A LITTLE DEMON♥

di Yume18
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Capitolo 4


King era veloce e non ci mise molto a raggiungere Meliodas in volo, ma ebbe difficoltà nel decidere come procedere. Si stava per scontrare con il capitano, quindi a prescindere dall’età non avrebbe dovuto sottovalutarlo, ma allo stesso tempo il suo avversario era pur sempre un bambino. Quindi trasformò la sua lancia in un cuscino, e la indirizzò di fronte a Meliodas. Il piccolo non poté evitala e ci finì contro. Poi King per impedire che scappasse di nuovo, trasformò la lancia nel guardiano e con questo tentò di immobilizzare il demone. Ma a Meliodas bastò agitare un braccio perché l’oscurità che lo circondava disintegrasse Chastiefol. E così il piccolo riprese la fuga. Elaine aveva raggiunto King e disse:

-Non riesco a leggere nella sua mente, non capisco se sia per via della trasformazione o per qualcos’altro.-

-No, non è la trasformazione. È sempre così, lui ha qualcosa di particolare. L’ideale sarebbe calmarlo interagendo con la sua mente, dopotutto è difficile per noi combattere normalmente con un avversario che non dobbiamo ferire fisicamente. E visto che noi non possiamo fare niente, l’unico modo è contare sulle abilità di Gowther.-

-Ci penso io a riferirgli il piano.-

E così dicendo Elaine scese verso terra. Meliodas vide la fata scendere e fece per inseguirla. King lo circondò allora con le molteplici lame della quinta forma della sua lancia.

-Non ti azzardare a toccare mia sorella. Sono io il tuo avversario.-

Ma mentre King parlava Meliodas si era già portato a pochi centimetri da lui e se il Fairy King non avesse avuto la prontezza di riflessi da erigere attorno a sé la barriera della ottava forma di Chastiefol si sarebbe trovato con la testa mozzata in un attimo. In quel momento Harlequin realizzò in pieno che il suo avversario faceva sul serio. Allora riprese a manovrare le molteplici lame. Meliodas le affrontò e deviò con l’oscurità che lo circondava. Ma quando giunse la lancia nella sua forma originale, il demone scartò di lato e fuggì ancora verso Lyonesse. Per fermarlo nel suo avanzare questa volta si schierò Elizabeth stessa. Coronata dalle bianche ali di divinità, si posizionò irremovibile di fronte al piccolo demone. Meliodas si arrestò, pronto ad attaccare ancora. Ma la ragazza lo guardò intensamente, senza battere ciglio. E il demone per un attimo si fermò. Allora lei gli parlò così:

-Meliodas, so che puoi sentirmi. Abbi pazienza, solo per un attimo, e rifletti. Laggiù, nella città che vuoi attaccare, ci sono tante persone che non hanno mai fatto nulla di male e che non ne farebbero neanche a te, se tu ti presentassi loro in modo pacifico. Non c’è bisogno di combattere e di odiare, se c’è la possibilità di vivere tutti insieme in pace. Quindi ti prego, fallo per me, pensaci un attimo.-

E mentre la ragazza parlava, Meliodas pareva essersi calmato, il potere oscuro languiva attorno a lui non più minaccioso, e il piccolo aveva chinato la testa. Dietro e sotto di lui, tutti si erano a loro volta fermati ed assistevano alla scena in silenzio. Tutti erano fiduciosi, che come Elizabeth 3000 anni prima era riuscita a fare breccia nel cuore gelido di Meliodas, anche adesso sarebbe riuscita a fermarlo. Quello che però nessuno aveva messo in conto, era che stavano tutti confrontandosi con un bambino e non un adulto. E quindi molto più impulsivo, fragile e soprattutto non completamente in grado di comprendere la profondità di certe situazioni. Così nel suo discorso non ancora interrotto e che sembrava portare a buon fine, Elizabeth giunse a toccare un tasto sbagliato, e fu tutto vano:

-…e se dovessi uccidere quelle persone pensa poi ai loro cari, amici, parenti, come pensi che si sentirebbero? Sarebbero tristi, soli…-

Il potere oscuro ebbe come un palpito improvviso, e riprese tutto il suo vigore maligno. Anche Meliodas al suono di quelle parole ebbe come un fremito. E prima che Elizabeth continuasse oltre alzò la testa ed urlò in risposta:

-Io sono solo, e sto benissimo così! Non me ne frega niente di nessuno, devono morire tutti, tutti, a partire da voi!-

Meliodas stava per scagliarsi contro Elizabeth quando una freccia di splendente luce violetta partì da un arco del medesimo colore, e trafisse la testa del piccolo demone. Gowther dal folto della foresta, aveva colto quell’attimo di distrazione del demone per colpire. Subito la bambola si ritrovò nei meandri oscuri della mente del capitano dei sette peccati capitali.


Benché Gowther sapesse bene come introdursi nelle menti altrui, trovò molto complicato esplorare quella di Meliodas. Era complessa e barricata. Irta di trabocchetti e vicoli ciechi. Fredda e oscura. E ben presto la bambola si rese conto di star viaggiando per corridoi millenari, e non tra le vie di una giovane mente. E questo dimostrava che il danno provocato dalla magia di Merlin non era irreversibile. Semplicemente la coscienza di Meliodas si era rifugiata momentaneamente tutta in una sola parte specifica della sua mente, quella di una lontanissima infanzia. Al momento del rilascio dell’incantesimo, tutti quei corridoi bui sarebbero stati di nuovo abitati e vivi. Ma di certo non meno complessi e pericolosi.
Quindi Gowther cercò con pazienza e prudenza e alla fine trovò quello che cercava, l’infanzia di Meliodas. Un panorama infelice e tetro lo accolse, popolato di ricordi sgradevoli. Protagonista e antagonista allo stesso tempo di quei ricordi non era altro che lo stesso re dei demoni. Un padre violento e irascibile, che non era in grado di donare affetto al suo attualmente unico figlio, né di insegnargli il significato e il valore dei sentimenti. Una figura distante e gelida, temibile. Il re dei demoni pretendeva dal figlio l’assoluta ubbidienza e perfezione. E solo quando Meliodas lo soddisfaceva nell’apprendere l’arte della distruzione, lo risparmiava dalla sua ira.
E nell’inferno di quegli avvenimenti germogliava e cresceva la personalità di Meliodas, da quelle esperienze derivava ogni suo comportamento e modalità di esprimersi. A partire dal linguaggio sboccacciato fino all’esasperata necessità di attenzioni e affetto. Solitudine e battaglia e nessun’altra alternativa per lui. Ma quello che il suo cuore desiderava era amore. Così il dolore di quella piccola creatura era cresciuto sempre più. Perché era nel dolore che lui viveva e solo il dolore, in tutte le sue facce, lui conosceva.

Ma l’ispezione di Gowther fu interrotta bruscamente. Ogni immagine si dissolse e Gowther si ritrovò a fluttuare in un immenso e nero spazio vuoto. Spazio che, in un attimo, venne totalmente colmato da un’entità oscura e malvagia. Così grande e potente da non poterla quantificare. Gowther si concesse un attimo per capacitarsi della natura così terribile di quell’essere. E poi notò, lontano, in un angolo di quella mente, il piccolo Meliodas. Era accovacciato e si teneva la testa. Da lui stesso si sprigionava il mostro. La bambola seppe di non potere nulla là dentro. Anzi, si ritenne fortunato di essere arrivato vivo fino a quel punto. L’entità si mosse minacciosa verso di lui, e Gowther scappò, prima di venirne sopraffatto e disintegrato.




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