Un
amore nato dal caso
Mi
gioco il tutto per tutto
Cadendo,
la goccia scava la pietra, non per la sua forza, ma per la sua
costanza. Lucrezio.
Giovanni
odiava le feste, non per l’allegria che le impregnava ma per
quel
fastidioso rimbombo che gli martellava il cervello.
Chiuse
gli occhi e si passò una mano dietro il collo già
madido di sudore
freddo. Strinse i denti conscio che, se non si fosse lasciato alle
spalle quel sottile velo di timore che non lo abbandonava da allora,
nulla sarebbe mai cambiato.
Aveva
faticato a ottenere un biglietto per la festa dei Vigili del Fuoco.
Negli ultimi due mesi, aveva tampinato Guido, un suo vicino, fino
all’esasperazione affinché gli cedesse il suo
invito dietro una
lauta ricompensa.
Sebbene
avesse il cuore che batteva forsennato dall’ansia, non si
sarebbe
fatto abbattere, avrebbe mantenuto i nervi saldi e sarebbe andato
dritto verso il proprio obiettivo. Avrebbe minuziosamente
scandagliato la sala finché i suoi occhi non avessero
incontrato
quelli castani del suo salvatore. L’uomo che, solamente
tenendolo
stretto a sé, l’aveva salvato da un destino
peggiore che finire
schiacciato dalle mura di casa.
Giovanni
nascose le mani tremanti nelle tasche dei jeans e si inoltrò
tra la
folla evitando le grosse casse degli altoparlanti. Raggiunse a fatica
il buffet di torte fatte in casa e accettò un piatto di
plastica con
una fetta di tiramisù afflosciato sul fondo. Non era molto
invitante, ma aveva bisogno di zuccheri per contrastare il panico che
a ondate tentava di sopraffarlo.
Mentre
ingoiava la torta, scorse, attraverso un canale apertosi tra gli
astanti, il volto sorridente del suo eroe che puntava nella sua
direzione. Istintivamente le labbra si aprirono denudando i denti
ancora sporchi di crema stucchevole. Che figura da
barbagianni,
pensò inorridito mentre con uno scatto si girava e si
dileguava tra
la folla.
«Suvvia,
Giovanni, fatti forza! Da quella distanza non si sarà
accorto di
nulla,» tentò di convincersi mentre si specchiava
nel bagno in cui
si era rifugiato poco prima. Piegò il capo e con le mani a
coppa si
sciacquò il volto in fiamme. Prese un sorso
d’acqua fresca e, dopo
averla rimestata in bocca, la sputò nel lavandino.
Fu
allora che la porta si aprì ed entrò Daniele,
sguardo preoccupato e
gli occhi fissi al riflesso di fronte. Giovanni si
pietrificò
imbarazzato.
«Ciao,
io sono Daniele,» si presentò. «Ti ho
cercato ovunque e sono così
contento di notare che ti sei ripreso bene.»
Davanti
a quella mano tesa smise di pensare. Fece leva sul ripiano e si
voltò
lentamente. Gli sembrava di camminare sulla luna, impacciato e
traballante sulle gambe molli dall’emozione. A un soffio da
lui
allargò le braccia e gli si buttò contro,
premendo il capo sulla
sua spalla. Un paio di lacrime scivolarono lungo la guancia accaldata
quando avvertì Daniele ricambiare la stretta.
«Ciao,
sono Giovanni,» sussurrò. «Ti ho cercato
ovunque e sono così
felice di averti finalmente trovato.»
Stretto
a lui, pensò che era fortunato. Come un bravo castoro, era
riuscito
a fare l’impossibile: intreccio dopo intreccio aveva
raggiunto il
proprio obiettivo.
Note
dell’autrice: io penso che se uno
è destinato arriverà
ovunque.
Giovanni
e Daniele si sono cercati e trovati. Ora non devono fare altro che
vivere.
Questa
storia partecipa al contest ‘Il contest del
Simbolismo’ indetto
da Arianna.1992 sul forum con il prompt raggiungere gli
obiettivi/castoro.
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