Scie di cenere

di Amantide
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ANGOLO DELL'AUTRICE: Finalmente torno a scrivere una fanfiction e per la prima volta mi dedico a questo fandom. Ho fantasticato tanto su Newt e Leta ad Hogwarts e questa FF non è altro che uno sprazzo di tutto quello che immagino abbiano potuto combinare a scuola. Inizialmente doveva trattarsi di una semplice one-shot ma poi ho capito che forse la soluzione ideale era spezzarla in due parti. Spero che il racconto sia di vostro gradimento e che la lettura sia scorrevole, sono un po' fuori forma in termini di scrittura ma spero che abbiate ugualmente voglia di farmi sapere la vostra commentando e dandomi la giusta carica per proseguire!



SCIE DI CENERE

PARTE I
 

 

La bibliotecaria era una strega sulla sessantina con i capelli di un bianco quasi abbagliante e l’espressione tagliente addolcita da un paio di occhiali dalla montatura bizzarra. Lavorava a Hogwarts da trent’anni e in tutto quel tempo aveva visto la sua preziosa biblioteca popolata da studenti di ogni genere. Ultimamente a catturare la sua attenzione era uno studente del sesto anno, un Tassorosso a giudicare dai colori della sua divisa e dal suo temperamento. 
Era un tipo solitario, longilineo, con i capelli castano rossiccio e un ciuffo spettinato che finiva per coprirgli parte del viso cosparso di lentiggini, ed era un peccato perché i suoi lineamenti erano belli e delicati. Aveva un portamento un po’ goffo e una camminata buffa che lo rendevano inconfondibile agli occhi di chiunque l’osservasse per più di cinque secondi. 
In un paio di occasioni le aveva chiesto aiuto in merito ad alcuni testi particolarmente datati e, nonostante la sua timidezza, la bibliotecaria aveva costatato con piacere che il giovane era gentile e ben educato. 
Quel giorno, esattamente come tutti gli altri da una settimana a quella parte, il ragazzo si presentò in biblioteca subito dopo le lezioni; aveva il solito aspetto scompigliato, una stringa slacciata e qualche occhiaia di troppo, ma non mancò di rivolgerle un timido sorriso non appena varcò la porta della biblioteca.
La donna lo vide sistemarsi in fondo alla sala e occupare, com’era solito fare, l’intero banco con pergamene, taccuini, e volumi di ogni forma e dimensione. 
Qualche ora più tardi il ragazzo chiuse con un rumore sordo un grosso volume dalla copertina logora e impolverata sospirando affranto. L’orologio in cima alla libreria di fronte a lui segnava quasi le nove e il ragazzo si rese conto di aver saltato la cena per la terza sera consecutiva mentre un brontolio sommesso si levava dal suo stomaco in forma di protesta.
Il giovane si passò una mano tra i capelli spettinati, aveva l’aria sciatta e un po’ trascurata di chi non dormiva da troppo tempo e cominciava ad essere stufo di sentirselo dire da compagni e professori.
Sopraffatto dalla delusione sistemò le sue cose e lasciò la biblioteca domandandosi se avesse senso tornarci l’indomani. Le vacanze di Natale erano sempre più vicine e lui non aveva nessuna intenzione di rimandare a gennaio un progetto per cui si stava documentando da inizio anno. 
Camminando tutto storto sotto il peso della sua borsa attraversò il corridoio principale assorto nei suoi pensieri, urtò involontariamente un paio di studenti a cui mormorò un impacciato “scusa” e poi riprese il suo cammino scendendo le scale diretto alla sala comune dei Tassorosso. 
Nei pressi della cucina un profumino invitante risvegliò il suo appetito ricordandogli che non aveva cenato; ignorando i brontolii del suo stomaco svoltò a destra e continuò a camminare fino ad una parete in cui erano ammucchiate decine e decine di botti di vino. Istintivamente, quasi senza pensarci, il ragazzo tamburellò una melodia ritmata sui coperchi delle botti e subito queste si mobilitarono aprendo un passaggio che rivelava l’ingresso della sala comune dei Tassorosso. L’interno era gremito di studenti che s’intrattenevano chiacchierando davanti al fuoco scoppiettante del caminetto sotto immensi stendardi che riportavano i colori della casa di appartenenza. Alcuni giocavano a scacchi magici vicino alle ampie finestre rotonde ornate da tende giallonere e altri ancora si dilettavano nella lettura in un angolo della sala. Il ragazzo rivolse loro uno dei suoi timidi sorrisi accompagnato da un impacciato cenno del capo in segno di saluto e i compagni gli sorrisero di rimando. Sebbene non fosse nell’indole di un Tassorosso emarginare un compagno solo perché diverso o incompreso, il ragazzo sapeva di non aver stabilito dei veri e propri legami. Percepiva fin dal primo anno la fatica dei compagni nel rapportarsi con lui ma la cosa non lo stupiva poiché era lui il primo a ritenersi incapace di relazionarsi con i suoi simili. 
Imboccò rapidamente il tunnel che conduceva ai dormitori, gettò la borsa sul letto e recuperò una stecca di liquerizia dal cassetto del comodino. Ogni volta che gli capitava di saltare la cena ripiegava sulle stecche di liquerizia e, dal momento che capitava sempre più frequentemente, aveva approfittato dell’ultima gita ad Hogsmeade per fare scorta da Mielandia.
Tornò nuovamente in sala comune sperando che nessuno facesse commenti sul suo via vai; era tardi, mancava meno di un’ora al coprifuoco e non aveva nessuna intenzione di farsi trovare fuori stanza oltre l’orario, non di nuovo. 
La coppa delle case era ancora un lontano miraggio ma i suoi compagni non avrebbero certo gradito la perdita di altri punti per colpa sua.
Per sua fortuna nessuno dei ragazzi sembrò interessarsi a lui così imboccò il corridoio felice di non dover dare spiegazioni, non era un gran bugiardo e quando tentava di mentire finiva sempre per peggiorare la situazione.
Salì le scale a due a due nella speranza di recuperare un po’ di tempo ma queste cambiarono assetto un paio di volte obbligandolo ad allungare il percorso finché raggiunse il settimo piano con le gambe stanche e un accenno di fiatone.
Fu proprio in cima all’ultima rampa che fece un incontro inaspettato.
“Newt!” Esclamò sorpresa una voce femminile.
Il ragazzo sussultò, raddrizzò la schiena deciso a mascherare la fatica e rivolse un sorriso alla ragazza che si avvicinava dal fondo del corridoio, la stecca di liquerizia stretta in una mano ben nascosta dietro la schiena.
“Ciao Leta” mormorò Newt senza riuscire a concentrare lo sguardo troppo a lungo su di lei. 
“Non hai cenato neanche stasera?” domandò lei con l’aria di chi conosceva già la risposta.
“No” mentì Newt con molta poca convinzione.
Leta lo guardò con dolcezza e scosse il capo lievemente, allungò una mano e afferrò la stecca di liquerizia che Newt le teneva nascosta. La studiò con attenzione per un attimo poi, come se volesse accertarsi che i suoi sospetti fossero fondati, ne morse un’estremità.
“Liquerizia” decretò soddisfatta, “profumi di liquerizia, e di solito la mangi quando salti i pasti, non credere che non lo sappia” aggiunse a un palmo dal suo naso.
Newt sentì un brivido percorrerlo da capo a piedi, Leta gli faceva sempre quell’effetto e lui non ci si era ancora abituato.
“E poi in Sala Grande non c’eri, rivolgo sempre un’occhiata al tuo tavolo, lo sai.” Spiegò la ragazza restituendogli la stecca di liquerizia e posandogli un bacio sulla guancia che lo fece immediatamente arrossire.
“Ho… ho fatto tardi in biblioteca” spiegò Newt ritrovando a fatica l’uso della parola.
“E io che credevo che il topo di biblioteca della famiglia fosse Theseus…” ridacchiò Leta.
“Io e mio fratello frequentiamo le biblioteche per motivi molto diversi…” precisò Newt.
“Non ti starai documentando in merito a qualche altra creatura bizzarra, vero?”
“Non sono solo le creature bizzarre a destare il mio interesse ultimamente” buttò lì senza sapere bene nemmeno lui cosa intendesse di preciso con quella frase. Probabilmente era solo il suo ennesimo tentativo di manifestare a Leta i suoi sentimenti.
“E cosa ti porta al settimo piano?” chiese lei divertita dal suo imbarazzo e da quel pessimo tentativo di flirtare.
“Potrei chiederti la stessa cosa”
“Il Barone Sanguinario” ammise Leta scrollando le spalle.
Newt si accigliò, qualcosa non quadrava.
“E da quando tutto questo interesse per il Barone Sanguinario?” chiese Newt confuso.
Leta roteò gli occhi al cielo e minimizzò il tutto dicendo: “È solo uno stupido gioco.”
Newt aggrottò le sopracciglia, era Leta ad essere volutamente così criptica o era lui a non capire mai un accidenti?
Dal fondo del corridoio un paio di Serpeverde chiamarono la compagna a gran voce.
“Ti sei fatta nuovi amici vedo” osservò Newt sapendo che Leta, esattamente come lui, non aveva mai legato veramente con i suoi compagni di casa. 
Lei si volse a guardare i compagni, poi tornò a concentrare le sue attenzioni su Newt.
“È sempre bello vederti fuori dalle aule, Newt” disse come se stesse pensando ad alta voce mentre gli sistemava il nodo della cravatta giallonera che a Newt sembrò improvvisamente troppo stretto. 
Senza aggiungere altro, Leta si allontanò lungo il corridoio e Newt seguì con lo sguardo la sua figura finché l’eco dei suoi passi non si perse nel silenzio del castello.
Appena Leta sparì dalla sua vista Newt sentì l’improvviso bisogno di allentare il nodo della cravatta, poi tirò un sospiro di sollievo e riprese a camminare fino all’arazzo di Barnaba il babbeo. Era fondamentale che la sua mente fosse sgombra affinché riuscisse a focalizzare ciò di cui aveva bisogno. Incominciò a camminare avanti e indietro davanti all’arazzo mettendo a fuoco il luogo che desiderava raggiungere, qualcosa cominciò ad affiorare dal nulla mentre Newt sentiva il cuore accelerare i battiti. Dinanzi a lui, esattamente dove prima si trovava l’arazzo, si stagliava un antico portone in legno dall’aspetto un po’ sderenato e abbandonato a sé stesso avvolto da radici grandi come boa. Con il cuore a mille Newt abbassò la maniglia della porta e i suoi occhi s’illuminarono.
 
L’indomani Leta raggiunse l’aula di storia della magia un istante prima del suono della campanella sotto lo sguardo severo del professor Rüf che sembrò dispiacersi all’idea di non poterla redarguire per il ritardo. Con l’aria soddisfatta e molta poca voglia di seguire la lezione Leta prese posto in fondo all’aula dove Newt lottava contro il sonno e aveva l’aria di chi avrebbe preferito essere altrove.
“Se non ti conoscessi bene, direi che hai passato tutta la notte sveglio” bisbigliò Leta osservando l’amico soffocare uno sbadiglio.
“Sai bene che non ci è concesso stare fuori dalle sale comuni oltre l’orario” le ricordò Newt.
“Ho detto sveglio, non fuori dalla sala comune, e poi lo dici come se non l’avessimo mai fatto” osservò Leta con un ghigno.
“È proprio perché l’abbiamo fatto e siamo finiti in punizione che me lo ricordo così bene!”
Leta sorrise ricordando la loro prima punizione condivisa, per essere una punizione non era stata poi così male, anzi, in un certo senso lo considerava l’inizio della loro amicizia.
“Continui a non dirmi cosa ci facevi ieri al settimo piano” gli fece notare Leta.
“Qualcosa che finirà per mettermi nei guai suppongo” ammise Newt con un sospiro. Quell’affermazione non fece altro che incuriosire ancora di più Leta che senza riuscire a trattenersi disse: “Sono le cose che preferisco.”
“Scamander, Lestrange, entrambe le vostre case hanno un punteggio talmente basso da rasentare i minimi storici, e io di storia me ne intendo, volete veramente che vi tolga altri punti per non essere stati in grado di fare silenzio?” Li riprese il professore visibilmente scocciato per il loro continuo bisbigliare.
Leta si appoggiò allo schienale della sedia incrociando le braccia al petto mentre Newt si fece piccolo piccolo sul banco ignorando gli sguardi di rimprovero dei compagni che lo fissavano scuotendo il capo. Nessuno dei due rispose e il professore sembrò accontentarsi del silenzio per riprendere la sua noiosissima cantilena sulla storia dei Goblin.
 
“Non ho intenzione di metterti in mezzo” spiegò Newt al cambio dell’ora mentre si dirigevano nell’aula di difesa contro le arti oscure.
“Non avresti dovuto parlarmene allora” replicò Leta con finta innocenza.
“Non l’ho fatto” si difese il ragazzo.
“Ma qualcosa mi dice che finirai per farlo” Azzardò Leta divertita, ben conscia dell’influenza che aveva su di lui. Amava vedere Newt in difficoltà, quando cominciava a balbettare e incespicava nelle parole era così dannatamente irresistibile.
“Senti, dimentica quello che ho detto” fece Newt nel tentativo disperato di contenere Leta e la sua curiosità, “anche perché senza polvere volante tutto questo non può funzionare.” Aggiunse tra sé e sé.
“Polvere volante hai detto?”
“Shh” l’ammonì il ragazzo sperando che nessuno stesse ascoltando i loro discorsi.
“Scusa” fece lei abbassando la voce, “sbaglio o hai detto polvere volante?”
“Non l’ho detto” mentì Newt che come suo solito per rimediare ad un casino ne stava generando un altro.
“Leta siamo in ritardo, il professor Silente è comprensivo ma questo non significa che possiamo permetterci di arrivare in ritardo alla sua lezione.” Aggiunse prima che lei potesse fare altre domande mentre affrettava il passo.
“E se ti dicessi che so dove trovare della polvere volante?” fece lei certa di essersi giocata l’asso nella manica.
Leta vide Newt esitare, si morsicò il labbro inferiore e poi si rivolse nuovamente a lei. “Potrebbe essere pericoloso” sussurrò facendo vagare lo sguardo tra i compagni, preoccupato all’idea che qualcuno di loro potesse udire sprazzi di conversazione.
“Mi avevi già convinta quando hai detto che saremmo potuti finire nei guai, ora muoviti.” E così dicendo Leta afferrò il polso di Newt e lo trascinò fino all’aula di difesa contro le arti oscure.  Fu in quel momento che Newt capì di aver appena sugellato un tacito accordo da cui non sarebbe più potuto tornare indietro.
 
“Quindi dove la troviamo della polvere volante?” domandò Newt alla fine delle lezioni mentre attraversavano il cortile innevato.
“Nell’ufficio del preside Dippet naturalmente” rispose Leta come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Newt strabuzzò gli occhi e si lasciò sfuggire una risata nervosa. “E secondo te come diavolo la prendiamo?”
“Non ne ho idea, io ho detto che sapevo dove trovarla non come prenderla!”
Newt scrollò le spalle affranto, la situazione andava complicandosi.
In quel momento un gruppetto di Serpeverde li superò schiamazzando e uno di loro assestò volutamente una spallata a Newt che barcollò nella neve sotto lo sguardo divertito di Leta.
“Forse ho un’idea” disse lei fissando i compagni, improvvisamente colta da quella che sembrava un’idea geniale.
“La cosa mi fa paura…”
“Di recente tra noi Serpeverde è nata una stupida moda… ogni sera uno di noi propone una prova di coraggio a cui devono prendere parte tre compagni.”
Newt ascoltava in silenzio, i Serpeverde erano bizzarri e quando si annoiavano erano capaci di inventarsele tutte.
“Ha forse qualcosa a che fare con il Barone Sanguinario?” domandò Newt ripensando alle parole di Leta la sera prima.
“Beh, quella era la prova di ieri… si dà il caso che oggi sia io a doverne proporre una… e recuperare un po’ di polvere volante dallo studio del preside mi sembra sufficientemente audace come proposta.”
“E tu pensi che qualcuno accetterà una prova del genere?” fece Newt incredulo.
“Ho compagni abbastanza stupidi da rischiare un’espulsione pur di essere ricoperti di gloria per una manciata di minuti.”
“Beh, in questo caso la loro stupidità ci farà comodo”
“Domani avrai la tua polvere volante, Newt!”
 
La mattina seguente Newt raggiunse la sala grande per colazione sperando di incrociare Leta e scoprire se i suoi compagni avevano avuto successo. Era talmente elettrizzato all’idea di riuscire nel suo intento che aveva passato la notte in bianco e la sua faccia ne era la prova più lampante.
Appena raggiunta la sala grande lanciò subito un’occhiata alla tavolata dei Serpeverde, Leta di solito sedeva in fondo, ma quella mattina non c’era.
Newt sospirò abbacchiato e si sedette accanto agli altri Tassorosso, fu proprio in quel momento che Leta giunse alle sue spalle e lo fece sobbalzare.
“Leta!” esclamò lui e prima che potesse aggiungere qualsiasi tipo di domanda lei gli mostrò un piccolo sacchetto di cuoio che poi nascose subito.
“Mangia” gli disse con fare quasi materno, “ne hai proprio bisogno, ci vediamo alla prima ora.” E così dicendo sparì dalla vista di Newt mescolandosi alla folla di studenti.
 
Tre ore più tardi, dopo la lezione di erbologia, Newt affiancò Leta all’uscita della serra numero quattro.
“Newt non ti consegnerò la polvere senza prima sapere a cosa ti serve” dichiarò lei riconoscendo il suono dei suoi passi prima ancora che lui potesse aprire bocca.
“È solo un esperimento…” si difese Newt che bramava quel piccolo borsello tanto quanto un bambino desidera una confezione di cioccorane. 
“C’è di mezzo un altro dei tuoi animali, vero?” azzardò Leta studiando attentamente l’espressione dell’amico nella speranza che si tradisse.
“No… beh, cioè forse sì, ma non c’è bisogno che ti preoccupi per me” balbettò Newt cercando di sottrarle la polvere volante.
“Ieri hai detto che poteva essere pericoloso” gli ricordò Leta.
“Si ma… mi riferivo al recuperare la polvere volante e visto che ci hanno già pensato i tuoi compagni cosa ne dici di darmela?”
Leta non sembrò credere neanche per un secondo alle parole di Newt, era troppo sincero per riuscire a mentire bene.
“Di che animale si tratta questa volta?”
“Nulla che io non sia in grado di controllare” dichiarò Newt con molta poca convinzione.
“C’è bisogno che ti ricordi cos’è successo l’ultima volta con i pixie?”
Newt ridacchiò. “Sono creature dispettose… è nella loro natura generare un po’ di trambusto.”
“O con i plimpy che hai recuperato nel lago nero l’anno scorso…”
“Avevano bisogno d’aiuto!” Si giustificò Newt toccato sul vivo.
“Sì, e tu hai ancora le cicatrici sulle mani” osservò Leta.
“Guariranno” minimizzò lui nascondendole.
“Vuoi dirmi di cosa si tratta o no?” insisté lei.
“In effetti preferirei di no” borbottò Newt stringendosi nelle spalle.
“Ok, visto che sei così testardo lo scoprirò da sola” minacciò lei sottraendo un taccuino dalla borsa dell’amico con un gesto fulmineo.
“Leta!” La redarguì lui tentando invano di recuperare i suoi preziosi appunti.
“Ashwinder!?” Esclamò lei dopo aver sfogliato qualche pagina. “Fai sul serio?”
“Non vedo perché no” brontolò lui impossessandosi nuovamente del suo taccuino e riponendolo con cura nella borsa.
“Li abbiamo studiati l’anno scorso e…”
“Studiati?” ripeté lui in tono denigrante, “sentirli nominare a lezione di cura delle creature magiche e leggere cinque misere pagine sul libro di testo tu lo definisci studiare?”
“Sì se è sufficiente a superare un esame” replicò Leta da perfetta Serpeverde.
Newt scrollò le spalle e roteò gli occhi.
“Leta qui non si tratta di passare uno stupido esame, conoscere e comprendere le creature che popolano il nostro mondo è fondamentale. Come possiamo pretendere di vivere in sintonia con ciò che ci circonda se non siamo mossi dalla curiosità di saperne di più?”
Leta guardò Newt con compassione. I suoi occhi brillavano e trasmettevano sincerità, com’era possibile che un animo puro e genuino come quello di Newt fosse tanto in sintonia con uno ribelle e tormentato come il suo?
“Perché proprio l’ashwinder?” domandò Leta.
“Cosa ti ricordi sul suo conto?”
“Poco e niente” ammise la ragazza.
“L’Ashwinder si genera quando un fuoco magico viene lasciato bruciare senza sorveglianza per troppo tempo.” Spiegò Newt entusiasta mentre cominciava a nevicare. “Ha l’aspetto di un sottile serpente verde pallido con occhi di un rosso ardente e lascia una scia di cenere dietro di sé quando si muove.” Continuò il ragazzo con entusiasmo crescente. “Ma la cosa più affascinante è che questa creatura vive solo un’ora e la trascorre alla ricerca del luogo ideale per deporre le uova, dopodiché s’incenerisce. Le uova sono rosso brillante e pare che emanino un intenso calore, per questo è fondamentale trovarle e congelarle subito. Inoltre le uova congelate sono un prezioso ingrediente per la preparazione di vari filtri d’amore.”
“Filtri d’amore?” domandò Leta incerta, “a chi devi rifilare un filtro d’amore?”
“Io… cos… non me ne frega niente dei filtri d’amore” spiegò sconcertato dal fatto che Leta si fosse concentrata sull’unica caratteristica di quella creatura che a lui non interessava più di tanto. “È una delle sue proprietà ma questo non vuol dire che io voglia catturare un ashwinder per preparare un filtro d’amore.” 
“Quindi vuoi catturare un ashwinder? È questo che stai tramando?”
Newt abbassò lo sguardo e prese a fissarsi le scarpe, il tono di Leta suonava come un’accusa ma lui era troppo determinato ad approfondire le sue conoscenze su quella creatura per rinunciare. Neanche Leta sarebbe riuscita a fargli cambiare idea.
“In realtà non è proprio così… la mia idea è quella di osservare il momento in cui si genera, monitorarlo nel corso della sua breve esistenza per verificare dove depone le uova e, una volta che si sarà incenerito, congelarle per poterle studiare, e questo è il motivo per cui ho pensato di fare tutto questo nelle vacanze di Natale…” spiegò Newt alludendo al fitto strato di neve che avvolgeva il castello.
“Hai detto che ci vuole un fuoco magico…”
“Ecco perché ho bisogno di questa” fece Newt approfittando di un momento di distrazione per sottrarre a Leta la polvere volante.
“… e che va lasciato bruciare incustodito. Non puoi accendere un fuoco magico in sala comune e andartene come se nulla fosse, te ne rendi conto?”
“A questo ho già pensato” precisò Newt, “ho un posto sicuro” aggiunse in risposta allo sguardo dell’amica.
“E quale sarebbe?”
“Diciamo che ha qualcosa a che fare con il settimo piano.”
Leta si accigliò. “C’è qualcosa che io possa fare per convincerti che non è una buona idea?”
“In effetti no… mi conosci abbastanza bene da sapere che lo farò comunque”
“Ogni tanto mi domando se il cappello parlante era ubriaco quando ti smistò in Tassorosso.” Concluse lei senza riuscire a trattenere un ghigno.
Newt sorrise.




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