dream vs dream: jaemin vs renjun

di T00RU
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Renjun attraversò il corridoio a passi veloci, un po’ perché aveva paura del buio e delle luci fioche sparse che non erano decisamente abbastanza per farlo sentire sicuro -anzi, donavano quel pizzico di inquietudine in più di cui non aveva decisamente bisogno-, un po’ perché non sopportava l’idea di saperlo lì ancora un secondo di più.
Gli unici rumori del piano erano quello fastidioso delle suole delle scarpe contro al parquet ormai pieno di sudore e quello del bidello che si stava preparando a fare il giro di ogni sala prova per ripulirla da cima a fondo.
15 b.
Aprì lentamente la porta pesante, i suoi occhi incontrarono per prima cosa la forte luce della stanza -in contrasto con quella debole del corridoio- poi portò lo sguardo sulla figura agile che si muoveva al centro della stanza, talmente concentrata sul guardarsi allo specchio per controllare e correggere eventuali errori, che nemmeno si accorse della sua presenza.
Renjun sentì un’improvvisa ondata di rabbia e iperprotettività pervaderlo; rimase a guardare ancora per qualche secondo, appoggiato allo stipite della porta.
Quel che è troppo, è troppo.
«Jaeminnie» parlò; la sua voce era roca dopo le ore passate nello studio del vocal coach a provare e riprovare la canzone del debutto. Evidentemente, Jaemin non lo sentì.
Si schiarì la gola. «Jaemin» riprovò, ancora una volta senza successo.
«Na Jaemin» disse infine, con tono chiaro e deciso; i movimenti dell’altro cessarono all’istante, si girò verso la fonte del rumore con gli occhi spalancati, il fiatone e ogni centimetro del proprio corpo bagnato fradicio dal sudore.
«È tardi, Injun. Che ci fai ancora qui?».
Renjun sbuffò una risata. «Dovrei chiedertelo io. Saresti dovuto essere già a dormire dopo l’allenamento di oggi con gli altri; non ti è bastato?» e non voleva sembrare una madre petulante e iperprotettiva, ma era ormai la quinta volta quella settimana che lo beccava ad allenarsi da solo; non aveva detto nulla, all’inizio, ma sentiva che se l’avesse lasciato a se stesso anche quella sera, sarebbe collassato.
Jaemin si passò il dorso della mano sulla fronte per raccogliere il sudore che gli gocciolava dai capelli sugli occhi, l’altra mano appoggiata in vita. «No, non direi» disse con semplicità. Guardò Renjun ancora una volta e poi gli diede le spalle, andando verso l’hoverboard appoggiato contro al muro. «Il nostro debutto deve essere più che perfetto».
Il più grande fece un passo in avanti. «E lo sarà, Jaemin; datti del tempo». Con agilità lo raggiunse e lo afferrò per un braccio. «Spegniamo tutto e andiamo a fare un giro, ti va?».
Jaemin, riluttante, scese dall’hoverboard che ancora doveva accendere e con un sospiro si infilò la felpa che gli stava porgendo Renjun.

«Non pensavo ci fossero autobus per Garosu-gil a quest’ora» osservò Jaemin appena sceso dal veicolo che con la sua scritta 06035 se ne stava andando verso la fermata successiva. Era visibilmente più rilassato, Renjun se ne rese conto immediatamente.
Un po’ egoisticamente, era fiero di se stesso per essere stato l’unico -almeno, per quella settimana- a riuscire ad annullare lo stato di tensione continua in cui Jaemin si trovava da quando era stata annunciata la data del loro debutto; non lo avrebbe mai detto a voce alta, ma sapere di aver fatto dimenticare a Jaemin anche solo per mezz’ora tutto quello che non lo faceva dormire la notte lo riempiva di orgoglio ed affetto verso l’altro ragazzo.
«Quello era l’ultimo» spiegò Renjun, mentre guardava la tabella degli orari. «Mi sa che ci dovremo far venire a prendere».
«Hm» Jaemin lo affiancò nella lettura degli orari; aveva entrambe le mani nelle tasche della felpa, il suo gomito sinistro toccava delicatamente il braccio destro di Renjun. «Sarà un problema per i Renjun e Jaemin del futuro» disse infine, girandosi il necessario per rivolgergli un occhiolino.
Renjun gli sorrise, ignorando a fatica quella voce che nella sua testa stava urlando, in preda al panico, e che tra un grido e l’altro gli diceva di sporgersi in avanti, verso il viso del più alto, per baciarlo.
Un rifiuto proprio mentre sono bloccati lì senza apparente possibilità di ritorno? No, grazie.
Jaemin poi si girò ed iniziò a camminare; si fermò dopo qualche passo. «Che fai, non vieni?».

Jaemin, in un modo o nell’altro, lo sorprendeva sempre: quella sera, Renjun non sapeva dire se fosse in positivo o in negativo.
Con il passare del tempo, nei pochi mesi che aveva passato all’interno dell’agenzia e con il resto del gruppo, Jaemin era stato quello che Renjun aveva fatto più fatica a conoscere; per quanto le sue azioni fossero trasparenti, semplicemente faticava a capire cosa gli passasse per la testa.
Quella sera non era un’eccezione.
Renjun lo guardava mentre camminava al suo fianco, il suo viso illuminato dai lampioni accesi e dalle insegne al neon dei locali appena aperti; sembrava sereno, guardava in alto verso il cielo terso e si lasciava colpire il viso dal venticello che nel frattempo aveva iniziato a battere.
Solo un’ora prima l’aveva trovato nella sala prove, talmente stanco -Jaemin non l’avrebbe mai ammesso- da rischiare il collasso. Ed ora eccolo lì, in tutta la sua gloria, illuminato da luci artificiali che quasi quasi mettevano in risalto la sua pelle abbronzata.
Sentendo gli occhi di Renjun su di sé, Jaemin abbassò lo sguardo e gli rivolse un ghigno. «Mi devi dire qualcosa?».
Renjun aggrottò le sopracciglia, riducendo le labbra ad una linea sottile. «No, niente». Venne scosso da un brivido improvviso che gli partì dalla base della schiena fino ad arrivare alla nuca; aveva dato la sua felpa a Jaemin per evitare che prendesse freddo, ma –ironia della sorte- nel frattempo si stava ammalando lui.
Evidentemente se ne accorse anche il più alto, che senza dire niente gli prese una mano e la infilò nella propria tasca.
Le loro dita erano intrecciate; per quanto volesse far finta di niente, Renjun riportò lo sguardo sul volto di Jaemin, che ancora una volta stava guardando avanti, senza lasciar trapelare la minima emozione.
Renjun non l’avrebbe mai capito.

Il silenzio che era caduto tra loro non era nemmeno minimamente tanto imbarazzante quanto se lo sarebbe immaginato Renjun; anzi, era un silenzio confortevole che riempiva lo spazio tra loro di parole quasi invisibili che nella mente poetica e –purtroppo- da inguaribile romantico di Renjun li tenevano legati, vicini l’uno all’altro mentre ancora camminavano. Ed era la quarta volta che si ritrovavano a fare il giro di quella via, Renjun se ne accorse solamente perché quell’insegna del casinò era talmente accesa che gli facevano male sia occhi che testa.
Jaemin ancora teneva le loro dita intrecciate nella sua tasca, come se quel gesto potesse riscaldare Renjun -che, detto sinceramente, ancora aveva freddo e ora aveva anche il palmo sudato-, camminava lentamente e ogni tanto tirava un calcio ai malcapitati sassolini che si trovava sotto ai piedi.
«Ti va di mangiare qualcosa?» chiese poi, prendendo alla sprovvista il più basso, che in tutta risposta lo guardò come se gli fossero spuntate due teste; solo qualche secondo dopo si rese conto che, in effetti, Jaemin non aveva ancora mangiato nulla dall’ora di pranzo. Stava sicuramente morendo di fame.
Renjun si fermò a pensare e Jaemin con lui, senza accennare a voler lasciare la sua mano. «Conosco un posto non lontano da qui dove si mangia della carne» disse poi; il viso di Jaemin si illuminò all’istante, gli strinse la mano.
«Però è più una bancarella, che un ristorante» si sentì in dovere di precisare, per non vedere la sua espressione delusa nel trovarsi a dover mangiare in piedi, al freddo.
Jaemin, però, come suo solito lo sorprese nuovamente.
«E allora? Anche meglio» e con un’altra stretta della mano gli intimò di iniziare ad incamminarsi.

«Renjun!» la donna all’interno della bancarella si lasciò andare ad un’esclamazione di gioia nel vedere il giovane ragazzo avvicinarsi; quest’ultimo le rivolse un mezzo sorriso imbarazzato, la sua mano ancora intrappolata nella presa di Jaemin. «Buonasera, signora Yoo».
«Che ci fate in giro così tardi? Fareste meglio a tornare tra poco, l’ultima volta il tuo manager non sembrava felice di doverti riacchiappare» la signora parlava con voce forse fin troppo alta, abituata a lavorare di giorno nel chiasso delle strade, ma era una caratteristica che Renjun aveva sempre ammirato con tenerezza; la signora Yoo era stata una dei pochi -se non l’unica- a credere in lui e nel suo debutto, fin dal suo arrivo in Corea.
Ci aveva sperato forse più di lui.
Jaemin gli rivolse uno sguardo divertito, ricordandosi del giorno in cui tutti si erano preoccupati nel non trovare Renjun, solo per trovarlo a Garosu-gil a mangiare della carne, seduto su una panchina.
«Non si preoccupi» intervenne poi, rivolgendole uno dei suoi sorrisi smaglianti; come previsto, la donna si addolcì ancora di più, sembrava si fosse sciolta come un gelato al sole. «Non mi avevi detto di avere un ragazzo, Injunnie» gli fece l’occhiolino, portando una mano avanti.
«Yoo Miran» si presentò e -finalmente-, dopo più di mezz’ora Jaemin lasciò la mano del più basso per stringere quella della donna. «Na Jaemin».
Renjun stava pregando silenziosamente tutti gli dèi di sua conoscenza affinché la donna non alludesse a tutte le volte in cui gli aveva parlato di Jaemin e, per pura fortuna, lei si limitò a lanciargli uno sguardo divertito con tanto di alzata di sopracciglia; non disse niente.
Immediatamente dopo aver stretto la mano della signora, Jaemin ritrovò con facilità quella di Renjun, infilandosela di nuovo nella tasca della felpa.
Solo allora, Renjun si accorse che nessuno dei due aveva negato l’affermazione della donna; lui era troppo occupato a pregare, ma Jaemin?
«Comunque, noi due non siamo-».
«Semplici amici!» lo interruppe Jaemin, stringendogli la mano per l’ennesima volta, ora per fargli cenno di stare al gioco. «Eh, no. Purtroppo stiamo insieme più che mai».
Renjun stava per prendere fuoco.
Sentiva di essere arrossito così tanto, un altro poco e sarebbe stato la prima vittima di autocombustione del secolo -non che ne sapesse tanto, ma gli piaceva essere drammatico-.
Senza continuare la conversazione -e per fortuna, avrebbe voluto aggiungere Renjun-, la donna preparò due porzioni del menù classico; al momento di pagare, inserì qualche numero nella cassa.
«Le coppie pagano di meno, sono 12800 won in totale».
Preso com’era dai suoi pensieri e dal suo guardarsi intorno per cercare una panchina su cui sedersi, Renjun mancò totalmente l’occhiolino che la signora Yoo fece a Jaemin, e il suo sorriso in risposta, seguito da uno sguardo veloce verso il più basso.

Finirono per appoggiarsi al tronco di un albero, a guardare come la città si distendesse sotto ai loro occhi. Renjun prese un pezzo di pancetta. «Certo che sei proprio strano».
Jaemin alzò un sopracciglio. «Elabora».
Il più basso roteò gli occhi, sventolando le proprie bacchette in aria in un modo vano di trovare qualcosa da dire. «Ora la signora Yoo pensa che stiamo insieme» e mandò giù il boccone.
Jaemin fece lo stesso. «Rilassati, Injunnie. Lo sconto alle coppie era scritto sull’insegna, ho solo pensato di risparmiare» gli sorrise. «Quando debutteremo lo noterà anche lei che non stiamo insieme davvero».
Renjun non si era nemmeno accorto dell’insegna, ad essere sinceri; pensava fosse stata solamente una scusa della signora Yoo per farli pagare meno e convincerli a tornare presto a farle compagnia. Evidentemente si sbagliava.
Nel sentire il commento di Jaemin arricciò il naso in una smorfia. Mentre guardava di fronte a sé le luci degli appartamenti che si accendevano e spegnevano, aggrottò le sopracciglia; per quanto non volesse fosse così, era rimasto leggermente deluso. Forse, sotto sotto sperava davvero che Jaemin fosse serio; ma, ancora una volta era impossibile capire cosa gli passasse per la testa.
«Non hai più fame?» il più alto si sporse in avanti, osservando come nel piatto di polistirolo di Renjun fosse rimasta la maggior parte della porzione di carne.
Nemmeno se n’è accorto.
Quest’ultimo scosse la testa, offrendogli il piatto. «Finisci pure».

«Ti supplichiamo, Youngho hyung» Renjun aveva il telefono in viva-voce, lo teneva in mano nonostante il freddo notturno che gli stava facendo congelare le dita lentamente. Dall’altro capo della linea, Johnny tirò un lungo -lunghissimo- sospiro; i due ragazzi stavano ascoltando, attenti ad ogni rumore, ad ogni movimento, ad ogni parola nella speranza di sentire una risposta affermativa.
Un altro sospiro; «Arrivo» concesse poi, chiudendo la chiamata prima di sentire i due ragazzi gioire ed esultare.
«E ora non ci resta che aspettare» Jaemin si appoggiò al palo degli orari -nel frattempo erano tornati alla fermata dell’autobus per farsi trovare con più facilità-, stringendosi su se stesso per tenersi un po’ più al caldo; il freddo aveva raggiunto anche lui che, ancora un po’ sudato, aveva iniziato a tremare fin da subito.
Renjun rimase in piedi vicino a lui, entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta: guardava le macchine passare occasionalmente per strada, guardava i temerari che come loro ancora giravano per Garosu-gil; quando era sicuro di non essere notato alzava lo sguardo e lo puntava su Jaemin per un po’, studiando i suoi tratti facciali, la sua espressione seria, anche se rilassata. Aveva le sopracciglia leggermente aggrottate; senza pensarci una seconda volta, istintivamente Renjun si spostò dalla sua postazione accanto a lui e gli si piazzò davanti, portando una mano verso il suo viso e appoggiando la punta dell’indice tra le due sopracciglia aggrottate.
«Rischi di farti venire le rughe, almeno aspetta di debuttare».
Jaemin si lasciò andare ad un sorriso, roteando gli occhi; lo stava guardando, ma Renjun ancora una volta non riusciva a capire a cosa stesse pensando; per questo non disse niente ma sorrise a sua volta, continuando a tenere l’indice sulla fronte di Jaemin, un po’ in gesto di sfida, un po’ perché lo divertiva essergli talmente vicino.
Jaemin gli afferrò la mano; aprì la bocca e fece per dire qualcosa, ma il momento venne interrotto dal suono di un clacson dall’altra parte della strada. Youngho abbassò il finestrino e gridò. «Muovetevi, sfigati, se non volete passare la notte lì ad aspettare il primo autobus del mattino!».
Renjun e Jaemin si guardarono, il più alto lasciò andare la mano dell’altro; iniziarono ad incamminarsi verso la macchina.

Youngho li aveva lasciati davanti ai dormitori di quelli che da poco avevano il nome di NCT Dream; li aveva fatti uscire in fretta dall’auto e aveva intimato loro che se solo si fossero azzardati a rifare una cosa del genere, nemmeno Lee Soo Man in persona sarebbe stato in grado di salvarli dalla sua furia.
Renjun sapeva che Youngho non avrebbe mai portato seriamente a termine la sua minaccia, ma sicuramente non avrebbe più provato a svegliarlo a mezzanotte e mezza per farsi venire a prendere in posti remoti e sconosciuti. Quello poco ma sicuro.
I due stavano camminando lentamente per la casa, attenti a non fare rumore -svegliare Youngho a quell’ora era un conto, svegliare Zhong Chenle era tutt’altra storia. Renjun non voleva ripetere i propri errori-.
«Grazie, Injun» sussurrò Jaemin all’improvviso; Renjun scosse la testa, pensando di aver capito male. «Grazie per?» sussurrò di rimando.
«Per essere venuto a prendermi» Jaemin ancora aveva entrambe le mani nelle tasche della felpa di Renjun. Quest’ultimo roteò gli occhi, quasi incredulo del fatto che il più alto lo stesse anche ringraziando, come se avesse fatto chissà cosa.
«L’autodistruzione lasciamola a dopo il debutto, eh, Jaem?» e Jaemin ridacchiò, sottovoce.
Arrivato davanti alla stanza che condivideva con Jeno, il più alto fece un cenno di saluto con la mano e Renjun ricambiò, iniziando già ad incamminarsi verso la sua, di stanza -che fortunatamente non doveva condividere con nessuno-; improvvisamente, si sentì afferrato per una spalla e venne girato con forza -non che ne servisse tanta, era pur sempre piccolino e magrolino-.
Prima che potesse anche solo capire quello che stava succedendo, un paio di mani gli si appoggiò delicatamente sulle guance e altrettanto delicatamente Jaemin lo baciò; era stato un bacio corto, improvviso, e altrettanto velocemente Jaemin si era staccato e senza rivolgergli un secondo sguardo era entrato nella propria stanza.
La sensazione delle labbra di Jaemin sulle sue ancora persisteva mentre Renjun, in mezzo al corridoio e davanti alla porta della stanza di Jeno e Jaemin, ancora cercava di capire cosa fosse successo, e perché.
Il ragazzo si rassegnò con un sospiro.
Non l’avrebbe mai capito, Na Jaemin.


«Te lo ricordi quando eravamo due trainees e ti ho portato a Garosu-gil?» Renjun legge i caratteri scritti sul foglietto e poi alza lo sguardo su Jaemin, aspettando una risposta del ragazzo; quest’ultimo lo guarda e scoppia a ridere, guadagnandosi una risata anche da parte del più grande.
«Certo che mi ricordo» dice, un gran sorriso stampato in volto: entrambi si tengono stretti quel ricordo fatto di troppe ore passate a provare, troppo freddo fuori e vestiti troppo leggeri, delusioni decisamente infondate ed espressioni del viso forse fin troppo enigmatiche.
«Ah, sì?» Renjun inarca un sopracciglio. «Dove ti ho portato a mangiare, allora?». Lo sta guardando attentamente con un ghigno stampato in volto, mentre il più piccolo finge di doverci pensare su.
Renjun inclina la testa di lato.
«A mangiare della carne in un ristorante» quella di Jaemin è una bugia per metà: non vuole nominare la signora Yoo senza il suo consenso, questo è chiaro, ma vuole anche che quella sera non venga del tutto esposta agli occhi e all’immaginazione delle fan, dello staff, dei manager e del resto del gruppo.
Vuole che qualcosa di loro rimanga.
In più, nessuno oltre a loro due sa quello che è effettivamente successo quella sera; dover rispiegare tutto dopo così tanto tempo sarebbe troppo complicato.
«Corretto» si danno il cinque; Renjun gli lancia un’occhiata furtiva ed entrambi si sorridono, mentre il più grande accartoccia il biglietto e lo butta per terra come da copione.

«Proprio di quella sera dovevi chiedere?» Jaemin entra nella stanza del ragazzo e si siede sul suo letto, che -proprio come quella sera lì- è l’unico letto presente nella stanza; a Renjun piace stare da solo, non c’è dubbio.
Quest’ultimo alza lo sguardo dal telefono, mettendosi seduto sul materasso. «Mi sembrava un’esperienza carina da ricordare; soprattutto dopo la tua scenata di gelosia su Mark hyung» ricorda, alludendo al teatrino messo in scena un paio di ore prima: -Jaemin passa in rassegna tutte le domande, una dopo l’altra, con le sopracciglia aggrottate. «Quando ho scritto queste domande, l’ho fatto pensando solamente a te» afferma, alzando lo sguardo.
Renjun annuisce con fare innocente, facendolo innervosire ulteriormente. «Invece tu, a quanto pare hai pensato solo a Mark hyung: “Cosa mi ha detto Mark hyung la prima volta che ci siamo incontrati?”. Hah!» e così dicendo rotea gli occhi con fare plateale, tutto sotto allo sguardo palesemente divertito di Renjun-.
Jaemin fa finta di pensare, facendo qualche smorfia e portando l’indice a picchiettare un paio di volte sul mento; «Non era una scenata di gelosia» dice, fingendosi indispettito, e poi si sporge in avanti per baciare Renjun. Quest’ultimo ricambia, telefono ancora acceso in una mano e l’altra che istintivamente trova la guancia di Jaemin.
«Per fortuna sei venuto a prendermi».
«Eh, per fortuna».

 


Da quando ho visto quel DREAM VS DREAM per la prima volta, mi sono detta che avrei scritto qualcosa su quell'uscita che tanto li aveva fatti sorridere, e così è stato.
Boh, vabbé, li amo.
Come sempre non so bene cosa dire al riguardo, ma spero sempre che quello che scrivo vi possa piacere, e se vi va lasciate una piccola recensione!! Anche le critiche sono sempre ben accette, uwu.
Scusate per eventuali errori, alla prossima.
mar.





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