XIII Order

di Registe
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Capitolo 30 - Axel (VII)





Saïx in berserk e la sua Claymore





Toccare il punto A, toccare il punto B, accendere il dispositivo, teleportarsi alla postazione successiva, ripetere.
Vexen la faceva facile.
Era solo al secondo portale ed Axel già si sentiva il cuore in gola. Aveva evitato di pochissimo uno scontro con Lexaeus, tenuto a bada da Larxen, ma sapeva che non era quello il problema.
Una volta usciti da quelle strane capsule nella Stanza della Memoria, Axel si era sentito … diverso. Non aveva parole per spiegarlo. Era come se nel suo petto battesse un altro cuore, uno che sembrava fatto di magma e lapilli. Era chiaro che lo Spirito del Castello avesse ceduto loro parte dei propri poteri, ma non avrebbe mai immaginato quanto quel fuoco fosse desideroso di uscire e di trasformare tutto in cenere.
Nonostante i nuovi poteri sia Vexen che Marluxia avevano preferito concordare un piano d’azione per fronteggiare il Superiore ed i suoi leccapiedi, e quando quei due erano d’accordo su una cosa era chiaro che la situazione fosse molto delicata o molto complessa. Entrambe, talvolta.
Quell’imbecille di Larxen si era lanciata in avanti senza ascoltare le loro indicazioni, e adesso qualunque cosa Vexen avesse ideato doveva funzionare per forza.
Anche perché la parte più pericolosa del piano era stata affidata (o forse sarebbe stato meglio dire “scaricata” a lui).
Toccare il punto A, toccare il punto B, accendere il dispositivo.
Che poi, a dirla tutta, di dispositivo aveva ben poco. Era più una serie di fogli scarabocchiati con cerchi tutti diversi su cui il n. IV aveva incastonato con del ghiaccio dei pezzetti di piantine che si era fatto creare sul momento dal n. XI. Axel doveva solo toccare due punti precisi (solo quelli, si era raccomandato Vexen almeno cinquanta volte) ed attendere che le linee su quel disegno si colorassero di azzurro.
Poi, prima recarsi nelle altre stanze del Castello per ripetere la stessa manovra, doveva attendere.
E quella era la parte peggiore.
“È nella natura dei topi quella di scappare. Ma i topi sono molto più evoluti di te”.
Saïx uscì dal portale. Un passo alla volta.
Axel, ancora piegato in due, appoggiò il dispositivo a terra, coprendolo con uno stivale.
Sapeva che la bestia non gli avrebbe fissato i piedi.
“In effetti, una volta sistemati voi traditori, credo che mi scuserò con i ratti per averli insultati. Non mi viene in mente nulla di abbastanza infimo a cui paragonarti, Axel”.
“Allora non mi paragonare e basta. Che ne dici?”
Rimpianse la bravata non appena gli uscì dalla bocca.
Non aveva mai risposto a Saïx. Non in quel modo, almeno.
Sapeva che il licantropo lo avrebbe seguito. Il fiuto di quelle bestie non era certo a livello delle stregonerie del n. VI, ma anni nell’Organizzazione avevano insegnato ad Axel che il ramo licantropo della famiglia demoniaca aveva un olfatto da non sottovalutare. La bestia aveva sempre saputo dove si trovasse, o comunque gli era sempre bastato molto poco tempo per raggiungerlo.
Stavolta lo avrebbe usato a proprio vantaggio.
Perché, ne era sempre stato certo, Saïx avrebbe seguito soltanto lui. E questo avrebbe permesso a Vexen di lavorare indisturbato alla sua diavoleria alchemica che avrebbe dovuto stendere il licantropo in maniera definitiva.
Axel pregò solo di arrivare vivo per vedere quel momento.
L’altro lo fissava, le iridi gialle che non si spostavano affatto. Mandibola serrata, i muscoli della faccia così in contrazione che gli zigomi sembravano ancora più evidenti del normale. Nemmeno la spessa tunica nera riusciva a nascondere gli arti pronti a scattare, ed Axel sapeva che lo spazio che li separava non sarebbe stato sufficiente a proteggerlo se non fosse stato per la nuova magia infusa dallo Spirito.
Eppure, quando un piano sotto si potevano sentire i segni dello scontro tra Larxen ed il numero V, intorno al n. VII regnava uno strano silenzio.
Lo aveva seguito, ma non aveva ancora tentato di fracassargli il cranio contro la parete.
La cosa non lo rassicurò nemmeno un po’.
Cercò di almanaccare rapidamente tutte le possibilità, ma la bestia prese la parola. “Dov’è il n. XIII?”
Già.
Avrebbe dovuto aspettarselo.
Al solo sentir nominare il moccioso ingrato sentì una scarica attraversarlo dalla testa ai piedi. “Ha scelto da che parte stare. Quella sbagliata”.
“Cosa gli hai fatto?”
“Non mi dire che ti preoccupi di quello stronzetto”.
Ce l’aveva ancora, inchiodato nelle narici. Ben radicato dentro, come se fosse entrato nel suo cervello e vi si fosse aggrappato con gli artigli. Era lì, e più cercava di scacciarlo e più quello si faceva sentire con prepotenza.
L’odore del piccolo traditore che bruciava, ricordandogli di aver riposto per anni la fiducia nella persona sbagliata. L’odore della tunica che andava a fuoco, e del metallo delle sue chiavi diventate incandescenti. L’odore della delusione nell’aver scoperto che il suo “migliore amico” aveva spifferato tutto al Superiore.
E quell’odore lo faceva davvero incazzare.
“L’ho mandato a trovare Xigbar e Xaldin. Preferiva così tanto la loro compagnia che non ho potuto negargliela” rispose.
“Come immaginavo”
Si mosse, con calma, scivolando intorno a lui in modo circolare. Si teneva a distanza, ma non vi era alcuna sicurezza.
Axel si limitò a seguirne il movimento, attento a non scoprire il dispositivo alchemico casualmente ai suoi piedi.
Stava provocando Saïx, ma non aveva molte altre scelte.
Doveva tenerlo lontano dal n. IV, e finché la bestia sembrava più orientata a parlare che a saltargli alla gola avrebbe avuto qualche possibilità. La magia del Castello aveva reso i portali rapidi a nascere dalle sue mani, ma non era affatto desideroso di testare la sua nuova forza contro i muscoli e le zanne del nemico. Poteri dello Spirito o meno.
“Il Superiore era certo che non gli avresti mai fatto del male. Che lo avresti difeso in ogni caso, perché te lo aveva affidato. Gli ho espresso i miei dubbi, e detesto sapere di dover tornare da lui e dirgli che aveva torto”
“Beh, credo che il Superiore dovrà farsene una ragione. Non è l’unica cosa che abbia sbagliato negli ultimi tempi”
“Concordo” rispose.
Fece un solo passo avanti, ed Axel capì.
“Come ad esempio aver raccolto uno come te”.
Se l’energia del Castello non fosse stata nelle sue vene sarebbe molto sul colpo. Saïx mulinò la sua Claymore in aria proprio nel punto dove si trovava un istante prima. L’arma si abbatté contro la parete, ma il licantropo la mosse e nel giro di un istante fu di nuovo in perfetto equilibrio nella sua mano.
Axel aprì un portale e vi saltò dentro.
Atterrò proprio dove Vexen gli aveva indicato, la mensa estiva. Estrasse l’ennesimo dispositivo e lo attivò immediatamente, per poi appoggiarlo su una sedia lontano dallo sguardo del suo inseguitore. Saïx, guidato dal suo olfatto, lo raggiunse una manciata di secondi dopo.
Si circondò di un muro di fiamme non appena sentì il portale dell’altro aprirsi. Quello vi si scagliò contro, ma indietreggiò. “La tua magia è cambiata”.
“E non solo quella”.
La scarica che gli attraversò i nervi quando richiamò i poteri del Castello fu misto di fastidio e piacere: partì dai piedi, gli scosse tutta la schiena e corse fino alla punta delle dita.
I suoi chackram si accesero.
Li scagliò oltre la barriera di fiamme, poi l’incantesimo esplose.
Il primo chackram colpì il n. VII in piena faccia. I poteri del Castello dovevano averlo fatto desistere dall’attaccarlo frontalmente, ed aveva abbassato la guardia.
Decise che poteva fare di più.
Che voleva fare di più.
Il secondo chackram volò lungo il perimetro della stanza, e glielo fece atterrare alle spalle. Pensò a quando la bestia gli aveva quasi sfracellato il cranio in un impeto di rabbia, e le armi gemelle entrarono in risonanza. Detonarono prima una volta, poi due, poi tre, ogni istante che il n. VII lo aveva insultato ed umiliato gli scivolò davanti agli occhi, poi dentro i chackram. Gli sembrò di sentire persino la magia di Larxen, qualche piano più sotto, sintonizzarsi con la sua come due dita di una mano.
Era bellissimo.
Sapeva che ci sarebbe voluto ben altro per ammazzare quella bestia, ma quando l’energia nei suoi chackram si dissipò lo spettacolo fu ben oltre le sue aspettative.
Saïx aveva usato la sua Claymore come uno scudo. L’enorme mazza aveva assorbito la maggior parte del danno dei chackram, ed il metallo bianco ed azzurro si era trasformato in una massa nera attraversata da crepe rossastre. Tutte le decorazioni che riportavano lo stemma dell’Organizzazione erano esplose, ed anche le punte che ne caratterizzavano l’estremità erano ridotte a dei coni mozzati inutilizzabili. Ma fu l’aspetto di Saïx a colpirlo.
La massa di capelli azzurri era in fiamme. La bestia si scrollò il fuoco di dosso, ma la metà destra del muso doveva aver subito buona parte dell’attacco, perché la pelle era attraversata da ustioni e l’occhio sembrava quasi del tutto bianco, come se la sua magia avesse portato via iride e pupilla. Su quel lato i capelli erano quasi inesistenti, e la manica della tunica era stata incenerita ben oltre il gomito. Il braccio non era in condizioni migliori della faccia.
Se aveva dolore, la bestia non lo dava a vedere.
Richiamò le armi nei suoi palmi.
Non era mai riuscito a sfiorargli la punta dei capelli con una fiammata, e nemmeno Lexaeus o Xaldin durante gli allenamenti o le dimostrazioni erano mai arrivati a lasciargli più di un paio di lividi. Le volte in cui aveva osato sfidarlo il suo fuoco non sembrava nemmeno in grado di dargli fastidio.
Ma in quel momento … in quel momento .
Mandò a quel paese il piano di Vexen e tornò all’attacco.
Poteva farcela.
Poteva combattere. Poteva vincere.
Creò un cerchio tutt’intorno alla bestia. Andargli vicino sarebbe stata comunque una mossa stupida, ma adesso aveva qualcosa in più.
Si mosse nel fuoco, al sicuro, sentendo che quel calore inceneriva ogni forma di stanchezza. Senza pensarci vi guizzò all’interno, e prima che l’altro potesse anche solo voltarsi per contrattaccare si mosse alle sue spalle e gli scagliò un chackram addosso. Il licantropo lo parò, ma non con la sua solita velocità: Axel se ne accorse e corse nel fuoco subito alla sua sinistra, lanciando il secondo chackram nell’angolo scoperto e colpendo il bersaglio.
Saïx mandò un verso agghiacciante quando la punta dell’arma conficcata sopra il fianco gli esplose nella carne; mulinò la Claymore in mezzo al fuoco, ma al n. VIII i colpi sembravano scagliati al rallentatore. Li evitò tutti, dal primo all’ultimo, come un soffio in mezzo alle fiamme danzanti.
Richiamò le armi e le scagliò contemporaneamente: attraversarono i lati opposti della stanza e si incontrarono proprio sul corpo del n. VII, che ormai si faceva sempre più lento e da sotto la tunica non si contavano più le macchie carbonizzate del suo corpo.
Lui, Axel, poteva fermare un licantropo maggiore. Con i poteri del Castello poteva fare qualsiasi cosa.
Nonostante le ferite abbondanti, la bestia si voltò verso la sua figura tra le fiamme. “Cosa avete fatto ai vostri poteri?”
Il solito tono di comando, ma Axel riconobbe qualcosa.
Qualcosa di strisciante, che da quella gola assassina non si era mai affacciata.
Stanchezza.
“Abbiamo solo fatto l’uso giusto del Castello. L’uso pensato per gli esseri umani”.
E sì, era stanco.
Era curvo, e poggiava quasi tutto il peso sulla Claymore. L’ultima raffica di chackram si era abbattuta sul suo ginocchio destro, e Axel lo vide barcollare.
Il cacciatore e la preda avevano finalmente invertito i ruoli.
Di pericoloso, in quella bestia, adesso c’erano soltanto gli occhi. “Non dire sciocchezze, n. VIII” rispose “Stai usando la magia della famiglia demoniaca”.
“Notizia dell’ultima ora, Saïx” disse “Noi umani abbiamo più risorse di quante pensiate”.
“Voi umani non avete nulla”.
Fu in quell’istante che Axel se ne accorse.
Era flebile, quasi impercettibile: non vi avrebbe nemmeno fatto caso se non fosse stato per la posizione del suo avversario.
“Il Superiore vi aveva ammonito di non risvegliare la magia del Castello …”
Fu un riflesso, una comparsa oltre l’enorme vetrata del Castello dell’Oblio. Misera rispetto a quella del mondo che si erano lasciati alle spalle, ma abbastanza da disegnare una lama tra le loro figure e le tuniche nere. “… e adesso dovrete pagarne le conseguenze”.
La luce della luna si accucciò tra i capelli di Saïx.
L’istante successivo Axel si trovò contro la parete. Il suo corpo andò a fuoco e si accorse che, se non fosse stato per la magia del Castello, ogni singolo osso del suo corpo sarebbe andato in frantumi il colpo ricevuto. Il dolore che gli attraversava il petto era lancinante.
Ancora in ginocchio si buttò a terra, evitando per un soffio quella che a stento ricordava una mano. L’enorme arto, con addosso i brandelli del guanto distrutto, si conficcò nel muro bianco e l’intera parete fu scossa da una crepa. Axel sollevò lo sguardo, fissando il proprietario di quella mano.
Che la follia del sangue, lo stadio Berserk, appartenesse alla famiglia demoniaca era risaputo.
Che il ramo licantropo ne fosse maggiormente influenzato, anche quello lo si raccontava, anche solo come favola per impedire ai bambini di uscire nel bosco la notte.
Ma mai Axel aveva visto la follia del sangue in azione.
I lineamenti del n. VII erano un dedalo di forme impazzite. I muscoli delle guance erano tesi fino allo spasmo e lasciavano la bocca aperta. I denti, che nel n. VII apparivano soltanto più appuntiti di un umano, sporgevano da un lato all’altro senza regole. Si serrarono nella sua direzione, secchi come uno scatto, ma li evitò e si costrinse a rialzarsi, chackram di nuovo in pugno.
Con un solo movimento tirò a sé la mano incastrata e gli fu addosso. Axel frappose il chackram tra sé e la figura massiccia, ma quando comandò all’arma di caricarsi di nuovo di magia ed esplodergli addosso, l’altro vi si aggrappò con forza ed incastrò tutto l’arto nelle forme del chackram. Il n. VIII li tirò a sé, cercando di teleportarli con la magia, ma la presa dell’altro glielo impedì: provò a piantargli le punte dritte nel petto, ma questa volta nemmeno una minima smorfia di dolore attraversò il nemico, che lo strinse a sé ignorando le lame nel petto.
Axel fu costretto ad abbandonare la presa.
Per un attimo vide la bestia con entrambe le armi conficcate nel costato, forte come se si fosse trattato di una coppia di colombe. Sentì gli occhi gialli, dilatati e privi di pupilla, inseguirlo e mangiarlo nel profondo. Creò un muro di fiamme, ma l’altro lo superò con un solo salto.
Ne creò un altro, e chiese alle scintille di esplodergli sul viso, ma l’unico effetto che ottenne fu di scompigliargli i capelli.
La cicatrice sulla fronte, che aveva sempre trovato piuttosto particolare, sembrava essergli esplosa sul volto. Era più ampia, estesa, come se tutta la pelle del vecchio Saïx avesse deciso di rivoltarsi dall’interno.
Usò di nuovo i propri poteri per richiamare nei palmi i chackram. Evitò due attacchi per pura fortuna.
Il licantropo non usava nemmeno più la sua Claymore. Si lanciava in avanti con le zampe e con i denti, ed Axel non aveva alcun dubbio che se il mostro fosse riuscito ad afferrarlo sarebbe morto, intercessione dello Spirito o meno.
Aveva sottovalutato quello spiacevole dettaglio.
Ordinò alle fiamme di corrergli lungo tutte le braccia, poi le fece volare contro ciò che rimaneva del cappotto nemico.
La potenza delle fiamme attecchì sul vestito, ma non fu sufficiente. Saïx gli venne incontro di nuovo, incurante del fuoco che gli stava avvolgendo tutto il corpo.
Era chiaro che non provasse nemmeno dolore.
Axel scivolò dall’altra parte della stanza nel tempo necessario di vedere la pelle del suo braccio, ustionata prima della trasformazione, perfettamente intatta e con i muscoli dilatati fino allo spasmo.
Il bastardo rigenerava.
Le sue possibilità di vittoria si azzerarono.
Si difese spostandosi dietro al tavolo, ma prima che quello venisse travolto dalla furia del nemico si accorse del motivo per cui era giunto in quella stanza.
Il dispositivo alchemico era ormai ridotto ad un piccolo cumulo di cenere, così come gli altri che avrebbe dovuto posizionare. Non aveva la più pallida idea di cosa avrebbero dovuto realmente fare, ma capì che vi era ancora un membro che potesse aiutarlo.
Mandò i chackram di nuovo contro il nemico in carica, e non appena questi liberarono una cascata di scintille ne approfittò per aprire un portale.
“Vexen … ABBIAMO UN PROBLEMA!”
Vexen, inginocchiato nel bel mezzo della sala dei troni, lo fissò come se avesse appena visto un drago a tre teste “AXEL, HAI ATTIVATO I DISPOSITIVI?”
“NO!”
Sentì il rumore di un portale aprirsi sopra le sue teste, ed in un boato il n. VII atterrò in mezzo a loro. L’enorme cerchio che il n. IV stava disegnando con tanta foga esplose insieme al pavimento non appena il licantropo batté entrambe le zampe a terra.
Axel evitò i detriti teleportandosi sul primo trono a disposizione, ma lo scienziato non fu così rapido e venne sbalzato via. Vide il suo corpo ricoprirsi di una spessa patina di ghiaccio, e quella andò in frantumi al posto delle sue ossa quando impattò contro una parete.
L’animale fece scorrere lo sguardo dall’uno all’altro, quasi indeciso su chi sbranare per primo.
Axel si accovacciò nel trono, stavolta senza vergognarsi di sentire il cuore a mille. Aveva sperato in un aiuto più concreto da parte di Vexen e dei suoi nuovi poteri, ma la cosa non sembrava prendere una piega eccellente.
Gli occhi gialli di fermarono su di lui.
La voce, che fino alla trasformazione era stata molto simile nei toni a quella di un umano, stavolta sembrava uscire dalla gola di un mostro. “Quelli che se la prendono con i cuccioli …”
Si accorse in quel momento di dove fosse atterrato.
Il piccolo trono di cui stava stringendo convulsamente i braccioli era quello del n. XIII.
“… devono morire per primi”.
Non riuscì a capire se la cosa che gli esplose nella testa furono gli occhi azzurri del ragazzino o una Claymore appena evocata sopra le sue spalle. Il dolore divenne un tutt’uno con la testa, e quando cadde dal trono sentì il mondo trasformarsi in un’unica scintilla bianca.




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