Foglie
da tè e
chiromanzia
«Posso
sapere cosa
hai intenzione di fare?»
Byron gli fece un
largo sorriso e continuò ad accumulare oggetti sul piano di
metallo del tavolo.
Faker sollevò un sopracciglio. Non capiva cosa avesse
intenzione di fare e non
era certo di volerlo sapere. Quella mattina era strano, molto
più del solito.
Chissà perché, poi, aveva mandato via anche
Christopher. Si strinse nelle
spalle e tornò a concentrare la sua attenzione sul collega,
che aveva preso
posto davanti a lui. Tra di loro c'erano un paio di tazzine, foglie di
tè che
non sapeva da dove fossero saltate fuori, una caraffa di
caffè, qualche
pendaglio e persino un mazzo di tarocchi. Corrugò la fronte:
perché cavolo
Byron aveva un mazzo di tarocchi? Lo sapevano tutti che erano solo
baggianate
per idioti, si meravigliava del fatto che l'amico – un
così brillante fisico
quantistico – credesse davvero a quelle cose. Che volesse
prenderlo in giro?
Serrò le labbra: poteva sopportare tutto, ma non quello!
Stava offendendo la
sua intelligenza.
«Ti avverto» gli
disse, «se inizi a tirare fuori l'oroscopo giuro che ti
caccio fuori a pedate.»
Byron scoppiò a
ridere. «Sarà divertente!»
«Mi stai prendendo
in giro? Come puoi anche solo pensare di poter parlare di certe
cretinate con
il sottoscritto?»
«Oh, vi chiedo
scusa, esimio collega, non era assolutamente mia intenzione!»
Faker corrugò la
fronte. Adesso cosa faceva, lo prendeva pure in giro? L'amico diede in
un colpo
di tosse e allargò le braccia.
«Benvenuto dal
Mago Byron, mortale!» esclamò, a gran voce.
«Mortale?»
«Oggi avrai
l'onore di ricevere i miei servigi» proseguì il
collega, fingendo di non averlo
sentito. Faker sollevò le sopracciglia: non c'era alcun
dubbio, era impazzito
per il troppo lavoro. «Non c'è bisogno che tu mi
ponga alcuna domanda, so quali
quesiti si aggirano nella tua mente. Con le mie doti di veggente e
l'aiuto di
questi preziosi strumenti, darò le risposte che
cerchi.»
«L'unica cosa che
cerco è la tua sanità mentale.»
Byron gli scoccò
un'occhiata offesa e gli puntò contro l'indice.
«Senti, il mago,
qui, sono io. L'unica cosa che devi fare è rimanertene in
silenzio e ascoltare,
niente di più.»
«Oppure sbatterti
fuori dal laboratorio a calci.»
«Certo, come se tu
potessi privarti del mio aiuto.» L'amico scrollò
le spalle e sospirò. «Sarà
breve e divertenti, fidati.»
«Non vedo come tu
possa trovare divertenti queste cose» borbottò
Faker. «Sono per gli stupidi e
io di certo non lo so. E, in teoria, neanche tu.»
«Vogliamo
scommettere che ti divertirai?»
«Non se ne parla.»
«Facciamo che se
non ti diverti, allora lasciamo perdere la mia idea di interpellare
Tsukumo
Kazuma.»
Faker si lasciò
sfuggire un verso esasperato e si passò la mano sul volto.
Ma era mai possibile
che oggi non si degnasse neanche di ascoltarlo quando parlava? Cosa
doveva
fare, prenderlo a sberle? Urlargli nelle orecchie? Cielo, aveva la
sensazione
che lo stesse soltanto prendendo per il naso!
«Non possiamo
tornare al nostro lavoro?» provò.
«No. Il Mago Byron
resterà in città solo per oggi, dovresti
approfittarne.»
«E sia! Tanto non
avrei altra scelta!»
Il collega gli
fece un largo sorriso vittorioso, poi ordinò all'IA
E.D.I.T.H. di abbassare le
luci della stanza. Faker si trovò immerso
nell'oscurità, con la sola torcia di
Byron come fonte di illuminazione. Non vedeva più nulla,
oltre al suo viso, che
non era neanche tutta questa grande visione.
«Iniziamo» disse
l'amico, mimando un tono basso e cavernoso, che cozzava molto con
l'espressione
divertita che aveva fatto capolino sulle labbra. «Adesso
sfruttando le mie
capacità extrasensoriali da telepate carpirò il
tuo nome.»
Socchiuse gli
occhi e iniziò ad agitargli le mani davanti al volto. Faker
roteò gli occhi:
iniziava a trovarlo irritante, ma una parte di lui era davvero curioso
di
sapere dove sarebbe andato a parare con quell'assurda messinscena.
«Hiroto» disse,
dopo una lunga pausa. «Sì, il tuo nome
è senza dubbio Hiroto. Hiroto Tenjo.»
«Complimenti, sei
davvero bravo a leggere il mio cartellino.»
«Silenzio! La
seduta non è ancora finita. Adesso risponderò al
quesito che ti angustia così
tanto.»
«Tipo cosa ti sei
bevuto questa mattina per essere così?»
«Tipo cosa
nasconde il tuo futuro» replicò Byron, con tono
drammatico. Prese una manciata
di foglie di tè e le gettò in una delle due
tazze, vi versò sopra dell'acqua da
una caraffa e rimase a lungo in silenzio, osservando le piccole
foglioline che
vorticavano pigre in superfice. Aggrottò la fronte e Faker
fece altrettanto.
L'amico era senza dubbio impazzito, ormai non aveva alcun dubbio,
altrimenti
non se ne sarebbe mai uscito con qualcosa di così ridicolo.
«Vedo… Vedo….»
«Delle foglie,
senza ombra di dubbio» lo interruppe Faker, storcendo le
labbra.
«Vedo una forma!
Sembra una mezzaluna…»
«Secondo me hai le
traveggole.»
«O una falce»
mormorò, dubbioso, Byron. Si massaggiò il mento.
«Sì, è senza alcun dubbio un
falcetto.»
«E poi cosa ci
sarà, il martello?»
«Le tue battute
sagaci sull'Unione Sovietica non funzionano con me.» Si
sporse sulla tazza e
corrugò la fronte. «C'è un falcetto o
una mezzaluna. Ricordatelo.»
Faker sollevò le
sopracciglia. «Come, scusa? Sei tu a dovertelo ricordare, non
io.»
«Invece devi
ricordartelo tu.» Prese la tazza e la svuotò
dall'acqua in un altro recipiente.
Gli mostrò il fondo, in cui si trovava un ammasso informe di
foglie verdognole.
«Vedi? La premonizione è chiara.»
«Io non vedo
proprio niente.»
«Ma come? E'
proprio qui! Questo piccolo grumo nell'angolo sinistro, anzi destro,
della
tazza.»
«Sinistro o
destro?»
«La tua destra,
che è la mia sinistra. Oh, insomma, è
qui!»
Faker assottigliò
lo sguardo, ma l'unica cosa che vide fu la solita massa informe di
foglie.
Tornò ad appoggiarsi sullo schienale della sedia.
«Diciamo che ho
visto qualcosa… Cosa dovrei aver visto, di
preciso?»
Byron sbuffò. «Un
cane, è ovvio! Non lo vedi?»
Scosse la testa.
L'unica cosa che vedeva era una macchia informe e appiccicosa, che
iniziava
pure a fargli venire la nausea.
«Ah, ho capito,
d'accordo! Il grande Mago Byron perdona la tua mancanza di
vista.»
«La puoi smettere?
Inizi a essere irritante.»
Byron gli sorrise
e mise da parte la tazza. Si schiarì la voce con un colpetto
di tosse.
«Il cane significa
"amici fedeli", perciò mi pare che la tua domanda abbia
finalmente
trovato una risposta…»
«Io non ti ho
fatto alcuna domanda.»
«…caro Hiroto…»
«E smettila di
chiamarmi in quel modo, lo sai che è un nome che
detesto.»
«Perciò possiamo
passare alla lettura della mano» concluse Byron, tendendogli
il palmo. Faker lo
squadrò sospettoso.
«Tu non ascolti,
vero?»
«Non oggi. Avanti,
dammi la mano.»
Faker sospirò e
gli mostrò il palmo. L'amico assunse un'espressione
concentrata e rimase a
lungo in silenzio.
«Ah, sì, è chiaro
come il sole. Lampante direi!»
«Cosa?» gli chiese
lui, fingendo un tono interessato. Non vedeva l'ora che quella tortura
finisse
e magari avrebbe gradito anche sapere perché, di punto in
bianco, si fosse
messo a fare tutte quelle cose assurde. L'idea che fosse impazzito del
tutto
continuava a sfiorarlo. Forse doveva chiamare uno psichiatra e farlo
portare in
manicomio? Oppure cacciarlo via e dimenticarsi di lui? Certo che, per
essere un
fisico teorico, aveva anche fin troppa immaginazione.
«Questa macchia!»
esclamò Byron, indicando qualcosa sul suo palmo.
«Ha la stessa forma di una
scimmia a sedere su uno sgabello.»
«E' un neo.»
«No, è l'impronta
del potente Tsui-Goab.»
«Che?»
«Un dio secondo la
popolazione Khoi.»
«La popolazione
Khoi.»
«Già» annuì Byron.
«La conosci?»
«Vagamente. Mi
meraviglia che tu la conosca?»
L'amico scoppiò a
ridere. «Pensi davvero che sia un completo ignorante su tutto
ciò che non
riguarda la fisica?»
«Un po'.»
«Ah, diretto come
sempre, vedo.» Byron fece un sorriso divertito.
«Bè, Alex me ne ha parlato a
lungo. Li ha incontrati e ha avuto a che fare con loro per diversi
mesi.»
«Alex?»
«Il mio amico
archeologo.»
«Davvero frequenti
gente inutile come gli archeologi?»
«Non vuoi sapere
cosa dice la tua mano?»
Faker si strinse
nelle spalle. «Se dice che sono un genio puoi risponderle che
lo sapevo di
già.»
«Vuoi che parli
alla tua mano?»
«Hai parlato con i
fondi di tè, prima.»
«Non ho parlato,
li ho interpretati. E' ben diverso.»
«E' sempre una
cretinata, esattamente come questa cosa che stai facendo. Quello
è un neo e ce
l'ho da quando sono nato.»
«Dovresti dirgli
che è un gran chiacchierone, allora, visto che mi ha
raccontato un sacco di
cose.»
Faker sollevò un
sopracciglio. Ma era serio? Non è che per caso era ubriaco?
Oppure aveva tirato
qualcosa dal naso prima di arrivare? Gli occidentali erano conosciuti
per la
loro passione per le droghe ricreative e anche per quelle un po' meno
ricreative. In effetti Byron aveva un atteggiamento fin troppo
libertino,
scoprire che si faceva di cocaina non avrebbe dovuto sorprenderlo
più di tanto.
Avrebbe spiegato perché si fosse messo, di punto in bianco,
a leggere fondi di
tè e palmi delle mani.
«Allora, vuoi
sapere cosa mi ha detto oppure no?»
«Non mi pare di
avere alternative.»
L'amico ridacchiò,
poi si schiarì la gola. «Dice che sei un testardo
egoista e che hai un pessimo
rapporto con i tuoi figli.»
«Vuoi metterti in
mostra?»
Byron si strinse
nelle spalle. «Non avrebbe molto senso, tu sei un pessimo
padre persino per gli
standard giapponesi.»
Faker gli sfilò il
palmo da sotto il naso e incrociò le braccia al petto.
«Immagino che tu ti
ritenga un ottimo padre, invece.»
«Ovvio.»
«E raccomandare
tuo figlio per farlo ammettere in un prestigioso laboratorio di ricerca
sarebbe
qualcosa che un ottimo padre farebbe?»
Byron storse le
labbra. «Io non ho raccomandato nessuno, Chris è
una mente brillante. L'hai
detto tu stesso, ieri.»
«Ho detto che sa
ragionare, non che è brillante.»
«E detto da te
significa che è un genio come non ne hai mai visti
prima.»
«Non ti hanno mai
detto che sei irritante?»
«Certo. A Oxford i
miei colleghi mi hanno pure fato una targa da mettere sulla scrivania.
C'era
scritto The sharp-tongued professor Arclight, che
tradotto significa…»
«Lo so cosa vuol
dire, per chi mi hai preso?» lo interruppe Faker, irritato.
«Ah, già,
dimenticavo che sei un genio poliedrico come non ne sono mai apparsi
negli
ultimi cento anni sulla faccia della Terra.»
«Se continui ti
prendo a pugni.»
Byron si appoggiò
allo schienale della sedia. «Sono più grande e
grosso di te, finiresti a gambe
all'aria nel giro di pochi secondi. Comunque penso di aver capito il
significato di tutti quei simboli messi assieme.»
«Non m'interessa
saperlo.»
«E io te lo dico
lo stesso, perché ti voglio bene e perché ho
sprecato troppi minuti della mia
vita con questa storia.»
«Quello che ha
sprecato tempo sono io.»
Byron gli fece un
largo sorriso. «Significa che qualsiasi ostacolo o pericolo
tu ti troverai ad
affrontare, potrai sempre contare sui tuoi amici più fedeli.
Che, ovviamente,
sarei io. E che comunque rimarrai un pessimo genitore se non inizi a
parlare
con i tuoi figli.»
«Perché ho
l'impressione che tu l'abbia costruito a tavolino?»
«Forse perché sei
un rompiscatole sospettoso?»
«O forse perché
sei un pessimo bugiardo?»
«Allora fattela da
solo, la premonizione!»
«Non ti ho mica
chiesto di farla!»
«Mi sembravi
abbattuto e ho pensato che fosse una cosa simpatica da fare»
borbottò Byron,
incrociando le braccia al petto. «Alex lo faceva sempre,
quando ero triste, e
in effetti funzionava.»
Faker sospirò e si
massaggiò il ponte nasale. Aveva appena esaurito la sua
già scarsa pazienza. Se
si fosse messo a mischiare i tarocchi l'avrebbe davvero cacciato via a
calci.
«Sei veramente
scemo» gli disse. «Se vuoi farmi felice devi
trovami quelle cavolo di
coordinate, non inventarti delle cretinate per minorati
mentali.»
«Non sono
cretinate e sono interessanti.»
Faker sbuffò. «Certo,
come no, e io sono una ballerina in tutù. Ma per favore!
Sono un genio, io, non
me le bevo queste idiozie. Siamo uomini di scienza, non donnicciole
annoiate.
Quei giochi lasciali alle ragazzine.»
«Simpatico. A me le
ha insegnate Alex, che era tutt'altro che un idiota.»
«Forse dovresti
sceglierti amici migliori.»
«Se l'avessi fatto
non avrei scelto te, caro amico.»
Byron fece un sorriso
vittorioso e Faker ebbe l'impulso di prenderlo a sberle.
«Ti vedo un po'
nervoso, amico» continuò il
collega, ghignando. «Come mai?»
«Indovina.»
Byron strabuzzò
gli occhi, con fare teatrale. «Io? Dici davvero? Giammai, non
è possibile che
la mia simpatica presenza possa averti fatto perdere le
staffe.»
«Ti odio.»
«Io no.» Si voltò
verso l'IA. «E.D.I.T.H., accendi di nuovo le luci.»
Un ronzio proruppe
nel silenzio e i neon si accesero di colpo, illuminando di nuovo la
stanza.
Faker si riparò gli occhi con una mano, finché la
vista non si fu abituata di
nuovo.
Byron, nel
frattempo, aveva versato il caffè, ormai freddo, nella
seconda tazza. Vi
mescolò dentro due cucchiai di zucchero, poi
leccò il cucchiaino e fece
schioccare la lingua. «Ah, sì, è
perfetto.»
«Perfetto per
cosa? Leggere i fondi?»
«Berlo, mi pare
ovvio» replicò l'amico, sorridendo. Si
portò la tazza alle labbra e sorseggiò a
lungo il caffè. «Non dirmi che credi a quelle
baggianate?»
Faker serrò le
labbra. Domani l'avrebbe cacciato dal laboratorio a calci, era deciso.
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