
poco prima. Si chiede se lo rincontrerà insieme a tutti
coloro che sono morti solo per farlo arrivare fin lì.
L'Altro abbassa per la seconda volta l'ascia. Per un breve istante, il
mondo è nero con delle sfumature cremisi.
*
«Lara,
sei tu?».
Il
racconto è ispirato ai videogiochi "The Last of Us" e
"Resident Evil", nonché al film "Io Sono Leggenda".
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