Warning capitolo lungo!
Affrontate la lettura con una fonte d'acqua vicino per restare idratati
e, per non dovervi alzare, anche del cibo. Grazie dell'ascolto.
Un
bacio non ha sempre lo stesso peso, significato, né potere.
Può
fermare una guerra. O iniziarla. Può dare moto a una
rivoluzione,
scatenarla all'interno di qualcuno, far perdere la bussola ad altri.
Un bacio a volte non ha valore ed è costretto dalle
circostanze,
altre lo si regala come una caramella, tanto per fare,
perché piace
e ci si dimentica. Un bacio sulla guancia, sulla fronte, a stampo,
con la lingua o senza; che dura un secondo o secoli. A volte un bacio
è solo un bacio, altre è un inizio, o una fine.
Quello tra Kara e
Lucy, che sapeva di salsedine con retrogusto dolce, era stato
entrambi: l'inizio e la fine di un giovane amore inesplorato che
andava bene così, il picco maggiore e la stessa sua discesa,
qualcosa che poteva essere e non destinato a essere mai. Molto
diverso eppure tanto simile a quello più forte tra Lena e
Indigo, di
passione momentanea e di un desiderio non ricambiato, composto da
ingenuità, curiosità e paura. Paura da entrambe
perché, se Indigo
avrebbe voluto capire ciò che provava e andare fino in fondo
temendo
il rifiuto, qualcosa di mai sperimentato sulla pelle, Lena si
preoccupava di ciò che aveva sentito e di ciò che
poteva aver
sentito l'altra, sapendo di non poter rischiare che si illudesse di
poter avere altro oltre a quel piccolo e breve piacere. E tutte e
quattro, in un modo o nell'altro, sarebbero finite per ripensarci.
Con diverso peso, significato e potere.
Lena
Luthor, ad esempio, sapeva di avere altro a cui pensare, ma le labbra
dal sapore inaspettatamente amaro di Indigo le sentiva ancora sulle
sue. E le davano fastidio. Non aveva il minimo dubbio sul suo amore
per Kara e sapeva di aver sbagliato, ma era come se l'altra le avesse
smosso qualcosa, come se avesse con lei una connessione diversa e,
d'altra parte, stimolante. E questo le faceva paura.
«E
Kara sa di ciò che provi per questa Indigo?».
Lena
sobbalzò e restò a bocca aperta, voltandosi verso
il fratello e
spostando gli occhialini protettivi sulla fronte.
«Come?». Non era
sicura di aver sentito bene…
Lex
le scoccò un'occhiata perplessa e pensò di
avvicinarsi, arrotolando
i guanti in lattice e gettandoli nella spazzatura. «Chiedevo
se Kara
e questa Indigo andassero d'accordo», assottigliò
gli occhi,
cercando di captare il perché la sua sorellina fosse tanto
sulle
nuvole. Gli aveva raccontato che era un'amica di penna venuta a
trovarla, ma era palese che quest'amica sembrasse covare idee che
andassero oltre l'amicizia.
Si
sentiva così stupida… «Ah,
sì… o meglio no, non proprio»,
sospirò.
Kara
aveva stretto gli occhi in due fessure, messo le braccia a conserte
ed emesso un verso indisposto con la gola. «Non mi
piace», aveva
dichiarato senza mezzi termini, infastidita. «Non mi piace,
nasconde
qualcosa, lo sento nell'aria che- che la circonda», aveva
irrigidito
la bocca, gesticolando con una mano svelta e così
riprendendo la sua
posizione arrabbiata. «E non so se lo hai notato»,
aveva fatto una
smorfia, «Ma sarebbe impossibile non notarlo: ti
muore dietro».
«No».
«Sì.
Sì, lo hai notato, ho ragione, non dirmi che non
è vero».
«Va
bene, me lo ha detto».
«T-Te
lo ha proprio detto?», aveva spalancato la bocca, facendo
sorridere
Lena. «Che faccia tosta».
«Sei
gelosa?», le aveva rimbeccato, facendo arrossire Kara.
«Pff»,
aveva trattenuto una forzata risata, portando gli occhi al soffitto.
«No! Certo che no! È solo che… Che
quella tipa non mi piace, non
mi deve piacere per forza e-».
«E
sei gelosa».
«S-No»,
l'aveva guardata, zittendosi di colpo.
«Mi
piace che tu sia gelosa».
«Non
sono gelosa. Te l'ho detto».
«Sì
che sei gelosa», aveva arricciato il naso,
«Ammettilo».
«N-Non
posso essere gelosa, perché io- noi… noi non
stiamo insieme.
Ancora. Di nuovo».
Lena
era rimasta a bocca aperta e poi aveva abbassato lo sguardo, annuendo
con uno spento sorriso.
Si
era allontanata e Kara aveva cercato di fermarla: pensava avrebbe
ribattuto in qualche modo, non certo quella reazione.
Forse
si era sentita in colpa. Non c'era niente tra lei e Indigo, ma quel
bacio… Non era riuscita a dirle del bacio ma sapeva di
doverlo
fare. Tra loro ora era questione di sfumature: erano una coppia, ma
non lo erano, si amavano e si riavvicinavano per poi lasciarsi andare
di nuovo. E lo facevano e lo ripetevano. Si erano conosciute in una
situazione strana e non volevano stare insieme, però lo
volevano. Si
erano lasciate per via di dubbi e avevano iniziato a riavvicinarsi.
Si erano di nuovo allontanate per dei segreti, fino a quando non
avevano litigato e si erano perdonate. E ora in che fase erano? Quale
sarebbe stata la prossima mossa?
«Non
piaccio a Kara, non è così?», aveva
ridacchiato Indigo,
prendendola da parte solo un momento.
Lena
aveva sospirato. «Dalle del tempo, magari poi-».
«Mh.
Pensi che mi importi? Può pure odiarmi per averti baciata,
m'importa
solo di te».
«Kara
non lo sa, veramente».
«Non
lo sa?», aveva alzato la testa incuriosita, ricercandola con
lo
sguardo mentre intenta a scrivere sul suo cellulare, in salotto in
villa. «Questo è interessante».
«Non
dirglielo», l'aveva ammonita con uno sguardo,
«Glielo dirò io al
momento buono».
«Sarà
fatto. O meglio, non
fatto».
Lena si era allontanata e Indigo aveva ripreso a guardare l'altra,
allungando la bocca impercettibilmente, formando una smorfia con le
labbra.
Lex
sorrise, riprendendo posizione davanti al microscopio. «E hai
deciso
di portarti dietro entrambe a Star City? La nostra sorellastra
è
piuttosto… esuberante e l'altra ci prova con te, Lena, non
sarà
facile amministrare un triangolo del genere fuori casa».
Lena
si riportò gli occhialetti sul naso e ansimò,
cercando di
riprendere concentrazione. «Non c'è nessun
triangolo e loro
impareranno ad andar d'accordo, non sono bambine. E ormai ho
già
preso l'impegno e abbiamo l'hotel prenotato», intravide il
sorrisetto sulle labbra di Lex, ma non sarebbe andata oltre con quel
discorso. «Allora?», gli chiese,
«Reagisce?».
«E
ancora non mi hai detto cosa andrai a fare a Star City. Non
c'è
niente cui valga la pena di andare in visita».
«Impegni
personali».
«Sì…
naturalmente», sorrise. «Facciamo che ci creda,
come che Indigo sia
un'amica di penna». Lex le sollevò una mano per
attendere, mentre
si avvicinava e allontanava al loro campione al microscopio.
«Va
bene… Guarda tu stessa», le lasciò il
posto con un velo di
fierezza. «Maxwell Lord ha davvero potenziato la formula, ma
non ha
stabilizzato abbastanza il prodotto finale».
«Ha
cercato di riprodurre gli effetti che ha avuto su Kara,
immagino…»,
borbottò lei, osservando le particelle del campione che
continuavano
a moltiplicarsi.
«Voleva
puntare sulla forza e ha speso sulla durata»,
scandì lentamente,
fissando un punto distante. «E funziona, da questo punto di
vista.
Lord e Lane avranno i loro supersoldati,
dopotutto. Ma se qualche soldato
dovesse, come Kara, essere un soggetto più sensibile,
potrebbe
provare spiacevoli conseguenze».
«Spiacevoli
conseguenze?», alzò la voce. «Non si
parla di una semplice perdita
del controllo o di un banale mal di testa, quei soldati potrebbero
essere aperti a pericolosi attacchi cardiaci già
all'assunzione di
una seconda pillola», lo guardò torva, rialzando
il viso dal
microscopio. «Quando va bene».
«Questo
perché, proprio come quando ero io a lavorarci, non
è riuscito a
correggere completamente l'errore contenuto nella formula originale.
Può pasticciarci sopra e creare qualcosa di nuovo, ma fino a
quando
non individuerà e correggerà
l'errore…», guardò distante e Lena
prese fiato.
Il
volto di Lex era adornato da un'espressione enigmatica che pareva
passare tra lo scherno e il compiaciuto, provocando in Lena non poco
fastidio. «Dunque? Sembra che la cosa ti stia quasi
bene».
«Cosa
vorresti sentirti dire, sorellina?», la guardò.
«Il ladro del mio
lavoro non è riuscito a fare meglio di me e potrei perfino
rilassarmi, adesso: fallirà da solo non appena gli effetti
collaterali saranno di pubblico dominio. Maxwell Lord ha già
perso,
ma è in modo esasperante talmente un pallone gonfiato da non
rendersene conto per pensare di fermarsi in tempo».
«Quindi
vuoi gettare la spugna? Non fare niente perché, in ogni
caso, ha
perso?»,
scrollò le spalle, accentuando la sua delusione.
Il
fratello prese fiato e si allontanò dal banco, togliendosi
il
camice; così si avvicinò a un lavello,
tirò poco su le maniche e
si sciacquò le mani, afferrando l'asciugamano accanto.
«So che
vorresti che affrontassi la legge per reclamare la paternità
delle
pillole e bloccare l'accordo sul nascere ma…»,
sospirò,
riavvicinandosi a lei mentre si sistemava i gemelli sui polsini del
completo. «Mi spieghi perché dovrei tuffarmi
spontaneamente in guai
legali per fermarlo, quando si fermerà da solo?».
«Sai
bene perché. Se anche solo uno di quei soldati
finirà in condizioni
critiche a causa di quelle pillole, sarà anche colpa
nostra».
«Colpa
nostra?», sorrise, «Non la vedo dallo stesso punto
di vista. Lui ha
creato questa variante delle mie pillole verdi, lui le ha comprate da
Roulette che le ha rubate a me, e sarebbe colpa nostra? Sapere e non
aver fatto niente sarà il piccolo prezzo da pagare in cambio
del suo
fallimento di portata mondiale».
Lena
strinse i pugni di rabbia. Non poteva credere che suo fratello
avrebbe lasciato che succedesse solo per ripicca. «Per questo
tormenti Roulette? Non voglio che si avvicini di nuovo in villa
perché tu non sei capace di lasciarla in pace».
Lui
roteò gli occhi, continuando a mantenere la sua espressione
imperturbabile. «Cerco di convincerla a tornare dalla mia
parte in
tempo, è tutto. Credo, a onor del vero, di essere piuttosto
gentile
nei suoi confronti, nonostante ciò che è
successo».
«In
tempo per cosa?», arcuò un sopracciglio,
«Non potevi già sapere
del fallimento di Lord».
«Difatti
non è a questo che mi riferisco», le diede le
spalle verso la porta
del laboratorio, mani in tasca. «Non è tua
competenza
preoccupartene, sorellina, mi pare tu abbia già abbastanza
cose a
cui pensare».
«Stai
progettando un fallimento di Lord tutto tuo?» lo
fermò a due passi
dalla porta, «Ti prego di non fare idiozie».
Lex
si voltò, osservandola con riserbo. «Come ho
detto, non devi
preoccupartene».
«E
invece sono proprio io a preoccuparmene», ribatté
lei con
decisione, «L'ultima volta gli hai fatto distruggere il
locale a
Gotham, non oso pensare di cosa tu sia capace e la cosa mi lascia
interdetta. Non sei più un ragazzino, sei a capo di
un'azienda e
tutto ciò che fai si ripercuoterà sul nome dei
Luthor».
«Beh…
la fortuna vuole essere dalla mia, allora: i nostri avi si sono
macchiati di peccati ben peggiori», si lasciò
sfuggire mentre Lena
aggrottava lo sguardo; dopodiché si allungò per
aprire la porta.
«Lex»,
lo chiamò prima che uscisse,
«Ripensaci».
Il
giovane sapeva che doveva riferirsi a entrambe le cose, ma non
riuscì
a sorriderle. «State attente durante la vostra gita a Star
City:
quella città ha due facce».
Se
ne andò e Lena sospirò. Se lo conosceva bene,
avrebbe preso
l'elicottero quanto prima per tornare a Metropolis. Sapeva che Lex
era arrabbiato e cosa significassero per lui quelle pillole che gli
erano state rubate, ma non poteva seriamente pensare di far rischiare
la vita a dei soldati solo per sentirsi migliore di Maxwell Lord.
Quella loro gara infantile doveva finire prima di provocare seri
danni a qualcuno.
Intanto,
a villa Luthor-Danvers, Kara era impegnata nella lettura di un libro
di testo, ma impegnata
era una parola grossa, poiché leggeva una riga e adocchiava
Indigo
dall'altra parte del tavolo, in salotto, intenta a maneggiare il suo
cellulare. Kara lesse un'altra riga e le lanciò un
nuovo sguardo. Quella non si muoveva, era una sfinge, non poteva
captare neppure cosa stesse pensando. Lesse una nuova riga e no,
nemmeno la finì che dovette riguardare Indigo
poiché la sentì
raschiare la gola. No, non stava facendo niente. Impassibile. Si
chiese se fosse davvero umana, dopotutto.
«Credi
che riuscirai a leggere senza fissarmi per ogni respiro, Kara
Danvers?», le chiese a un certo punto spaccando il silenzio,
facendola sussultare. Non spostò i suoi occhi dallo schermo
del
cellulare. «Perché tu ti senta meglio, sto
giocando a Battaglia
Navale, non progettando uno sterminio mondiale».
Kara
arrossì con fastidio, corrucciando lo sguardo.
Aprì bocca per
rispondere che-
«Oh,
è arrivata Lena».
«Cosa?»,
si guardò attorno, «Io non sento nien-»,
non finì di dirlo che
udirono il rumore metallico del cancello della villa che strisciava e
dopo il suono della sirena che sottolineava il passaggio dell'auto.
«Come facevi a-?». Che domande, pensò
mentre quella sorrideva:
dalle telecamere. Altro che Battaglia Navale.
Entrambe
si alzarono di fretta per correre all'arrivo di Lena, con Kara che si
lasciava andare a un sospiratissimo meno
male, non ne potevo più,
guardata male dall'altra. Scattò la serratura del portone e
Indigo
si fermò davanti all'ingresso, distese il piede destro,
nella corsa
Kara ci inciampò e finì muso sul tavolino vicino
al portone proprio
quando questo si aprì. Vedendo Lena, il cuore di Indigo
saltò un
battito e non poté fare a meno di delineare un piccolo
sorriso di
felicità. «Bentornata».
«Kara?
Cos'è successo, stai bene?», si inchinò
subito per soccorrerla.
Dal colpo, per poco non cadeva un vaso.
«Quella
mi ha fatto lo sgambetto», si lamentò subito,
lanciandole
un'occhiataccia d'ira intenta a massaggiarsi il naso rosso e
recuperando gli occhiali caduti.
«Sarai
inciampata sul tappeto», sussurrò Lena per poi
guardare l'altra,
che sollevava le spalle.
«Non
sono inciampata sul tappeto, avevo preso la mira».
Indigo
a quel punto sorrise. «Forse non dovevi correre in casa.
Succede».
Si
fissarono in cagnesco per un tempo lunghissimo, quello dato a Lena
per chiudere la porta, riposizionare il vaso sul mobiletto, lasciare
le chiavi sul cestello, togliersi il cappottino, spolverarlo dalla
polvere sollevata dal vento, allontanarsi. «Avete ancora
intenzione
di venire a Star City con me? Perché Bruce Wayne
verrà a prenderci
a breve», gridò alle due che si decisero subito a
seguirla.
Era
proprio vero. Dopo un periodo di stallo in cui lei e Bruce Wayne non
si erano più sentiti, era bastata una chiacchierata di sfogo
da
parte di Lena perché il giovane dicesse di conoscere Oliver
Queen
della Queen Consolidated. Non era lui ad amministrare l'azienda ma il
patrigno, Walter Steele, tanto bastava per decidere di organizzare un
incontro e avere delle risposte. In realtà, Lena credeva di
conoscere già quelle risposte, ma non si sarebbe messa
l'anima in
pace fino a quando non le avrebbero confermato le sue paure.
«Ho
detto alla signora Grant che sarei tornata la prossima
settimana»,
borbottò Kara, all'interno della camera di Lena.
«Siobhan non è
ancora tornata e comunque il lavoro è poco. Al campus ho
avvertito
tutti e non mi aspetteranno per le lezioni, anche se non hanno preso
molto bene la notizia, sono indietro e non riesco a concentrarmi per
studiare».
«Era
più interessata alla mia Battaglia Navale»,
incalzò Indigo che,
intanto, si lasciava sistemare i capelli sciolti da Lena. Di tanto in
tanto sorrideva con beatitudine come se, essere toccata da lei, la
potesse mandare in paradiso.
«Vorrà
dire che, quando torneremo da Star City, ti farò lezioni
private»,
disse invece Lena, voltandosi per sorriderle. Notò subito
Kara che
avvampava, ma non riuscì a inquadrare per tempo lo sguardo
indispettito di Indigo. «Ecco», riguardò
lei, «Lasciamo i capelli
così, distesi sulle spalle, mossi, hai più
possibilità di passare
inosservata che con la solita treccia».
Kara
frugò all'interno della sua borsa, avvicinandosi di corsa
alla
sedia. Sorrise a labbra strette infilandole un cappellino arancio e
nero dei Giants,
forse un po' stretto, e dopo un paio di occhiali con
la montatura nera e
lenti non graduate. «Le cosette che ho portato! Il miglior
modo di
passare inosservati è indossare un cappello e, ovviamente,
un paio
di occhiali», annuì con soddisfazione,
«Darà un tocco generale».
Indigo
ringraziò impassibile e si alzò per guardarsi
meglio allo specchio.
Era perfetta. Perfetta, perché non sembrava più
lei: indossava una
felpa rosa di una misura più grande, pantaloni grigi
sportivi, e
Lena l'aveva convinta a cambiarsi le scarpe, indossandone un paio da
ginnastica nuove, bianche, che lei aveva usato una volta sola. Se non
accettava di doversi travestire,
Lena Luthor non l'avrebbe portata con sé per paura che il
suo
garante avesse potuto rintracciarla. Ah, il garante da cui era
scappata, certo.
Era meglio assecondarla. Senza contare che le piaceva avere le sue
cure per sé. Anche lì, attraverso lo specchio,
non perse occasione
per riguardarle le labbra rosse, dietro le lenti degli occhiali.
Erano così invitanti e le ricordava calde. Chissà
come sarebbe
stato averle sulla pelle. Sospirò e le gote iniziarono a
imporporarsi. Notò che Lena se ne accorse ma non farci caso,
e
neanche lei ci fece caso poiché non le importava, la
vergogna era
una cosa distante da lei: la voleva e Lena lo sapeva. Era tutto.
Bruce
Wayne passò a prenderle in limousine una mezzora
più tardi e, con
le indicazioni di Lena, si fermarono sotto casa in periferia di Winn
Schott Jr, che aveva tanto insistito per essere dei loro e conoscere
Oliver Queen. In verità, per poco non sbatté il
naso entrando nella
vettura, inciampando all'entrata quando scorse Bruce Wayne: era
così
emozionato e concentrato di poter fare bella figura, che fece una
pessima figura e si scusò balbettando almeno dieci volte da
quando
lasciarono casa sua. La limousine li portò fino al campo di
volo per
prendere l'elicottero che li avrebbe portati a Star City e Indigo
controllò con curiosità come Kara stringesse una
mano di Lena con
le sue, in special modo quando si alzarono in volo. Lena Luthor aveva
paura di volare, lo intuì da come si sforzasse per mantenere
un'espressione dura, con risultati appena sufficienti.
«Tu
hai mai volato in elicottero?», le domandò Winn.
Bruce
Wayne era alto, spalle larghe, piegato in una posa non troppo
naturale, sembrava teso. Indigo assottigliò gli occhi,
osservandolo
con attenzione come sembrasse nascondersi dietro il giaccone
primaverile.
«Per
me non è la prima volta», proseguì
Winn. «Ho seguito spesso la
signorina Luthor nei suoi viaggi».
Era
sicura che a Gotham facesse più freddo che a National City,
ma lui
lo teneva ancora ben chiuso fino al collo e con il colletto alzato.
Gli avevano detto che lei era un'amica di penna di Lena, la stessa
scusa usata con tutti quelli che non sapessero già di lei, e
Bruce
lo aveva accettato di buon grado; era quasi passata inosservata, in
effetti.
«M-Ma
è come se fosse, eheh,
la prima volta ogni volta».
Inosservata,
continuò a pensare Indigo, squadrando i suoi pantaloni
costosi e le
scarpe lucide. Ed era pensieroso, totalmente distaccato dal gruppo.
Sorrise. Il riccone aveva indiscutibilmente qualcosa per la testa,
qualcosa di molto più interessante di un'amica di penna di
Lena che
andava con loro per scoprire di qualche vecchio affare del signor
Luthor, che in caso contrario sarebbe stato curioso.
«Un
po' di paura c'è sempre, ma», annuì
Winn, per poco, «dicono sia
il modo più sicuro di viaggiare».
Indigo
aggrottò la fronte, voltandosi alla sua destra.
«Scusa, parlavi con
me?».
Il
volto di Winn diventò più pallido man mano che il
suo entusiasmo
scemava. Riuscì a sorridere a scuotere la testa con
amarezza, per
poi guardare altrove e starsi zitto. Fu un volo molto silenzioso.
Dall'alto,
sembrava che Star City si stesse già preparando per la
notte: il
cielo cambiava, le nuvole si schiarivano e così, dietro la
sagoma
dei grattacieli lontani, sfumavano scie giallastre. L'elicottero
aveva il permesso di atterrare sul tetto della Queen Consolidated e
appena aprirono le porte furono investiti dal vento freddo. Una
donnina li aspettava. Li intravide arrivare e rimase ferma in attesa
fino a quando non li notò avvicinarsi e, reggendosi le
braccia e la
gonna per il freddo, diede loro una spiacevole notizia, atteggiandosi
con aria colpevole:
«Il
signor Queen non potrà esserci come promesso: un impegno
improvviso
lo ha trattenuto».
«Quale
impegno improvviso?», si era aggrottata Lena. Erano andati
lì con
l'unica intenzione di parlargli, aveva dato la sua parola e poi non
si presentava? La vide mettere un'espressione indisposta.
«Potete
portarci da lui?», domandò allora Bruce.
Una
berlina della Queen Consolidated fu messa a disposizione e gli ospiti
del signor Queen furono condotti fino alle strade di quelle che
l'autista chiamava le Glades. Sembrava un po' spaventato di
avventurarsi laggiù e non faticarono a intuire
perché: cassonetti
che bruciavano, spazzatura, vagabondi, serrande di esercizi
commerciali abbandonati abbassate e rotte, scritte sui muri. Era
lampante il degrado e l'eccesso di atti vandalici che sembrava
dominare quella parte di Star City. Lena intuì subito che
era a
quello a cui si riferiva suo fratello parlando di due facce della
città. Ora non le restava che domandarsi cosa ci facesse
lì
qualcuno come Oliver Queen.
L'autista
li fermò davanti a un vecchio magazzino, dicendo loro che
avrebbero
dovuto passare per la porta di servizio, a sinistra. Il fabbricato
era cadente: il passaggio anteriore bloccato da mattoni e sbarre
d'acciaio, le finestre in alto rotte e con teli di plastica che
pendevano fuori. Si guardarono attorno spaesati, soprattutto Winn,
che balzò dalla paura anche quando l'autista fece loro un
colpo di
clacson per avvertirli che si sarebbe allontanato e che sarebbe
passato a prenderli più tardi.
«Ma
se dovessimo andarcene subito, l-lui ha il nostro numero, vero? O
siamo bloccati qui?», chiese intanto che tremava, e quasi
certamente non per il freschetto del vento della sera.
Seguirono
la strada a sinistra come suggerito e scorsero un gruppetto di uomini
entrare attraverso una porta cigolante che si richiuse da sola. Bruce
Wayne la spinse e, dopo aver aspettato il loro consenso,
aprì. Li
involse subito un forte odore di alcolici e sudore, sentirono risate
e incitamenti, e urla divertite. Dopo un piccolo ingresso, si
affacciò loro un grosso locale con una grande gabbia di
metallo al
centro. Le pareti erano ridipinte di verde scuro; su una di queste,
era affissa una grossa lavagna con segnati nomi e numeri in colonna.
Non c'era molta gente, solo qualche gruppetto sporadico intorno alla
gabbia, ma si notava come il locale fosse abituato a contenere molte
più persone date le innumerevoli e caotiche orme di scarpe
lasciate
sulla polvere del pavimento sporco. Più avanti c'era un
servizio
barman e l'uomo che ci lavorava si incantò a guardarli come
se
avesse visto un fantasma. In effetti, lì dentro sapevano di
essere
fuori luogo, con i loro vestiti buoni e le facce pulite.
Winn
brontolava e li seguì come un cagnolino con la coda tra le
gambe
mentre si avvicinavano alla gabbia: c'era qualcuno lì, due
uomini si
picchiavano. Gli spettatori incitavano i due a colpirsi e un uomo
robusto, più vicino alla gabbia, era pronto con asciugamani
e
borracce d'acqua. Uno degli uomini dietro le sbarre fu colpito tanto
forte che volò prima di cadere a tappeto. L'uomo robusto
aprì la
porta della gabbia e portò da bere a quello k.o., intanto
che
l'altro girava intorno, inarcando le spalle, gonfiando il petto nudo.
«Dovevo
immaginarlo», commentò secco Bruce, mentre Lena e
Kara si
scambiavano un'occhiata, chiedendosi se il vincitore fosse davvero
Oliver Queen come sembrava.
Con
soli pantaloncini addosso, notarono quanto il suo corpo fosse stato
sottoposto a diverse torture: c'erano cicatrici più o meno
grosse
che gli segnavano il petto, e la schiena era messa addirittura
peggio, riuscendo a contare i segni indelebili che dovevano aver
lasciato delle frustate. Dai giornali e dai tg, si era reso noto
come, dopo tre anni in cui si credeva morto per via dell'incidente
con lo yacht di famiglia in cui morì suo padre, l'erede dei
Queen fu
ritrovato su un'isola che, fino a quel momento, si credeva deserta.
Nessuno parlò di cos'avesse passato in quei tre anni tanto
nel
dettaglio.
«Oh,
porca miseria», borbottò Winn, a bocca aperta.
«Quello è Oliver
Queen», infine lo gridò, lo puntò come
avrebbe fatto un bimbo
appena visto Babbo Natale scendere dal camino, e tutti si voltarono
nella loro direzione, Oliver Queen compreso.
Altri
due uomini sostituirono gli sfidanti nella gabbia. Oliver Queen li
raggiunse e salutò Bruce Wayne con un accenno di confidenza,
formalmente, come se in realtà fossero solo poco
più che
conoscenti. Dopo si voltò per stringere le mani delle
ragazze.
«Sono
felice di conoscerla, signorina Luthor. È increscioso che ci
scambiamo la prima stretta di mano quando non sono», prese
una
piccola pausa, formando un lieve sorriso, «esattamente
presentabile».
«Avrebbe
dovuto attendere il nostro arrivo alla Queen Consolidated come
accordato e avrebbe evitato questo spiacevole inconveniente»,
rispose piccata, e lui le regalò un nuovo piccolo sorriso,
muovendo
impercettibilmente le labbra spaccate.
«Mi
stavo annoiando», fu la sua giustificazione. «La
sua sorellastra?»,
indicò Kara. Salutò lei, Indigo presentata come
un'amica, e infine
Winn, l'assistente di Lena, che diventò rosso. Erano sicuri
che
presto o tardi gli avrebbe chiesto un autografo.
«Questo
non mi sembra il luogo più adatto per parlare di
ciò che siamo
venuti», si accigliò Kara. Non fosse altro, si
sentivano ormai dei
pesci fuor d'acqua.
«No»,
decise Oliver Queen, con espressione seria, «infatti. In ogni
caso,
il mio patrigno non si trova a Star City e non rientrerà
prima di
giorni. Non potrete rivolgervi a lui», mise le mani dietro la
schiena. Aveva una posizione fin troppo rigida per essere qualcuno
che avrebbe sentito i dolori dei colpi già da quella notte.
«E come
vedete, io sono occupato. Perché non rimandare a domani?
Ora, se non
vi spiace, tolgo il disturbo…». Stava per tornare
indietro verso
la gabbia che Bruce Wayne lo fermò e lo prese da parte,
intanto che
Winn bisbigliava dispiaciuto come non sembrasse particolarmente
felice di vederli.
Non
seppero cosa si dissero con esattezza Bruce e Oliver accompagnando
quegli sguardi di fastidio e prevaricazione, ma qualunque cosa fosse,
era evidente che qualcosa era andato storto, poiché li
portò alla
gabbia. Oliver Queen entrò per primo e attese il suo
avversario che
si preparava nello spogliatoio.
«Se
vinco, verrà con noi adesso», fu l'unico commento
di Bruce quando
gli chiesero spiegazioni. Lena non riuscì a fermarlo, erano
convinte
che lo avrebbe fatto a pezzi. Ma quando uscì dagli
spogliatoi, gli
spettatori non furono gli unici a restare a bocca aperta: Bruce Wayne
era muscoloso ed essendo anche solo poco più alto di Oliver,
il
risultato di quello scontro non era scontato. Entrò nella
gabbia
senza preoccuparsi di venire fotografato, con i soli calzoncini scuri
addosso. Girarono intorno alla gabbia, in posizione. Nessuno
sembrò
voler attaccare per primo finché Bruce non si
scagliò in avanti e
Oliver si scansò di lato, cercando di colpirlo, l'altro
parò il
colpo con entrambe le braccia, ributtandolo indietro.
«Si-Signorina
Luthor…», appena dietro di Lena, Winn
provò a bisbigliarle a un
orecchio, non staccando gli occhi dallo scontro. «Lei sapeva
che
Bruce Wayne sapesse combattere?».
«Non
ne avevo idea…», soffiò tra i denti.
Notava come Oliver Queen
fosse in un certo senso soddisfatto, mentre Bruce Wayne infastidito,
con in testa l'unico obiettivo di vincere. «È una
totale perdita di
tempo», sbottò, «Una superflua
ostentazione di virilità». Alla
sua destra, Indigo si allontanava dagli spettatori con gli occhi
fissi sullo schermo del cellulare, così si voltò
a sinistra,
trovando Kara che, invece, era impegnata a riprendere lo scontro.
«Cosa stai facendo?».
Lei
strinse gli occhi, pizzicando lo schermo per fare zoom sul video.
«È
per Selina».
Indigo
camminò verso il bagno quasi in punta di piedi, ancora occhi
sullo
schermo. Si assicurò con la coda dell'occhio che il barman
assistesse allo scontro, si appoggiò schiena alla porta e,
con una
mossa furtiva, piroettò alla porta accanto, entrando negli
spogliatoi. C'erano due panchine, odore di sudore che le sembrava di
svenire e una decina di armadietti. Per sua fortuna, quelli chiusi
erano poco meno della metà. Appoggiò il suo
zainetto su una panca e
recuperò una forcina di fortuna. Fischiettò a
labbra strette,
aprendo un armadietto dopo l'altro fino a trovare quello che le
interessava. Oh, per sbloccarlo serviva la sua impronta. Sorrise,
perché Bruce Wayne non aveva idea di chi fosse.
Portò i due
cellulari sulla panchina e li collegò con un cavo,
continuando a
fischiettare.
Fu
uno degli scontri più longevi mai visti in quello sporco ex
magazzino, ne erano sicuri. Nessuno dei due vinse; Oliver era stanco
dagli incontri precedenti e si ritirarono dandosi il cinque,
appianando le loro divergenze. Decisero di non parlare di cose serie
per quella sera e andarono a mangiare tutti insieme in un localino
cinese del posto, lontano dal degrado ma anche sconosciuto, in modo
che potessero avere un po' di privacy. Non volevano di certo attirare
giornalisti. Senza offesa per Kara, disse Oliver; la conosceva
proprio dai giornali, per via del matrimonio delle loro madri ma
anche per gli articoli sul CatCo Magazine, ammettendo di aver letto
l'ultimo, sull'organizzazione e Rhea Gand, solo di sfuggita. Non si
toccò l'argomento.
Bruce
confessò che lui e Oliver si conoscevano per lo stesso
maestro di
arti miste che avevano frequentato. Saltò fuori che aveva
iniziato a
seguire la prestigiosa palestra da quando ebbe dodici anni, laddove
Oliver iniziò pochi mesi dopo essere stato recuperato
dall'isola,
dando modo di sfogare le sue frustrazioni e imparando a incanalare la
rabbia. Ebbero modo di capire presto come quel ragazzo, che
sicuramente portava le sue cicatrici più profonde dentro di
sé, non
era una persona facile: parlava il giusto, era categorico, sempre
molto serio, non amava scherzare e stava quasi per le sue. Almeno
quanto Indigo, pensò Lena. Quando erano in gruppo, quella
ragazza si
staccava ancora più volentieri, ma se non altro stava
mangiando con
gusto e continuava a ordinare. Anche Kara continuava a ordinare, ma
per lei era una cosa normale. Oh, Lena notò come Indigo
fissasse
proprio Kara, di tanto in tanto, e si portò una mano sul
viso in
modo arrendevole: era forse una competizione? Sarebbe finita per
stare male.
Bruce
fu il primo a lasciarli, dicendo che sarebbe tornato subito in hotel
perché stanco. Poco più tardi li
lasciò anche Oliver. Winn e
Indigo restarono a penzoloni tra la sedia e il tavolo qualche minuto,
pieni come uova, prima che anche loro si muovessero, chiamando un
taxi. L'autista incaricato dalla Queen Consolidated aveva
già
staccato, ormai. Lasciarono il loro tavolo e Lena prese anche lo
zaino di Indigo con sé, mentre lei sballottava tra le sedie.
Kara fu
la prima a notarlo, cercando di non dare a vedere come, in fondo, le
avesse dato un po' di fastidio. Almeno, Indigo cercò di
farselo
ridare indietro.
«Non
è pesante».
La
ragazza non insisté subito, pensando di farselo restituire
una volta
in taxi. «È perché c'è il
portatile», esclamò, «Mi serve.
Adesso. Devo controllare una cosa e viene meglio». Winn le
fece
subito i complimenti poiché conosceva la marca ed era una di
quelle
con funzionalità all'avanguardia. Ma lei lo
ignorò di nuovo. Si
infastidì perché Lena le restituì solo
ciò che aveva chiesto
tenendosi lo zaino, ma fece finta di niente e lo accese, per
sé,
frugò un po', per poi sorridere.
Si
lasciarono fermare direttamente davanti all'hotel, entrarono nelle
loro camere per lasciare le borse e decisero di bere qualcosa nel bar
vicino alla hall, prima di andare a letto. Kara ripensò allo
zaino e
al modo con cui Lena, in modo generico, si prendesse cura di Indigo.
Cominciò a pensare che, quando non aveva ribattuto al fatto
che non
stavano insieme, era perché avesse scoperto del bacio tra
lei e
Lucy. Quello, oppure che si fosse presa una sbandata per quella.
O entrambe le cose. Oh.
Sbiancò e deglutì, percorrendo il corridoio e
arrivando alle porte
dell'ascensore. Ma glielo avrebbe detto… Lei avrebbe dovuto
dirle
del bacio e ancora non lo aveva fatto! Accidenti. Improvvisamente
aveva così paura. Cosa c'era stato tra lei e Lucy? L'aveva
baciata
per provare o per cosa? Cosa significava? Lei e Lena erano in un
continuo prendersi e lasciarsi e questo sembrava l'ennesimo tassello
di questo loop infinito. Le porte si aprirono e fece per entrare che
si richiusero all'istante. Ma
che-? Per
poco non le prendevano il naso. Schiacciò il pulsante per
richiamarlo ma non si apriva, era sceso a un altro piano.
Sbuffò,
seguendo la moquette per il prossimo ascensore, ripensando a Lena.
Forse questa era la fine. Un brivido freddo le percorse il corpo. Si
sentì ghiacciare e si fermò, prendendo fiato.
Ecco, ci mancava la
tachicardia. Aveva perso Lena? Il suo corpo le sembrava così
vuoto,
in questo momento. Non sentiva la terra sotto i piedi, era leggera e
vuota. Tanto vuota. Prese fiato, occhi sgranati, il cuore che
palpitava con fretta. Chiamò l'ascensore. No. Non voleva
crederci.
Era stata così stupida, così stupida
che… Le porte si aprirono,
entrò dentro e pigiò per il piano terra,
appoggiandosi a una delle
pareti. Forse sapeva del bacio, o forse era stata lei a innamorarsi
di Indigo e allora… E allora cos'avrebbe fatto, lei? Era ben
cosciente che avevano cose importanti in ballo a cui pensare, ma Lena
era tutto ciò che voleva, tutto ciò che non
avrebbe mai riavuto se
l'avesse persa definitivamente.
E persa poi per cosa? Un bacio in spiaggia con- Sussultò. Le
porte
si aprirono e fece per uscire che- ma non era il piano terra.
Controllò sul display e- piano
dodicesimo?
Ma gli ascensori dell'hotel erano forse impazziti? Stava per
schiacciare la nuova destinazione che le porte si richiusero da sole
e l'ascensore iniziò a muoversi. Forse lo avevano chiamato
altrove,
ma cominciò a temere fosse posseduto da un poltergeist.
Piano
tredicesimo. Quattordicesimo. Quindicesimo. Deglutì. Era
l'ultimo e
le porte si aprirono che- no, si richiusero di nuovo.
Lena
controllò l'orologio al polso, sbuffando. «Penso
che andrò a
vedere se Kara si sente bene, è strano che non sia ancora
qui».
Winn
annuì e pensò di andare con lei, intanto che
Indigo sorrideva di
gusto, giocando col suo cellulare. I due si alzarono dai loro
sgabelli che Kara si presentò al bar. «Tutto
bene?», domandò Winn
e Lena le andò incontro: sembrava turbata.
«Sono
dovuta schizzare via da un ascensore impazzito mentre le porte si
chiudevano. Ma mi aveva sfilato una scarpa e, quando ho cercato di
riprenderla, stava per prendermi anche un braccio. Così mi
sono
fatta sei
piani
a piedi nel tentativo di ritrovarla», disse d'un fiato,
ansimando.
Notò subito come, davanti a un piccolo tavolino, il laptop
con lo
schermo semichiuso e il cellulare, Indigo si stesse divertendo un po'
troppo. «Lo credi divertente?», le andò
incontro furiosa, per poi
guardare i due. «È stata lei. Com'era
prevedibile», portò le
braccia sui fianchi.
«Come
può essere stata lei?», domandò Winn.
«Certo
che non è stata lei. Perché dovrebbe farlo,
Kara?», la protesse
Lena.
«Io
sto giocando a Battaglia Navale e tu sei paranoica»,
scrollò le
spalle Indigo.
Kara
brontolò, ma decise di lasciar perdere perché,
più che il fatto
increscioso dell'ascensore, a darle fastidio era come Lena l'avesse
difesa. Di nuovo. Forse i suoi dubbi avevano delle fondamenta,
dopotutto… Forse avrebbe dovuto parlargliele lei. Forse non
avrebbe
dovuto prendersela così tanto, dopo aver baciato Lucy Lane.
Aveva
commesso l'errore più grande della sua vita.
«Bruce
Wayne sembrava particolarmente strano, oggi», udì
parlare Lena,
capendo che i suoi viaggi mentali l'avevano tenuta impegnata per un
po'. «Non mi aspettavo che sapesse combattere, ma…
Non so, non me
la raccontano giusta lui e quel Queen. Non so cosa aspettarmi,
domani».
«Io
posso aiutare a fare chiarezza», interruppe Indigo. Si
protese tra
loro e mise davanti a Lena il suo portatile, sopra il bancone. Dopo
premette play su una traccia audio e Lena alzò di poco il
volume,
poiché l'unico chiasso proveniva dal fondo del locale da due
uomini
un po' brilli.
Udirono
rumori di fondo non comprensibili e si chiesero cosa stessero
ascoltando, fino a quando non sentirono una voce chiara e perfetta:
«Ce
ne hai messo».
Era Bruce Wayne e pareva essersi mosso.
«Ho
aspettato, non volevo che sospettassero».
Oliver Queen. Loro si guardarono e guardarono Indigo.
«Ho
hackerato il suo cellulare», rispose con nonchalance,
«Perché
sapevo che il damerino nascondeva qualcosa. Ascoltate, che è
interessante. Risale a quando se ne sono andati dalla cena».
Winn
spalancò gli occhi ed entusiasta stava per chiederle cosa
avesse
usato e quando, che Lena lo fermò, tappandogli la bocca con
un
fazzolettino di carta: i due stavano parlando.
«Ti
avevo chiesto di mentire a Lena Luthor, non di andare a divertirti
invece di venire all'incontro».
«Me
lo avevi chiesto»,
prese una breve pausa, «ma
non ti ho detto che lo avrei fatto. Credo ci sia un fraintendimento,
Wayne: ti rispetto, non prendo ordini da te. Non mentirò a
nessuno a
meno che non pensi che ci sia una buona ragione per farlo e, in
questo specifico caso,
non ne trovo una».
Sentirono rumore di bicchieri, il versarsi qualcosa da bere.
«Lena
Luthor è un'amica e non voglio che scavi nel passato di suo
padre.
Non ti sembra sufficiente?».
«Amica?».
Udirono rumori di spostamento, poi il vetro del bicchiere che
tintinnava. «Un'amica…
intima?».
«Un'amica
e basta. Non sono come te».
«Come
me, come?»,
era
un sospiro? «Leggo
anch'io i giornali: mi è parso di capire che ti piaccia
avere la
compagnia di fanciulle diverse ogni sera. Uno strano giro
di…
amicizie».
Bruce
non rispose subito. «Arriviamo
al punto: l'organizzazione sta riprendendo potere e Lena Luthor deve
starne fuori».
«Perché?».
«Perché
così ho deciso. È ancora in tempo».
«Tu
non lo sei?»,
pausa. «Hanno
contattato anche te. Ma certo. Ti conosco, Wayne: non pensi ad altri
che a te stesso. Non cerchi di proteggere Lena Luthor, non la vuoi in
mezzo. Non pensi che potrebbe essere troppo tardi? Che abbiano
già
contattato anche lei?».
Lena aggrottò la fronte e Kara fece lo stesso, scambiando
un'occhiata con lei.
«Potrebbero
non farlo»,
sentirono rispondere Bruce.
«Lo
faranno»,
ne sembrò certo Oliver Queen. «Questione
di tempistiche. A meno che non pensino che la
signorina Luthor non
sia pronta»,
lo sentirono muoversi.
«Non
sembri preoccupato. Accetterai l'invito? Fare affari con
loro?».
«Aspetto
che
vengano a chiedermelo di persona… per
rispondere gentilmente che non sono interessato»,
lo sentirono e quasi lo videro, nei loro pensieri, impegnato a fare
uno di quei piccoli sorrisi sicuri.
Avevano
lasciato il bar. Indigo si era ripresa il portatile sottobraccio e
aveva stretto una mano di Lena per farle sentire la sua vicinanza.
Dal canto suo, Lena avrebbe voluto dirle che ciò che aveva
fatto a
Bruce era sbagliato ma… non ci riuscì. Ascoltare
quella
conversazione era stato se non altro illuminante. Era andata avanti,
con la testa stanca, intanto che Indigo aspettava Kara, indietro.
«Scusa
per lo scherzo dell'ascensore».
«Quello
lo chiamo scherzo?»,
brontolò.
Indigo
allungò uno sguardo a Lena e impercettibilmente sorrise,
rivolgendosi di nuovo a lei. «Mi sento ancora nuova ai
sentimenti,
diciamo, umani. Non che volessi ferirti, mi stai simpatica, in fondo,
ma… ma diciamo che credo di essere gelosa. Di te e Lena. Voi
due
avete dei trascorsi e noi invece…»,
deglutì, assicurandosi che la
stesse ascoltando, «siamo solo all'inizio. Ho così
paura che tu
possa, come dire, riconquistarla». La vide accigliarsi e
sapeva di
aver fatto centro.
«Cosa
vuoi dire…? Voi siete…?».
«Beh…
sì. Non te lo ha detto?». La lasciò
sola, scrollando le spalle, e
così raggiunse Lena.
Erano
tornare nelle proprie camere ma era dura riuscire a prendere sonno
dopo ciò che avevano sentito. Lena si affacciò
alla finestra e,
sotto, su una panchina di
pietra davanti
a una piscina all'aperto, appena illuminata dai lampioni giallastri
del parco interno dell'hotel, vide Kara. Da sola. Cosa faceva
lì? Si
strinse intorno a una vestaglia trovata in camera e, ora che era a
pochi passi da lei, la fissò con attenzione: i capelli da un
lato,
mossi, in pigiama, con le ciabatte ai piedi. Era
così… Accidenti.
Aveva tanto a cui pensare, eppure niente era importante quanto quello
che sentiva in petto per lei: e
allora perché erano così distanti? Si
avvicinò lentamente e Kara si accorse della sua presenza,
voltandosi
per farle un sorriso. Non che fosse falso, ma a Lena parve un po'
spento, quasi malinconico. «Ehi», si
avvicinò e lei le fece
spazio.
«Ehi.
Nemmeno tu riesci a dormire?». Con le gambe accavallate, le
diede un
colpetto di ciabatta bianca sulle sue; portavano le stesse con il
logo dell'albergo.
Lena
scosse la testa. «Sono stanca, però… O
forse è proprio perché
sono stanca che non riesco a dormire».
«Domani
diremo loro di sapere di cos'hanno parlato»,
azzardò Kara. «È la
cosa migliore. Scoprire le carte. Sentire cos'hanno da dirci.
E…
tutto. Andremo avanti in qualunque caso», la
guardò di nuovo.
Lena
sorrise e annuì. Restarono di nuovo in silenzio a osservare
l'acqua
della piscina che, mossa dalla leggere brezza del vento, si
increspava. Si stava bene, lì. Stavano bene insieme,
lì. Lena la guardò con la coda dell'occhio e,
quando Kara si voltò
e le sorrise, sorrise anche lei. «Dobbiamo convincere Lucy
Lane a
fermare l'accordo delle pillole».
Kara
sospirò. «Lex non ha ceduto?».
Scosse
la testa, fermandosi per prendere fiato. «È
testardo. Pensa che
Lord fallirà e non gli importa se qualcuno si fa male. E la
nuova
formula è… pericolosa. A meno che Roulette, in
qualche modo, sia
riuscita a imbrogliarci e a rifilarci una formula obsoleta. Ma se
fosse, Lord stava comunque per fartene assumere una».
Kara
parve pensarci un momento. «Allora potremo rapire Roulette e
farci
dare delle risposte».
Si
guardarono con serietà finché, pian piano, non
scoppiarono a
ridere. «Per un attimo, credevo dicessi sul serio».
«Per
un attimo l'ho pensato». Risero di nuovo e Lena si strinse
nelle
braccia quando un brivido di freddo le ghiacciò la schiena.
Kara non
se lo lasciò sfuggire e si avvicinò,
appoggiandosi a lei. «Lena,
devo…».
«Anch'io»,
deglutì e si voltò, cercando di prendere
coraggio.
«Ti
sei innamorata di Indigo?», parlò per prima, di
getto, lasciando
Lena a bocca aperta.
«Cosa?
No».
«Oh,
per Babbo Natale, la Befana e gli elfi uniti,
meno male», prese un grosso respiro, facendo scoppiare Lena
in una
fragorosa risata. «Credevo che- Vi vedevo unite e come la
difendi
sempre».
«Indigo
non ha mai avuto nessuno che la difendesse, Kara, cerco solo
di…
farla sentire umana e non un problema, ma non sono innamorata di lei.
Però…», era il momento e
deglutì. «Però c'è
dell'altro, è
vero». Aspettò che la guardasse negli occhi,
sapeva di doverlo
fare. Se non che lei le parlò quasi con la voce sulla sua:
«Siete
state a letto insieme?», abbassò gli occhi.
«Oddio,
no!», strinse le sopracciglia, arrossendo, «Come ti
viene in mente
una cosa del genere?».
Spalancò
gli occhi azzurri e si morse la lingua. «Indigo!»,
esclamò dopo, stringendo i denti.
Lena
scosse la testa, sospirando. «Non voglio
giustificarla», anticipò,
«Ma ha una cotta per me e sa quanto tu sia importante per me,
e non
sa come interagire e probabilmente pensava di fare qualcosa di furbo
dicendoti che siamo state… intime, quindi…
lasciala perdere, per
favore».
«Sono
importante per te?».
«La
persona più importante», rispose.
Deglutì, guardandole le labbra.
«Lo sai. Ma ci siamo baciate». Veloce, quasi
indolore. Quasi.
Kara
restò a bocca aperta. «E-E ha… Okay»,
abbassò gli occhi e così il viso, fissando
l'acqua della piscina.
Sentiva di nuovo la tachicardia. Lena e Indigo si erano
baciate… Si
erano baciate e a lei come poteva dare tanto fastidio?
Come poteva essere così ipocrita?
«Scusami»,
la sentì, con la voce quasi strozzata.
«Ha…
significato qualcosa?».
«In
quel momento, forse. Era… solo un momento». Lena
strinse il bordo
della panchina, reggendosi saldamente per non cadere, tanto si
sentiva svuotata. Quanto peso dava a quel bacio? E quanto gliene dava
Kara? «Mi dispiace, non dovevo. So che non stiamo insieme,
ma-».
«No»,
Kara scosse la testa, rialzando lo sguardo senza guardarla negli
occhi: non ne era capace. «Non dispiacerti
perché… perché io ho
baciato Lucy Lane», sputò il rospo e non
sentì più nulla se non
il brontolio della sua pancia e il batticuore. Lena non se lo
aspettava; all'inizio, non si era nemmeno mossa.
«Tu…
cosa?».
Lena restò senza parole ed entrambe fissarono l'acqua della
piscina
che specchiava il giallo delle luci esterne.
«N-Non
so come, o cosa…», sospirò.
«Sono stata una stupida! Una
stupida», strinse i pugni. «E-Era un momento-
Voglio dire, che
anche per me-», si fermò di nuovo.
Perché non le veniva una frase
di senso compiuto? Nemmeno lei sapeva cos'era stato? «Nel
momento
era qualcosa, ma quel qualcosa è morto lì,
stecchito, perché io
amo te e lei lo sa. Non ho fatto altro che parlarle di te. E mi ha
suggerito di dirti tutto». Non si aspettava che Lena restasse
in
silenzio. «Non avrei-».
«Che
cosa siamo noi due, Kara?», domandò Lena, seria.
L'acqua della
piscina si increspò di nuovo e l'ampolla gialla dei lampioni
si
accartocciò. Non facevano che continuare a farsi del male a
vicenda,
per poi far tornare tutto com'era prima. Ma una situazione come
quella quanto poteva durare? «Questo gioco che facciamo, di
continuo», sorrise appena, «questo tira e molla o
girarci intorno
che sia, dobbiamo fermarlo. Siamo sopravvissute a tutto e ci lasciamo
fregare da cosa?
Una… cotta?».
La guardò e Kara altrettanto, facendo una smorfia che era
quasi un
sorriso, annuendo. «Non ce la faccio più. Stiamo
insieme o non
stiamo insieme! Per davvero».
Kara
annuì ancora, guardò l'acqua della piscina e di
nuovo Lena, di
corsa. «Io voglio stare con te». La gola le si
seccò mentre Lena
la fissava. «Ha-hai ragione: e posso stare qua a maledirmi
per aver
baciato un'altra, ma il solo pensiero di averti persa,
prima… A
quanto sia stata stupida! M-Mi manda in paranoia! Mi fa sentire
persa! Anche tu sei la persona più importante per me
e… non ce la
faccio a pensare di stare lontana da te, Lena Luthor, non
posso».
«Sì»,
Lena arrossì. «Allora smettiamo prima di farci
male di nuovo,
perché… Davvero credevi che preferissi Indigo a
te?», sussurrò,
arcuando le sopracciglia. «Non avrei dovuto, non so cosa mi
sia
saltato in testa, perché nemmeno io posso pensare di stare
lontano
da te. Non prendiamoci in giro, ti prego. Farei qualsiasi cosa per
non perderti».
«Va
bene».
«Va
bene», la fissò di nuovo. «Quindi,
è così…», sorrise e le
sfiorò un braccio con due dita, mentre Kara s'incantava ai
suoi
occhi. «Avrei voglia di-».
«Anch'io».
Kara sollevò la mano sinistra e le accarezzò una
guancia. Le sue
dita erano calde, scontrandosi con la pelle fresca.
Allora
Lena le sfilò gli occhiali dalle orecchie, guardando il suo
viso
accaldato. Li appoggiò dietro e si avvicinò
lentamente, socchiuse
gli occhi, e Kara fece altrettanto. Le loro labbra si incontrarono a
metà strada, assaggiandosi con delicatezza.
«Com'è stato?», le
domandò, col fiato sul suo. «Può
funzionare?», tentò un sorriso.
Ora sapeva a cosa si riferivano i cantanti con farfalle
sullo stomaco e
perché spendevano tanto tempo a scriverne ancora. Quanto
peso poteva
dare al bacio con Indigo? Chi se ne importava.
Kara
abbozzò una risata. «Mh, mi è piaciuto.
Se adesso vogliamo
ritentare… pe-per essere sicure che funzioni, no?
Per-». Non finì
ciò che aveva da dire, neanche ricordava cosa stava per
dire, che si
baciarono di nuovo e il vento, delicato, sollevava loro i capelli.
Lena
si staccò piano e la riguardò negli occhi.
«Meglio o peggio di
Lucy Lane?».
Gli
angoli della bocca di Kara si sollevarono, formando un piccolo
sorriso finché non si morse un labbro. «Ah,
me lo merito. Ma chi è quella gelosa, adesso?».
«Oh,
quindi ammetti che eri gelosa?», si tirò indietro
e si leccò le
labbra, guardando le sue, un attimo.
Kara
sollevò gli occhi al cielo e annuì, decisa.
«Ero gelosa. Avevo
ragione a esserlo. E adesso vieni qui». La vide arricciare il
naso e
si baciarono di nuovo, aprendo la bocca e accogliendo una la lingua
dell'altra, lasciarsi un attimo per respirare e riprendersi subito,
accarezzandosi a vicenda, passando le mani sulle braccia dell'altra,
sui capelli, sulla schiena. Questa volta era quella giusta. Doveva
esserlo, perché lo avevano scelto consapevolmente. Avrebbero
fatto
le cose per bene, nel modo giusto, senza fretta. O
quasi.
Aprirono
la porta della camera di Lena con un calcio e Kara la richiuse
spingendoci sopra Lena e finendole addosso, baciandola sotto il
mento, stringendole i polsi contro il legno. Lena si sporse solo un
attimo per chiudere a chiave che Kara la sollevò, facendola
emettere
un verso sorpreso, soffocato dopo da una risata, reggendosi a lei.
«Speculare,
Kara: la camera è speculare alla tua», le disse
con urgenza e lei,
da destra, girò a sinistra per il letto.
«Dovevamo
andare nella mia». La lasciò andare e si baciarono
di nuovo,
sobbalzando sul letto.
«La
mia era più vicina e sembrava che volessi saltarmi addosso
in
ascensore».
«E
questo è vero», strinse i denti.
Affondò la bocca sotto i suoi
capelli e le morse impercettibilmente il collo, lasciandola andare a
un'altra breve risata, felice. «P-Posso sfilarti la
vestaglia?».
«Devi
sfilarmi la vestaglia», la corresse. «Basta che fai
piano, la
camera di Indigo è a una parete da qui».
Kara
si accigliò subito, rossa sulle gote, lanciando
un'occhiataccia
verso la parete. «Questo è inquietante»,
brontolò, «Che poi hai
visto come ha hackerato il cellulare di Wayne; magari lo ha fatto
anche col tuo».
«No
che non lo ha fatto»:
la voce di Lena attraverso il suo telefono e Indigo sospirò.
Era
sdraiata a pancia in giù, sopra il materasso ancora fatto,
mentre
prendeva appunti sul suo portatile. Sentirle insieme l'aveva messa di
malumore: era questo che si provava a venire rifiutati? Non riusciva
nemmeno a concentrarsi. «Ma
se ti fa sentire meglio»,
udì, sentendo un rumore forte di qualcosa che si spostava, «Lo
chiuderò in un cassetto. E prenderò anche i tuoi
occhiali, prima
che li schiacci».
Altri rumori forti. E all'improvviso si voltò, ricordando il
suo
zaino. Dove l'aveva lasciato? Oh,
cavolo…
Doveva averlo ancora Lena.
«Mettilo
sotto gli asciugamani»,
sentì suggerire Kara e lei, seccata, abbassò del
tutto lo schermo
del laptop, mettendosi in posizione fetale sul letto. Era finita? Si
sarebbe ancora presa cura di lei, adesso?
Lena
chiuse e si appoggiò alla cassettiera, osservandola mentre
si
rialzava e la raggiungeva. «Soddisfatta,
così?».
«Abbastanza».
«Abbastanza?»,
inarcò un sopracciglio, aspettando il suo arrivo.
Kara
le sorrise e la circondò con le braccia. Si baciarono
subito,
lasciandosi andare appena, riprendendosi, assaggiandosi come da tempo
non erano più riuscite a fare. Era bello; si sentivano
di nuovo, finalmente. Sentivano ciò che avevano provato mesi
fa
quando si erano conosciute e quando si erano stuzzicate fino al primo
agognato bacio dopo una partita di lacrosse; sentivano la loro prima
notte insieme al Ringraziamento; cos'avevano provato a separarsi,
cosa a stare lontane, e cosa sentivano adesso, più forte di
sempre.
I respiri mozzi, la tachicardia; i loro corpi che, a contatto,
parevano quasi prendere fuoco. Sentivano i loro cuori spezzati che si
risanavano, la felicità che saliva dalla bocca dello
stomaco, la
leggerezza di essere nel posto giusto con la persona giusta. E ne
ebbero una nuova certezza, ovviamente: era lei la persona giusta.
Nessun altro oltre lei ed era come respirare per la prima volta dopo
tempo.
E
ne era passato davvero tanto, di tempo. Troppo. Così tanto
che,
nello sfiorarsi, provavano un nuovo imbarazzo che si scontrava
inesorabilmente con la consapevolezza di conoscersi. La memoria del
corpo, contro la titubanza della mente.
«Adesso
va meglio», boccheggiò Kara e Lena
insinuò le mani sotto la maglia
del suo pigiama, tastando con decisione, facendole venire i brividi.
Nel frattempo, Kara pensò di sfilarle la vestaglia che
andò a
depositarsi sulla cassettiera, andando a baciarle le spalle, nude. Le
spostò una spallina della camicia da notte verde acqua e
baciò
ancora, con l'alito caldo. Le portò una mano dietro i
capelli
corvini e si guardarono negli occhi attraverso la fioca luce che
passava dalle finestre, baciandosi, un respiro profondo, le labbra
piene che sapevano di tutto ciò di cui avevano bisogno. Per
quanto
di cose importanti da pensare ne avessero a sufficienza, era proprio
vero che tutto ciò di cui avevano bisogno per sentirsi bene,
o
complete, era racchiuso in quei baci. Sapevano di poter affrontare
tutto il resto, insieme.
«A-Aspetta»,
le sussurrò Kara di punto in bianco, ancora su di lei.
«Volevo…
in ascensore, sembrava che volessi, sì,
però… se tu vuoi, cioè»,
la guardò negli occhi, diventando rossa, «se pensi
che stiamo
andando troppo in fretta, a me va-va bene, va più che bene
se
possiamo sdraiarci e stare vicine, solo vicine, okay? Voglio anche
solo starti vicino».
Lena
le passò dolcemente una mano sul mento e si
assicurò di rubarle un
breve bacio. Leggero, d'amore e forte. La intravide guardarle le
labbra quando la lasciò andare. Un attimo furtivo e basta,
incatenando gli occhi ai suoi. «Lo voglio, Kara. Lo voglio
dal
matrimonio delle nostri madri, accidenti. Probabilmente in ascensore
ci sono telecamere o», biascicò lentamente verso
l'orecchio
sinistro di lei, insinuando la mano destra sui suoi capelli,
stringendo, «non mi sarebbe dispiaciuto averti anche in uno
spazietto un metro e mezzo per un metro e mezzo, contro lo
specchio».
«Va
bene-
emh, bene», abbassò la voce, dopo un primo
tentativo stridulo,
imbarazzandosi.
Lena
si spostò un poco dalla cassettiera e fece cadere la
vestaglia sui
piedi coperti dalle ciabatte e lasciò di nuovo a lei la
situazione
in mano, in attesa. La sentì deglutire, era nervosa. Forse
avrebbe
dovuto fare qualcosa per farla sentire a suo agio, anche se le era
sempre piaciuto il suo tentennare. Ma infine si mosse: le
afferrò i
lembi della sua camicia da notte e se la lasciò sfilare e
gettare a
terra. Il tempo di toccare il parquet che Kara era di nuovo su di
lei, leccandole il collo, assaggiandolo con le labbra piene, intanto
che con i polpastrelli, delicati, le girava i fianchi, toccava la
pancia, saliva fino al reggiseno. La bocca bollente raggiunse le sue
curve. Baciò mentre Lena sospirava, occhi semichiusi,
afferrandole
di nuovo i capelli biondi. «Kara», la
chiamò col fiato corto e
l'altra alzò gli occhi, ritrovando i suoi. «Non
sono fatta di
porcellana», sorrise, per poi sospirare di nuovo.
«Va bene. Puoi
farlo. Toccami».
Kara
arrossì di nuovo, ma decise di non lasciarsi prendere dal
panico.
Non era la prima volta che stava con Lena e non doveva aver paura di
sbagliare con lei, era sciocco: mesi separate e ora che poteva
toccarla di nuovo, temeva di fare una mossa falsa. Ma ci sarebbe
stata una mossa falsa da poter fare, a quel punto? L'unica cosa
veramente sbagliata che poteva saltarle in mente era fermarsi e se
poi, in qualunque caso, avesse di nuovo avuto il panico, avrebbe
improvvisato. Poteva improvvisare? Doveva improvvisare. E baciarla,
che fosse in un qualunque punto del suo corpo, era ciò che
le veniva
meglio. E che le piaceva fare. Riaprì la bocca,
poggiò la lingua in
fiamme, schiuse le labbra. Le strinse i seni con entrambe le mani,
forte. Più decisa, adesso, arrossendo fino alla punta delle
orecchie, sentendola gemere appena.
«Va
meglio». Accidenti, le sfuggì: non avrebbe dovuto,
lo sapeva.
Temeva di bloccarla, ma non lo fece: Kara le strinse più
forte,
attenta a non farle male, inchinandosi, baciando più in
basso, in
mezzo ai due seni pieni. Aveva caldo ma i brividi di freddo allo
stesso tempo. Era piacevole, sentiva l'eccitazione crescere. Si
appoggiò di nuovo alla cassettiera, quasi sbattendo, e Kara
scese,
leccandole intorno all'ombelico, stringendo i fianchi pallidi.
Era
così perfetta e non l'avrebbe persa, pensò Kara.
Adesso lo sapeva
quanto mai prima. Non era una questione di fortuna, Lena l'amava
davvero o di occasioni per lasciarla andare ne avrebbe avuto
parecchie. Quella stessa sera, ad esempio. E invece erano di nuovo
loro due, come se non si fossero mai lasciate davvero. Rivide il
momento in cui le disse di andarsene, arrabbiata, dopo Capodanno:
l'aveva sentita piangere dietro la porta della sua camera, al campus.
E ricordava quando si tennero per mano in casa Danvers-Luthor sul
divano, guardando un film con la famiglia, non riuscendo a fare a
meno di toccarsi. Quando, nella loro camera in comune, ci fu il loro
primo bacio mancato, sentendo Eliza gridare per il procione. Che poi
era un gatto. Ricordava i barattolini di yogurt a Natale, in villa. E
ricordava la testata al loro primo bacio serio, dopo la partita. Fu
allora che capì che per quanto Lena avesse provato qualcosa
per
Indigo, non sarebbe mai stato lo stesso. Esattamente come non sarebbe
stato lo stesso per il bacio tra lei e Lucy. Avevano un diverso peso
quei baci che le lasciava sulla pelle. Un significato profondo. Il
potere che avevano l'una sull'altra. Era tutto giusto, adesso.
Lena
la attirò a sé e la baciò come se le
mancasse l'aria. Kara la
strinse per le spalle, le passò le mani sotto il mento, sui
capelli.
Lena la aiutò a liberarsi dalla maglia celeste del pigiama,
sbottonandole un bottone dopo l'altro, assaggiando la sua pelle
bollente. La gettò sul pavimento e abbracciò Kara
sui fianchi,
passandole la punta della lingua sull'incavo del collo, sentendola
per poco trasalire. Sorrise e la riguardò negli occhi
semichiusi che
la seguivano, tentando con le mani l'elastico dei pantaloni del
pigiama. Non batté le ciglia, continuando a fissarla mentre
la mano
destra si intrufolava sotto gli slip. Non la fermò e anzi
spalancò
gli occhi. Kara deglutì e Lena tirò via la mano,
ridendo di nuovo,
facendola accigliare. Le abbassò i pantaloni celesti e le
baciò una
coscia in un punto a caso, poi l'altra in un altro punto a caso.
«Okay.
L'hai voluta tu», sbottò. Scacciò le
ciabatte dai piedi e tirò
giù il pigiama, così la risollevò
stringendole le natiche e la
ributtò sul letto, togliendo anche le sue, di ciabatte. Si
baciarono
di nuovo, e di nuovo, finché Lena non si lasciò
andare a una risata
e Kara rise a sua volta, senza un perché.
«Vuoi
dirmi qualcosa?», la stuzzicò Lena, arcuando un
sopracciglio. «Non
tenere le cose per te. Se vuoi stare con me, dobbiamo condividere
tutto».
«È
che non- Non vedevo l'ora di-», si morse il labbro inferiore,
spostando i suoi occhi per la stanza semibuia, «Mi sei
mancata».
Neanche il tempo di dirlo in completa serietà che
avvampò di colpo.
«N-Non intendevo che mi sei mancata in que-quest-questo contesto,
o meglio sì, decisamente
mi sei mancata anche in questo contesto», annuì,
non mancando di
portare lo sguardo sul suo seno in vista, tenuto su dal reggiseno di
pizzo verde scuro, decorato e invitante. «Ma mi sei mancata
in»,
fece una smorfia con la bocca, «generale, diciamo. Tutto. Mi
è
mancato tutto».
Lena
le circondò il collo con le braccia nude, reggendosi per
sollevarsi
il tanto giusto per rubarle un bacio piccolo e lento, per poi farle
un sorriso. «Anche tu mi sei mancata. In modo generale,
diciamo
tutto», la citò e si sollevò per
baciarla di nuovo. «Ti amo, Kara
Danvers. E so che le cose che si dicono in momenti di questo tipo
sono pericolose-».
«Pericolose?».
«Molto
pericolose. Prese dall'eccitazione, le persone dicono qualunque cosa,
ma io sono certa di quello che sto per dire
perché… ci ho pensato
a lungo, ecco perché. E adesso sento di potertelo dire e
devo
rischiare, dunque mi devi credere se dico-».
«Sì».
«Che
voglio passare la mia vita con te». Arrossì e si
morse anche lei un
labbro, osservando il suo volto, dagli occhi che brillavano alle
labbra che tremavano.
Kara
aprì la bocca ma non riuscì a dire niente, non
subito. «… Sì».
«Sì?».
«Sì,
è-è… Io- sì. Ma non penso
sia pericoloso dirti che è lo
stesso», sorrise appena, tremandole ancora le labbra,
«E che ti amo
anch'io, Lena Luthor. Tanto. Di più». Le
sfilò le braccia dal
collo, tenendole fermi i polsi fini fino ad appoggiarli sul
materasso. Restarono a guardarsi e Kara si abbassò su di
lei,
premendo contro il suo petto, sentendo il suo cuore battere forte
quanto il proprio, sfiorando le labbra rosse con le sue, ferma,
chiudendo gli occhi entrambe, baciarsi con passione. Le
lasciò un
polso e, con la mano sinistra, la toccò lungo il reggiseno,
un'anca,
il bacino, una coscia. La pelle era così morbida e fresca.
Strinse,
strinse con più fermezza e l'aiutò a piegare la
gamba destra.
Accarezzò, esplorò, salì verso
l'interno, stuzzicando la sua zona
più sensibile sopra gli slip.
«Sei
diventata così intraprendente…», le
disse ed entrambe si misero a
ridere.
«S-Stai
cercando di rovinare tutto, per caso?».
«Credimi
se ti dico che rovinare
non è la parola adatta», sospirò.
«Sdrammatizzo. Per quanto io
stia bene con te e sia eccitata in questo momento, sono in perenne
ansia. E mi piace», deglutì, «avere il
controllo delle cose. E ora
non ne ho. Fingo di averlo, ma… l'ho perso
sull'ascensore».
Kara
sorrise e si abbassò per prendere le labbra con le sue.
«Bene», la
baciò di nuovo, «Almeno non sarò
l'unica a improvvisare».
Sorrisero e le portò via un altro bacio.
Lena
la convinse a rimettersi seduta e, sulle ginocchia, arcuò la
schiena
per slacciarsi il reggiseno. Abituati alla poca luce della stanza, i
suoi occhi verdi parvero di vedere Kara diventare bordeaux, aprendo
la bocca. Lanciò l'indumento oltre il letto e
lasciò un placido
consenso. Kara le toccò un seno e poi l'altro, sfiorando la
pelle
delicata, i capezzoli turgidi.
«Devi
dirmi la verità», la baciò.
«Te lo sei sganciata da sola perché
pensavi che io mi sarei incartata?».
«Ma
no», ridacchiò, portando le mani dietro la schiena
di lei per
sganciarle anche il suo. «Li tolgo io entrambi
perché sapevo che ti saresti incartata». Le
baciò il collo e i
loro seni liberi si sfiorarono, mentre Kara sorrideva, sussurrandole
di aver fatto bene. La spinse sulle spalle e si portò sopra
di lei,
sperando di ritrovare un minimo di quel controllo o sarebbe esplosa.
Doveva
sentire Kara sua. Completamente. La
baciò alla base del collo, sulle curve del seno, sulla bocca
dello
stomaco, scendendo intanto che la toccava senza timore, fino ad
arrivare al punto interessato. Le spostò gli slip da un lato
e la
sentì sospirare, incurvare la schiena, stimolandola laddove
era già
umida. L'altra mano le massaggiava una natica, stringendo quanto
necessario. Era sicura di averla sentita dire il suo nome con voce
davvero bassa, un bisbiglio. Allora smise. Tirò
giù gli slip e li
lasciò sul letto, le accarezzò le cosce e di
nuovo le natiche,
poggiando la bocca su di lei, e lei, con un movimento involontario
del corpo, spinse il copriletto col tallone dei piedi.
Kara
trattenne il fiato, chiuse le mani in due pugni saldi e
inarcò di
più la schiena, spingendosi verso di lei.
Lena
la sentiva gemere delicatamente, e chissà che
forse lo
faceva ricordando
che nella stanza accanto c'era Indigo. Affondò le unghie
sulle sue
natiche e così la lingua. Non ci sarebbe mai stata una Lucy
Lane
qualsiasi a portargliela via. Non se lo aspettava e continuava a
ripensarci. E Lucy Lane le aveva consigliato di essere sincera, eh?
Che premurosa, che- Oh…
era
gelosa? Lei non era una persona gelosa. Non era mai stata gelosa, ma
non aveva nemmeno
mai
amato qualcuno in
quel modo,
era vero. Kara non era la prima, ma l'unica.
Era stata così stupida a baciare Indigo, e quell'amaro delle
sue
labbra… Ora era tutto così insignificante.
Avevano baciato Indigo
e Lucy, ma avevano finito per scegliersi lo stesso. Lei aveva scelto
Kara e Kara aveva scelto lei. Amava lei. Era tutto vero. Quei gemiti
erano per lei, il corpo di Kara rispondeva alle sue cure. Si
irrigidiva per lei
e
Lena le passò le mani sulle cosce, appoggiò la
lingua e schiuse le
labbra, sentendola lasciarsi andare, tirare indietro il copriletto
coi piedi e metterle le mani sui capelli. Risalì sul suo
corpo e
Kara provò un brivido, pensando di coprirsi il viso con le
mani, ma
glielo proibì e la baciò.
Si
guardarono. Lena si stava appoggiando al materasso che lei le
portò
via un nuovo bacio, e così sulle labbra di lato, sulla
guancia, su
un orecchio, facendola ridere, sotto il mento, sul collo.
«Cos'hai
in mente?», le domandò a fior di labbra.
«Improvviso.
Sono intraprendente, lo hai detto anche tu», disse con
orgoglio, «E
hai ancora un paio di slip addosso, pare. Non si fa». Riprese
a
baciarla sotto il mento e Lena chiuse gli occhi, deglutendo, sapendo
di non volersi opporre. Avrebbe potuto farle qualunque cosa avesse
voluto, se solo si fosse decisa a metterselo in testa. E non avrebbe
concesso quel lusso a nessuno, davvero nessuno, prima di lei. Era
vero che le piaceva avere il controllo, e accidenti, lo aveva appena
riacquistato un po', ma perderlo… stava amando perderlo.
Sentì i
suoi baci nell'interno coscia. La sentì sfilarle gli slip e
riprendere a baciarla, toccarla con un polpastrello e dopo con le
labbra calde. Con la lingua bollente. Lena spalancò la bocca
e
ansimò, trattenne il fiato. Decise di stringere il
copriletto e
mordersi la lingua quando sentì le sue dita toccarla e poi
dentro di
lei. Sì, stava proprio amando perdere il controllo.
La
luce del sole le illuminò e Kara mosse gli occhi pian piano.
Il
volto di Lena era a poco dal suo naso, ancora dormiva. Era
così
bella con la bocca schiusa e un ciuffo di capelli sugli occhi.
Sorrise e cercò di spostarglieli dal viso, osservandola
muoversi e
fare un verso con il naso chiuso. Solitamente si svegliava prima di
lei, ma doveva essere molto stanca e l'aveva tenuta sveglia,
quindi…
Restò ferma a guardarla a lungo. Una volta sola le
punzecchiò una
guancia e rise sottovoce, vedendola sbuffare. Probabilmente
bastò a
svegliarla perché, appena le avvicinò di nuovo la
mano, Lena gliela
scacciò con una sua neanche fosse una mosca.
«Sei-»,
barbottò, rendendosi conto di avere la voce impastata,
intanto che
apriva gli occhi. «Credo di amarti un po' meno, adesso,
mi…
rimangio tutto». Kara rise e Lena con lei, chiudendo gli
occhi e
stirando le gambe sul materasso. Quando li riaprì, la
ritrovò a
fissarla. Restarono ferme, semplicemente a guardarsi respirare.
«È
bello», esclamò lentamente.
«È bello svegliarsi così. Senza
preoccuparsi di nascondere ciò che abbiamo, ciò
che siamo».
Lo
era davvero. Entrambe desideravano un futuro in cui non sarebbero
più
state solo sorellastre,
ma compagne. Lena aveva ragione quando disse che le parole spese in
un momento di sesso sono pericolose ma, quelle in particolare, da
quel momento, diventarono per loro un impegno. Se le legarono al
dito, era un anello di parole, una promessa.
Restarono
a letto ancora un po' e dopo andarono insieme a farsi un bagno caldo,
nella vasca del bagno della camera. Si baciarono fra bolle di schiuma
e vapore; passandosi la spugna e tastando con forza i loro corpi
morbidi; assaggiandosi di nuovo, a fondo.
Kara
indossò una gonnellina larga e una camicetta, uscendo per
prima dal
bagno, passandosi l'asciugamano sui capelli ancora umidi, portandoli
da un lato. «In quale cassetto mi avevi lasciato gli
occhiali?». La
sentì risponderle e poi accendere il phon. Li
ritrovò subito,
insieme al suo telefono, che lasciò sulla cassettiera. Se li
rimise
e li tolse di nuovo perché sporchi ma, abbassando lo
sguardo,
adocchiò uno zaino. Non era di Indigo? Non doveva frugare,
non
doveva frugare, non doveva, verissimo, ma appoggiò gli
occhiali e
frugò lo stesso, lanciando uno sguardo al bagno per
assicurarsi che
Lena non stesse uscendo. Un temperino, la carta di una caramella ma
più a fondo… Spalancò gli occhi e
rialzò lo sguardo di nuovo
verso il bagno: una foto di Lena? Ne prese altre e le
sfogliò. Ce
n'erano ancora, aveva il fondo pieno di foto esclusivamente di Lena
in momenti casuali della giornata fuori casa. Ma cosa…?
«Kara,
posso sistemarti i capelli?», gridò dal bagno,
spegnendo il phon.
«Kara?». Uscì e l'altra
arrossì: indossava una gonna a tubo nera,
un dolcevita verde a collo alto, smanicato, i capelli lasciati sulle
spalle, le labbra già rosse. Notando il suo sguardo
imbambolato, le
puntò contro un dito. «Non ci pensare
neanche», la ammonì, «Ci
aspetteranno, sono quasi le dieci».
«Ci
ho pensato in effetti, ma… devo allontanarmi»,
disse, camminando
di spalle verso la porta. «Vado a riprendere il mio telefono:
l'ho
lasciato nella mia stanza ieri notte». La vide annuire e
tornare
verso il bagno, così uscì. Due passi veloci e si
ritrovò davanti
alla porta della camera di Indigo. La spinse dentro appena
aprì,
chiudendo con un calcio. Indigo spostò la sua mano da una
spalla con
una contromossa rapida ma, nonostante Kara non se lo aspettasse, fu
veloce a reagire e le fece lo sgambetto, costringendola a piegarsi e
così sbattendola contro il muro, con un braccio a bloccarle
il
collo.
Indigo
strinse i denti e provò subito a liberarsi dalla presa,
senza
successo. «Lo dirò a Lena»,
ringhiò.
«Le
dirai anche delle foto che tieni nel tuo zaino?», si
assicurò di
non urlare, perché il bagno era vicino. «Ah? Le
hai fotografate tu?
La stavi spiando?».
«No,
no, non le ho scattate io, lasciami», le
picchiettò il braccio
sotto il collo con il suo, non riuscendo a liberare il sinistro che
le teneva stretto contro il muro. «Lasciami, per favore,
lasciami!
Me le hanno date».
«Chi?
Chi te le ha date?».
«Un
tipo, un investigatore… Lui voleva spronarmi a
lavorare», esclamò
a fiato corto, «Il mio garante». Kara
allentò la presa e Indigo
tossì, massaggiandosi la gola. «Lui aveva mandato
questo
investigatore a seguire Lena… per costringermi a lavorare
per lui».
Prese fiato, inchinandosi il tanto per reggersi le ginocchia.
«Non
lo conoscevo, okay? Veniva da me e mi portava queste foto.
L'alternativa era lasciarle lì quando sono
scappata».
Kara
scosse la testa, stringendo le labbra. «Giuro che se mi stai
mentendo…».
«Cosa?
Lo dici a tua sorella che mi riporterà in
prigione?», prese un
grosso respiro, rimettendosi dritta con la schiena.
Kara
stava per ribattere che cambiò idea, abbassando gli occhi
solo un
momento. «Lena si fida di te. Ci tiene a te»,
ammise. «Falle
sparire e-», si riavvicinò alla porta, afferrando
la maniglia, «e
chiudiamola qui».
Se
ne andò, lasciando Indigo piuttosto confusa: avrebbe potuto
fargliela pagare dicendo tutto a Lena, non capiva perché non
avesse
colto l'occasione. Non capiva proprio.
Ritrovarono
Bruce Wayne alla hall dell'albergo e Lena, dritta con la schiena,
sguardo arrogante, pensò subito di affrontarlo. Non gli
disse di
aver ascoltato la conversazione tramite il suo telefono, ma che lo
sapeva, sapeva che aveva chiesto a Oliver Queen di mentire e che
pretendeva delle risposte.
«Non
rifilarmi la storiella che lo fai per me, perché non
attacca», mise
le braccia a conserte. Dietro di lei, a pochi metri, Kara, Winn e
Indigo sembravano quasi di guardia.
«Tuo
padre era immerso fino al collo in questioni pericolose».
«Credi
che non sappia che faceva parte dell'organizzazione?», si
trattenne
per non urlare. «Voglio capire chi era mio padre. E chi lo ha
ucciso».
Lui
strinse le labbra e, svelto, delineò un fine sorriso,
guardando
altrove: la capiva, era una cosa che avevano in comune ed era quello
che li aveva avvicinati. Anche lui non aveva fatto altro, per anni,
che cercare risposte sulla morte dei suoi genitori. «Mi hanno
contattato, giorni fa», disse, infastidito. «Ne
riparleremo. Non
adesso, non qui».
«Ti
hanno spaventato tanto da decidere di tagliarmi fuori?». Lo
guardò
negli occhi e lui sbuffò.
«Credo
che qualcuno stia tentando di uccidermi», deglutì
e Lena spalancò
occhi e bocca, sorpresa. «I miei soci alla Wayne Enterprises,
forse.
Oppure loro perché non ho dato risposta e sperano di
spronarmi a
farlo». La vide provare a dire qualcosa, muovere le labbra
senza
uscirle un fiato. «Che tu voglia crederci o meno, speravo di
tenerti
lontano da tutto questo per non attirare l'attenzione. Tu non sei
come me o Oliver Queen: il nostro trauma ci ha trascinato
nell'oscurità, ma non è stato così per
te. La morte di tuo padre
ti ha svegliata e ora… dovresti guardarti: i tuoi occhi
risplendono. Lascia perdere. Chi ha ucciso tuo padre la farà
franca
in qualunque caso».
Ma
non ci sarebbe stato un finale alternativo di quella storia: Lena era
già dentro fino al collo per il solo fatto di chiamarsi Luthor.
Ed era troppo avanti per rinunciare adesso alla verità. Per
questo,
quando si trovarono alla Queen Consolidated con Oliver Queen,
pretesero di sapere ciò per cui erano venuti. In che modo
erano in
contatto Lionel Luthor e Robert Queen? Di cosa si occupavano? Il
giovane, senza provare il minimo riserbo, le confessò che
Lionel
Luthor pagava suo padre per finanziare una compravendita di armi per
le bande delle Glades. Probabilmente, a detta sua, con l'obiettivo di
tenere National City pulita, mandando i criminali altrove.
E funzionava. Scoprì affari di quel tipo con la morte
dell'uomo e
ora era deciso a tenersi impegnato cercando di sistemare i suoi
errori, con l'aiuto del patrigno. Lena avrebbe voluto possedere lo
stesso spirito di rivalsa: non aveva mai pensato a suo padre come a
un santo, ma… più scopriva cose di quel tipo su
di lui, più si
metteva in testa come in realtà non conoscesse affatto
quell'uomo.
Lo stesso che da bambina la prendeva sulle gambe e le raccontava una
storia, pagava per armare persone pericolose. Non dimenticando il
fratellino di Indigo morto in un effetto collaterale.
Proprio
lei cercò di tirarle su il morale, ma Lena
preferì rifugiarsi tra
le braccia di Kara.
«Non
prendertela», le disse Winn prima di salire sull'elicottero
che li
avrebbe riportati a National City. «Quelle due hanno un
rapporto un
po'… emh, particolare»,
si grattò la nuca, imbarazzato. «Quando sono
vicine, è come se non
esistesse nessun altro», la sua espressione scemò,
per poi
sorridere quando Indigo lo guardò appena e lui
pensò di avvicinarsi
di più, iniziando a bisbigliare: «So chi
sei». Lasciò che lo
degnasse di attenzione, finalmente, spalancando gli occhi.
«Faticavo
a riconoscerti all'inizio, saranno stati gli occhiali, ma…
sono un
tuo grande ammiratore e-e ho tenuto d'occhio la tua storia»,
le
corse dietro mentre lei, zitta, cercò di raggiungere Lena e
Kara.
«Mai avrei pensato che il garante che ti ha fatto uscire di
prigione
fosse la signorina Luthor! Ma non lo dirò a nessuno, lei non
lo ha
detto a nessuno e tu non dovrai attirare l'attenzione, penso: il tuo
segreto è al sicuro, con me», annuì.
Indigo
lo fissò. Lo fissò a lungo finché lo
spinse, entrando in
elicottero. «Lasciami perdere», furono le sue
uniche parole. Era
giù di morale e gli ammiratori, come si era definito lui,
non erano
che seccature. Una volta dentro, vide Lena e Kara di nuovo prese per
mano. La prima chiuse gli occhi e appoggiò la testa su una
spalla
dell'altra. Oh, non era solo la paura di volare: Lena era turbata,
non faticava certo a capire questo. Il suo garante voleva metterla
contro la sua famiglia e quello di oggi sembrava il primo vero passo
verso la realizzazione del piano. Sarebbe stata felice del risultato
se non tenesse a lei. Eccolo, pensò, aveva trovato il primo
aspetto
negativo del provare sentimenti: il rimorso.
Questo!
Questo è decisamente il capitolo più lungo finora
e spero di non
superare il record in futuro °° Avete preso fiato? Il
capitolo vi è
piaciuto? E la piega che sta prendendo la storia?
Abbiamo
avuto modo di conoscere la mia versione di Oliver Queen per questa
fan fiction. Non sarà un personaggio importante o che
apparirà
spesso, anzi, però mi piaceva l'idea di definire il suo
profilo con
poche battute. Abbiamo saputo che l'organizzazione sta riottenendo il
potere e che ha contattato sia lui che Bruce Wayne. E lui pensa che
loro, o qualcun altro, stiano cercando di ucciderlo D:
Abbiamo
saputo che tipo di accordi aveva Lionel Luthor con Robert Queen, il
padre di Oliver. Che Winn è un fan di Indigo, che lo
è anche di
Oliver Queen (glielo avrà poi chiesto l'autografo?) e, quasi
certamente, di Bruce Wayne. Che questi due sono stati nella stessa
palestra (Lega degli Assassini quale?XD) e che,
ovviamente,
sanno darne di santa ragione. Ah, questi ricconi… un hobby
normale
mai. E, se chiedono, Kara ha le prove da spedire a Selina Kyle.
Intanto
abbiamo Indigo che si è divertita a prendersela con Kara, ma
ha
fatto il passo più lungo della gamba dicendole che lei e
Lena sono
state insieme, doveva immaginarlo che le due ne avrebbero parlato. O
sperava litigassero? Sta di fatto che hanno parlato e deciso di darci
un taglio con questo loop del prendersi, farsi del male e
allontanarsi, così… beh, è andata!
Sì, sono tornate insieme!
Eddai, era ora!
Adesso.
Una notizia positiva e una negativa!
Prima
la positiva, su: il prossimo capitolo non sarà un capitolo,
ma un
missing moment di questo capitolo. C'è
una parte in più, una
piccola parte in più che ho dovuto scrivere, che non cambia
il
finale del capitolo e la sua direzione, ma semplicemente si incastra
in un punto particolare e, spero, vi piacerà!
(Sì, si parla di Kara
e Lena)
La
notizia negativa, invece… Col missing moment della settimana
prossima vado in pausa e quindi no, non ci sarà capitolo 51
prima di
venerdì 30… agosto. Non prendetela a male (?), ho
davvero bisogno
di una pausa (dove continuerò a scrivere).
E
ora… anticipazioni!
Il
capitolo 51 sarà uno stand alone con Zod e l'organizzazione
come
punto focale.
Sarà
un capitolo che parla di figli, ed eredi, in un passato dove Levi
Luthor era preoccupato per Lionel, dove Dru Zod sognava un futuro con
la sua fidanzata Petra e pretende, nel presente, una confessione da
parte di Rhea Gand. Il presente dove l'organizzazione sta riprendendo
potere e Alex e Maggie se ne rendono conto subito: alla centrale di
polizia arrivano nuove reclute per sostituire i rapitori di Jamie
arrestati e sembrano tutti sotto gli ordini del Generale, non come
capitano della polizia, per non parlare di Fort Rozz dove la prima e
il Generale si fermano per un breve scambio di parole e le guardie
del carcere non aspettano che un cenno per bloccare la ragazza. Il
presente dove Faora Hui, che era come una figlia per il Generale e
lei lo ha tradito, si risveglia finalmente dal coma. Quale destino la
attende?
Il
capitolo 51 sarà pieno, pieno di indizi, un succo delle cose
che
sono successe nel passato che, inevitabilmente, hanno influenzato il
futuro e si intitola L'erede.
Anticipazioni
generali di cosa leggeremo prossimamente? Ma sì. Però
in
ordine casuale e senza contesto.
Processo.
Allusioni sul sesso. Siobhan ubriaca. Pillole rosse. “Sei
quasi mia
figlia”. Omicidio. Bicipiti di James. Doppio gioco. Casa
nuova.
“Lascia stare, fragolina di bosco, ci penso io”.
Festa da Maxwell
Lord. Confessione. Famiglia a pezzi. Millenovecentosettantacinque.
Licenziamento. “Vedrai, la casa al lago è
ciò che ci serve”.
Palestra e allenamenti, sudore e tentazioni. Fuga. “Io non
sono la
mia famiglia”. Paura. Vacanza. Promesse non mantenute.
“Quella è
in latex?”. Vergogna. L'assassino inaspettato. Sentimenti
nuovi.
Insieme.
Sembra
che ho scritto parole a caso per la Settimana Enigmistica, e
invece…
Allora,
ci rileggiamo il prossimo martedì con il missing moment che
si
intitola L'anima gemella e, se tutto va bene, in
altre
pubblicazioni prima del ritorno con Our home e il
capitolo 51 ~
Grazie!
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