IV Capitolo
Tom si svegliò in ritardo rispetto al solito.
Rimase disteso a pensare ai fatti della sera prima e per un attimo il
pensiero di quanto era stato vicino a farsi ammazzare lo congelò fin
nelle ossa. Peccato che questi pensieri non gli venissero mai prima di
cacciarsi nei guai. Lo avrebbero forse indotto a fare un po’ più
attenzione, a comportarsi più prudentemente. O forse avrebbero fatto
venir meno il suo coraggio, e basta.
Fece una colazione rapida con dei pancake alla tavola calda, poi tornò
in fretta in ufficio per fare qualche telefonata.
Una a un collega a cui chiese informazioni sui precedenti di Butler.
Fece lo spelling del nome completo.
“Ti serve una documentazione completa o hai fretta?” chiese il collega,
Mark Phillips.
Era un tipo a posto, anche se piuttosto freddo con Tom, le volte che
avevano avuto a che fare. Ma gli doveva un favore e Tom era più che
lieto di toglierlo dall’imbarazzo di sentirsi in debito.
“Se potessi telefonarmi non appena sai qualcosa sarebbe grandioso. Per
la documentazione completa posso aspettare qualche giorno, non c’è
problema.”
Mark disse che andava bene.
La seconda telefonata fu per Maria Butler, per ricordarle il loro
appuntamento, non che pensasse che se lo sarebbe scordato, e per
assicurarsi che la ragazza avesse parlato con Bayles, di modo che il
portiere li facesse entrare.
“È tutto a posto. Gli ho detto che volevo prendere l’anello di mia
madre, che mi sembrava pericoloso lasciarlo in una casa incustodita in
quel quartiere. Mi ha offerto un agente per accompagnarmi, ma gli ho
detto che ci avrebbe pensato un collega qui in ufficio,” gli disse
Maria.
“Avete fatto bene, signorina Butler. Passerò a prendervi alle undici
precise. A dopo.” ‘Intelligente, la ragazza’, constatò Tom.
“A presto e buon lavoro.”
Recuperò la macchina fotografica e partì.
Alle undici meno cinque trovò Maria Butler ad attenderlo in strada. Il
portiere del palazzo le teneva compagnia, scambiando con lei qualche
amenità.
Tom parcheggiò la vecchia Olds di Butch non distante da loro e andò
incontro alla ragazza.
“Siete in anticipo,” le fece notare.
“È che non ce la facevo più ad aspettare,” spiegò lei,
entrando dallo sportello che Tom le teneva aperto. “Mi chiedo perché
non sono andata a casa di mio padre non appena ho cominciato a
preoccuparmi. Forse lo avrei trovato prima che andasse via. Invece non
l’ho fatto. Non volevo avvicinarmi troppo a quel posto.” Si sedette
tenendo la borsetta sulle ginocchia. “Una parte di me non voleva più
mettere piede in quel genere di case. Piccole, buie, provvisorie, che
ti soffocano con il loro senso di impotenza. Con la loro miseria.”
Tom la guardò scostarsi una ciocca di capelli, mentre si immetteva nel
traffico.
Maria parlava senza alzare gli occhi dalla sua borsa.
Fece scattare il fermaglio di ottone qualche volta, prima di
ricominciare: “Penso di essere diventata una snob. Ho il mio lavoro, la
mia casetta, che non è grande ma è distante anni luce dalle catapecchie
in cui sono cresciuta. La persona che sono diventata non voleva neppure
avvicinarsi per qualche minuto a un posto come quello in cui mio padre
vive.”
“Ora, invece? Avete detto che non potevate più aspettare di andare a
Boyle Heights…” le chiese Tom.
“Ora…in parte non è cambiato niente. Dovrete perdonarmi se mi
comporterò da sciocca, quest’oggi. Ma allo stesso tempo non riesco a
smettere di pensare: lui è scomparso, lo devo cercare, lo devo trovare.
L’idea di trovarmi in un luogo che gli è familiare forse mi farà
sentire meglio, come se lui fosse vicino a me.”
Scoppiò in lacrime.
Tom le passò un fazzoletto.
“Volete che accosti?” le chiese gentilmente.
Lei scosse il capo e i bellissimi capelli neri: “No, no, non vi
fermate. Scusatemi. È che sono molto preoccupata per mio padre.”
“E allo stesso tempo vi sentite in colpa,” fece Tom. “Non dovreste.”
Maria abbozzò un sorriso, col viso ancora seminascosto dal fazzoletto
di Tom.
Non parlarono più per il resto del viaggio fino a Boyle Heights.
Tom evitò di dirle che a quel punto anche lui era piuttosto preoccupato
per Andy Butler.
La faccia del portiere di Boyle Heights, quando rivide Tom, fu un vero
spettacolo. Si accartocciò come la rivista che l’uomo teneva tra le
mani (chissà da dove gli veniva tutto quel disprezzo per la carta
stampata), come se avesse visto e odorato una puzzola.
Tom faticò non poco a mantenersi serio, mentre lo salutava.
“Ancora voi?!” sbraitò l’uomo, allontanandosi un poco dal bancone per
essere fuori dalla portata di Tom. “Si può sapere cosa diavolo volete
da me, razza di maniaco?”
“Sono Maria Butler. Voglio vedere l’appartamento di mio padre. Il
sergente Bayles dovrebbe avervi avvertito del mio arrivo,” disse Maria,
avanzando con aria decisa.
Rimase in attesa davanti al bancone aspettando che il portiere
distogliesse lentamente lo sguardo da Tom e lo portasse su di lei.
Tom la guardò con ammirazione: eccola di nuovo padrona di sé.
Il portiere deglutì, sempre facendo smorfie come se ogni parola che
veniva pronunciata fosse un colpo diretto al suo stomaco: “Sì, i
piedipiatti mi hanno fatto una telefonata. Ma lo sapete con chi andate
in giro, signorina? Quello è un violento, ve lo dico io!”
“Con chi vado in giro riguarda esclusivamente me, signore. Possiamo
vedere l’appartamento, adesso?” lo gelò Maria.
Anche l’occhiata che rivolse a Tom mentre l’uomo si voltava a prendere
le chiavi fu piuttosto freddina.
Tom le rivolse uno sguardo innocente.
Salirono le scale. In sottofondo potevano sentire i borbottii risentiti
del portiere.
“Che gli avete fatto?” chiese la ragazza.
“Niente di che. È stato molto maleducato.”
“Non stento a crederlo.”
Dall’espressione di Maria quando aprirono la porta, Tom dedusse che il
posto le ricordava esattamente quello che aveva temuto le avrebbe
ricordato. Era un mono locale con una stanza da bagno di uno squallore
incredibile. La stanza sul retro dell’ufficio di Tom sembrava un nido
caldo e confortevole a confronto. E almeno era pulita.
“Può esserci davvero l’anello di vostra madre, qui?” chiese Tom,
dandosi un’occhiata attorno, cercando lettere, appunti, nomi o numeri
di telefono appuntati su scatole di fiammiferi.
Maria scosse la testa: “Ce l’ho io, l’anello di mia madre. Me lo diede
lei stessa, anni fa. Mio padre porta il suo nel portafoglio, a quanto
ne so.”
Appuntato al frigo c’era un memorandum delle ultime consegne di Andy,
con il timbro della Quicktrans. Andy ne aveva evidenziata qualcuna con
un tratto di penna. Tom tirò fuori la macchina fotografica e scattò un
paio di foto del documento, per confrontarlo con il ruolino delle
consegne che gli aveva consegnato il capo di Andy. Chissà se le
consegne evidenziate da Andy in quel foglio corrispondevano a quelle
contrassegnate dal ritardo sul suo ruolino. Chissà che Andy non
approfittasse delle consegne ufficiali per effettuare quelle di merce
di contrabbando che il crimine organizzato gli commissionava.
Sempre che risultasse un collegamento tra Andy Butler e qualche
esponente del crimine organizzato. Doveva aspettare i risultati
dell’indagine di Mark, per saperlo. In fin dei conti, Randall Flagg
poteva avergli mentito, o aver fatto supposizioni errate.
Ton scattò qualche foto anche del resto dell’appartamento.
Maria si aggirava per la stanza, toccando ogni tanto un oggetto.
Tom la pregò di non farlo, e lei rimase immobile di fianco al divano
lurido.
“C’è qualcosa che vi sembra strano? Fuori posto o non tipico di vostro
padre?” le chiese Tom, senza nutrire speranza nella risposta.
“Non ero mai venuta qui, gliel’ho detto. Mi sembra tutto perfettamente
logico, nella casa di un uomo solo che qui passava probabilmente poco
tempo,” rispose infatti lei.
Tom alzò le spalle. Era più o meno quello che si era aspettato.
Lasciarono l’appartamento.
Passando davanti al portiere Maria gli disse: “Potrei tornare, o
mandare il signor Ludlow al mio posto. Spero che lo lascerete entrare.”
“Non saprei, signorina, c’è bisogno dell’autorizzazione…”
“Sciocchezze: l’avete già avuta, no? O pretendete che il sergente
Bayles vi telefoni ogni volta?” fece lei.
Poi girò sui tacchi e uscì.
“Molto previdente,” le concesse Tom, mentre salivano in macchina. “Ma
il portiere ha ragione: la visita di oggi è stata un’eccezione e Bayles
non sarebbe affatto contento se approfittassimo della sua buona fede.”
“Se servirà a trovare mio padre, signor Ludlow, non starò certo a
preoccuparmi dei sentimenti del sergente Bayles.”
“Più che giusto. Ma lo sapete cosa fanno i poliziotti, quando i loro
sentimenti vengono feriti? Non potendo arrestare voi, una giovane donna
rispettabile che attraversa un momento difficile, arresteranno il suo
investigatore privato, che del resto è solo un approfittatore di
disgrazie altrui e un individuo dalla moralità più che incerta.”
“Lo siete?”
“Non sono un approfittatore, no,” rispose Tom, con un sorriso.
“E un individuo dalla moralità incerta?”
“Nel mio lavoro difficilmente ci si trova davanti a una situazione o
bianca o nera. Il colore predominante è il grigio. La vita è uguale, in
fin dei conti.”
Tom la riaccompagnò in centro.
Le chiese se voleva mangiare un boccone prima di tornare in ufficio, ma
lei rifiutò: “Non me la sento proprio. Penso che farò un salto a casa
per rilassarmi per un poco prima di andare al lavoro. Abito vicino.”
Tom la accompagnò a casa e la salutò con la promessa di tenerla
aggiornata.
Tornò in ufficio per pochi minuti per controllare i messaggi e uscì per
pranzo.
Aveva sperato di trovare qualche messaggio da James, ma non c’era
nulla. L’avrebbe chiamato nel pomeriggio per ricordargli la loro cena.
Forse sarebbe riuscito a convincerlo a permettergli di fare qualche
indagine.
Il tempo stringeva: l’incontro con la commissione era venerdì a
mezzogiorno, come in un film western, ed era già mercoledì pomeriggio.
Forse avrebbe dovuto ignorare gli ordini di James e fare di testa sua.
Ma c’era quella piccola faccenda del rispetto che bisogna accordare
agli amici che gli legava le mani.
Mangiò due panini imbottiti con una birra prima di parcheggiarsi dietro
alla sua scrivania e aggiornare il dossier di Andy Butler.
Decise che avrebbe raccolto informazioni anche su Randall Flagg: il
gangster poteva averlo definito un suo nuovo amico, ma su tipi del
genere era bene sapere qualcosa di concreto, giusto per sicurezza.
Passò il pomeriggio a sviluppare le foto dell’appartamento di Andy
Butler. Quando alla fine riemerse dalla stanza che lui e Butch avevano
adibito a camera oscura si mise a contemplarle alla luce naturale. Non
gli saltò agli occhi nessun particolare di rilievo.
Prestò quindi particolare attenzione a quella del documento appeso al
frigorifero. Tirò fuori il ruolino delle consegne e confrontò i due
scritti. Bingo. Aveva visto giusto. Tutte le consegne che Andy aveva
sottolineato a penna sul suo promemoria corrispondevano ai ritardi
segnati dal suo datore di lavoro. Le consegne sospette si concentravano
soprattutto nella zona ovest della città, ma non solo. Quindi Andy
usciva per le consegne secondo copione e poi? Che succedeva? Ritirava
la merce da consegnare altrove? Gli appunti che aveva preso dovevano
riguardare la zona in cui caricava o scaricava la merce di
contrabbando. Se avessero riguardato solo la data o l’orario si sarebbe
probabilmente servito di un calendario. Nella casa ce n’era uno, ma era
intonso: Tom lo aveva sfogliato, come certamente avevano fatto gli
agenti che avevano controllato l’appartamento.
Chissà di che merce si trattava. Alcolici? Sigarette? Perché non
persone? O armi?
Tom si fermò un attimo, aggrottando le sopracciglia. Armi? Poteva
trattarsi di armi? Era possibile: i camion della ditta di Andy erano
enormi, c’era sicuramente qualche scomparto in cui nascondere qualcosa
di voluminoso, come una cassa di armi o munizioni. E se non c’era lo si
poteva sempre costruire. Poi si caricava la merce legittima, le arance,
il legname, la stoffa, il materiale da costruzione in modo da
nascondere il carico illegale. Molto semplice. Gli autisti erano
responsabili della manutenzione dei loro mezzi, quindi nessuno ci
metteva il naso.
E fino a qui, poteva trattarsi di qualsiasi cosa, anche di opere d’arte
trafugate da musei europei durante la seconda guerra mondiale.
Ma Andy, tra il trentuno e il primo novembre era stato fuori città. A
sud della città, in direzione della base di Encino, nello stesso
periodo dell’assalto al convoglio militare. E Andy era un autista di
mezzi pesanti. Gli assaltatori avevano portato via il mezzo militare
che trasportava gli armamenti.
Poteva trattarsi di coincidenze, ovviamente. La polizia aveva
controllato il camion di Andy e non aveva trovato certo armi nascoste,
altrimenti la sede della ditta di trasporti sarebbe stata sotto
sequestro.
Tom buttò i fogli sulla scrivania, mentre si lanciava sul telefono.
C’era una rapidissima soluzione per appurare se era davvero una
coincidenza: telefonare a James e chiedergli la data esatta
dell’assalto.
Perché non gli era venuto in mente di chiederglielo subito? James aveva
detto qualcosa come ‘il mese scorso’, senza entrare nei dettagli, forse
perché la cosa doveva rimanere segreta e i particolari non potevano
essere divulgati. Se fosse giunta alle orecchie dei giornalisti una
storia del genere, corredata di particolari che permettessero di
controllarla, ciò avrebbe significato la rovina della base di Encino e
di tutti gli uomini che ci lavoravano.
Fece il numero dell’hotel di James e chiese della sua stanza. Ma
nessuno gli rispose. “Dev’essere uscito, signore,” gli disse la
centralinista.
“Siete sicura? Potete controllare?”
“Io sono entrata in servizio da pochi minuti. Datemi un istante.” Dopo
pochi secondi la ragazza tornò all’apparecchio. “Il Maggiore Biggs non
è in albergo. Volete lasciare un messaggio?”
“Sì, ditegli di chiamarmi quanto prima. Si tratta di una faccenda
urgente.”
Tom attaccò, scornato.
Dove cavolo era James? Non poteva essere già uscito per la loro cena.
Diede un’occhiata all’orologio, che segnava le quattro. Tom sperò che
l’altro si ricordasse del loro appuntamento e gli telefonasse anche se
era in giro per confermare la serata.
Si mise a sedere, tamburellando le dita sul tavolo e fissando il
soffitto, mentre rifletteva sull’idea che i due avvenimenti che lo
avevano sfiorato negli ultimi giorni fossero collegati. Qualche punto
rimaneva oscuro: dove diavolo era il mezzo militare, per esempio?
Si impose di non pensarci troppo: non aveva senso investire energie per
trovare spiegazioni per fatti che erano probabilmente slegati tra loro.
Se ci avesse pensato troppo e avesse trovato soluzioni che si
adattavano al caso poi avrebbe finito per innamorarsi delle sue
ricostruzioni, a discapito della lucidità di pensiero che era
necessaria per scoprire la verità nel suo lavoro.
Dopo pochi minuti il telefono squillò. Tom sollevò il ricevitore,
sperando che fosse James.
“Pronto?”
“Qui è Mark Phillips. Ho quelle informazioni cha hai chiesto su Andrew
Butler.”
“Sei provvidenziale, Phillips,” gli ripose Tom, sistemando davanti a sé
un foglio per prendere appunti.
“Addirittura? Sei in alto mare?”
“Più o meno. Comincio forse a capirci qualcosa, ma sarebbe meglio per
tutti se mi sbagliassi. Dai, spara.”
“Ok, senti: Andrew Butler non ha precedenti di sorta, a parte qualche
multa, però c’è stato un episodio promettente, circa un anno e mezzo
fa…è troppo indietro per il tuo caso?”
“No, mi serve tuto quello che puoi dirmi nell’arco degli ultimi tre
anni almeno,” replicò Tom.
“Allora: circa un anno e mezzo fa la polizia pizzica un certo Herbert
Star, per interrogarlo su un caso di aggressione. Sai chi è il tipo?”
“Gangster mafioso. Case da gioco, droga, prostituzione e si vocifera
rapine a mano a armata, ma di questo non l’hanno mai incriminato.
Quindi?”
“Star non è solo, quando i poliziotti praticamente inciampano in lui: è
con un paio di complici abituali e con un certo Andrew Butler. Tutti e
quattro vengono fermati e portati in centrale. Star e i complici noti
ai poliziotti vengono interrogati, Butler viene rilasciato senza
conseguenze, dato che su di lui non risulta niente di niente. Ecco, è
tutto. Ti è utile?”
“Non è un precedente vero e proprio, ma dimostra un collegamento tra
Butler e delinquenti di professione. Mi è molto utile,” confermò al
collega. “Che ne è stato di Star, poi?”
“L’hanno arrestato qualche mese dopo, quando sono riusciti a mettere in
piedi un’accusa. Gli hanno dato dodici anni.”
“Ma l’organizzazione per cui lavora continua con i suoi affari, giusto?”
“Direi di sì, nessuno mi ha chiamato per dirmi che si ravvedeva e
lasciava quella vita di perdizione per una onesta.”
Tom ghignò: “Spiritoso. Altro?”
“La documentazione mi arriverà domani. Ti serve ancora o ti basta
questo rapporto?”
“No, inviamela. Non si può mai sapere, meglio avere qualcosa di
scritto.”
“Te la manderò in ufficio con un corriere, nel pomeriggio, credo. Hai
un cliente o è per interesse personale?” gli chiese Phillips.
“L’uno e l’altro. Mandami il conto.”
Tom lo ringraziò ancora e attaccò. Flagg non aveva mentito: Andy
passava parte del suo tempo con uomini non proprio raccomandabili.
Uomini che avevano alle spalle una organizzazione, scagnozzi e mezzi
per preparare un assalto a un convoglio militare, terreni e proprietà
dove nascondere la refurtiva e il camion militare.
Al diavolo l’obbiettività e la distanza dal caso: la sparizione di Andy
Butler e l’assalto di Encino erano collegati, Tom se lo sentiva.
Ecco il secondo filo della matassa: James stesso, che per una
incredibile coincidenza era amico proprio dell’investigatore a cui
Maria Butler, il filo rosso, si era rivolta per ritrovare il padre
scomparso; James, che nonostante gli ordini e nonostante non volesse
coinvolgerlo, gli aveva raccontato il fattaccio, mettendogli la pulce
nell’orecchio sui particolari che non tornavano. James, che ora era
irraggiungibile.
E dove diavolo era finito Andy Butler? Perché era scomparso nel nulla?
Tom si chiese quante consegne fossero necessarie per distribuire
trecento pezzi e relative munizioni e chi fossero i clienti
dell’organizzazione di cui Andy faceva parte…dubitava che fossero
riusciti a piazzare tutta la merce in meno di un mese. Andy era
probabilmente scomparso a metà lavoro.
Era ancora vivo? Era un tipo loquace, il padre di Maria, su questo
concordavano tutti: aveva parlato troppo in giro della cosa? Potevano
averlo messo a tacere, ed ecco che si spiegava anche la scomparsa di
Andy.
Avrebbe fatto comodo sapere chi l’aveva visto dopo mercoledì sera, dopo
che aveva lasciato la sede della ditta salutando i colleghi del ritrovo.
C’era anche un altro punto da considerare, che probabilmente avrebbe
interessato anche James e tutti gli uomini della base di Encino: come
diavolo avevano saputo dei gangster di Los Angeles del trasferimento
degli armamenti dalla base al deposito? Non era escluso che qualcuno di
quei delinquenti avesse un passato militare e magari un amico
nell’ufficio del Maggiore Biggs, che si era lasciato scappare la cosa.
Certo era un comportamento molto imprudente, ma in fine dei conti
umano.
Ma James e i suoi erano stati interrogati sulle misure di sicurezza per
evitare fughe di informazioni: un comportamento negligente sarebbe
venuto fuori; e il trasporto di armamenti era di certo una notizia
molto sensibile, che qualunque soldato non avrebbe trattato alla
leggera.
‘Non è che in una conversazione davanti a un drink capiti molto spesso
di dire, sai, domani trasferiamo un intero camion pieno zeppo di fucili
e pallottole con pochi uomini di scorta,’ rifletté tra sé e sé Tom.
Forse più che di una fuga di informazioni si era trattato di una
vendita di informazioni. Tom si chiese se gli uomini di Encino e la
polizia locale avessero indagato in quella direzione e per l’ennesima
volta in pochi minuti maledì il fatto di non poterlo chiedere
immediatamente a James.
Tom trascinò quello che restava del pomeriggio fino alla sera. Non
arrivarono messaggi.
Uscì alle sei mezzo per mangiare qualcosa. Fece due passi fino alla
quattordicesima in un piccolo ristorante non privo dei suoi lati
positivi, non ultimo un cameriere bello come un torero spagnolo. Le
signore non gli staccavano gli occhi di dosso, come se sul braccio
portasse davvero una gualdrappa rossa, invece di un asciugamano.
Dopo cena si rifugiò alla Pantera Blu.
“Tesoro!” lo salutò Winnie.
Quella sera indossava un abito di velluto bordeaux. Aveva i capelli
raccolti in una coda alta da cui pendevano boccoli biondi. Sembrava
uscita da un quadro.
“Non c’è il tuo amico, stasera?” gli chiese.
“Ti sei messa in tiro per lui?” le chiese Tom, con un sorrisetto
ironico. “Potrei diventare geloso.”
La donna sbuffò: “Non essere sciocco. Sei il miglior non-amante che
abbia mai avuto.”
“James e io dovevamo uscire a cena, ma dev’esserci stato qualche
imprevisto.”
“Qualcosa di grave?”
“Beh, meno grave di una guerra, spero,” le rispose.
Provò a sorridere, ma gli riuscì male. La verità era che cominciava ad
essere un po’ preoccupato.
Rimase una mezz’ora al locale, ma non riusciva a rilassarsi. Finì di
bere in fretta e tornò in ufficio, col pensiero fisso che il suo
telefono stesse squillando mentre nessuno lo ascoltava. E mentre
nessuno rispondeva gli squilli si facevano sempre più alti, più acuti,
più disperati.
‘Che pensiero idiota’ si disse non appena ebbe messo piede in ufficio.
Il telefono non stava affatto squillando. Rise per un attimo delle sue
ridicole fantasie e il telefono squillò davvero.
Fissò stupidamente l’apparecchio per qualche secondo prima di
rispondere. Sperò che fosse James.
“Pronto?”
“Qui è Mark Phillips. Che fortuna trovarti in ufficio! Pensavo che
avrei dovuto cercarti alla Pantera Blu.”
“Ero lì, ma avevo un brutto presentimento,” rispose al collega.
“Davvero? Strana coincidenza: ci hai preso. Per ottenere le
informazioni su Andy Butler che ti ho passato, ho parlato tra gli altri
con un mio amico che lavora in cronaca nera. Hanno ritrovato il
cadavere di Andy Butler in un terreno da costruzione vicino alla
cinquantesima. Mi ha chiamato per dirmelo appena lo ha sentito per
radio. Io ho chiamato subito te.”
‘Dannazione’.
“Mi ci scaravento subito. Grazie mille.”
Mark gli diede l’indirizzo esatto: “Pare che degli operai scavando
abbiamo rotto un tubo dell’acquedotto. Prima che quelli dell’agenzia
per le risorse idriche mandassero qualcuno a bloccare la perdita,
l’acqua ha fatto franare una porzione dello scavo già ricoperta nei
giorni scorsi e il cadavere è saltato fuori.”
“Quindi Andy Butler non è morto stasera, e neanche ieri.”
“Già, è vero. Potrebbe anche essere morto la settimana scorsa: lo scavo
è rimasto chiuso sabato e domenica.”
Tom sospirò, appoggiandosi il ricevitore alla spalla mentre si infilava
il soprabito: “Vado subito. Grazie. Ora sono io che ti devo un favore.”
“È così che funziona la vita: uno deve qualcosa a un altro e viceversa,
finché uno dei due muore e lascia l’altro in credito di un favore che
non potrà mai riscuotere.”
“Non so te, ma io conto di vivere a lungo.”
Tom prese il cappello.
“Per chi lo cercavi, quell’uomo? Chi è il cliente?”
“La figlia. Una splendida creatura ora sola al mondo.”
“Dio, che schifo. Non ti invidio,” disse Phillips e attaccò.
Tom lo trovò un po’ meno freddo del solito.
Uscì dal palazzo e corse a recuperare la macchina dal parcheggio di
Tony. Quando vide che aveva fretta, Tony mandò il garzone di corsa a
recuperargli chiavi e automobile. Il ragazzo gliela portò davanti al
ristorante facendo ruggire il motore della vecchia carretta.
Quando scese sembrava incredibilmente felice.
“Era un secolo che volevo provare a guidarla, signor Ludlow!” gridò
lanciando la chiavi a Tom.
“Se ti pesco a farlo quando non ci sono emergenze te ne pentirai,
ragazzino,” lo gelò Tom.
Che cavolo: se Tony voleva fargli fare la parte del mangiabambini era
meglio fornirgli un po’ di materiale.
Finalmente partì.
Le scene del crimine erano sempre uno spettacolo, secondo Tom. C’era
confusione, c’era rumore, c’erano assembramenti di curiosi e
giornalisti, ma in sostanza non succedeva niente di niente. La scena
veniva delimitata, agenti stanchi e insofferenti facevano rispettare il
perimetro, ricacciavano indietro i giornalisti e i fotografi quando era
necessario, mentre un paio di detective con una sigaretta in bocca
guardavano il morto, si scambiavano due battute, cambiavano posizione,
soffiavano un po’ di fumo, lanciavano due imprecazioni contro il mondo
(contro la situazione, contro i curiosi, contro gli agenti che non
facevano abbastanza per permettere loro di lavorare in pace, contro
l’ora tarda e infine contro il morto stesso perché era andato a morire)
e infine cambiavano di nuovo posizione.
Tutto questo si ripeteva finché uno dei due non aveva una brillante
intuizione, o più spesso finché non si stufavano e decidevano di
rimettersi ai risultati dell’autopsia prima di formulare qualsiasi
ipotesi.
Praticamente, nessuno faceva niente, su una scena del crimine. Era un
momento di pausa, di riflessione, scollegato dal resto del mondo che
continuava a girare, a lavorare, a produrre, a distruggere, a vivere.
Il morto, con la sua immobilità forzata, attirava tutti in un passaggio
intermedio tra la vita e la morte, li costringeva a fermarsi e guardare
con lui dall’altra parte.
Poi, un cenno ai barellieri, i detective che si allontanavano per
andare a mangiare, la folla di ficcanaso che finalmente si levava dalle
scatole e il mondo circostante ricominciava a muoversi, il tempo
scorreva.
Quando Tom arrivò all’indirizzo che Mark gli aveva dato il nulla era
ancora in pieno svolgimento. Si avvicinò il più possibile, poi mostrò
il tesserino a un agente e superò le transenne e i nastri gialli della
polizia.
Gli operai del cantiere se ne stavano seduti vicino a una baracca di
legno, fissando cupi i due poliziotti che li stavano interrogando.
Il corpo si trovava sul fondo di una fossa poco profonda circondata di
coni di sicurezza e fari, per permettere agli agenti di distinguere
qualcosa.
Qualcuno aveva pulito la maggior parte del fango dalla zona. Aveva
anche portato alla luce la faccia del morto, per procedere a
un’identificazione. E magari per non lasciare un uomo seppellito nel
fango, come una carcassa gettata in una buca. Anche se in fin dei
conti, il risultato finale non sarebbe stato poi tanto diverso.
L’uomo era senza dubbio Andrew Butler. Stessa corporatura, stesso
colore dei capelli, fronte e mascella perfettamente riconoscibili. Tom
tirò fuori dalla tasca del soprabito la foto che Maria gli aveva dato,
quella scattata in occasione di un evento importante e non ebbe il
minimo dubbio sull’identità del cadavere nella buca. Povera Maria.
Mark Phillips aveva ragione: Andy doveva essere morto da giorni. La
pelle del viso era livida, quasi nerastra, gli occhi orrendamente
incavati. Tom dovette farsi più vicino per notare il foro di proiettile
sulla tempia, simile a un’enorme voragine. Intorno al corpo si
aggiravano agenti in uniforme blu e un paio di vecchie conoscenze di
Tom.
Una di esse era il medico legale, il dottor Avery Thompson. Era un
arzillo sessantenne che non si risparmiava mai sul lavoro.
Anche in quel momento si trovava sul fondo della fossa, inginocchiato
accanto al defunto Andy Butler per esaminare le mani e la ferita d’arma
da fuoco alla tempia.
“Direi che è morto da una settimana più o meno. Potrebbe sembrare meno,
ma questa terra è argillosa e deve aver rallentato il processo di
decomposizione,” disse studiando le unghie del corpo.
Si sistemò meglio gli occhiali sul naso.
Uno degli agenti commentò, rivolto al suo sergente: “Dev’essere morto
subito dopo la sua scomparsa. Mercoledì è andato al lavoro, poi nessuno
l’ha più visto.”
Il sergente annuì, ma non disse nulla.
Il medico legale continuò la sua analisi: “Il foro sulla tempia è
abbastanza netto, direi che non è stato un colpo molto ravvicinato.
Inoltre è molto grande. Deve trattarsi di un grosso calibro.”
“Come un calibro militare, ad esempio?” intervenne Tom, facendosi
avanti con il tesserino e la foto di Andrew Butler in mano.
L’altra conoscenza di Tom nel gruppo era il tenente Abel Kuntz, che si
girò piano verso di lui, studiandolo con espressione cattiva.
“Ludlow. Che cosa cazzo ci fai sulla mia scena del crimine?” gli
domandò, con voce bassa.
Si accese un sigaro senza togliergli gli occhi di dosso.
Gli agenti scattarono verso Tom, che sventolò il tesserino.
“Sono stato assunto da Maria Butler per ritrovare suo padre, Andrew
Butler, che temo proprio si trovi accanto a voi, dottore,” rispose,
salutando con un cenno del capo il dottor Thompson.
Il medico si alzò in piedi; le sue ginocchia protestarono
rumorosamente.
“Buonasera, signor Ludlow. Un calibro militare, dite? Verificherò.”
Kuntz fece qualche passo verso Tom, spalleggiato da un agente e da uno
dei suoi detective. Il sergente rimase indietro, guardandosi attorno
come se non capisse che cosa stava succedendo. Doveva trattarsi del
sergente Bayles.
“E così sei stato assunto per trovare Andrew Butler, eh?” fece Kuntz,
soffiando del fumo acre. L’uomo si diede una rapida occhiata alle
spalle. “Direi che l’hai trovato. Perché non ti levi dai piedi, adesso?
Non mi piace avere feccia come te attorno.”
“Pensavo solo che alla polizia avrebbe fatto piacere scambiare qualche
informazione. Non pensavo di trovare te. Mi sarei fatto bello.”
Kuntz ghignò: “Non ne dubito, principessa. Non ci sono informazioni da
scambiare. Il tipo aveva dei debiti, giocava d’azzardo, non è vero
Amos?”
Il sergente Bayles confermò: “Ce lo ha detto la figlia.”
“Quindi io non vedo di quali altre informazioni potremmo aver bisogno.
Il tipo fa dei debiti, non paga, qualche delinquente permaloso gli fa
la pelle come monito per tutti gli altri debitori. Molto semplice,”
concluse Kuntz facendo ancora un passo verso Tom.
Di Kuntz si potevano dire molte cose, che era un sadico, un violento
con difficoltà a contenere la rabbia, un marito poco presente, forse,
ma non che fosse un idiota. Aveva cervello e la sua rapida carriera
nella polizia lo dimostrava. Si vociferava che fosse vicino a diventare
capitano.
Un po’ per attitudine personale, un po’ per non rischiare di prendere
un granchio così vicino a una promozione importante, Tom era sicuro che
l’altro non sarebbe rimasto sordo a quello lui che aveva da dire.
“Non regge,” sentenziò. “Ci saresti dovuto arrivare da solo, Abel.
Bisognerebbe sempre prestare attenzione a dove si ritrova un cadavere.
Si può capire molto da questo: per esempio, se volevano che fosse
ritrovato o meno. Butler era sepolto in uno scavo che sarebbe stato
completato a breve e ricoperto di cemento. Io dico che qualcuno voleva
essere ragionevolmente certo che non tornasse mai più alla luce. Ora,
se io fossi uno strozzino o un tenutario di case da gioco e ammazzassi
un uomo per i suoi debiti, ne farei un monito per tutti gli altri, come
hai detto tu. Ma in questo caso, mi assicurerei che il cadavere venisse
fuori.”
Kuntz fece ancora un passo verso di lui, masticando il sigaro tra i
denti con rabbia trattenuta: “Pensi di poter venire qui a risolvere il
caso, non sapendone niente? Ti credi più furbo di tutti i presenti? E
per te sono il tenente Kuntz, finocchio, vedi di non dimenticarlo.”
Indietreggiò e fece un sorriso malevole: “Ti ho mai raccontato dei
giorni in accademia con Ludlow, qui, Albert?”
Il detective rispose un ghigno altrettanto malvagio: “Sì, tenente.
C’erano molte costole rotte. Servirà un ripasso?”
Tom cercò di rimanere calmo: “Non è vero che non ne so niente. Voi, per
esempio, sapevate che Andrew Butler aveva dei legami con il crimine
organizzato?”
Il sergente Bayles parve confuso: “Ma no. Ho controllato i
precedenti…non mi risulta.”
“Avete fatto un controllo sommario perché il caso vi appariva semplice:
un giocatore che fugge dai debiti. Ma c’è di più.”
“Cosa ci sarebbe di più?!” esplose Kuntz. “Molti giocatori d’azzardo
hanno legami con il crimine organizzato: le case da gioco non sono
gestite da care anziane vecchiette. E cosa c’entra il calibro militare?”
“È scomparso un carico d’armi da una base militare giù a sud, tempo fa.
Butler potrebbe essere l’autista coinvolto.”
“È ridicolo, non ho sentito niente del genere. Non è certo una notizia
che ti passa di mente dopo un paio di giorni. Credo che tu sia qui solo
per creare scompiglio, Ludlow. Per inventare fandonie da rifilare alla
tua cliente per scucirle più soldi. L’unica consolazione è che non ti
approfitterai delle sue grazie…” Kuntz pronunciò queste ultime parole a
un palmo dal viso di Tom, tenendo il sigaro nella mano destra.
Tom ebbe l’impressione che si stesse sforzando per non colpirlo.
“Se vuole dargli una ripassata, tenente, può contare su di me,” fece il
detective.
Il dottor Thompson si fece avanti: “Andiamo, adesso…” ma il detective
lo bloccò afferrandogli una spalla.
“Non so se il tuo tenente ti ha raccontato tutta la storia di quando
eravamo all’accademia assieme, Albert,” fece Tom, fissando Kuntz dritto
negli occhi. Ora anche lui faceva fatica a trattenersi. “Ti ricordi
cos’è successo l’ultima volta che mi sei venuto così vicino, Abel?” gli
domandò in un sibilo.
“Ha provato a baciarvi, tenente?” fece Albert, ridacchiando.
“Gli ho rotto la mandibola in due punti,” rispose Tom.
“Non mi sorprenderesti più con quella mossa, Ludlow,” ribatté Kuntz.
“Ne ho altre.”
“Tenente…” provò a intervenire il medico legale.
Kuntz scattò e afferrò Tom per i capelli, torcendogli la testa
all’indietro, l’altra mano serrata sul suo soprabito per impedirgli di
scostarsi.
Bayles sobbalzò e il dottor Thompson gridò: “Farò rapporto a tutti, se
non la piantate!”
Mentre Kuntz lo fissava negli occhi con i denti scoperti, Tom
improvvisamente gli sorrise: “Ho davvero l’impressione che tu voglia
baciarmi ora, Abel.”
Kuntz parve ritornare in sé. Forse gli erano tornati in mente i guai
che aveva scampato per un pelo solo tre mesi prima, quando aveva perso
le staffe dopo un inseguimento a piedi. In quell’occasione i suoi
colleghi gli avevano coperto le spalle, ma Kuntz non poteva certo
permettersi di fare un altro errore del genere davanti a Thompson e a
Bayles, che Tom si era fatto l’idea avesse il senso dell’onore di un
cavaliere medievale.
Dopo qualche secondo il tenente Kuntz lo lasciò andare di malo modo,
dandogli le spalle e allontanandosi a passo svelto. Tom riconobbe il
passo dell’uomo furioso con se stesso per essersi lasciato andare.
“Fate sparire quel truffatore dalla mia scena del crimine!” ordinò
mentre passava di fianco a Bayles.
Il sergente si scostò dalla sua traiettoria: “Sì, signore. Subito.”
“Fareste meglio ad andarvene di vostra spontanea volontà, figliolo,”
consigliò il dottor Thompson a Tom.
Tom lo giudicò un saggio consiglio.
Non aspettò che il sergente Bayles lo invitasse a lasciare la scena.
Girò sui tacchi rivolgendo un ironico cenno di saluto al detective, che
ora lo fissava con disgusto, e tagliò la corda. Nel suo lavoro ogni
tanto era meglio battere in ritirata.
In macchina, tornando dalla scena del crimine, Tom si sforzò di
mantenere la calma. In parte era su di giri per lo scontro con Kuntz,
anche se riteneva di aver mantenuto il controllo e di non aver lasciato
trasparire nulla del suo stato di nervosismo.
‘Di sicuro, più di Kuntz stesso’ si disse, contorcendosi per prendere
il pacchetto delle sigarette dalla tasca.
Ne infilò una in bocca e l’accese, sfregando un fiammifero preso dal
vuota tasche direttamente sul cruscotto.
Se Butch l’avesse visto fare una cosa del genere, l’avrebbe ucciso. Era
piuttosto severo a proposito della manutenzione della vecchia Olds. Non
era mai arrivato al punto di vietare a Tom di fumare quando era a bordo
(perché, andiamo, chi sarebbe sopravvissuto a un appostamento senza
potersi fare una cicca? O un pacchetto? O anche due, Tom non andava
tanto per il sottile quand’era più giovane e faceva meno fatica a
tirare il fiato), ma l’unica volta che lo aveva visto accendere una
sigaretta così gli aveva tirato una sberla incredibile dietro la nuca,
facendolo strozzare. Aveva quasi sputato un polmone.
Incurvò le labbra sulla sigaretta, incapace di trattenersi.
Ma era il momento di essere seri. Andrew Butler era morto.
Con l’autista del camion ucciso nell’attacco al convoglio militare, i
morti salivano a due, in quella faccenda di cui forse avrebbe risposto
James.
Sempre che le due cose fossero effettivamente collegate.
Tom ne era ormai pienamente convinto: il filo rosso di Maria era
intrecciato a quello dorato di James.
Il problema era che non lo poteva dimostrare. Non disponeva neanche di
sufficienti indizi da indurre la polizia a fare indagini in quel senso,
senza conoscere la data effettiva dell’assalto e senza avere accesso ai
risultati dell’esame balistico sul proiettile che il dottor Thompson
avrebbe estratto dalla tempia del rimpianto Andy. Aveva sperato di
mettere la pulce nell’orecchio a Kuntz, ma l’unico a dargli retta era
stato il medico legale. Forse sarebbe stato disponibile a fare due
parole con lui, in via ufficiosa, si capisce, su quel foro provocato da
un grosso calibro. Si ripromise di chiamare la morgue la mattina
successiva.
Appena arrivato in ufficio dopo aver lasciato la macchina nel
parcheggio da Tony, prese il telefono per chiamare l’albergo di James.
Al concierge risultava che il Maggiore Biggs fosse ancora loro ospite,
ma il telefono della sua stanza suonò a vuoto per quasi tre minuti,
prima che Tom desistesse. Riagganciò, furioso. Perché diavolo James lo
evitava? Quali cazzo di affari aveva di cui occuparsi in città, oltre a
quella dannata commissione?
Erano solo le dieci e mezza. Gli sembrava passato un secolo da quando
era uscito per andare alla Pantera Blu. Era presto, ma allo stesso
tempo era troppo tardi per fare un’altra telefonata importante.
Avrebbe dovuto chiamare Maria Butler. Non per darle la notizia,
certamente il sergente Bayles l’aveva avvertita. Probabilmente non
aveva avuto il tempo di andare da lei di persona, ma Tom era certo che
lo scintillante cavaliere bianco si fosse premurato di inviare due
agenti sensibili e disponibili a consegnare il triste messaggio.
Era tardi, era sconveniente ed era inutile che Tom la chiamasse a casa.
Oltretutto, avrebbe tanto preferito evitarlo. Ma doveva farlo lo stesso.
Si versò da bere, prima di sollevare la cornetta. Si domandò se Maria
non stesse dormendo, spossata magari dalle emozioni della serata, ma in
realtà dubitava che la ragazza sarebbe riuscita anche solo a chiudere
gli occhi nei prossimi giorni. Difatti lei rispose al secondo squillo.
“Pronto?”
Aveva una voce un po’ tremula, ma non stava piangendo. Sembrava
piuttosto distante, come se avesse risposto per abitudine ma non le
interessasse granché sapere chi c’era in linea all’altro capo del filo.
“Sono Tom Ludlow, signorina Butler. Mi dispiace chiamarvi a quest’ora…”
“Signor Ludlow. Speravo di sentirvi.”
Sembrava più presente, ora. Tom si schiarì la voce.
“Immagino che la polizia vi abbia già dato la notizia. Le mie sentite
condoglianze.”
“Sì, è venuta la polizia. Gli agenti sono andati via che non è molto.
Hanno detto di aver trovato il corpo di mio padre in un cantiere…”
“Sì, ci sono stato, questa sera. Signorina Butler, io…”
“L’avete visto?” lo interruppe lei, con foga.
“Sì, l’ho visto,” le ripose Tom, con cautela. “Non ho avuto dubbi che
si trattasse di suo padre, purtroppo. È morto.”
Cercò di evitarle ogni falsa speranza. Preferiva mettere le cose in
chiaro e affrontare una crisi di pianto, che provocarle una crisi
isterica più tardi.
“Anche gli agenti l’hanno detto. È che hanno parlato
dell’identificazione…domani devo andare a identificare il suo corpo, e
ho pensato…non so. Ho dovuto chiedervelo,” concluse, con voce un po’
più ferma.
“State bene? Avete bisogno di qualcosa?”
“Non saprei di che cosa, onestamente. Quando mia madre è morta io mi
sono appoggiata a mio padre, e lui a me.”
“Non c’è un’amica, o un fidanzato, che possa tenervi compagnia, per
stanotte?” le chiese Tom.
“Non ho chiamato nessuno. Neppure il mio capo. Domattina dovrò
avvertirlo che non andrò a lavorare, e poi penso che chiamerò un’amica.
Una ragazza con cui ho studiato. Siamo rimaste unite.”
“Bene, è meglio avere qualcuno attorno,” le rispose Tom.
Quando Butch era morto lui aveva passato la notte in una stazione di
polizia, mentre gli agenti ceravano di capire cosa fosse successo.
Il corpo del suo collega era in un ospedale a tre isolati da dove era
morto. Anche se i soccorsi erano stati immediati non c’era stato nulla
da fare.
Quando la mattina dopo era tornato a casa aveva dato la notizia a
Winnie e a Tony, che l’avevano diffusa per tutto il quartiere. Butch
Morrison era molto conosciuto e apprezzato.
Tom invece si era chiuso in casa, aveva pianto per un’ora, aveva
telefonato a James, che per fortuna non era in servizio, e poi era
uscito, con in corpo più caffè di quanto fosse consigliabile, per
andare a reclamare il corpo del suo amico.
Sì, sarebbe stato meglio avere qualcuno attorno.
“Posso accompagnarvi all’identificazione, domattina, se pensate che
possa farvi piacere,” disse a Maria Butler, che era rimasta in silenzio.
Lei sospirò: “Non lo so. Non potreste venire qui ora? Mi rendo conto
che non vi pago per farmi da balia, ma…”
“Non so quanto sarebbe opportuno, signorina Butler. Non conosco i suoi
vicini, ma tutti si sentono in diritto di ficcanasare, quando un uomo
entra nell’appartamento di una giovane donna sola, a tarda serata.”
“Non pensavo di sedurvi,” rispose lei, e a Tom sembrò che avesse
sorriso, per una frazione di secondo.
“Oh, neanch’io. Lungi da me.”
“Nonostante la vostra morale incerta?” chiese lei, e stavolta Tom fu
certo che sorridesse.
“Proprio a causa di quella,” le rispose, criptico.
Lei rimase in silenzio qualche secondo prima di domandare: “Signor
Ludlow, chi ha ucciso mio padre? Perché?”
“Forse sarebbe meglio parlarne di persona, signorina. Ci sono fatti di
cui avrei fatto meglio a mettervi al corrente quando siamo stati a
Lexington, e altri ne sono emersi.”
“Quali fatti?” domandò lei.
“Per esempio, che vostro padre non aveva debiti. Non è per quello che è
stato ucciso.”
“Non capisco. Allora perché? Cosa aveva fatto?”
Ecco il problema. Tom sapeva cosa aveva fatto Andy Butler: aveva
guidato il camion militare durante la rapina. Aveva spostato o
consegnato le armi rubate. Ma perché era stato ucciso, quello non gli
era poi molto chiaro. Aveva parlato? Voleva farlo? Non con Maria,
questo era certo. Lei non sapeva niente delle attività alternative del
padre.
“Non so perché sia stato ucciso. Posso solo fare qualche ipotesi.
Quando ci incontreremo di persona vi spiegherò tutto, promesso.”
“D’accordo. Preferirei che veniste qui e mi diceste tutto
immediatamente, ma se è fuori discussione…”
“Lo è. Se volete posso tenervi al telefono tutta la notte e farvi
compagnia da qui, ma è meglio che io non venga a casa vostra.”
“Ho capito. Mi accompagnerete all’identificazione, allora?”
“Certamente. A che ora siete stata convocata?”
“Per le nove. Il Sergente Bayles mi ha telefonato, manderà un’auto a
prendermi.”
“Ho conosciuto il sergente Bayles questa sera,” le disse Tom. “È un
gentiluomo.”
Chissà se sarebbe stato contento di vedere l’investigatore che gli era
stato ordinato di buttare fuori dalla scena del crimine. Anzi, come
aveva detto Kuntz? ‘Quel truffatore’, forse?
Promise a Maria che si sarebbe trovato sotto casa sua per le otto e
mezzo e l’avrebbe seguita alla stazione di polizia con la sua auto.
Sbrigate le formalità, le sgradevoli formalità, l’avrebbe
riaccompagnata a casa.
Stava per salutarla e riattaccare, quando lei disse: “Avete detto che i
debiti di gioco non c’entrano niente. Come vorrei che invece si fosse
trattato di quello. Avremmo potuto risolvere tutto. Come vorrei che
fosse tutto più facile.”
Anche Tom non avrebbe desiderato altro.
Note:
Un capitolo interminabile! Scusate. Ma a dividerlo avrei solo ottenuto
due capitoletti brevi che tagliavano in due la stessa giornata senza
scopo...
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