lunedi rosso pride 1
NO
*ONE
(1)
LUNEDÌ
– ROSSO – BORN THIS WAY
«Nessuno,
Nessuno, tu sei Nessuno, tu non sei Niente».
Se
lo era sentito ripetere per tutta la vita. Il che era deprimente, dal
momento che era sulla Terra da “soli” 23 anni.
Eppure
era stato abbastanza. Abbastanza per sopportare, soprattutto per
crederci.
Si
sentiva vecchio, pesante. Nessuno: forse lo era davvero.
Un
outsider, qualcuno di anonimo di cui nemmeno ti accorgi se non per le
sottili divergenze, enormi piccoli particolari, sufficienti a
definirlo. Ad annullare tutto ciò che era. Ad essere un
Nessuno che
non contava Niente. Zero. Un valore Assoluto con cui era dovuto
scendere a patti.
In
realtà, se doveva pensarci (e Dio, quanto ci pensava
– sempre),
non sapeva bene quando era cominciata. Rievocava vagamente frammenti
opachi di memorie più recondite che, come vetri rotti,
facevano male
al sol raccoglierli.
La
sua era stata un'infanzia pressoché scontata: famiglia
banale, madre
casalinga, padre grigio impiegato, una sorella più piccola
di due
anni, Daisy.
La
amava follemente: quando era venuta al mondo, ricordava di non aver
mai smesso di osservarla nella culla e carezzarle la testa.
Era
rimasto folgorato dalla sua microscopica bellezza: così
piccola e
scintillante in tutto quel rosa. La sua cameretta gli
piaceva, ci stava intere giornate. Non capiva perché invece
lui
avesse tutto quel blu addosso: nelle pareti, nei vestiti, persino
nelle lenzuola che la mamma gli cambiava. Non che lo disturbasse, ma
lo trovava triste e banale. Bastava alzare gli occhi e il cielo era
blu, il rosa invece lo dovevi cercare.
E
a lui piaceva, ne era incuriosito.
Era
un bambino pieno di domande e si annoiava facilmente, anche dei
propri giochi: le macchinine, la palla, le armi giocattolo.
Così
rimaneva nella cameretta scintillante e studiava ogni
novità: le
bambole, i trucchi finti, i peluche, il set della mini cucina.
Non
sapeva perché, ma un giorno qualunque li aveva messi da
parte. Si
era annoiato di nuovo. O forse la mamma gli aveva detto di lasciare
stare Daisy e i suoi giochi.
Erano
da femmine.
Come
lo era la danza. A sei anni Daisy continuava a scintillava nel suo
tutù (rosa). Se ci ripensava adesso (e Dio, non smetteva mai
di farlo) si rendeva conto di quanto tutto fosse
banalmente
prestabilito: binari tracciati su un percorso solido.
Gli
veniva lo sdegno, si sentiva quasi soffocare, ma nell'infanzia ne era
rimasto solo affascinato.
Mentre
continuava a giocare con il pallone, Daisy esplorava nuovi livelli a
lui sconosciuti. Nessuno gli aveva mai vietato nulla però
qualcosa,
al tempo, gli
aveva suggerito che la danza
classica era qualcosa di inaccessibile, come le bambole e il rosa.
Erano cose da
femmine.
Un
confine
invalicabile, un autolimitazione silenziosa che gli ronzava nella
testa, insinuandosi senza troppe pretese: ancora e ancora.
Aveva
dunque
iniziato a mettere da parte anche quello,
senza
farsi più domande.
Si
era spento qualcosa,
sebbene la sua naturale
inclinazione in verità era solo rimasta sopita e dormiente:
una
scintilla fiammeggiante, rossa,
in fondo allo stomaco.
Normale,
Normale, Normale.
Andare
a scuola con una divisa dalla giacca blu.
Continuare
a giocare a calcio.
Uniformarsi.
Presto
ogni cosa aveva assunto i toni grigi di suo padre, che rincasava
sempre tardi: niente più colori, niente più rosa.
Persino il cielo era diventato scuro.
Non
si ricordava bene quando era cominciato.
La
solita partita del club, una colluttazione, un fallo; una rissa a
cui, come un attore da quattro soldi, partecipava perché era
Normale.
Poi
all'improvviso una sensazione diversa, insieme alle botte e al gusto
del sangue sul labbro spaccato.
Un
brivido lungo la schiena, il respiro smorzato, le mani anonime di un
avversario sulle spalle, il suo fiato sul collo, i corpi sudati, una
ginocchiata sulle palle che gli aveva fatto vedere le stelle.
Poi
il cartellino rosso
- di nuovo colore – e l'espulsione.
Sotto
la doccia fredda dello spogliatoio erano riaffiorate domande.
Che
succede? Che succede? Che mi succede?
La
prima erezione: dolorosa, piena di dubbi, fottutamente spaventosa.
Meglio
lasciar stare.
Lascia
stare.
È
fisiologico, è normale: è roba da maschi.
Ma
non era normale.
Lo
sapeva: il corpo non tradisce gli istinti, anche se fai finta di
niente.
Ogni
volta che cercava di annichilirsi, la scintilla bruciava più
forte.
Così
pian piano aveva iniziato a chiudersi, a rifugiarsi nella sua safe
zone, a rimanere statico e anonimo mentre Daisy (oh quanto era bella,
Daisy) continuava a danzare scintillante.
Eppure
aveva perso interesse per il ballo, il rosa, i vestiti e tutte quelle
cose strane.
Aveva
perso interesse per tutto.
Una
sola cosa gli contorceva le budella, spaccandogli il costato: Rendy
Maxwell.
Cristo,
se lo ricordava bene Rendy. Era il capitano della sua squadra.
Scontato,
banale, così dannatamente prevedibile come in un romanzo da
quattro
soldi. Invece no, era solo la dura e grigia realtà.
E
nascondere qualcosa che non capisci è impossibile.
Sì,
era stato banale, scontato, dannatamente prevedibile.
Come
la prima masturbazione dopo un allenamento al campo in un qualsiasi
giorno estivo.
Come
il pudore e la vergogna.
Come
il disgusto degli altri che avevano iniziato a capire prima di lui.
«Nessuno,
Nessuno, tu sei Nessuno, tu non sei Niente».
Per
l’ennesima volta era tornato a casa pieno di
sangue e
lividi.
Dopo
le offese, la rabbia, l'umiliazione, gli occhi di Rendy schifati
prima di colpirlo sul costato con un calcio non bastava più
isolarlo
durante le partite, causargli falli, lasciarlo in panchina. Si erano
spinti oltre.
Quel
giorno, uguale a tanti altri anonimi, non aveva pianto né si
era
difeso: basta che
finisca presto, basta che
finisca tutto.
Era
tornato a casa, sempre vuota e silenziosa, ed era corso in bagno:
aveva la faccia tumefatta.
Rosso,
graffi, sangue.
Ammutolito
e spento, non si riconosceva neanche.
Poi
gli occhi sul rossetto di Daisy, poggiato sulla mensola insieme ai
suoi trucchi.
Lo
aveva preso tra le dita tremanti; si era accorto di avere le nocche
sbucciate,
forse aveva
risposto, forse si era difeso... nemmeno lo ricordava, non gli
importava.
E
così, senza pensarci, aveva tolto il tappo e fatto roteare
il
rossetto sulle labbra.
Rosso
su Rosso: almeno era un colore. Non più grigio.
Eppure
qualcosa non andava. Non era normale.
Non
era lui, nemmeno con quel rossetto. Era di Daisy, non suo.
Chi
sei?
Furente
aveva spaccato il vetro dello specchio.
Non
lo sapeva.
Aveva
solo capito che,
in fin dei conti,
anche se era da maschi, il calcio gli piaceva: proprio ora che non
poteva giocare più.
Allo
stesso modo in cui gli piaceva Rendy.
Anche se era da femmine.
«Nessuno,
Nessuno, tu sei Nessuno, tu non sei Niente».
Forse
era davvero quella la risposta: era nato così e non sapeva
nemmeno
perché.
Note Autrice
Per la prima volta mi cimento in
un original.
Ci tenevo a partecipare alla challenge sul Pride Month con un piccolo
pezzo di scrittura e spero di essere riuscita nell'intento.
Ringrazio infinitamente Jinko che ha betato in modo delicato e
perfetto questa storia.
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