Velo di Maya

di Whiteskull16
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Erano seduti sul cofano di una macchina noleggiata, sul bordo di un pendio che si affacciava sulla città illuminata di notte oltre la pallida palizzata.

Goro sonnecchiava ubriaco sul sedile posteriore dell'auto, mentre Conan era su quello davanti, quello del passeggero.

Ran Mori stava attendendo che giungesse l'alba e i suoi occhi erano catturati da quell'enorme satellite qual era la luna: pallida, rotonda e biancheggiante, ella sembrava in grado di curare ogni male umano semplicemente facendosi guardare ed elargendo a tutti quel candore salvifico che solo uno spettacolo simile è in grado di dare. Ora capiva cosa i romantici intendessero con la parola "sublime": aveva letto da qualche parte che in Europa, circa duecento anni fa, i letterati rimanevano estasiati e al contempo intimoriti dalla grandezza della natura. La sua anima, ora, risuonava accordata a quelle di migliaia di altre persone che come lei, forse per un attimo o forse con la stessa lunga e imperturbabile intensità, rimiravano la grande Sorella.

Senza distogliere lo sguardo da lei, Ran allungò la mano verso destra in cerca del bicchiere di succo che si era versata poco prima. Al suo posto invece trovò qualcosa di più caldo e rassicurante.

"Sei ancora sveglia? E' molto tardi..." disse Conan, unendo le sue piccole falangi a quelle della "sorellona".

"Conan!" esclamò per un attimo sorpresa lei, ma poi gli sorrise e si acchetò. "Sì. Stavo guardando la luna. Non è bellissima?"

"Molto." rispose il bambino, intuendo che quelle parole celavano un interesse per il satellite che andava oltre la mera bellezza estetica.

Stettero per qualche minuto in religioso silenzio, dando tempo a Ran di continuare a contemplare l'oggetto della sua ispirazione e a Conan di rimuginare (non che fosse tanto complicato visto il mestiere a cui ambiva) in merito al significato di quella situazione quasi surreale, eppure venata di così tanta poesia melanconica nonostante le parole dolci proferitegli. 

Fu Ran stessa a spiegarsi.

"Ho letto" incominciò "che per un effetto ottico, la luna all'orizzonte appare più vicina di quando ci è sopra la testa."

"Davvero?" Shinichi simulò sorpresa, ma era una cosa che sapeva anche lui. Ogni tanto però doveva fingere la conoscenza che ci si aspetterebbe da un bambino delle elementari. Era una cosa davvero frustrante, ma adesso era la scusa adatta per permettere a Ran di parlare e aprirsi, come in una seduta psicoanalitica di Sigmund Freud.

"Mi chiedo se... le persone distanti ci sembrino più grandi, più importanti di quanto non lo siano in realtà. Proprio come la luna, che quando è lontana appare illusoriamente enorme, eppure è sempre la stessa." 

Conan Edogawa, anzi Shinichi Kudo, avvertì una fitta al cuore.

Si chiese quanto a lungo ancora lei lo avrebbe aspettato: egoisticamente, la immaginò attendere quando i capelli erano diventati del medesimo colore della luna. 

Era disgustato da quel pensiero. 

Ma senza accorgersene, aveva iniziato a piangere.

Ran invece lo notò subito e cominciò a consolarlo, dicendo che non voleva rattristarlo e che domani avrebbero passato la giornata assieme per scusarsi.

Lui pianse più forte. 




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