Charles Weasley non era mai
stato un mago armato di pazienza, soprattutto quando si trattava di
esseri umani viscidi e falsi; che fossero purosangue, mezzosangue o
nati-babbani non aveva importanza: la porta di casa era sempre lieta di
far conoscenza con il loro naso.
Nonostante questo, per Rita Skeeter l’odore di uno scoop era più
forte di una qualsiasi porta sbattuta in faccia. Era riuscita a eludere
la barriera magica presente a protezione della riserva naturale dei
draghi, presentandosi tutta profumata e imbellettata nel suo vestitino
verde davanti a casa di Charlie, mostrandogli il sorriso più
accattivante del repertorio.
Fu un flop.
«Le dispiacerebbe ripetere, signor Weasley?».
Charlie guardò verso l’alto, constatando tristemente che quell’ombra
che aveva appena oscurato il sole non era un Ungaro Spinato pronto a
papparsi in un sol boccone quella donna, ma una semplice nuvola. «Le ho
detto che sono più interessato ai draghi che alle donne. Perciò, se non
vuole diventare un delizioso spuntino per il Petardo Cinese che vive
qui vicino, le conviene sparire», ripeté, aggiungendo anche la parte
dove la invitava, nella maniera più gentile che conosceva, a girare sui
tacchi. In realtà non avrebbe mai permesso ai draghi di divorarla:
temeva che quella donna avesse un saporaccio e li avvelenasse.
Rita stava per ricevere la porta dritta sul naso, ma lei non era una
donna qualunque: era un demone in gonnella, con tantissimi assi nella
manica. «So della GiraTempo», disse, sbrodolando puro miele dalle
labbra stirate in un sorriso odioso.
Charlie si fermò con l’enorme mano sull’uscio, guardandola male,
mentre la sua dannata penna prendiappunti si muoveva sul bloc-notes
sospeso, come fosse una spada, colpendo e ferendo Charlie con parole
che ne descrivevano la sorpresa.
«Oh, non si preoccupi, signor Charles...».
«È signor Weasley, per
lei».
«Signor Weasley, la vicenda è talmente datata che è ormai caduta in
prescrizione. Non sarebbe carino raccontarmela?».
Charlie sospirò e le fece segno con gli occhi di entrare. Rita si
intrufolò dentro la casupola dell'uomo, un monolocale piccolo e
disordinato, andando subito a prendere posto su una sgangherata sedia
in legno.
Charlie si sedette davanti a lei, facendo cigolare il tavolo sul
quale poggiò le grosse braccia macchiate da innumerevoli lentiggini e
segnate da profonde cicatrici, ma la donna non sembrava affatto
inquietata dalla sua mole o dal suo aspetto.
Gli unici due motivi per i quali Charlie l’aveva fatta entrare
erano: perché quella donna, anni prima, aveva aiutato Harry Potter
scrivendo quell’articolo sul Cavillo che riportava la verità su
Voldemort e perché Charlie aveva paura che rimanesse lì in giro a
spiarlo sotto forma di scarafaggio, alla ricerca di un altro scoop,
quindi meglio fornirgliene uno che la facesse andare via una volta per
tutte.
Se voleva la storia della GiraTempo, l’avrebbe avuta e dopo si
sarebbe levata dai piedi.
La penna prendiappunti era indaffarata a descrivere gli innumerevoli
soprammobili, peluche e poster a forma di drago presenti in quella casa
– “Sembra un tempio dedicato al culto draconico! Impensabile che un
uomo grande e grosso come Charles Weasley possa avere un animo dolce da
collezionista di pupazzetti!” –, quando Rita iniziò a raccontare al suo
interlocutore ciò di cui era già a conoscenza.
«Suo fratello minore Percy Ignotus Weasley era, ed è tuttora, un
mago brillante: al terzo anno di Hogwarts ha avuto ben dodici in
G.U.F.O., come vostro fratello William», disse, senza bisogno di
consultare alcun appunto. La memoria di quella donna era inquietante.
«Non chiederò le ragioni per le quali lei, signor Weasley, non ha
raggiunto lo stesso livello dei suoi fratelli, mi sembra palese»,
sentenziò con una smorfia, senza soffermarsi troppo su queste
frivolezze. «Piuttosto, so che la professoressa McGonagall aveva fatto
richiesta al Ministero della Magia di dotare Percy di una GiraTempo per
i suoi studi».
«È esatto», annuì l’uomo, passandosi una mano tra i corti capelli
rossi.
«E quando suo fratello Percy era in terza, lei era al settimo anno».
«Corretto anche questo».
«E gli ha rubato la GiraTempo».
«Non le si può proprio nascondere niente».
«Ho le mie fonti».
«Chi glielo ha detto?», domandò a quel punto Charlie. Non poteva
essere stato suo fratello Percy: piuttosto che ammettere di aver perso
di vista un oggetto così raro e prezioso, permettendo a qualcuno che
non disponeva dell’autorizzazione ministeriale di utilizzarlo, si
sarebbe cruciato da solo.
«Si dice il peccato, non il peccatore, signor Weasley», sorrise
Rita, sistemandosi meglio gli occhiali sul ponte del naso.
Charlie sospirò, facendole cenno di continuare; avrebbe indagato
dopo sulla faccenda.
«Lei non si è reso conto di ciò che è riuscito a fare, signor
Weasley: quell’artefatto magico è creato in modo che non ci si possa
scostare nel tempo per più di cinque ore; lei è l’unico mago che è
sopravvissuto a un viaggio nel tempo mooolto più lungo». Charlie la
odiò seriamente quando prolungò le vocali, sembrava lo stesso tono con
il quale lui si rivolgeva ai Kneazle del vicinato per poterseli
ingraziare. «Purtroppo aveva appena compiuto gli anni e per questo non
aveva la Traccia su di sé, dunque non è stato possibile risalire
all’incantesimo da lei utilizzato per questa sua… marachella», continuò
lei.
Charlie si chiese perché quella donna non si faceva l’intervista da
sola, visto che già sapeva tutta la storia. Sul serio, che ci faceva
ancora a casa sua e che stava scrivendo quella maledetta penna?!
«Sì, avevo lanciato un incantesimo per attivarla, non volendo farle
fare i giri manualmente, ma devo aver sbagliato qualcosa», annuì
l’uomo, cercando di fare buon viso a cattivo gioco. «Gradisce del tè,
intanto?». La domanda non era per essere ospitale, affatto: il suo
vicino di casa era un Nato-Babbano e aveva lasciato lì da Charlie una
boccetta di un certo Guttalax, un farmaco babbano molto efficace che
stavano usando per il suo Firedrake con l’intestino pigro. Non voleva
avvelenarla, ma almeno le avrebbe reso il viaggio di ritorno indimenticabile.
«Grazie, Charles», fece lei, sorridendo lieta, non sapendo cosa
l’avrebbe attesa.
Il secondogenito della famiglia Weasley non la corresse, e mise a
bollire l’acqua magicamente. «Dunque cosa vuole sapere?», domandò lui,
tornando a sedersi comodo.
«Voglio che mi racconti cosa è successo quando è tornato indietro
nel tempo; semplice, no?».
Charlie sollevò gli occhi celesti al cielo. «Va bene». A quelle
parole, Rita fremette per l’emozione. «Niente veritaserum?», chiese a
mo’ di sfottò.
«Oh, non utilizzerei mai una cosa così barbara per estorcere la
verità a un intervistato… ma se vuole direttamente farmi vedere i suoi
ricordi...».
«Neanche morto», rispose l’altro, porgendole sul finale un sorriso
palesemente falso, di rimando a tutti quelli della donna.
La teiera iniziò a fischiare proprio mentre Charlie cominciava a
raccontare la storia; utilizzando un incantesimo non verbale riempì le
tazze con l’acqua calda, le foglie di tè e qualche goccia di lassativo,
approfittando del fatto che la donna fosse distratta. «Mio fratello
Percy sarà pure il più intelligente della famiglia, ma non ha mai
brillato per accume, a differenza di noi altri, e una notte ho visto
che aveva una GiraTempo. Ho fatto l’unica cosa che andava fatta:
gliel’ho rubata. Volevo vedere come funzionava, così la mattina dopo
sono uscito prestissimo dalla Torre Gryffindor e sono andato nella
foresta proibita, conscio che lì non avrei trovato nessuno. Come le ho
detto, sbagliai l’incantesimo per farla funzionare, e le lancette
girarono molto più del previsto: non andai indietro di poche ore, ma di
anni: settantasei per la precisione». Il tè venne servito sul tavolo e
Charlie dovette veramente trattenersi per non ghignare quando vide la
giornalista prendere la bevanda calda. Un altro incantesimo non
verbale, e quando Charlie portò il contenitore di ceramica alle labbra,
il livello di liquido nella tazza si abbassò, senza che lui avesse
dovuto berne neanche un sorso.
«La foresta non era poi diversa da come lo era quando frequentavo
Hogwarts, ma di sicuro erano cambiati gli studenti, e seppi esattamente
in che anno mi trovavo quando incontrai uno di loro, che cercava di
tornare all’interno della scuola prima che si potessero accorgere della
sua fuga notturna».
«Newton Artemis Fido Scamander», ghignò la giornalista,
centellinando la propria bevanda.
Charlie annuì, proseguendo con il suo racconto, cercando di narrare
soltanto i fatti oggettivi, mentre, dentro di sé, sentiva la dolcezza e
il calore di quel ricordo, rimembrandolo come fosse veramente in un
pensatoio.
*^*^*^*^*^*
«Newt Scamander...». Charlie non ci mise che un secondo a capire chi
aveva di fronte.
Lo aveva visto in una foto d’epoca tratta dalla sua autobiografia, e
sapeva di non sbagliarsi: anche da adulto aveva mantenuto le
particolarità nella posa e nella camminata che aveva da giovane.
Gli occhi color miele di Newt si posarono stupiti su quello che per
lui era un totale estraneo. «Chi… chi sei? Co-come fai a conoscermi?»,
gli chiese, preoccupato. Nonostante la livrea Gryffindor – anche se la
cappa era di fattura leggermente diversa da quella che indossavano –,
non aveva mai incontrato quello studente prima di allora, ed era ormai
al sesto anno!
Charlie fece per rispondere, ma venne attratto da ciò che il giovane
Hufflepuff teneva tra le mani: poteva essere scambiato per un semplice
riccio, ma Charlie ebbe l’intuizione che si trattasse di una creatura
magica. «È uno Knarl, vero?».
Newt trasalì, non aspettandosi una domanda del genere. «Sì, l’ho
trovato nel bosco… è debole e ferito...».
«Non possiamo nemmeno dargli da mangiare o si arrabbierà…».
«Già… speravo di rubare del latte agli elfi domestici nelle cucine
prima di tornare al dormitorio», sussurrò Newt, carezzando piano la
testina della creatura per tranquillizzarla. Sollevò piano lo sguardo
al Gryffindor, battendo più volte le palpebre. «Come fai a sapere
queste cose?», domandò, genuinamente curioso. Non gli era mai capitato
di incontrare qualcuno con quel tipo di conoscenze sulle creature
magiche. Chiunque fosse quel ragazzo, ne era affascinato.
«Be’, l’ho...». Charlie si fermò, osservando di nuovo colui che
aveva di fronte, sentendo il rumore delle lancette scandire i secondi
di quel viaggio nel tempo.
Quell’Hufflepuff non era il magizoologo Newt Scamander – uomo di
grande cultura, conosciuto in tutto il mondo per i suoi viaggi, le sue
pubblicazioni e per il suo cuore, dedicato alle creature magiche e al
loro studio –, quell’Hufflepuff era un ragazzo che ancora frequentava
la scuola e, stando alle sue autobiografie, si prendeva cura degli
animali in difficoltà nella foresta proibita.
Charlie sorrise. Quello non era l’uomo che ammirava e con il quale
aveva parlato solo poche volte durante gli incontri con l’autore nella
libreria di Diagon Alley – aveva tutte le edizioni dei suoi libri,
alcuni anche autografati, tenuti come un prezioso tesoro. «L’ho
sperimentato sulla mia pellaccia. Uno Knarl mi ha distrutto il giardino
dopo che gli ho dato del cibo», spiegò, sperando che Newt si bevesse
quella balla.
A quanto pareva, il piano riuscì. «Wow… sai anche altre cose?»,
chiese Newt, guardandolo con occhi affamati di conoscenza.
Quel ragazzo era molto carino, nella sua corporatura esile e quei
sorrisi imbarazzati, mentre tentava invano di mantenere il contatto
visivo. Sembrava una bestiola della foresta, molto schiva verso gli
uomini, se non verso quelli che gli portavano da mangiare, e non c’era
cosa che sfamasse di più Newt che sapere qualcosa di nuovo sui suoi
piccoli amici. Ispirava tenerezza e senso di protezione.
Charlie aveva sempre amato gli animali, da quelli piccoli e carini
che avrebbe vezzeggiato tutto il giorno, a quelli più grandi e selvaggi
come i draghi, ad esempio. Newt gli ricordava quelli della prima
categoria: lo avrebbe davvero coccolato fino a farlo addormentare. Era
strano pensare quelle cose su un tizio che nel presente di Charlie
aveva più di novant’anni, ma lì era solo uno studente di Hogwarts, di
un anno più piccolo di lui.
Il secondogenito dei Weasley si riscosse dai propri pensieri. «Non
molto, giusto qualcosina», mentì, notando poi un movimento sotto lo
stemma Hufflepuff cucito sul mantello di Newt. «Tipo che hai un
asticello nascosto proprio lì». L’aveva tirata a casaccio, ricordando
che Newt teneva sempre con sé, nel taschino della giacca, un asticello
di nome Pickett. Purtroppo per Newt, si era ritrovato davanti uno dei
suoi più grandi fan.
Newt trasalì; avendo le mani impegnate a tenere lo Knarl non poté
nascondere la leggera silhouette dell’asticello e si ritrovò ad
arrossire. «Ti prego, non dire nulla: non potrei tenerlo, ma lui vuole
stare con me», disse sincero.
Charlie sorrise. «Non dirò nulla sul tuo amico, ma tu non devi dire
nulla su di me, va bene?».
Il futuro magizoologo annuì deciso. Era un accordo perfettamente
pari.
«Andiamo a curare la zampa dello Knarl», disse Charlie, dando una
leggera pacca alla schiena di Newt.
«Non è che hai qualche pozione nella tua borsa?», chiese, indicando
la cartella a tracolla consunta che Charlie aveva ereditato da Bill.
«No, niente del genere», disse mortificato.
Il ragazzo annuì e fece strada a Charlie verso il proprio antro
segreto, dove teneva tutte le creature ferite.
Normalmente, Newt non avrebbe portato nessuno lì – solo lui e Leta
Lestrange sapevano che quel magazzino era stato adibito a clinica –, ma
sentiva che quel ragazzo dai capelli rossi, con talmente tante
lentiggini da sembrare abbronzato, non costituiva una minaccia né per
sé, né per gli animali.
«Non ho capito il tuo nome», disse Newt, senza voltarsi indietro,
mentre camminava con passo storto.
«Charlie».
Newt girò appena il capo per porgergli un sorriso. «Piacere».
*^*^*^*^*
Rita aveva ascoltato tutta la storia di Charlie senza interrompere, e
osservava con fare scettico i fondi di tè rimasti nella propria tazza.
”Devi essere veloce o qualcosa ti scapperà”,
interpretò mentalmente, pensando a qualche altro scoop nei paraggi.
«Dunque lei ha fatto amicizia con il signor Scamander in quel
periodo?», chiese a Charlie, non interessata alla descrizione delle
creature delle quali si occupava Newt sotto Natale. Erano cose che già
sapeva dalle autobiografie del magizoologo.
«Sì, mi ha ritrovato come fossi una creatura smarrita nel bosco e si
è preso cura di me per quei giorni in cui sono stato suo ospite»,
rispose Charlie, con un sorriso addolcito da quei ricordi.
Rita ci pensò: era davvero una frase calzante, e la penna magica era
già al lavoro per trascriverla sul bloc-notes.
«E quanto durò il suo soggiorno nella clinica?».
«Solo tre giorni, ed è stato un bene».
«Perché?».
«Perché altrimenti sarei rimasto lì per sempre».
*^*^*^*^*
Newt Scamander si presentò alla pseudo-clinica subito dopo pranzo,
portando da mangiare ai suoi ospiti.
In quei tre giorni, Newt e Charlie avevano fatto amicizia e perfino
Pickett si mostrò al Gryffindor, anche se all’iniziò lo odiò per
avergli toccato le cimette senza nessuna creanza.
Era la prima volta che Newt si sentiva così in sintonia con qualcun
altro che non fosse Leta. Charlie era basso e grosso, e all’inizio gli
aveva fatto un po’ di paura vederselo spuntare tra la selva, lambito
dalle luci rosate dell’aurora, ma gli era bastato osservarlo come
prendeva tra le mani in maniera attenta lo Knarl per aiutare Newt a
steccargli la zampina, perché cambiasse idea.
Il suo corpo non era così per ferire le persone, ma per proteggerle.
Newton ne era inconsciamente attratto, e se ne rese conto solo
quando Charlie sollevò lo sguardo e lo colse in flagrante a fissarlo,
più volte; il giovane Hufflepuff abbassava prontamente gli occhi, in
imbarazzo. Non era abituato a incrociare lo sguardo con qualcuno, gli
unici con i quali accadeva erano i famigliari e Leta; gli altri di
solito lo ignoravano o lo reputavano fastidioso, mai interessante.
Charlie, invece, lo ascoltava incantato, rapito dalla gioia e
l’energia che sprigionava Newt mentre gli mostrava le creature alle
quali aveva prestato soccorso e quelle che aveva incontrato nei
dintorni di Hogwarts.
«Sai, gli altri miei compagni di scuola non mi capiscono. E non
capiscono nemmeno loro», disse Newt, imbronciato. «Da grande mi
piacerebbe girare il mondo e studiare le creature fantastiche, in modo
da scrivere una guida su di loro e poter aiutare gli altri maghi».
Quelle parole fecero sorridere tenero Charlie, che arruffò appena i
capelli del ragazzo, pur sapendo che Newt non era amante del contatto
fisico. «Sarebbe una splendida idea, Newt».
Mente Charlie era intento a guardare degli avvincini in una larga
boccia cilindrica, Newt, seduto contro il muro, si ritrovò a fissarlo
ancora e Pickett lo punse appena con una delle sue gambette,
richiamando l’attenzione della “mamma”. Bastarono due parole del
serviente per tingere di rosa le guance dell’Hufflepuff. «Non è vero,
Pickett...», soffiò in risposta a quei versetti, portandosi le
ginocchia al petto.
L’asticello gli fece una pernacchia e corse in direzione di Charlie.
«Pickett! Pickett non ci provare! Ti riporto nell’albero assieme agli
altri!». Le parole di Newt però non servirono a fermare la creatura,
che si infilò nella borsa di Charlie, lasciata là vicino.
Senza nemmeno chiedere il permesso, Newt la aprì per riprendere
l’amico, trovando, però, insieme a lui, anche un libro.
Il titolo riportato sulla costina attirò la sua attenzione come mai
gli era successo in tutta la sua vita, nemmeno quando aveva trovato
quell’unicorno nella foresta proibita: “Gli Animali Fantastici: Dove Trovarli, di
Newton Artemis Fido Scamander”. Era impossibile che si trattasse
di un’omonimia.
Newt lo prese con mano tremante, guardandone i bordi consunti e le
pagine rovinate.
«Forse non avresti dovuto vederlo», mormorò Charlie, dietro di lui,
facendolo sobbalzare.
Newt si girò verso di lui, impaurito e colpevole, pensando che
l’altro lo volesse colpire per aver frugato tra le sue cose; invece,
Charlie si sedette accanto a lui, lasciandogli quel volume in mano.
«Scusa, Newt. Avrei dovuto essere sincero con te fin dall’inizio»,
gli disse, volendo spiegare cos’era quel libro. «Io vengo dal futuro, e
nel futuro dal quale provengo tu hai scritto questo libro: è il libro
di testo di Cura alle Creature Magiche, un corso di studi di Hogwarts».
Tutte quelle rivelazioni colpirono Newt come una secchiata d’acqua
fredda.
Lui aveva scritto davvero il libro che sognava? Ed era addirittura
riuscito a trovare un editore? Ed era diventato un libro di testo
ufficiale per Hogwarts?!
Rimase a fissare Charlie con gli occhi sbarrati e la bocca schiusa,
incredulo.
«Davvero l’ho scritto io? Non è tutto uno scherzo dei miei compagni
di scuola?», chiese, con la voce incerta. Charlie gli sorrise,
prendendogli una mano. «Nessuno scherzo, Newt». Come controprova delle
sue parole, aprì piano il libro, mostrando a Newton la sua stessa firma
con una piccola dedica a Charlie.
Una lacrima solcò la guancia lentigginosa dell’Hufflepuff, mentre
intrecciava le dita con quelle dell’altro ragazzo. Nei suoi occhi
risplendeva tutta la gioia che provava nel cuore.
Pickett spuntò appena dalla borsa di Charlie, con le braccine
incrociate e lo sguardo furioso. E dire che lo aveva fatto per farli
litigare… Deluso dalla vita grama, tornò dalla mamma.
«Posso leggerlo?», chiese Newt, in fibrillazione.
«No, mi dispiace», sussurrò Charlie.
«Perché?».
«Perché tu devi fare queste esperienze in prima persona, Newt. Devi
imparare queste cose, viverle sulla tua pelle. Solo così il libro verrà
fuori per il capolavoro che è davvero, l’enciclopedia che ogni buon
mago dovrebbe avere. L’unica cosa che mi porterei se dovessi usare una
GiraTempo nella foresta proibita».
Le parole di Charlie fecero sorridere dolce Newt.
Era sempre stato molto determinato nel voler scrivere quel libro e
sapere che ce l’avrebbe fatta lo riempì di forza e risolutezza. «Sarà
facile?».
«No, sarà molto difficile, ma tu non demordere mai. Fallo per queste
creature che entrambi amiamo».
Newt annuì, stringendo ancora un poco le dita con quelle di Charlie.
«Tra quanto andrai via?», sussurrò.
«Se solo potessi… rimarrei qui per sempre», sussurrò Charlie,
carezzando il dorso della mano dell’altro con il pollice. Gli sarebbe
piaciuto rimanere lì con Newt, ma ripensò a sua moglie Propertina, al
loro figlio, al loro nipote… Come avrebbe potuto essere così
egoista da portargli via il suo vero futuro? Lui era solo un errore nel
tempo, non voleva essere l’errore più grande della vita di Newt. Una
persona buona e dolce come lui non se lo meritava. «Sento il ticchettio
delle lancette sempre più vicino, temo che la mia partenza sia
imminente».
«Magari ci potremmo rivedere, quando sarai tornato nel tuo tempo?»,
propose l’Hufflepuff, con la stessa ansia nel petto di come chiederebbe
un appuntamento a qualcuno.
«Nel mio presente sei un adulto. Non è possibile», rivelò triste.
Avrebbe dovuto obliviarlo, gli aveva davvero rivelato troppo, ma
Charlie era sempre stato un po’ egoista: voleva che Newt lo ricordasse
e non dimenticasse le parole che gli aveva detto.
Newt sorrise mesto e separò la mano da quella di Charlie, frugando
nella borsa fino a trovare penna e calamaio. «Non guardare», disse,
sollevando la copertina del libro per fare da barriera, in modo che
Charlie non vedesse ciò che stava scrivendo.
«Ehi, è il mio libro!»,
gli fece notare l'altro.
«No, è il mio libro», lo corresse Newt con un sorriso furbo, poco
prima di renderglielo. «Guardalo quando sarai tornato a casa».
Quelle furono le ultime parole prima che il ticchettio dell’orologio
diventasse ancora più forte e veloce, facendo ritrovare Charlie Weasley
in un polveroso magazzino del castello di Hogwarts. Da solo. Senza
nemmeno essere riuscito a salutare il suo dolce Newt.
*^*^*^*^*
Un inquietante rumore proveniente dall’addome di Rita interruppe quel
racconto, giunto ormai alla fine. L’espressione sul volto della donna
era sofferente: si sentiva sudata e l'intestino sembrava aver preso
vita propria; ma soprattutto, avvertiva una certa impellenza.
«Tutto ciò è molto interessante, Charles. La ringrazio per aver
rilasciato questa intervista», sorrise a disagio, alzandosi. La fretta
le si leggeva negli occhi. «Ora credo di doverla salutare, l’ho
disturbata fin troppo».
«Ma come, non vuole sapere di quando sono stato ritrovato nel
magazzino?», domandò l'altro con un sorriso.
«Ohw, no, Charles. Voglio mettere tutto per iscritto prima di
dimenticare qualcosa», disse la donna, nonostante la piuma avesse preso
nota di ogni singola cosa – pompandola, ovviamente. Fece per intascarsi
il taccuino, che una lingua di fuoco le passò accanto alla mano,
carbonizzando il suo fedele bloc-notes e sbruciacchiando alcune piume
della penna prendiappunti.
Rita rimase basita nel vedere la propria intervista andare
letteralmente in fumo.
Con la bocca ancora semi-aperta si girò verso Charlie, vedendo
qualcosa, che ai suoi occhi ignoranti era un piccolo draghetto,
svolazzargli vicino.
«Il suo drago… i miei appunti...», balbettò incredula.
«Non è un drago: è un firedrake, una lucertola», la corresse Charlie
con noncuranza.
Rita diventò paonazza e indicò il Weasley con un dito inquisitore,
ma un altro suono dalle proprie interiora la fece desistere. «Questa me
la ricorderò, signor Weasley!», disse a mo’ di minaccia, senza
intimorire per niente Charlie, che le aprì magicamente la porta.
«Arrivederci, signora Skeeter», disse compiaciuto, vedendola andare
via senza ulteriori indugi.
Una volta solo, Charlie diede qualche bocconcino sfizioso alla
lucertola, ringraziandola, e andò alla propria libreria – ben protetta
da incantesimi ignifughi, come tutto il resto della casa.
Il suo sguardo nostalgico si posò sulle coste dei libri, trovando
ristoro su quelle che portavano il nome di Newt. Con mano ferma e
sicura, prese l’edizione alla quale era più legato, togliendola dalla
scansia.
Da anni la tristezza non adombrava più i suoi occhi, nel pensare a
cosa si era lasciato indietro. Lo avevano fatto entrambi per l’unica
buona causa che valesse la pena: proteggere quelle innocenti creature
magiche.
Forse in un altro tempo lui e Newt sarebbero potuti stare insieme,
ma a quale costo?
Charlie aprì il libro alla prima pagina, sorridendo nel leggere la
grafia di Newt.
Come i draghi, che nella vita hanno un unico partner, così anche
Charlie non avrebbe voluto nessun altro se non il suo dolce Newt, il
giovane Hufflepuff che non avrebbe mai dimenticato.
È meglio aver
amato e perso, che non aver mai amato.
Tuo Newt