L'Uomo Fatale (In revisione)

di NyxTNeko
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Capitolo 18 - Esperienze dal passato -

Lo zio stava parlando con il suo fare convincente e retorico, ai nipotini più piccoli, quali lo ascoltavano, prendevano appunti e gli facevano domande.

- Maestro! - esclamò Napoleone con gli occhi brillanti.

Fesch girò la testa verso la sua sinistra e vide un giovane ufficiale fuori dalla porta d’ingresso che lo fissava meravigliato. Gli sorrise ed anch’egli gridò, alzandosi in piedi e avvicinandosi al ragazzo - Nabulio, da quanto tempo! Siete cresciuto parecchio! Stento a riconoscervi, ragazzo mio!

Il ragazzo notò subito il cambiamento dello zio - maestro: Giuseppe Fesch, che aveva 23 anni, era sempre stato un ragazzo di una bellezza sfolgorante: alto e snello, dalle lunghe gambe sottili ma robuste. La pelle era chiara, i lineamenti rotondi e delicati somiglianti alla madre; i suoi capelli corvini e mossi, come quelli della sorellastra Letizia, fino a poco prima di prendere i voti erano lunghi sulla schiena e legati, li aveva tagliati cortissimi, coperti dal tricorno che portava sulla testa. Indossava l’abito talare composto da giacca, marsina e culotte nere, alle estremità delle maniche vi era del delicato pizzo bianco. Gli occhi neri erano gioiosi, pieni di vita e rispecchiavano il suo spirito vivace, amante della cultura, dell’arte.

- L'uniforme che indossate vi dona molto, sottotenente Buonaparte

- Ti prego, almeno tra noi diamoci del tu e soprattutto chiamami Napoleone, lo sai che per me sei più un fratello che uno zio - lo sgridò con aria benevola.

Fesch rise di gusto ed annuì radioso - Come vuoi sottotenente Napoleone - emise con aria divertita.

- Ti ringrazio per il complimento anche se, sinceramente, avrei preferito una leggermente più stretta, purtroppo non avevano stoffa sufficienza per produrne una della mia misura - confessò trattenendo una risata.

- Meglio larga che stretta! - sbottò entusiasta Fesch - Cos'hai da raccontarmi? Com’è la vita in Francia? - aggiunse e gli diede una pacca sulla spalla. Napoleone seguiva ogni gesto con gli occhi, nulla gli sfuggiva, nulla era superfluo da non poter essere osservato.

- Nel reggimento in cui mi hanno mandato non posso lamentarmi, essendo il più giovane mi trattano bene - rivelò alzando lo sguardo verso il cielo azzurro che si rifletteva nei suoi occhi sempre tempestosi - Per il momento non abbiamo alcuna agitazione, quindi mi dedico alla lettura e alla scrittura per non cadere nella noia della pace

Il maestro gli sorrise. Il suo amore per la lettura non si era affievolito, nei suoi occhi brillava la stessa luce colma di curiosità, di voracità per il mondo che aveva mostrato fin dalla prima volta in cui le loro vite si erano incrociate. Intravide, tuttavia, una piccola nota di malinconia e solitudine che solo un occhio attento poteva percepire. Quel solitario bambino sognatore tra le pagine dei grandi, che mostrava coraggio e spavalderia incredibile nel difendere l’onore della sua famiglia, che, però, di nascosto esprimeva tutto il suo dolore, incomprensione e tristezza che era stato, non lo aveva affatto abbandonato - Mi fa piacere vedere che questa passione per la lettura l’abbia ampiamente coltivata - sorrise dolcemente - E cosa leggi?

- Qualsiasi cosa, maestro, non c’è genere, scrittore che non susciti in me la bramosa voglia di leggerlo e conservarlo nel mio cuore - gli rispose con sempre più coinvolgimento.

Era vero che fin da piccolissimo aveva letto libri, ma era stato lo zio, il maestro come ancora lo chiamava in segno di rispetto e stima, che gli fece amare le buone letture, che lo aveva guidato nelle scelte e non poteva non ringraziarlo di questo. Lo zio comprese ciò e annuì leggermente il capo per dimostrare al caro nipote che lo aveva compreso - Quanto ti tratterai con noi, Nabulio?

- Non molto, mi resta qualche settimana che dedicherò alla questione della pépinière - soffiò tornando a mostrare un’espressione controllata e fredda.

Il maestro notò il cambiamento repentino della sua espressione e ne rimase turbato. In Francia doveva essere stata davvero dura adattarsi a quell’ambiente così ostile, senza perdere il controllo delle proprie emozioni, seppur lo conoscesse bene e sapeva che in qualche modo le aveva manifestate - Cosa ne pensi della questione?

- Io credo che la soluzione migliore sia quella di continuare a mantenere la tenuta, mio padre, per quanto certe volte abbia agito senza pensare alle conseguenze, questa volta ha centrato il bersaglio con i gelsi

- Sei sicuro di questa decisione? A me pare azzardata!

- Ogni impresa è azzardata non credi? - rivelò con naturalezza

- Impresa?! - strabuzzò impaurito. Perché si ostinava a portare avanti quel progetto, che per lui pareva assurdo ed eccessivo fin dall’inizio. Ricordava benissimo la discussione che era sorta tra lui e Carlo, convinto di ciò che stava facendo esattamente come Napoleone, in quello stesso istante con la sua stessa posa rilassata e tranquilla, lo stesso sguardo fermo e deciso e persino le stesse parole pronunciate.

- Sì, hai udito bene, ho proprio detto impresa, ovviamente vi aiuterò nel pagamento della quota necessaria come ho sempre fatto

- Ma non basterà per pagarla - lo interruppe sconvolto - Sono troppi soldi anche per te, non devi rinunciare alla tua vita, ai tuoi anni migliori...

Il sottotenente non badò alle sue parole sempre più convinto che la sua scelta fosse la sola da adottare - Maestro se al Parlamento non mi daranno risposte, porterò con me le carte e chiederò ad alcuni uffici francesi di sostenere la causa - lo fissò intensamente, determinato e deciso più che mai - È l’unico modo che mi resta per salvare il progetto

- Ma è impossibile! La Francia è un Paese molto più grande della nostra isola, come pensi di riuscire a far arrivare quelle carte in ogni angolo? Senza contare che moltissimi non si interesseranno minimamente alla causa!

- Impossibile è una parola che esiste solo nel vocabolario degli stupidi, non dimenticatelo maestro - ammise con gli occhi spalancati e un sorriso malizioso stampato sulle labbra - Niente è impossibile se lo si vuole davvero

Lo zio maestro notò in lui una folle ambizione che lo intimorì non poco. Napoleone non era il tipo che prendeva una decisione senza averci pensato tanto. La sua determinazione era dettata dallo studio approfondito della situazione, questo lo sapeva benissimo. Allora perché lo temeva quando incrociava il suo sguardo? Che cos’era quella sensazione di terrore puro che suscitava in lui?

Il ragazzo sembrava aver notato il suo smarrimento interiore, gli sorrise per rassicurarlo; non doveva avere temere per lui, né di lui - Ti lascio lavorare ora, maestro - disse alzandosi e già in procinto di camminare a passo spedito verso la prossima meta.

- Aspetta Nabulio! - lo frenò il maestro che gli afferrò il braccio sinistro.

Napoleone volse leggermente la testa verso di lui e lo guardò fisso, come se stesse aspettando ciò che il maestro gli avrebbe riferito.

- Perché non rimani con noi?! - lo pregò con quella dolcezza del suo timbro vocale che Napoleone riconosceva, nonostante la voce fosse diventata più calda e profonda.

- Ti ringrazio zio, ma non vorrei rubare il tuo tempo con i miei fratellini… - sputò quasi di getto. Si aspettava una richiesta del genere ma non poteva accettare perché i fratellini non erano ancora pronti per i suoi insegnamenti. Avevano ancora bisogno del maestro.

Lo zio Giuseppe non poté fare a meno di sorridere dell’imbarazzo che Napoleone stava mostrando nei suoi confronti. Sapeva che quell’allievo tanto stimato lo aveva superato da tempo e che il suo livello culturale era ben al di sopra di quello che possedeva quando lasciò l’isola.

- Non sono io a chiedertelo, ma i tuoi fratellini che desiderano tanto discutere e chiacchierare con te, mi facevano queste proposte già da ieri mattina - gli fece notare il maestro allungando il braccio verso i bambini, ansiosi di conoscere meglio il fratello che combatteva in Francia.

Il ragazzo rivolse lo sguardo verso di loro e rimase stupefatto nel vedere quanta profonda gioia e ammirazione provavano verso colui che consideravano un eroe uscito da un libro di storia.

Gli stessi sentimenti che anche lui dimostrava per i grandi condottieri della storia e, in particolar modo verso il patriota Paoli, che tanto lo affascinavano e lo spronavano a non rinunciare ai propri sogni, ai propri desideri più intimi, a non cedere al fascino della vita comoda, facile, infida e subdola capace di sviare anche le personalità più elevate.

Non si doveva mai perdere la fiducia in sé stessi, nelle proprie capacità specie quando il destino e la vita mettevano a dura prova la resistenza degli uomini e portarli alla disperazione e perfino alla morte. Era necessario imparare a controllare i propri sentimenti, i propri intenti con il prossimo per limitare il dolore, la sofferenza che un incontro spiacevole, mal gradito avrebbe potuto scatenare nell’inconscio.

- Chi s'abbandona al dolore senza resistenza o si uccide per evitarlo abbandona il campo di battaglia prima di aver vinto. Ci sono ferite alle quali sarebbe preferibile la morte. Ma sono poche. Al momento di abbandonare la vita, ci si aggrappa ad essa con tutte le forze - Questi erano gli insegnamenti che Napoleone impartì ai più piccoli, utilizzando molto spesso esempi oppure frasi più semplici per farli penetrare nelle loro giovani e fresche menti e per cercare di evitare che in futuro i suoi fratelli potessero soffrire come lui.

Tutti lo guardavano meravigliati ed affascinati dalle pose che assumeva, dal tono spesso solenne con il quale pronunciava le frasi, ma solo in pochi compresero a fondo il loro vero significato Luigi era uno di questi, sul suo viso oscillavano espressioni di ammirazione, di sofferenza, di disgusto e di piacere.

L’occhio attento di Napoleone lo individuò e confermò le sue opinioni su di lui, in pratica che Luigi era già in grado di capire la vita in modo più profondo: in cuor suo si augurò che in qualche modo avrebbero potuto consigliarsi e consolarsi a vicenda più di quanto faceva da ragazzino con il fratello Giuseppe.

- Maestro avrei un favore da chiederti - sussurrò Napoleone dopo che ebbe finito la lezione con i ragazzini che si erano diretti all’interno della casa, perché era ora di pranzo ed avevano fame.

- Sono tutto orecchi - mormorò il maestro con disponibilità, aveva un grande desiderio di restare con quel ragazzo che aveva abbagliato anche lui con il suo carisma innato.

- Sai se il corpo di mio padre riposa nella cappella della Madonna del Rosario, all'interno della Cattedrale? - chiese mentre un'ombra gli scese sul volto.

Anche il maestro si fece scuro e con voce bassa gli rispose di no - Purtroppo è rimasto a Montpellier, non è stato possibile portarlo qui - aggiunse. Nonostante l’ufficiale provasse a nasconderlo suo padre gli mancava davvero tanto, seppur quando era in vita non fu molto presente in famiglia - Vuoi che ti accompagni lo stesso alla cattedrale? - gli propose successivamente intuendo la sua richiesta.

Napoleone annuì e cominciò ad incamminarsi, ma l’uomo lo fermò - Il pranzo è quasi pronto!

- Non ho fame - liquidò subito la discussione con il tipico tono di voce di chi cercava di non cedere al dolore. Se non lo avesse fatto che esempio avrebbe dato ai fratellini a cui aveva parlato poco prima di forgiare un animo forte?

- Come vuoi, Nabulio, andiamo adesso allora - obbedì con voce grave, ingoiando la saliva. Si accostò a lui e insieme si diressero verso la Cattedrale di Santa Maria Assunta. Lungo il tragitto i due non si parlarono, nonostante il maestro volesse comunicare con lui in modo da alleggerire il macigno che quel ragazzo si ostinava a portare nel suo cuore da solo.

Era un ufficiale francese, il desiderio di Carlo era stato esaudito, i suoi sforzi stavano fruttando proprio come aveva progettato, ma a quale prezzo? Non poteva prevederlo, però aveva avuto modo di conoscere quel ragazzo molto di più del padre, sapeva che da sempre ammirava i grandi uomini del passato e che ne avrebbe emulato le gesta. Come pure il suo sogno di sentirsi il liberatore, il salvatore del suo popolo, per restituire sia la libertà e l’indipendenza ai corsi, sia l’onore al nome della sua famiglia che era stato, in qualche modo, compromesso dal gesto doppiogiochista del padre.

Il maestro invece avrebbe desiderato un futuro diverso, più tranquillo, meno eroico forse, ma decisamente più emozionante: quello di scrittore; il suo intenso rapporto con i libri, con le parole, con la penna d’oca sporca di inchiostro che tanto usava, lo aveva percepito chiaramente fin dal principio. Solamente seguendo quella strada, secondo lo zio, avrebbe potuto raggiungere la pace e la felicità alle quali aspirava con tanta bramosia e inquietudine.

Entrati nella Cattedrale, Napoleone fece un velocissimo segno della croce, seppur non fosse credente da un bel po' di anni, spedito si diresse verso la cappella di famiglia: aveva il retablo in stucco e sulla volta una serie di cassoni, rappresentanti i misteri gioiosi, dolorosi e gloriosi della Vergine del Rosario, una nicchia centrale con la statua della Madonna del Rosario e due nicchie laterali contenenti le statue di San Domenico e Santa Caterina di Siena.

Alla vista della piccola lapide di marmo di un parente di nome Carlo, Napoleone si fermò, il rimbombo del suo passo cadenzato si placò, lo zio, quando lo raggiunse, lo vide immobile: la stava contemplando.

- Desidererei tanto che mio padre si trovasse davvero in quel luogo felice, se solo la ragione non me lo impedisse - supplicò improvvisamente Napoleone, avvicinandosi leggermente, toccando il marmo freddo e lucido. Lesse ancora una volta quel nome, immaginando che lì riposasse davvero suo padre e provò un senso di vuoto e di abbandono che non credeva di poter provare, nonostante gli anni di addestramento militare.

Il maestro sorrise forzatamente per consolarlo, aveva visto il pallore sul viso del nipote - Comprendo la tua decisione di rinunciare alla fede e la rispetto, Nabulio - emise sussurrando trasformando quel sorriso forzato in sincero e profondo - Ma se questo gesto riesce a donarti un pizzico di felicità, posso desiderarlo al posto tuo, è il mio dovere in quanto uomo di Chiesa - aggiunse infine con una leggera commozione nella voce.

Voleva un gran bene al nipote provava per lui quell’amore paterno che l’ufficiale mostrava verso i suoi fratellini. Per Napoleone avrebbe rispettato e difeso persino ciò che andava contro la sua educazione, la sua morale e la sua etica pur di vederlo felice, veramente felice.

Napoleone sorrise mostrando una profonda stima per quell’uomo che era e sarebbe rimasto sempre il suo maestro di vita. L’unico uomo di cui poteva fidarsi ciecamente, che non lo avrebbe mai tradito, anzi era pronto a giocarsi la vita per lui. In quell’istante comprese da dove derivava il suo rispetto per gli eroi del passato e per uomini come Paoli; era stato suo zio ad infonderglielo non solamente con i libri che gli aveva consigliato e regalato, anche con le sue azioni, le sue lezioni di che gli insegnarono il valore della riflessione, della logica, della pazienza.

- Grazie - gli rispose Napoleone con una secca ma intensa risposta. Sorrise di nascosto e poi si girò - Ti unisci a pranzo? - lo invitò anche se non aveva appetito, voleva rimanere un po’ con loro durante quel periodo di riposo.

- Certo - rispose lo zio con il volto sereno.





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